Ribolla: il tempo della miniera, il tempo della comunità
Abstract
Il lavoro su una piccola comunità, come quella di Ribolla (GR) è occasione preziosa per indagare la storia di un territorio – come la Maremma interna mineraria – e del suo complesso sviluppo economico e demografico, ma anche per affrontare altri due temi importanti come quello della cooperazione, legato alla forte presenza nel tessuto sociale ed economico della zona del movimento cooperativo, e il tema ancora tragicamente scottante delle morti sul lavoro, di cui la strage mineraria di sessant’anni fa è imprescindibile tassello per costruire una riflessione sull’etica del lavoro, sui diritti, sulla legalità.
Indice:
- Introduzione
- Il contesto: microstoria e storia generale
- Ribolla, breve storia di un villaggio minerario
- L’intreccio tematico di storia locale e storia generale, occasione per una didattica della complessità.
- Percorso didattico, fasi di lavoro e fonti
- Verifica, valutazione e prodotti dell’attività
- Bibliografia e sitografia
Introduzione
Il progetto per un laboratorio di microstoria centrato sulla storia della frazione di Ribolla, patrocinato e organizzato dalla Fondazione Memorie Cooperative di Ribolla in collaborazione con l’Istituto Storico Grossetano della Resistenza e dell’Età Contemporanea, è stato realizzato nell’anno scolastico 2013-2014 e ha coinvolto due classi di Istituti superiori di Grosseto attorno al lavoro di ricostruzione della storia del territorio legata al contesto socio-economico della Maremma e allo sviluppo dell’attività estrattiva che l’ha nel tempo caratterizzata.
Gli studenti della classe IV B (indirizzo agrario) e II F (indirizzo alberghiero) dell’ISIS “Leopoldo II di Lorena” hanno avuto momenti di lavoro comune, nella fase iniziale e in quella conclusiva del progetto, e momenti di lavoro autonomo, soprattutto nella fase centrale, in cui sono stati sviluppati i temi e le prospettive di lavoro finalizzati alla preparazione e alla produzione di elaborati e testi.
Il contesto: microstoria e storia generale
La vicenda storica di Ribolla rappresenta un nodo tematico molto coinvolgente: è legata, da una parte, alla storia della Maremma, di cui condivide le caratteristiche demografico-ambientali (come, ad esempio, la permanenza del problema della malaria fino al secondo dopoguerra, che ne ha frenato la sviluppo demografico), ma anche allo sviluppo dell’attività estrattiva, antichissima tradizione di origine pre-etrusca nel contesto delle Colline Metallifere.
Ribolla, tuttavia, vede la luce solo alla fine dell’Ottocento e traccia la sua rapida parabola di villaggio minerario, segnato prima da una profonda crisi e da una straordinaria stagione di lotte dei minatori, preludio alla tragica vicenda della morte di 43 lavoratori nello scoppio del pozzo Camorra sud, avvenuto nel maggio del 1954 e dal processo contro la Montecatini svoltosi a Verona nel 1958.
Vi sono però almeno altri due aspetti fondamentali che contribuiscono a disegnarne la straordinaria e complessa ricchezza tematica: l’intensità delle lotte dei minatori, grazie ad un forte movimento operaio e sindacale che determina da una parte la presenza significativa dell’associazionismo femminile e il conseguente ruolo che ebbero le donne in tutto l’arco degli eventi e, infine, la nascita parallela e lo sviluppo di forme di cooperazione di tale rilevanza e durata da dare vita alla Coop-Ribolla.
Ribolla, dunque soprattutto perché “fulcro di lotte per il lavoro e per l’emancipazione sociale, nelle quali la cooperazione di consumo aveva avuto un ruolo importante”[1] diviene la sede della Fondazione Memorie Cooperative, luogo simbolico in cui è iniziato il nostro viaggio attorno alla storia di un villaggio, al tempo stesso luogo di memorie e grande archivio in cui sono concentrati i fondi di tutte le cooperative confluite nella Coop Toscana-Lazio, oggi Unicoop Tirreno.
Tutto ciò rappresenta un nodo tematico che vede l’intreccio di più argomenti di rilevanza non solo locale, ma anche e soprattutto generale, che vale la pena presentare come proposta di lavoro interdisciplinare trattando temi di storia e di Cittadinanza e Costituzione, fra i quali l’ associazionismo femminile, la cooperazione, il lavoro, le morti bianche.
