«Hier wohnte…» Le Pietre di inciampo degli ebrei altoatesini e la elaborazione della Memoria in Germania.
Inserito nel dossier “Le Pietre d’inciampo in Italia”
Riflessione sulle Pietre di inciampo nel mondo tedesco
«Stolpern über das Vergessen» ovvero «Inciampare per non dimenticare», oppure «Inciampare sul dimenticare» è l’imperativo proposto dalle città che hanno voluto le Pietre d’inciampo in Germania e in Austria. Tale particolare ambito è stato preceduto anche da un’analisi dei diversi percorsi storici e politici che i due paesi hanno intrapreso, mettendo in evidenza la diversificata e progressiva elaborazione, anche sul piano storiografico, delle recenti storie nazionali che hanno portato gli Stati menzionati a istituzionalizzare lo studio accurato della storia del nazionalsocialismo nelle scuole medie inferiori e superiori.1 Tale formazione era iniziata già negli anni 1967/1968, quando il governo di Adenauer decretò il razzismo e l’antisemitismo come un reato federale punibile con il carcere.2
Il mondo di lingua tedesca prima della posa delle pietre prevedeva, naturalmente, anche la conoscenza storica del nazionalsocialismo austro-tedesco in tutte le sue diverse fasi. Il territorio infatti offre un articolato e anche controverso ambito tematico e di ricerca che necessitava di una approfondita conoscenza ben prima della posa delle Pietre nella menzionata regione. Il dibattito, tuttavia, intorno alla posa o meno degli Stolpersteine ha avuto diversi aspetti. La popolazione tedesca ha ben accolto l’idea di fare Memoria attraverso questa forma artistica, considerando anche il fatto che già negli anni precedenti l’avvio delle Pietre, si erano già sviluppati e realizzati diversi progetti volti a diffondere la conoscenza della storia del nazionalsocialismo in Germania.3
Sempre in Germania il progetto degli Stolpersteine ha fatto emergere diverse reazioni, incluse quelle di natura puramente sociale. Qui, non solo le pietre non sono state rimosse, divelte o danneggiate ma anzi in alcuni condomini si sono creati dei comitati che, dopo un lavoro di ricerca collettiva, hanno inoltrato all’artista Gunter Demnig la richiesta di porre le Pietre davanti al loro edificio di residenza con i nomi degli ex abitanti di quel palazzo prima della loro deportazione. In questo modo hanno reso possibile l’assunto dello storico tedesco Reiner Bernstein «Il segreto della memoria risiede nella sua vicinanza».4
Un caso nondimeno importante risiede invece nella controversa reazione della Comunità ebraica di Monaco di Baviera che invece si oppose alla posa delle Pietre per il timore che la Memoria della vittime possa correre il rischio di essere «calpestata», ignorata dai passanti o peggio ancora di essere insudiciata dai cani.5
Di fronte a questa scelta, la popolazione di Monaco si è indignata collettivamente, perché crede fermamente nel fatto che la città (e il paese tutto) abbia raggiunto un livello di coscienza civile in grado di rispettare questa opera di memoria.
In Italia
Diverso invece è stato il cammino intrapreso sulla riflessione della memoria in Italia, e in particolare in Alto Adige, che ancora non ha avviato alcun tracciato in grado di contribuire al dibattito storiografico e politico sia nel paese, sia in ambito europeo. Pertanto anche la posa delle Pietre d’inciampo in Italia dovrebbe essere una sorta di richiamo alla Memoria (corta) del nostro paese, volta a suggerire ricerche ma anche a «svegliare» la collettività italiana in merito all’assunzione di responsabilità storica e intellettuale nazionale. Nel nostro paese il dibattito intorno alle Pietre ha avuto una sua fase di attenzione e di discussione solo in seguito ad atti incivili di danneggiamento delle stesse. Unicamente in questa situazione si è creata una attenzione, rappresentata da una certa indignazione, verso la questione della Memoria delle vittime del nazifascismo. Piuttosto che far girare il dibattito su vergognose manifestazioni, si dovrebbe invece avere un’alta considerazione o interesse di natura storica da destinare alle generazioni dei più giovani che si apprestano allo studio della storia e della memoria nazionale.
