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Il bambino nascosto

Il bambino nascosto

A sett’antanni di distanza Franco Debenedetti Teglio racconta la sua avventura sotto il nazismo

La seconda parte dell’intervista è disponibile qui:

Franco Debenedetti Teglio è un “Hidden child”, un bambino nascosto. Nato nel 1937, ha trascorso i suoi primi otto anni di vita, vissuti quasi in incognito, sotto la scure delle leggi razziali del suo paese, l’Italia, poi nascosto, senza nome, anche all’estero, nel terrore continuo di essere catturato. Dopo il diploma ha lavorato come consulente di direzione aziendale. Le conseguenze dell’ esperienza vissuta nella prima infanzia sono state molto pesanti per lui e per la sua famiglia. Dal 2001 Franco ha cominciato a ricostruire il suo passato, dal 2005 svolge incontri di testimonianza e sensibilizzazione nelle scuole e per adulti. Nel 2008 ha realizzato per le biblioteche civiche torinesi la mostra “17 novembre 1938: lo Stato Italiano emana le leggi razziali”.

Siamo a casa di Franco pochi giorni prima del 17 novembre 2016 e vogliamo porgli, per i lettori di Novecento.org, alcune domande sulle “leggi razziali” italiane.

Elena
Buongiorno Franco, vorremmo porti alcune domande sulla ricorrenza del 17/11/1938. Nella legge del 2000 che istituisce il giorno della memoria si citano anche le leggi razziali[1]. Secondo te, su questo aspetto della legge, si fa e si conosce abbastanza?

Franco
Secondo me no, anche perché quando parliamo di Shoah, noi parliamo della fine di un romanzo di 1000 pagine di cui facciamo vedere solo gli aspetti estremi. Difficilmente diamo il dovuto spazio alle premesse: al nazionalismo europeo di fine 800 e inizio 900, che hanno determinato cose enormi, non diamo spazio alle leggi razziali che sono maturate già negli anni trenta in tutta Europa, ben prima della loro pubblicazione e che sono state emesse dai nazisti come dai fascisti, ma c’è anche una legislazione razziale francese, una ungherse, eccetera. Non facciamo vedere queste cose, ma solo la parte finale. Così, ponendo l’accento solo su uno degli aspetti del fenomeno, quello finale, noi ci nascondiamo dietro l’idea dei tedeschi cattivi, dei francesi buoni, degli italiani buoni, degli ungheresi buoni. Non facciamo vedere ciò che avviene prima: in questo modo non si riesce a capire che è un intreccio molto complesso, non riducibile solo alle deportazioni. Ciò che accade agli ebrei e ad altri nell’Europa dei nazionalismi diventa, in questa narrazione, un fenomeno non capito e un fenomeno che non viene compreso è un fenomeno che non si riesce a contrastare.

Ci sono diversi studiosi che concordano con ciò che hai appena detto, cioè che non si è dato abbastanza spazio alle leggi razziali nelle attività che si propongono alle scuole o nelle celebrazioni del 27 gennaio. Uno di loro, Simon Levis Sullman, in una intervista rilasciata a Luciana Granzotto lo corso anno affermava che: “c’è una vulgata secondo cui il fascismo è stato criminale solo a partire dalle leggi razziali. In realtà sappiamo che c’è stata la dittatura almeno dal 1925, la storia criminale del fascismo comincia a partire dagli anni ’20.”[2]. Tu cosa faresti per porre maggiormente l’accento su quelle che hai definito “le premesse” e quindi per una corretta applicazione della legge del 2000?

Farei fare a tutti quelli che faccio io quando vado nelle scuole. Farei vedere dei video e un ritaglio di giornale del 1919, in cui Mussolini dichiara che l’Italia è una nazione razzista. Questa dichiarazione viene fatta da Mussolini ancora prima di andare al potere, quando lui pensava già di avere il potere in mano. Se già nel 1919 l’Italia viene dichiarata dal suo futuro duce una nazione razzista, e poi man mano sono nate le varie cose, vuol dire che tutto era già maturo. E da questo deduciamo che le leggi razziali sono state gradualmente preparate.

In che modo?