Ribolla, breve storia di un villaggio minerario
Pur essendo inserita in un contesto minerario di antichissima origine, Ribolla non ha, contrariamente ad altri centri abitati della zona delle Colline Metallifere grossetane (come Gavorrano e Massa Marittima), una lunga storia: si tratta di un villaggio minerario sorto dal nulla nella seconda metà del XIX secolo, intorno agli impianti esterni delle miniere situate vicino al torrente Ribolla; la sua esistenza, almeno fino alla metà del XX secolo, ha proceduto di totale conserva con quella dell’attività estrattiva, e, dopo la dismissione degli impianti da parte della Montecatini sul finire degli anni ’50, ha proseguito la propria esistenza “nonostante” la miniera. Nel caso di Ribolla, lo sfruttamento in epoca moderna dei ricchi giacimenti di lignite picea dislocati nel sottosuolo della valle del Bruna ha perciò una storia lunga poco più di un secolo. Risale al 1832 la concessione rilasciata dal Governo granducale di Leopoldo II al francese Louis Porte per lo sfruttamento del rame nella zona di Massa Marittima; nel 1834 veniva costituita a Firenze la “Società per la riattivazione delle miniere di Montieri, Roccatederighi e Massa Marittima”, la prima di una lunga serie di società anonime che si succederanno nella gestione delle numerose miniere del massetano.
Lungo tutto il XIX secolo lo sfruttamento delle risorse minerarie presenti intorno a Gavorrano, Ravi, Massa Marittima e Montieri avrebbe avuto il comune tratto di una sostanziale improvvisazione e scarsa sistematicità. Le varie società che si avvicendarono alla guida delle attività estrattive dei vari siti della zona, almeno fino all’ultimo decennio del secolo, disponevano in genere di capitali piuttosto esigui, appena sufficienti nella maggior parte dei casi a intraprendere lavori di ricerca di nuovi giacimenti di minerale, o di sistemazione delle poche escavazioni già esistenti; la debolezza finanziaria di tali soggetti li esponeva in maniera eccessiva all’andamento altalenante del prezzo dei minerali sul mercato italiano e internazionale, cosicché in occasione delle congiunture depressive, un’annata di vendite a prezzi troppo bassi significava molto spesso la fine della società e la vendita precipitosa del sito. Interrotti durante tutti gli anni ’40 del XIX secolo, i lavori di escavazione nelle miniere di Ribolla-Montemassi ripresero dal 1858, quando la proprietà passò a Luigi Ferrari Corbelli. Lo sviluppo della miniera nei primi decenni dell’unità italiana fu lento (la produzione annua di lignite si attestava intorno alle 4000-5000 tonnellate), frenato com’era dai fattori negativi sopraccitati che caratterizzarono anche la gestione Ferrari Corbelli. Inoltre, le miniere di lignite di Ribolla continuavano ad essere uno dei siti minerari più “difficili” del massetano: la conformazione irregolare dei giacimenti di minerale rendeva le gallerie costantemente soggette agli allagamenti e alle esalazioni di gas come il metano che combinandosi con l’aria in proporzioni specifiche si trasformava in grisou, altamente instabile e causa di frequenti esplosioni. Ulteriore caratterizzazione critica è rappresentata dalla malaria: ancora alla fine del secolo la bassa valle del Bruna, e con essa la piana di Ribolla, erano impraticabili per tutti i mesi estivi a causa della malaria, cosicché i lavoratori delle miniere ribolline – minatori stagionali provenienti dai vicini paesi di Montemassi, Roccatederighi, Tatti e Sassofortino – alloggiavano nei baraccamenti fatti costruire negli anni 1870-1890 intorno alle miniere, accanto alle mense e ai magazzini di servizio.
Il primo decennio del XX secolo vide l’ingresso della società Montecatini nel panorama minerario delle Colline Metallifere grossetane. Nel 1889 la società, fondata un anno prima per lo sfruttamento di una miniera di rame presso Montecatini Val di Cecina, rilevava la miniera di rame di Boccheggiano; al volgere del secolo, poi, acquistava la proprietà del vecchio sito cuprifero di Fenice Capanne, in località Accesa. La presenza della Montecatini nella zona cominciò a divenire rilevante a partire dal 1910, in concomitanza con un avvicendamento al vertice della società che si sarebbe rivelato decisivo per i futuri sviluppi sia della ditta sia dell’intero bacino minerario maremmano: in quell’anno veniva nominato Amministratore delegato l’ingegnere livornese Guido Donegani, che nel volgere di poco tempo avrebbe portato la Montecatini a divenire leader indiscusso della produzione di pirite italiana. La pirite, infatti, fece la fortuna della società: dallo zolfo presente al suo interno era possibile ricavare – attraverso un processo di “arrostimento” del minerale in camere di piombo messe a punto per la prima volta negli anni ’30 del XIX secolo dall’ingegnere francese Perret – quell’acido solforico, così importante per la moderna industria chimica e non solo, ingrediente indispensabile in quasi tutti i processi di lavorazione industriale, dalla realizzazione di esplosivi a quella dei fertilizzanti.
