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Life in the U.K.: la storia come test di cittadinanza

Life in the U.K.: la storia come test di cittadinanza
La corsa alla cittadinanza

Gli esiti del referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea, in breve la Brexit, con il loro carico di incertezze sul futuro, hanno generato forte insicurezza negli stranieri residenti stabilmente e intenzionati a fermarsi, per studio o lavoro, in UK. Incertezze che il recente e attesissimo discorso di Theresa May[1] non hanno affatto dissipato e sulle quali nessuno in UK è in grado di essere neanche vagamente rassicurante.

Ciò che per ora sta accadendo è che gli immigrati provenienti da paesi della UE, che, fino al 2016, grazie al Permanent Right of Residency si sentivano ragionevolmente sicuri di potere godere indefinitamente di estesi diritti e di condizioni sicure, quanto a lavoro e pensione, ora si stanno affrettando a richiedere la cittadinanza, per timore di perderli se il Permanent Right of Residency venisse – come può accadere- annullato o ridimensionato.

A questo proposito, un articolo del novembre 2016 del Guardian parla di una forte pressione esercitata sul Ministero degli Interni dalle preoccupazioni di circa 3 milioni di cittadini dell’Unione Europea che chiedono garanzie di poter rimanere in UK prima che il negoziato sulla Brexit inizi, e  aggiunge che è in atto una vera e propria corsa a richiedere la cittadinanza, tale da mettere a dura prova gli uffici: dopo il referendum, infatti,  il numero delle domande è aumentato dalle 37.618 del giugno 2015, alle 100.000 dei primi di giugno del 2016. E la cifra è in costante incremento.[2]

Un esame di storia per ottenere la cittadinanza

Ecco perché, entrando nelle librerie di Londra, le più grandi delle quali hanno una vera e propria sezione dedicata, troviamo oggi, ben in evidenza, questo volumetto[3]:

Si tratta della terza e più recente edizione di un testo unico che in 180 pagine fornisce ai richiedenti cittadinanza le conoscenze necessarie a rispondere alle domande di un test a risposte multiple su valori,  storia, civilizzazione, abitudini, cultura, governo e leggi del Regno Unito[4]. Chi risponderà ad almeno il 75% delle 24 domande e sarà in possesso degli altri requisiti necessari, potrà diventare cittadino del Regno Unito. L’esame è strutturato grossomodo come i nostri per la patente di guida, con la differenza che chi avrà fallito potrà comunque ritentare quante volte vorrà, senza altro limite del costo per sostenere il test, che è di circa 50 sterline.

Fig.1 La guida per gli aspiranti cittadini inglesi

Fig.1 La guida per gli aspiranti cittadini inglesi

Fig.2 Il manuale dei test

Fig.2 Il manuale dei test

Una storia con un obiettivo politico

Il test è stato fortemente voluto dal Ministro degli Interni del governo Blair, David Blunkett, che nel 2002 ha costituito una commissione guidata da Sir Bernard Crick (autorevole professore di scienze politiche, fermo sostenitore dell’istituzione dello Scottish Parliament, nonché consigliere del Partito Laburista), incaricandola di stendere le linee guida per il nuovo progetto di acquisizione della cittadinanza.

Il ministro Blunkett, in apertura della relazione della Commissione, pubblicata col titolo titolo The New and The Old. The report of the “Life in the United Kingdom” sintetizza così gli scopi dell’operazione :[5]

Noi vogliamo che la cittadinanza accolga con favore le diversità di esperienze, culture e religioni associate con la vita nella Gran Bretagna attuale. Il governo è anche molto  interessato ad un attivo coinvolgimento nella vita politica ed economica della nostra società di coloro che diventeranno cittadini britannici e a che essi abbiano il senso di appartenenza a una vasta comunità comunità.[6]

Fig. 3 Bernard Crick con la prima edizione del libro

Fig. 3 Bernard Crick con la prima edizione del libro

Questi scopi verranno con molta precisione indicati dalla commissione, in particolare sottolineando  che non si tratta di un’operazione di controllo, ma piuttosto dell’incentivo al formarsi di un più profondo senso della cittadinanza, favorendo, attraverso una comprensione dei fondamenti della storia del Regno unito, l’impegno su valori comuni e condivisi dai vecchi come dai nuovi residenti.