Franco Debenedetti Teglio alla scuola media statale di Domodossola nel febbraio 2015

Franco Debenedetti Teglio alla scuola media statale di Domodossola nel febbraio 2015

Già nel ’34 e nel ’35 si mandavano lettere ai questori per chiedere se c’erano ebrei che ricoprissero posizioni elevate nelle scuole, nelle banche, nelle amministrazioni pubbliche. Quando si segnalava una eventuale presenza, veniva consigliato in qualche modo di “lasciarli andare”. Tutta questa fase di preparazione alle leggi razziali vere e proprie, è avvenuta anche attraverso pubblicazioni di ogni genere, che il regime ha finanziato, anche se in modo non ufficiale, perché il fascismo non voleva inimicarsi altre nazioni o gli ebrei americani. L’esclusione e la discriminazione degli ebrei è quindi cominciata presto. Le leggi razziali sono state emanate nel 1938, ma non sono del 1938: sono state preparate molti anni prima e nascono da un concetto che è più ampio di quello che poi codificano. Queste leggi nascono dalla tendenza al razzismo, sono infatti leggi razziste, non razziali, fenomeno che si è verificato in Italia come in altri paesi. Anche in questo caso, non possiamo parlare solo di Germania.

Nel periodo precedente il 1938, per quella che è stata la tua storia e per ciò che hai studiato in seguito, quale è stato il ruolo degli ebrei italiani?

Io direi che gli ebrei italiani, specialmente in quel periodo, innanzi tutto erano italiani e poi ebrei. Erano anche ebrei, ma si sentivano fondamentalmente italiani. L’Italia ha avuto ebrei che erano completamente integrati nella vita nazionale come in quella dei piccoli centri: abbiamo un ebraico romano e un ebraico piemontese, quindi addirittura dei dialetti, che lo dimostrano. Da questo punto di vista gli ebrei erano cittadini con tutti i pregi e i difetti particolari che abbiamo in Italia.
Abbiamo avuto ebrei fascisti, che hanno partecipato soprattutto alle fasi iniziali del fascismo, abbiamo avuto i grandi resistenti italiani, che in buona parte erano ebrei. Io considero i veri resistenti: gli italiani che si opposero al fascismo nascente perché non prendesse il potere. Quando parliamo di resistenza non dobbiamo limitare il fenomeno al biennio 1943-45. La resistenza che io considero più significativa è quella che è stata fatta negli anni ’20 e ’30, quando chi intuì il pericolo rappresentato dal fascismo già cominciò a reagire e a pagare per questa reazione. Abbiamo avuto anche ebrei, pochissimi, ma ci sono anche questi, che hanno denunciato altri ebrei per avere dei vantaggi dopo la pubblicazione delle leggi razziali.
Ad un certo punto, non è corretto dire “di colpo”, gli ebrei si sono visti cadere da una situazione in cui erano assimilati e integrati ad una in cui non avevano più alcun diritto. Come ho cercato di spiegare, non fu un passaggio netto, ci fu una gradualità in questa emarginazione, messa pian piano in atto in tutti gli anni in cui il fascismo preparò l’emanazione dei provvedimenti in difesa della razza italiana, ma molti capirono solo all’ultimo che la loro situazione era drasticamente cambiata.

All’indomani dell’emanazione delle leggi razziali tu, bambino di pochi mesi, ti sei trovato privo di diritti. Che cosa significa vivere senza diritti?

Non è un concetto facile da spiegare, né da racchiudere in parole chiave, soprattutto dal punto di vista e con la voce di un bambino molto piccolo. Contrariamente a quanto molti credono, il bambino, anche piccolissimo, vive appieno questa condizione: la vive dapprima attraverso il vissuto e la rabbia dei genitori, poi inizia a viverla in prima persona per i propri rapporti con gli altri, che sono manipolati dalla situazione, non sono rapporti “normali”.

Puoi provare a spiegarcelo con alcune con alcune parole chiave?

Ho pensato ad alcune parole, che ora cercherò di dirti e motivarti.
Dipendente. Elemosinare. Adozione: io vivo solo se qualcuno mi adotta. Rabbia: vorrei vivere, ma le leggi non me lo permettono. Errante: perché non ho una casa, non ho un posto mio. Grazie a Dio, ci sono delle persone che mi ospitano, che mi difendono. Ma, si chiede il bambino, io ho diritto di vivere per la generosità altrui, o la mia esistenza ha comunque un suo valore? Ho, avrei diritto ad una vita autonoma?
Riscatto: mio fratello, ad esempio, reagiva a questa mancanza di possibilità cercando di essere in gamba, di essere sempre il primo. Falsario. Falsario è una parola importante. Tu vivi in mezzo agli altri, cerchi di essere come gi altri, però sai che vivi senza diritti, quindi quando ti presenti davanti agli altri ti senti un falsario, fai qualcosa di falso perché, in effetti, tu il diritto di essere come gli altri non l’avresti. D’altra parte, tu hai bisogno di relazionarti con gli altri come persona, come se tu questi diritti li avessi, ma, sapendo che le cose non stanno così, per quello che ti raccomandano a casa, provi un senso di colpa. Io credo che la parola falsario sia fondamentale per capire e rendere la situazione che ho vissuto: io mi sento un falsario.
Poi, ancora, potremmo dire nomade, in quanto non hai un punto di riferimento. Nascondersi, quando la mancanza di questi diritti porta alla repressione. A quel punto, arriviamo oltre: non siamo più nella condizione in cui si confrontano due individui, uno che ha tutti i diritti e uno che non li ha, ma dobbiamo nasconderci, perché non abbiamo neanche più il diritto di esistere. Buona parte della mia infanzia l’ho vissuta così: nascosto.