L’uso educativo delle pietre
I progetti educativi intorno agli Stolpersteine prevedono che i giovani siano accompagnati nella ricerca e che imparino a riconoscere i diversi meccanismi di stigmatizzazione e di continuità. A questo proposito è fondamentale sapere che il programma di sterminio nazista ebbe una lunga gestazione fatta di discriminazione e di razzismo politico, tale da determinare una condizione preesistente in grado di far accettare ogni forma di crimine contro l’umanità.
Nello stesso tempo le Pietre dovrebbero contestualizzare il fatto che le vittime, vivendo in un ambito comune ad altri cittadini, si ritrovarono «circondate» da una popolazione connivente con il nazismo, che si dimostrò spesso solertemente complice o spettatrice passiva di fronte al loro sistematico assassinio.
«Ultima residenza nota»
La Pietra posta davanti ad un edificio rivela pertanto il fatto che le vittime, in alcuni casi, furono denunciate dai loro stessi condomini6 e furono poi registrate dalla burocrazia nazista con «ultima residenza nota», la dicitura che contrassegnava la loro deportazione e il loro annientamento. La Pietra in parte fa inciampare anche sulla memoria collettiva della correità della popolazione con il regime nazista presente in ogni paese europeo.
Le Pietre d’inciampo suggeriscono anche uno studio di tipo biografico per coloro che si apprestano a lavorarci, in modo da stimolare un piano di ricerca qualitativo in un contesto nuovo e personale al fine di ricostruire i tasselli di una complessa storia e memoria.
Il progetto «Stolpersteine» tuttavia non deve essere pensato unicamente per le scuole o in collaborazione con le scuole: esso oggettivamente dovrebbe essere pensato e destinato a coloro che si impegnano a costruire la memoria e che desiderano ricercare e conoscere il destino individuale delle vittime del nazionalsocialismo, all’interno della storia europea e con uno studio di natura qualitativa.
In Germania il progetto «Pietre d’inciampo» si sviluppato anche per «accompagnare» la conoscenza della storia e della memoria dello sterminio; nello specifico della deportazione ebraica, dei Sinti e dei Rom, degli oppositori politici e religiosi, delle vittime della T4, degli omosessuali, dei testimoni di Geova e di coloro che vennero stigmatizzati come persone “asociali” e per questo internati e uccisi.
Gli Stolpersteine a Merano e Bolzano
In queste città troviamo una memoria storica difficile, controversa e molto articolata che ha fatto sì che con gli anni si radicassero alcune posizioni complesse e problematiche, iniziate già con il processo di italianizzazione forzata negli anni ’20 in Alto Adige. L’avvento del fascismo nella regione complicò ancora di più le già delicate relazioni tra la popolazione di lingua tedesca e quella appena immigrata di lingua italiana. La crescente violenza del fascismo in tutti i settori della società altoatesina, come le scuole, l’amministrazione, l’architettura e la toponomastica, diede luogo a diverse posizioni politiche che si contrastarono fino agli anni ’70/80 del novecento.
Le Opzioni del 1939 e poi l’inizio delle deportazioni del settembre 1943 segnarono la storia ebraica in un territorio che i fascisti in Alto Adige avevano già reso predisposto negli anni ’20 e ’30. La prima deportazione ebraica dall’Italia infatti, non a caso, ebbe luogo a Merano il 16 settembre 1943, solo otto giorni dopo l’invasione nazista. Si trattò infatti del cosiddetto «collaudo» della deportazione ebraica nel paese e che segnò anche l’inizio dei trasporti di ebrei in quel primo anno di occupazione. La reazione politica al fascismo in Alto Adige vide impegnate figure provenienti da diversi ambiti sociali, che andavano dal mondo ecclesiastico a quello degli obiettori di coscienza, passando per i militari renitenti all’esercito nazista.
Le Pietre d’inciampo infatti a Merano ci hanno restituito la memoria di 33 perseguitati: 28 ebrei e 5 oppositori politici, tutti deportati e assassinati in diversi luoghi e momenti.
Il progetto in particolare è partito nel 2011 grazie all’interesse e al coinvolgimento di alcune scuole della provincia autonoma di Bolzano e dell’amministrazione locale. Gli studenti e i docenti hanno accompagnato personalmente l’artista Gunter Demnig nelle vie delle città, inizialmente Merano e poi Bolzano, in un percorso storico formativo sostenuto.