Il ventennio fascista vide assurgere la Montecatini a vero e proprio colosso industriale senza rivali nel settore minerario italiano. L’appoggio politico ed economico da parte del regime permise alla società di incrementare costantemente le attività estrattive, soprattutto di pirite, in assenza pressoché totale di concorrenza; l’acido solforico prodotto in quantità sempre maggiori conferì alla Montecatini il monopolio virtuale anche in un altro importantissimo settore, quello dei fertilizzanti chimici per l’agricoltura. Nel 1938, a cinquant’anni dalla sua fondazione, il gruppo Montecatini gestiva 19 miniere di zolfo, 9 miniere di pirite, 3 miniere di piombo e zinco, 1 miniera di rame, 2 miniere di lignite, 290 cave di marmo, oltre agli impianti di produzione e di lavorazione dei metalli, dando lavoro a 40.000 operai e 3.500 impiegati e contando oltre 40.000 azionisti[2].
Con la fine della seconda guerra mondiale, a Ribolla come nelle altre miniere della Maremma e dell’amiatino, si apriva una fase del tutto nuova per le maestranze: dopo vent’anni di repressione e irreggimentazione fascista tornava la libertà sindacale e con essa la nascita di organizzazioni, come il Sindacato Minatori, che si costituirono in ogni paese e nel villaggio minerario. Nel generale fermento della ricostruzione post-bellica, la direzione delle miniere e le maestranze unirono gli sforzi in un atteggiamento spiccatamente collaborativa con l’obiettivo di riattivare la produzione e rimettere a regime gli impianti; in tale contesto le rivendicazioni dei minatori per migliori condizioni di lavoro, per la rivalutazione dei salari e per la concessione di indennità di sottosuolo, chilometraggio e mensa trovarono sostanziale accoglienza da parte degli organi direttivi, tanto che, nel complesso, gli anni ’46-’50 possono essere considerati un periodo di “pacificazione” e collaborazione all’interno delle miniere maremmane e amiatine. In questo stesso frangente, tuttavia, le miniere di lignite, prima fra tutte quella di Ribolla, dovettero affrontare lo spettro dell’incombente dismissione: con la fine della guerra, le ligniti maremmane risultavano ancora una volta non competitive sul mercato italiano e internazionale, cosicché a partire dal 1947 la direzione del sito di Ribolla, all’interno di un piano di razionalizzazione e riduzione del personale, propose il licenziamento di 1.300 dei 3.669 lavoratori del sito minerario. Il Sindacato Minatori e il Consiglio di gestione interno alla miniera intavolarono trattative con la direzione cercando di limitare il numero dei licenziamenti a 600; nel giro di tre anni, in ogni caso, i lavoratori di Ribolla scesero a meno di 2.100 unità.
In quest’ottica di contrasto crescente fra lavoratori e dirigenza si inserisce la cosiddetta “lotta dei cinque mesi”, vale a dire la lunga agitazione che dal febbraio al giugno 1951 interessò le miniere del gruppo Montecatini intorno alla regolamentazione del sistema dei cottimi[3]. Il Sindacato Minatori iniziò un lungo ed estenuante confronto con la società per la riduzione del sistema dei cottimi individuali reo, secondo i lavoratori, di spingere il ritmo di lavoro oltre il limite tollerabile in nome della massimizzazione del rendimento a scapito delle condizioni di lavoro e di sicurezza del singolo operaio e di creare una artificiosa e dannosa disparità nei guadagni. Si spingeva, al contrario, per l’introduzione di una forma di cottimo collettivo, che avrebbe permesso una più equa ripartizione dei compensi fra i lavoratori e che prevedeva da parte dell’azienda il reinvestimento di una quota fissa nella costruzione di nuovi impianti e nell’ammodernamento di quelli esistenti.
L’agitazione, appoggiata unitariamente dai tre maggiori sindacati – CGIL, CISL e UIL – interessò tutte le miniere della Montecatini in Maremma e assunse la forma della “non-collaborazione”, per mezzo della quale la produzione fu ridotta al minimo e affiancata dalla periodica interruzione totale del lavoro. Tuttavia, quando in giugno la mobilitazione terminò, quasi nessuna delle principali rivendicazioni dei lavoratori venne accolta dalla direzione delle miniere, prima fra tutte il cottimo collettivo. Nell’autunno del 1951 prendeva già le mosse la decisa “controffensiva” dei vertici direttivi della Montecatini contro le organizzazioni sindacali dei minatori, guidata dal dottor Riccardi – inviato dalla società in Maremma come Segretario del Gruppo Miniere Maremma – e, per quanto riguarda Ribolla, dall’ingegner Padroni in qualità di direttore della miniera.