Rispetto alla tua esperienza di bambino nascosto, tu ti senti un sopravvissuto?

Perché, ad un certo punto della tua vita, hai deciso di raccontare la tua storia?

In parte, credo di avere risposto in precedenza: perché ho faticato molto a ricostruire la mia storia e credo sia utile farla conoscere per una comprensiva comprensione di ciò che è accaduto in Europa sotto i totalitarismi del XX secolo. La racconto poi perché non trovo testimonianze di bambini, di ex bambini che parlano, dopo avere studiato a fondo quello che è successo loro, della loro storia di giovanissime vittime delle leggi razziali nel modo in cui lo sono stato io. Voglio rivalutare a fondo il problema/tema del reduce bambino: essendoci poche narrazioni, si tende a pensare che di bambini con questo percorso ce ne siano stati pochi, ma non è vero.

Perché affermi che non è vero?

Io di questi bambini ne ho conosciuti molti, ad esempio in Svizzera, subito dopo la guerra. Bambini che avevano perso tutto, che avevano perso uno o entrambi i genitori, una parte o tutta la loro famiglia. Oppure bambini che avevano ancora i genitori o i familiari, ma avevano vissuto in condizioni tremende. Ho vissuto con loro per sei mesi dopo la guerra, quando sono stato ospite in un Kinderhaim svizzero e li vedevo sotto choc per ciò che avevano passato. Erano bambini speciali: tutti avevano dei tic, avevano, come me, dei problemi. Mi ricordo molto bene di uno di loro: era biondo, aveva gli occhi azzurri, si chiamava Peterly. Era probabilmente figlio di qualche nazista che era stato ucciso e che era stato raccolto con questi bambini ebrei e che mi faceva pena, perché si metteva sull’attenti di tanto in tanto, forse perché aveva visto fare questo gesto da suo padre. Ecco, anche questo è un reduce, io credo non ebreo, o forse era anche lui ebreo, ma io lo vedevo cosi, come un piccolo nazista. Quando faccio i miei incontri di testimonianza, racconto anche delle storie che ho avuto con lui, dei problemi intendo. Poteva avere 5 o 6 anni, ma era durissimo, quindi me lo ricordo molto bene. Anche lui ha subito dei traumi e ne portava le conseguenze: era quindi, dal mio punto di vista, un reduce.

Non sei riuscito a mantenere rapporti con alcuno dei bambini che hai conosciuto in Svizzera?

Solo pochi anni fa, perché essendo anche io reduce, ho nascosto per anni le mie storie, ho cercato di rintracciare alcuni di questi bambini. Se sono riuscito a spiegare che cosa intendo con il termine reduce, in particolare reduce bambino delle leggi razziali, posso permettermi a questo punto un piccolo inciso: per molti anni non ho ricordato cosa avevo vissuto fino agli otto anni, era come una memoria a macchia di leopardo, che si manifestava soprattutto attraverso degli incubi. Per ciò che è accaduto alla mia famiglia dopo la fine della guerra, non sono riuscito a fare subito questo lavoro di ricostruzione del mio passato e mi ci sono dedicato a partire dai 65 anni di età circa. Si è trattato di un lavoro lungo, che non è ancora terminato, anche se ormai molte cose sono chiare.

Come hai potuto recuperare la memoria rimossa della tua infanzia?

Con un serio lavoro su me stesso e “svuotando le cantine di famiglia”. Una tappa fondamentale per la ricostruzione della mia storia è stato il processo di costruzione della mostra sulle leggi razziali che mi fu chiesto di realizzare per le biblioteche civiche di Torino nel 2008, in occasione del Settantesimo dell’emanazione. In quell’occasione mi sono messo in contatto con altri ex bambini che avevano vissuto la mia stessa esperienza, perché è una mostra che consiste nella ricostruzione di alcune storie, in particolare familiari. Oltre alla storia della mia famiglia, di quelle dei miei zii, ho ricostruito anche la storia di una famiglia romana. Durante i contatti avuti per la realizzazione della mostra mi sono reso conto di quanta strada ci sia ancora da fare per dare voce a questi reduci bambini. Ho infatti rintracciato un membro della famiglia romana di cui ho creato un pannello espositivo, un uomo della mia età, laureato, che ha avuto una carriera importante e che è anche oggi uno stimato uomo di successo, ma quando gli ho fatto puntuali domande sulla sua storia ha confuso nomi e date.