Nel progetto specifico si è voluto essenzialmente sottrarre le vittime, ebrei e non, all’impietoso sguardo vittimistico con cui solitamente vengono ricordate. Si è voluto tracciare un profilo completo, comprensibilmente con le informazioni a disposizione, in modo da restituire quella dignità personale e peculiare del loro essere prima dello sterminio nazista.7
Dare una identificazione pubblica alle vittime
Le loro vite, inserite nel contesto cittadino, esigevano una identificazione pubblica altrimenti rischiavano di essere dimenticati e mai menzionati. Le loro storie del resto fanno parte della storia locale e europea, e finora erano relegate solo nei documenti di archivio. Un caso in merito può essere Fanny Stern De Salvo e sua figlia Elena di 6 anni: dalle carte risulta che tentò di far venire la madre tedesca a Merano per ricongiungerla alla famiglia, ma le autorità fasciste glielo negarono per via della legge sugli ebrei stranieri nel nostro paese. Sulla base delle lettere private ritrovate emerge invece che si trattò in realtà di un tentativo di sottrarre la madre alla deportazione in Germania, che invece avvenne poche settimane dopo, e nello stesso tempo cercare una fuga insieme verso il sud d’Italia. Il 16 settembre anche Fanny e sua figlia Elena di 6 anni furono arrestate nella loro abitazione di Steinachgasse 4 e, dopo un sosta di 6 mesi nel lager di transito di Reichenau in Austria, furono deportate ad Auschwitz. Anche su di loro pesa la dicitura: «decedute in luogo e data ignoti».
La comunità ebraica meranese meritava pienamente questo «riconoscimento», visto che fino a pochi anni fa questa storia e memoria erano state totalmente rimosse o quanto meno distaccate dalla memoria collettiva della seconda guerra mondiale, in virtù anche della già menzionata complessa storia locale durante il Terzo Reich.
La visita alle Pietre pertanto è diventato uno strumento che gli insegnanti locali usano anche come percorso didattico e memorialistico, capace di far comprendere l’importante presenza ebraica a Merano.
Molti tra i deportati annientati, inclusi gli ebrei meranesi, non hanno un luogo cimiteriale se non quello collettivo con altri milioni di vittime; la Pietra pertanto restituisce un «luogo», almeno quello risalente alla vita prima della distruzione. Questo aspetto, seppur poco consolatorio, almeno colloca le vittime nella loro vera esistenza piuttosto che solo nel contesto lager.
Note:
1 L’ufficio di coordinamento degli Stolpersteine a Berlino, ad esempio, si trova presso il Museo della storia della resistenza tedesca che, non a caso, è situata in Via Stauffenberg.
2 Leo Katcher, Post-mortem. The Jews in Germany today, Delacorte Press, 1968 (trad.it. di M.E. Zuppelli Morin: Dopo lo sterminio. Ebrei e tedeschi oggi, Garzanti, 1970).
3 Nel quartiere Bayerische Stadtviertel a Berlino furono messe diverse targhe e poster che menzionavano gli articoli di legge relativi ai provvedimenti razziali del 1935. Essi furono esposti con caratteri e disegni elementari volti a attrarre, oggi, proprio gli scolari più giovani di quel quartiere. Contestualmente a questo, nella stessa zona, è stata realizzata una mostra dal titolo «Wir waren Nachbaren» (it. Eravamo vicini di casa) che rappresentava la memoria degli ebrei prima del 1942 residenti in quel quartiere. Entrambi i progetti avevano un enorme impatto didattico e pedagogico sulla popolazione locale e sui visitatori.
4 Vereinsregistereintrag der Initiative Stolpersteine für München e.V. beim Amtsgericht München, Blatt VR 201339
5 «Auf dem Boden kann doch kein würdiges Gedenken stattfinden. Die Steine werden bewusst oder leichtfertig mit Füßen getreten, beschmiert, mit Exkrementen von Hunden beschmutzt, geklaut, beschädigt». Cfr. http://www.stolpersteine-muenchen.de/english.php.
6 Hans Fallada, Ognuno muore solo, Sellerio, Palermo 2015. Storia vera di una forma di resistenza antinazista a Berlino.
7 AA.VV. Stolpersteine in Meran/Pietre di inciampo a Merano, 2013