L’incidente al pozzo “Camorra Sud” del 4 maggio 1954 si inserì in questa cornice di forte riflusso dell’iniziativa sindacale dei lavoratori delle miniere Montecatini in Maremma, nel quadro di una “battaglia” che, alla vigilia della sciagura, presentava una forte contrazione delle conquiste salariali e della qualità del lavoro rispetto alle concessioni ottenute nell’immediato dopoguerra: aumentarono sensibilmente i licenziamenti, le multe, le sospensioni e i trasferimenti da una miniera all’altra sulla base di motivazioni politiche; la società e le direzioni delle miniere stilarono in breve tempo schedari dei lavoratori in cui si riportavano le eventuali iscrizioni a partiti e sindacati comunisti e/o socialisti nonché il più o meno intenso attivismo; agli elementi più attivi nella lotta venivano negati i premi-fedeltà e le promozioni.
Fra le 8.35 e le 8.45 del 4 maggio 1954 si verificò un violento scoppio di grisou all’interno della sezione “Camorra” della miniera di Ribolla. La deflagrazione si propagò istantaneamente attraverso le gallerie della parte meridionale della miniera, a più di 200 metri di profondità, investendo direttamente 34 dei 38 minatori del primo turno di lavoro e provocando il crollo delle armature di diverse sezioni; la frana delle volte delle gallerie e il monossido di carbonio sprigionato dagli incendi della polvere di carbone uccisero per asfissia e per soffocamento quelli che non erano stati investiti subito dall’esplosione. In totale furono 43 le vittime del tragico incidente al pozzo “Camorra”.
Grande fu l’impressione che suscitò nell’opinione pubblica: sgomento e rabbia dominarono gli scenari immediatamente successivi alla sciagura fino all’istruzione del processo contro la Montecatini. Adolfo Turbanti nel suo contributo in corso di stampa traccia una seria analisi degli eventi: “La Società (la Montecatini) cominciò piuttosto a tessere, fin dai giorni immediatamente successivi alla tragedia, la sua strategia processuale, intervenendo capillarmente sulle famiglie delle vittime e in genere sulle maestranze, sia proponendo indennizzi, sia cercando di acquisire testimonianze favorevoli. È un fatto che la comunità locale non fosse totalmente compatta, come il movimento dei minatori avrebbe voluto e come si sforzava di far credere […] Anche l’altro protagonista, il Movimento dei minatori, si mosse su due diversi binari. Da una parte perseguì l’obiettivo di portare in giudizio la Montecatini, nel tentativo di ottenere per questa via quella vittoria sociale che sul piano sindacale gli era sempre sfuggita. Intanto però bisognava che la miniera riaprisse il prima possibile e tornasse rapidamente alla massima produzione per evitare che nuove sofferenze si cumulassero su una popolazione già così duramente colpita. Per fare questo occorreva tuttavia una Montecatini pienamente operativa e non timorosa di ogni singola mossa, per il pericolo che gli si ritorcesse contro. Insomma due binari non sempre paralleli, con il rischio sempre presente di una collisione per chi li percorreva”[4].
La completa assoluzione della Montecatini il 26 novembre 1958 e la successiva chiusura della miniera determinarono l’emigrazione delle maestranze verso altre province e la terziarizzazione del territorio: “un ruolo importante nel processo di terziarizzazione dovettero giocarlo le indennità di licenziamento, anche se non è facile darne una valutazione quantitativa. L’investimento di piccole somme in attività commerciali o artigianali sembra che sia stata comunque una consuetudine abbastanza diffusa, come del resto l’impiego di tali indennità per far studiare i giovani, nel momento in cui si avviava il fenomeno della massificazione dell’istruzione. Anche in questo caso l’obiettivo era generalmente la conquista di posti di lavoro nella pubblica amministrazione o comunque nei servizi. Ciò che rimaneva nell’ambito dell’industria erano i flussi finanziari destinati dalle famiglie alla costruzione di abitazioni, che alimentarono anche in questo caso un fenomeno più generale destinato a intensificarsi nei decenni successivi, ovvero lo spostamento di popolazione dai paesi di collina verso i principali centri della pianura. L’attività edilizia godette per molti anni di una situazione complessivamente florida, concentrata prevalentemente nel capoluogo di provincia e a Follonica, dove si indirizzarono di preferenza i flussi migratori provenienti dai paesi minerari. Anche Ribolla però, che pure era un paese minerario ma si trovava in pianura e prossima a importanti vie di comunicazione, fu toccata dallo sviluppo dell’industria delle costruzioni. L’impiego delle indennità di disoccupazione richiama quello degli indennizzi versati dalla Montecatini alle famiglie delle vittime del disastro minerario, che si può presumere abbiano seguito gli stessi percorsi di investimento.” [5]
La tragedia di Ribolla, la più drammatica in Italia dal dopoguerra, segnò le coscienze divenendo simbolo forte di una crisi: Luciano Bianciardi, nel suo romanzo più famoso “La vita agra” ne fa un motivo portante fortemente intriso di autobiografismo, creando la figura del protagonista, un intellettuale che si reca a Milano solo con l’intento di far saltare il “Torracchione”, sede della Montecatini, e finalmente vendicare le morti ingiuste dei minatori maremmani.