E’ stato in quell’occasione che hai ripreso i rapporti con i bambini del Kinderheim?

Franco Debenedetti Teglio alla mostra di Domodossola nel febbraio 2015

Franco Debenedetti Teglio alla mostra di Domodossola nel febbraio 2015

I bambini che avevo conosciuto nel Kinderheim, invece, ho avuto, in qualche misura, occasione di incontrarli l’anno scorso, quando sono andato in Svizzera a fare una conferenza, una testimonianza, non sulla Shoah, non sulle leggi razziali italiane, ma sulla “raccolta” di questi bambini in Svizzera dopo la guerra. Due li ho rintracciati. Uno non è venuto a quell’incontro, perché abitava a Zurigo. Ho saputo che era diventato consulente di direzione aziendale come me, in seguito ci siamo scritti molto via mail. Avevo, del periodo passato nel Kinderheim, il ricordo molto netto di una bambina, che io ricordavo con un volto bellissimo, allora aveva 5 o 6 anni e io ricordo che non riusciva a parlare, doveva avere subito uno choc enorme. In quell’occasione io parlavo a degli adulti, è bene precisarlo. Avevo ricevuto delle fotografie dall’organizzazione che ci aveva ospitati sulla quale eravamo ritratti nel nostro periodo di permanenza e il volto di quella bambina mi era rimasto così impresso, che lo avevo individuato subito nelle fotografie, così come avevo riconosciuto altri volti di bambini che erano stati lì con me. Di questa bambina mi avevano colpito, nel periodo in cui abbiamo vissuto insieme, la sua bellezza di bambina, ma anche la sua grande voglia di comunicare associata a una incapacità di tirare fuori le parole.

Come si è svolto l’incontro?

Sono venute molte persone quel giorno, anche di una certa età, e io ho tenuto una testimonianza come sono solito fare col pubblico adulto, concentrandomi sul periodo che avevo passato in Svizzera e raccontando ciò che ricordavo dei bambini che erano con me, descrivendone alcuni. Ho parlato anche di questa bambina, che mi aveva tanto colpito. A conferenza terminata una persona mi ha avvicinato e mi ha detto che quella bambina, che ho scoperto chiamarsi Bina, era tra il pubblico. Bina era in sala e i suoi accompagnatori non sanno cosa abbia pensato di ciò che io ho raccontato, parlando anche di lei: mi hanno spiegato che dal dopoguerra nulla nel suo comportamento è cambiato, ancora non parla e hanno dovuto accompagnarla all’incontro perché ancora non è in grado di muoversi autonomamente. Chi l’ha accompagnata alla mia testimonianza non sapeva che io la conoscessi. Questa è la dimostrazione pratica di quanto siano forti le ripercussioni di ciò che ci accade anche quando siamo molto piccoli nella nostra vita successiva. Per questo continuo ad andare nelle scuole, agli incontri pubblici cui mi invitano e continuo, con l’aiuto di poche persone, a far circolare le tre copie esistenti della mostra ce ho realizzato ormai 8 anni fa.

Una esperienza forte e così marcante sulla vita successiva come quella che hai vissuto tu in che cosa si avvicina a quella che vivono oggi i migranti, coloro che si allontanano da una guerra e in che cosa invece si differenzia?

Domanda molto interessante, che meriterebbe una riflessione e un serio approfondimento. Purtroppo non conosco persone con una storia di questo tipo, li vedo nei video trasmessi alla televisione, mi sento molto vicino e partecipe alla loro problematica, ma è anche giusto che io dica che talvolta ho un po’ paura, perché sono molto diversi da noi. Da una parte, sento che dovrei dare loro la mia casa, anche io sono stato aiutato così, però poi penso che non so se riuscirei ad accogliere in casa persone che non conosco. Capisco che tra me e loro c’è un rapporto di somiglianza, come di diversità. Molti tratti della nostra storia ci accomunano, altri ci differenziano.

Quali sono i tratti che vi accomunano?

Le cose che ci accomunano: hanno perso tutto, arrivano qui che non hanno più niente, come avevamo perso tutto noi, però rimanendo in Italia. Un altro tratto che ci accomuna è Il bisogno della propria identità, perché andranno a vivere tra persone che non li “riconoscono”, che hanno paura di loro, perché temono che tra loro possano esserci anche dei criminali e anche noi venivamo vissuti come criminali, come nemici della patria. Questo senso di estraneità che provano deve essere lo stesso che abbiamo provato noi. Ci sono poi anche delle differenze.

