Alla ricerca di un carnefice
L’Italia è passata dall’era del testimone, che ha dato centralità all’esperienza e alla memoria delle vittime, a quella che potremmo chiamare l’era del salvatore che celebra i soccorritori, senza passare da alcuna era del “carnefice” che ne esaminasse a fondo i misfatti, su cui è sceso, anzi, un colpevole oblio.
Simon Levis Sullam, I carnefici italiani. Scene dal genocidio degli ebrei 1943-1945[1]
I termini vittima e carnefice rimandano, nella memoria di molti, al titolo di un celebre lavoro di Raoul Hilberg, Carnefici, vittime, spettatori, La persecuzione degli Ebrei, 1933-1945[2], dove, nella categoria generale di spettatori, sono compresi coloro che non erano “coinvolti”, non intendendo né far del male alle vittime né essere presi di mira dai carnefici. […] E dove: Ci furono spettatori che divennero a loro volta carnefici […] ma ci fu anche chi aiutò i perseguitati[3]. Oggi, a partire dalla Shoah, il soccorritore o il giusto, come viene più spesso chiamato, emerge da protagonista e assume un ruolo ben preciso, in nessun modo riconducibile alla complessa, variegata e qualche volta sfumata figura dello spettatore. Giusti sono i non ebrei che hanno rischiato la propria vita per salvare uomini, donne, bambini ebrei e che, per questo, meritano di essere ricordati in una parte del giardino dello Yad Vashem ad essi dedicata. Dalla tragedia ebraica ad altri massacri, giusti divengono, secondo questa lettura del passato, tutti coloro che hanno scelto di salvare e soccorrere – tra gli Armeni, in Ruanda o altrove dove la violenza si manifestata con particolare ferocia contro civili innocenti – le vittime. Fino ad arrivare a riconoscere il giusto come figura universale, colui che aiuta le vittime durante i genocidi[4].
Anche a scuola è sempre più frequente il recupero di storie esemplari da proporre agli studenti. Ma propro restando nel contesto educativo, la proposta qui avanzata è quella di estendere le considerazioni di Levis Sullam riportate all’inizio e domandarci se non sarebbe più efficace, in particolare nell’insegnamento della storia, ricavare uno spazio alla figura del carnefice. Pensiamo, certo, alla Shoah, senza dimenticare il capitolo delle stragi, che appartiene allo stesso ampio orizzonte della violenza nazista – e in questo caso anche delle complicità fasciste – su cui molto si è prodotto nella rete degli Istituti della Resistenza. E proprio per quanto attiene alle stragi, vittime e carnefici sono stati spesso brutalmente, ferocemente posti gli uni di fronte agli altri, in un‘impari faccia a faccia che ha coinvolto anche – e talora soltanto – vecchi, donne e bambini. Rari, e per lo più silenti, quelli che sono riconosciuti – in senso proprio – spettatori che talora divengono complici e delatori o vittime essi stessi; rari i salvatori, anch’essi destinati in molti casi a divenire vittime.
Ma se è vero che una riflessione intorno agli anni del nazismo e del fascismo ha bisogno della ricostruzione di uno scenario il più possibile complesso entro cui collocare tutti gli attori, è giusto convenire come ciò spesso non sia accaduto: molto spazio è stato dedicato alle testimonianze dei sopravvissuti, mentre un’attenzione subordinata è stata riservata a chi si è macchiato di terribili misfatti. Tuttavia non mancano esempi più illuminanti, utilissimi alla didattica. Si pensi alla ricerca di Luca Baldissara e Paolo Pezzino, che ci offre un’analisi quanto mai convincente di ciò che avvenne in quell’autunno del 1944 sulle colline dell’Appennino tosco-emiliano:
La tesi centrale di questo volume è che il massacro di Monte Sole sia un capitolo della guerra antipartigiana in Italia, strategicamente condotta dagli alti comandi tedeschi attraverso la formulazione di un coerente sistema di ordini teso alla devastazione del territorio e dell’habitat della guerriglia, reso possibile nella sua forma terroristica e assassina dal “di più” di violenza legittimato dall’ideologia nazista […]. Il massacro di Monte Sole è davvero da intendersi alla stregua di un’operazione militare. [5]
Si è sostenuto per lungo tempo che conservare la memoria è fondamentale per non ripetere gli errori del passato; i sopravvissuti hanno spiegato le ragioni della loro scelta di testimoniare con due semplici parole: mai più. Queste riflessioni sono state e sono ancora importantissime, ma occorre andare anche oltre. Vittime e soccorritori appartengono ad un contesto nel quale è la violenza a dominare, ed è il sistema della violenza a dettare le regole. Le vittime restano schiacciate nel meccanismo, i soccorritori vanno alle ricerca di falle e debolezze di quel meccanismo, per passare attraverso le maglie del sistema. Ma chi detta le regole non può restare sullo sfondo. Sul piano della storia insegnata sarebbe centrale avviare una riflessione intorno agli attori dei massacri e al tema della violenza. Una scelta, senza dubbio, più difficile di quella che riconosce alle vittime il ruolo di protagoniste e assai meno rassicurante di quella che pone al centro i giusti. Una scelta che si concentra su quanto si cela dietro certi tragici meccanismi e le loro radici, portando in primo piano l’integrazione di emotività e intelligenza nel processo di apprendimento.
Perché i carnefici? La domanda alla quale non possiamo sottrarci è: come è stato possibile?
Se pensiamo ad un insegnamento della storia che sia capace di coniugarsi con l’educazione ad una cittadinanza attiva e consapevole, allora educare ad interrogarsi sui meccanismi che stanno alla base di quel sistema della violenza è quanto dovremmo porre al centro del lavoro di docenti di storia. Guidare gli studenti a riflettere sulle responsabilità degli esecutori dei massacri, oltre che dei “capi”; ragionare sulla possibilità che, in determinate circostanze, uomini comuni siano diventati carnefici e prendere coscienza del loro percorso formativo. Comprendere quanto, nella scelta di legittimare l’uso della violenza, abbiano contato la necessità di obbedire ciecamente ad un ordine, la fedeltà al “branco”, l’assuefazione alla brutalità e la disumanizzazione del nemico. Attraverso un percorso di scoperta dei carnefici e delle loro motivazioni (a partire dalle biografie individuali fino all’analisi di contesti specifici, laddove possibile) si può davvero pensare di dotare gli studenti di strumenti critici per imparare a “leggere” quel passato. Ciò che, presumibilmente, significa anche abituarli a riflettere con la medesima profondità attorno a vicende simili, lontane nel tempo e nello spazio. Quanto può, in ultima istanza, essere un aspetto di quello che si intende per educazione alla cittadinanza.
Immagine 642. www.film.norbert-weisser.com/schindlerslist.htm
Note:
[1] Milano, Feltrinelli, 2015.
[2] Milano, Mondadori, 1994.
[3] Ibidem, p. 5.
[4] Cfr. la posizione di Gabriele Nissim, riportata in un’intervista di Fiona Diwan del 5 marzo 2013; http://www.mosaico-cem.it/articoli/gabriele-nissim-il-cacciatore-di-giusti-e-la-banalita-del-bene (maggio 2016). Cfr. anche l’istituzione della Giornata Europea dei Giusti, da parte del Parlamento di Strasburgo, il 6 marzo, in attesa di essere ratificata anche dal Parlamento italiano.
[5] Luca Baldissara, Paolo Pezzino, Il massacro. Guerra ai civili a Monte Sole, Bologna, il Mulino, 2009, p. 21.