L’intreccio tematico di storia locale e storia generale, occasione per una didattica della complessità
Molteplici sono dunque i punti di osservazione storiografica da cui è possibile analizzare la comunità di Ribolla: le tappe delle escavazioni minerarie del grande bacino lignitifero su cui è nato e si è sviluppato il centro abitato e le vicende del lavoro nelle miniere di lignite picea hanno segnato in profondità lo sviluppo storico così come la quotidianità dell’intera comunità. Non solo, ma tale percorso si è costantemente e significativamente intrecciato con la storia d’Italia nel corso di buona parte del XIX, ma soprattutto della prima metà del XX secolo. A partire da questo angolo prospettico – vale a dire la caratterizzazione storiografica di una comunità nata con le miniere e intorno alle miniere – la riflessione alla base di questo progetto ha voluto prendere in considerazione e analizzare un altro fondamentale elemento della vita della comunità mineraria di Ribolla intorno alla metà del Novecento: l’impianto e lo sviluppo di una rete locale di cooperazione secondo la declinazione delle cooperative di consumo sviluppatesi in modo incisivo soprattutto a partire dall’immediato secondo dopoguerra.
Le vicende della miniera di lignite di Ribolla, di proprietà della società “Montecatini”, e della comunità sviluppatasi intorno ad essa, sono state perciò analizzate accanto e insieme alla parabola storica della cooperativa di consumo locale, “l’Unione”; la fusione di questi due nuclei di analisi storiografica è stata poi arricchita dall’innesto nel “racconto” storico della comunità di Ribolla della sciagura mineraria del 4 maggio 1954, allorquando un’esplosione di grisou in uno dei pozzi della miniera provocò la morte di 43 lavoratori. Questo tragico evento, che sconvolse il villaggio minerario maremmano e l’intero Paese, ha costituito una fortissima e traumatica cesura storica nella vita non solo della comunità ribollina, ma anche nella parabola di lungo periodo delle attività minerarie di tutta la provincia di Grosseto: lo scoppio del pozzo “Camorra Sud” è stato perciò assunto come perno attorno cui far ruotare l’osservazione e l’analisi della storia di Ribolla e della sua comunità in una fase fondamentale di transizione profondamente traumatica, dando un particolare rilievo alla partecipazione e alla mobilitazione femminile, sia nella quotidianità (dentro e fuori dalla miniera), sia nella fase immediatamente successiva alla tragedia del 1954. Le donne, alcune delle quali addirittura impegnate nel lavoro in miniera, si erano organizzate nell’Associazione “Le Amiche della Miniera” patrocinata dall’UDI assumendo parte attiva nel contesto delle lotte del Sindacato minatori e successivamente a sostegno delle vittime del disastro.
Il versante femminile della vicenda vede poi la questione delle vedove e delle procure per la costituzione della parte civile al processo contro la Montecatini nel 1958, osteggiate dalla società mineraria dietro la promessa di lauti compensi. La successiva sofferta vicenda dei ritiri delle procure e le incertezze sulla ricostruzione tecnica del disastro portarono all’assoluzione piena dei responsabili della sciagura, con l’uscita delle donne dall’arena pubblica[6] e alla smobilitazione e chiusura della miniera nel 1959 con la conseguente nuova trasformazione del villaggio.
Percorso didattico, fasi di lavoro e fonti
La peculiarità della storia del piccolo centro minerario di Ribolla offre l’opportunità di costruire un percorso didattico-laboratoriale multidisciplinare per il possibile incrocio di più saperi che possono contribuire all’acquisizione di conoscenze e alla costruzione di competenze metodologiche.
I principali obiettivi sono individuabili nel saper cogliere gli snodi essenziali della vicenda storica di una piccola comunità e di connetterli al contesto generale della storia nazionale e nel cogliere mutamenti e persistenze operando un confronto con il presente; metodologicamente si configurano rilevanti le capacità di saper leggere ed utilizzare le immagini fotografiche come fonte per la storia e di saper sviluppare un’analisi dei documenti che consenta di coglierne criticamente gli elementi utili per una ricostruzione storica. Inoltre, risulta di particolare interesse per l’attualizzazione tematica la promozione di una riflessione sul problema delle morti bianche – operata nel confronto fra le vicende della strage mineraria di Ribolla con le morti in miniera del tempo presente – e l’analisi del contributo femminile nella vicenda, per la possibilità di operare una riflessione sulla storia delle donne.