Quali sono a tuo parere le differenze?

A noi è successo di doverci nascondere, di non esistere, io sono rimasto chiuso nella mia famiglia, spostato come un pacco in Francia, poi in Italia, nascosto nelle montagne, sempre senza rapporti con altri che non fossero i miei familiari, convinto di non avere dei diritti: se mio padre era stato licenziato, se le leggi erano contro di noi se avevamo dovuto andarcene, nella mia testa c’era l’idea che avevamo qualcosa di sbagliato noi. I migranti, invece, grazie alla diffusione delle conoscenze su ciò che accade nel mondo e grazie alle nuove tecnologie arrivano consapevoli di avere dei diritti e questi diritti cercano di farli valere: anche i bambini riescono ad arrivare qui, mi viene da dire, con una personalità già formata, molto diversi dal bambino che ero io. Conoscono già prima di arrivarci i posti dove arriveranno, sanno dove vogliono andare. Ma la grande differenza, secondo me, è nel fatto che arrivano in piccoli o grandi gruppi, anche se a volte si ricongiungono solo dopo il viaggio. C’è un senso di socialità che a noi è mancato: a causa delle leggi razziali noi siamo sempre stati isolati, in Italia come all’estero, tutta la socialità era ristretta all’interno della nostra famiglia. La mancanza di socialità nei primi anni della mia vita ha avuto conseguenze durissime su di me, come su mio padre e mio fratello, che si sono per questo suicidati.

Prima di chiederti alcuni consigli di lettura, vorrei porti una domanda da parte di una delle bambine che tu hai incontrato nella tua esperienza di testimone lo scorso anno scolastico[3]. Una domanda che la bambina che non è riuscita a porti a maggio, ma che mi ha chiesto di farti oggi: se tu avessi la possibilità di incontrare la tua famiglia, che cosa chiederesti ad ogni componente?

Qui ho le idee molto chiare. A mio padre chiederei: “papà, perché te ne sei andato quando avevo 12 anni? Io avevo bisogno di te”. A mio fratello Sergio chiederei: “Perché, con tutto il successo che hai avuto, te ne sei andato all’età di 22 anni? Io avevo ancora bisogno di te e tu di me, ce ne eravamo resi conto. Ma non mi hai chiesto aiuto”. “Mamma, sei stata un’eroina. Sei riuscita a reagire con forza a tutto quello che era successo prima e a ciò che è successo dopo, sei riuscita a trovare il modo di farci mangiare e studiare, però, perché pretendevi da noi di essere i primi della classe? Sergio lo era, io no. Io avevo paura. Perché mi facevi sentire che io ero un bambino buono, “ma”? Ecco, su quello forse hai sbagliato. Sul resto invece io ti sono ancora oggi grato, perché mi hai permesso di sopravvivere e mi hai fatto vedere quanta forza si potesse avere. Solo che io quella forza non ce l’avevo e mi sono confrontato con te per arrivare fino qui”.

Per iniziare il percorso di ricostruzione del tuo passato e poi per portare questo vissuto nelle scuole come testimone, ti sei documentato molto, confrontandoti con studiosi e storici, cosa che dichiari sempre di non essere. Quali testi sono stati fondamentali in questo percorso e quindi consiglieresti a chi vuole affrontare il tema delle leggi razziali, del pregiudizio e del reduce bambino?


Note:

[1] La legge n 211 del 20 luglio 2000, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n° 177 del 31 luglio 2000,  all’articolo 1 specifica: “ La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”

[2] Maria Luciana Granzotto, Intervista a Simon Levis Sullam, Novecento.org, n. 5, dicembre 2015. DOI: 10.12977/nov107

[3] Nello specifico si tratta degli incontri di testimonianza con le classi IV e V della scuola primaria Fernandez Diaz di Meina (NO), avvenuti tra gennaio e maggio 2016.

Nella foto di copertina: By Unknown (Franz Konrad confessed to taking some of the photographs, the rest was probably taken by photographers from Propaganda Kompanie nr 689.[5][6])en:Image:Warsaw-Ghetto-Josef-Bloesche-HRedit.jpg uploaded by United States Holocaust MuseumThis is a retouched picture, which means that it has been digitally altered from its original version. Modifications: artifacts and scratches removed, levels adjusted, and image sharpened. The original can be viewed here: Stroop Report – Warsaw Ghetto Uprising 06.jpg. Modifications made by Durova., Public Domain, Link