In una prima fase le classi sono state protagoniste di un incontro con il personale responsabile dell’archivio della cooperativa Unicoop Tirreno e con i ricercatori dell’ISGREC coinvolti nell’iniziativa: all’interno di questa cornice sono stati forniti ai ragazzi elementi per un inquadramento storico delle vicende, sia della cooperazione di consumo, sia dell’attività mineraria a Ribolla intorno alla metà del secolo XX. Ha poi avuto luogo il momento centrale di partecipazione attiva degli alunni attraverso un laboratorio sulle fonti: suddivisi in gruppi, i ragazzi hanno potuto analizzare una selezione di materiale fotografico e di fonti scritte (sia a stampa, sia manoscritte) relative alla tragica vicenda dello scoppio del pozzo “Camorra”, ai funerali dei minatori rimasti uccisi e alla mobilitazione delle donne di Ribolla raccolte intorno all’associazione delle “Amiche dei Minatori” contro la Montecatini; unite a queste, sono state presentate copie dell’atto di fusione delle sei cooperative che, nel 1959, hanno dato vita alla cooperativa “l’Unione” di Ribolla.
I ragazzi sono stati quindi sollecitati a produrre una riflessione collettiva e libera che, sulla base dell’inquadramento storico e delle fonti storiografiche messe a disposizione, li portasse ad elaborare considerazioni personali circa la straordinaria potenza delle vicende della comunità mineraria di Ribolla e, rispetto al rapporto che si può instaurare fra di esse e il loro presente, le aspettative e le incognite legate al futuro.
L’attività di laboratorio sulle fonti svolta dai ragazzi è stata concepita come una tappa del progetto di microstoria su Ribolla: i ragazzi, con la supervisione delle loro insegnanti, sono stati invitati a proseguire in classe, approfondendola, la riflessione prodotta in modo preliminare presso la sede della Fondazione Memorie Cooperative. Il prodotto di questo approfondimento è stato concepito come un passaggio intermedio ma fondamentale, propedeutico alla fase conclusiva dell’esperienza relativa a Ribolla e alla sua comunità, che si è realizzata con l’incontro del 13 maggio 2014, tenutosi in occasione delle celebrazioni per il 60° anniversario della tragedia del 4 maggio 1954 (3-29 maggio presso l’ex-cinema “Porta del Parco” di Ribolla): in tale occasione i ragazzi hanno potuto presentare i risultati conclusivi del lavoro di approfondimento svolto in classe.
Le circostanze hanno poi voluto che negli stessi giorni in cui venivano effettuate le fasi conclusive del laboratorio, giungesse notizia di una nuova sciagura mineraria accaduta nella miniera di Soma, in Turchia, dove 283 minatori hanno perso la vita ed altri 600 sono rimasti intrappolati nelle gallerie per la rottura dell’impianto di risalita. Ciò ha molto toccato la sensibilità dei ragazzi stimolandone ulteriormente l’interesse, la partecipazione e la riflessione.
Si possono individuare alcune strategie operative sulla base di quella che è stata l’esperienza reale dei ragazzi
Dividendo la classe in gruppi, viene assegnato loro il materiale fotografico e documentario seguendo una partizione che rispecchi tre campi di riflessione e di indagine:
Gruppo 1
La miniera il lavoro, le lotte, la tragedia
Gruppo 2
La cooperazione, nascita e vita di una comunità
Gruppo 3
Le donne e le associazioni femminili- il ruolo-
Le amiche della miniera, power point di Barbara Solari scaricabile dal link
http://www.toscananovecento.it/wp-content/uploads/2014/05/le-immagini.pdf
Sulle fonti scelte sono stati effettuati esercizi di lettura guidata delle immagini e dei documenti per individuarne le peculiarità nella ricerca di elementi di analisi storica finalizzata alla costruzione della competenza “critica delle fonti”.
a) Scheda di lavoro sulla fonte fotografica:
Che cosa rappresenta la foto?
Data vera o presunta (se presunta, da quali elementi è possibile stabilire una data)
Luogo
Autore, se noto
Come è costruita l’immagine (chi -che cosa è in primo piano, chi- che cosa sullo sfondo)?
Che cosa nell’immagine della realtà che offre la foto ti sembra più significativo?
Sai perché è stata scattata?
b) Scheda di lavoro sulla fonte documentaria:
Tipologia del documento
Data
Luogo
Autore/i
Destinatario del documento
Descrizione sintetica del contenuto
Sai per chi e perché è stato scritto?
c) Scheda per l’incrocio delle fonti e creazione di contesti.
( Utile per intraprendere un confronto tra più fonti di varia natura simulando il lavoro dello storico, tali che restituiscono diverse dimensioni di una particolare realtà storica)
Da quale della coppia di documenti (fotografia e documento cartaceo) pensi che si possa trarre più facilmente il quadro dell’accaduto? Perché?
Il lavoro di confronto successivo effettuato attraverso una discussione guidata in ogni gruppo dal docente ha prodotto riflessioni interessanti, soprattutto per le peculiarità della fonte fotografica. Attraverso tutti i documenti è stato essenziale impostare un dialogo orientato a raggiungere il più importante obiettivo: abituare alla critica della fonte. È infatti nella forma dello scambio dialogico tra pari, opportunamente guidato dal docente, che si può far scaturire l’intuizione delle caratteristiche estrinseche ed interpretative della fonte le quali verranno successivamente messe a sistema ed inserite in uno schema interpretativo, contribuendo alla comprensione del metodo di lavoro dello storico. Ciò risulterà di grande utilità per la costruzione di competenze fruibili dai ragazzi nella ricerca di qualsiasi tipo di informazione in qualsiasi campo del sapere ed in qualsiasi forma, anche sul web.
Nella fase conclusiva è risultato fondamentale il momento della discussione comune e collettiva, in cui far conoscere il lavoro dei singoli gruppi all’intera classe allo scopo di costruire modelli interpretativi che colgano le connessioni tra i tre filoni tematici proposti, da convogliare nella costruzione di una cronologia ragionata e di un testo multimediale.
Verifica, valutazione e prodotti dell’attività
La verifica è avvenuta con l’incontro pubblico del 13 maggio 2014 in occasione delle celebrazioni per il 60° anniversario della tragedia. I ragazzi hanno esposto i loro lavori, riuniti in una presentazione dal titolo emblematico “Il giorno che Santa Barbara guardò da un’altra parte”. Si è posto l’accento sul variegato e interessantissimo “mondo di storie”, apparentemente marginali ma pregnanti per il loro valore documentale ed emozionale, dietro le quali i ragazzi hanno riscontrato da subito “onestà e fermezza esemplari fin dall’approccio iniziale con la Comunità e la Miniera” riferendosi al coraggio manifestato dai minatori e dalle donne di Ribolla nelle vicende legate sia alla difesa del loro lavoro, sia al processo alla Montedison, che esprimono un altissimo valore etico e sono esempio di lotta pacifica e democratica.
Di non secondaria importanza l’impatto che ha avuto, soprattutto sulle ragazze, l’”impronta femminile” presente nel racconto della vicenda di Ribolla e della sua Comunità, in tutti i suoi momenti, sia nella quotidianità sia nel drammatico frangente della tragedia al pozzo Camorra.
La presentazione si è chiusa con una citazione dell’ex Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro: “Seminare, lottare, parlare, discutere, non farsi spaventare da pressioni varie […]”, che vuole sostanziare, nelle intenzioni dei ragazzi, la grande lezione imparata con questa esperienza di approfondimento: “[…] una bella lezione contro lo spirito di rassegnazione che spesso diventa cinismo, pronto a prevalere in ogni epoca, se non adeguatamente contrastato.”
Entrando nel dettaglio del lavoro svolto dai tre gruppi in cui è stata suddivisa la classe, si può innanzitutto rendere conto della forte percezione avuta dai ragazzi di come alcuni aspetti della socialità siano cambiati in mezzo secolo di storia: scrivono le ragazze che “si possono cogliere differenze nel modo di pensare dei singoli, nel modo di vedersi all’interno di un contesto sociale e nella stessa società intesa come piccola comunità di un paese.”
Vengono portati ad esempio di questa presa di coscienza le differenze nelle possibilità di accesso all’istruzione dei figli dei minatori rispetto ai figli dei dirigenti della Montecatini (esemplificati dalla prima fonte fornita); quelle riscontrate nel tenore “dello spirito di solidarietà e associazionistico, del modo di comunicare tra le persone e del ruolo della donna all’interno della comunità” – solidarietà che si manifestava nelle varie forme di sostegno reciproco attuate dalle mogli, madri e sorelle dei minatori, e, dopo lo scoppio della miniera, a sostegno delle vedove; si vuole rilevare infine come “il modo di comunicare è diverso, prima c’era più contatto tra le persone, invece oggi, con l’uso di internet e di altri social-network, il contatto tra le persone è ridotto al minimo.” Infine viene chiaramente sottolineato l’attivismo veicolato dalle attività dell’UDI.
La riflessione di uno dei gruppi di ragazzi reca il titolo significativo “Capitalismo=Cannibalismo”. E’ un commento incisivo e piuttosto emotivo: i ragazzi esordiscono dicendosi “amareggiati nell’avere avuto l’ennesima riprova di come il denaro, questa forza cosmica che muove quotidianamente il nostro universo, porti l’uomo a passare sopra tutto e tutti, compresi i propri simili a cui, nel giro di pochissimo tempo, viene stravolta un’intera esistenza, sottratta ogni certezza e costretti a cambiamenti radicali”.
Secondo i ragazzi, l’esempio fornito dalla tragedia della miniera di Ribolla “calza a pennello”; le misure prese dai vertici della Montecatini contro i minatori che partecipavano ai periodici scioperi volti ad alleviare “le condizioni disumane in cui gli operai erano costretti a lavorare”, come le riduzioni o le sospensioni delle paghe e dei biglietti ferroviari che portavano i loro figli a scuola, sono definite “una delle mosse più meschine, subdole e tristi che si potessero fare perché significò negare il diritto all’istruzione e, di conseguenza, un futuro migliore, a dei bambini […]”. Il tentativo della Montecatini di indurre i familiari delle vittime dello scoppio del Camorra a non costituirsi parte civile al processo attraverso promesse di lauti risarcimenti rappresentò, per i ragazzi, “l’ennesima riprova di come, attraverso il denaro, si arrivi a ripagare anche il valore di una vita umana.”
La conclusione del commento pare un monito e un campanello d’allarme che i ragazzi vogliono implicitamente rivolgere anche a loro stessi, oltreché all’esterno, in relazione ad un futuro percepito come estremamente precario e complicato; lo si riporta integralmente ritenendolo significativo: “Viviamo in un’epoca in cui il mondo ci appare più chiaro; ci rendiamo sempre più conto di quante ingiustizie siano costrette a subire molte persone che devono guadagnarsi da vivere, svolgendo i lavori più umili e pericolosi per dare alla propria famiglia l’illusione di vivere nella normalità. Fino a che punto può arrivare l’uomo per i soldi?”
Bibliografia e sitografia
Bianciardi L., Cassola C. 1995, I minatori della Maremma, 1995 Cernusco Lombardone: Hestia Edizioni
Pieraccini C., Rocchi L., Solari B., Ulivieri S. 2004 Voci, silenzi, immagini. Fonti per una storia delle donne grossetane tra gli anni Quaranta e Ottanta, Grosseto, ISGREC,
Rocchi L., Ulivieri S. 2004 Voci, silenzi, immagini. Memoria e storia di donne grossetane (1940-1980), Roma : Carocci,
Solari B. 2007 Presenze femminili. “Le amiche della miniera” di Ribolla (1951-1954), Arcidosso: Edizioni Effigi
Tognarini I, Fiorani M. (acd.) 2005 Ribolla. Una miniera, una comunità nel XX secolo. La storia e la tragedia, Firenze: Polistampa
Tognarini I (acd.) 2008 Un paese minerario e la sua cooperativa di consumo. L’”Unione” di Ribolla dalle origini alla fusione con Unicoop Tirreno (1945-2006), Firenze: Polistampa
Tognarini I (acd) 2005 Dalla Proletaria a Unicoop Tirreno. La cooperazione di consumo nell’Italia tirrenica (1971-2004), Bologna: Il Mulino
Turbanti A, Ribolla, la miniera e dopo. Relazioni industriali e politica in una miniera maremmana degli anni Cinquanta, in corso di stampa.
www.memoriecooperative.it/ raccoglie materiali sulla cooperazione e l’inventario completo dell’archivio dell’Unicoop Tirreno
http://www.toscananovecento.it/custom_type/le-donne-di-ribolla-negli-anni-cinquanta/
Note:
[1] http://www.memoriecooperative.it/calendario/coop-unione-ribolla-verso-la-confluenza-in-coop-toscana-lazio/
[2] Elena Scapigliati, Da Ribolla al Parco minerario. Storia, arte, letteratura e comunicazione di un territorio, Roccastrada, 2004, p. 132.
[3] Luciano Bianciardi e Carlo Cassola, I minatori della Maremma, Milano, ExCogita Editore, 2004, pp. 110 – 115.
[4] Adolfo Turbanti, Ribolla, la miniera e dopo. Relazioni industriali e politica in una miniera maremmana degli anni Cinquanta, in corso di stampa, p. 37.
[5] Turbanti Adolfo, Ribolla, p. 51.
[6] cfr. Solari Barbara Presenze femminili. “Le amiche della miniera” di Ribolla (1951-1954), Edizioni Effigi, Arcidosso 2007)