Ma nonostante le linee guida e le dichiarazioni del governo ribadiscano spesso questo intento di valorizzare l’appartenenza a una comunità complessa, resa tollerante, democratica, dalla sua storia e dall’apporto multiculturale dei suoi abitanti, Life in the United Kingdom  ha suscitato, negli anni che ci separano dal suo primo apparire, nel 2004, numerose polemiche.

Le critiche

Senza voler dar conto di tutte le critiche [7], possiamo raggrupparle grossomodo in tre filoni: quelle che sottolineano che il test costituisce di fatto, nonostante le premesse e le dichiarazioni, un filtro che rende più difficile l’accesso alla cittadinanza, o peggio, che lo accusano di mettere in atto una vera e propria  discriminazione per gli applicanti non-europei, non-anglofoni (che in effetti, secondo dati del 2009, passano il test in una percentuale fra il 45% e il 50%, mentre gli immigrati da Canada, Stati Uniti e Australia hanno percentuali di superamento intorno al 99%)[8]; quelle che entrano nel merito del testo e vi riscontrano inesattezze, errori grossolani, banalità[9]; infine, più nel merito, quelle che mettono in causa sia la scelta degli eventi storici di cui dare conto che quella dei momenti salienti della vita della società, da enfatizzare in quanto caratteristicamente britannici, scelta che secondo alcuni sarebbe del tutto arbitraria e, peggio, restituirebbe l’immagine di una “mockery britishness”, di una britishness caricaturale[10] e lontana dalla realtà di cui gli abitanti possono avere esperienza.

“Un approccio neutro, oggettivo e quantificatorio”

Nell’edizione che qui viene presa in considerazione, quella pubblicata per la prima volta nel 2013, vengono in primo luogo indicati, nella forma sintetica di elenco puntato, i “principi fondamentali della vita britannica” come:

  • Democrazia
  • Stato di diritto
  • Libertà individuale
  • Tolleranza nei confronti di chi ha differenti credo e convinzioni
  • Partecipazione alla vita comunitaria

A seguire troviamo un altrettanto breve elenco di “responsabilità e libertà”[11], che vanno  dall’obbedienza alla legge, alla cura dell’ambiente, alla libertà religiosa, al diritto di partecipare alle elezioni.

E’ possibile forse rintracciare qui, a partire dalle premesse,  l’impianto voluto da Bernard Crick, uno dei massimi critici del Behaviouronalism, cioè di un approccio alla storia che si pretenda neutro, oggettivo e quantificatorio, e sostenitore di una politica slegata da ogni forma di ideologia e connessa piuttosto a delle specifiche delle “virtù” politiche, quali prudenza, spirito di conciliazione, compromesso, adattabilità, vitalità. Questo lo capiremo meglio, addentrandoci un poco nella parte storica del testo.

“Una storia lunga e illustre”

Dopo alcune note di carattere pratico, troviamo infatti  subito la sezione storica, dal titolo  già di per sé significativo “A long and illustrious history”. Essa occupa circa 54 pagine, un terzo circa, su un totale di 163, abbracciando l’intero arco temporale della storia dell’arcipelago britannico, dai primi cacciatori-raccoglitori fino alle elezioni del maggio 2010.

cittadinanza

Fig. 4 Patrimonio dell’Umanità, o simbolo identitario? Photo by garethwiscombe – http://www.flickr.com/photos/garethwiscombe/1071477228/in/photostream/, CC BY 2.0, Link

Per necessità (ma la necessità, come vedremo, sposa gli intenti) gli autori hanno dovuto compiere una sintesi molto stringata, poco più dell’elencazione appena articolata di una serie di eventi e personaggi, e hanno scelto di porre al centro, rigorosamente ed esclusivamente, la storia della Gran Bretagna e, in genere, delle sue virtù: senza dare spazio a valutazioni, senza addentrarsi in considerazioni sulle cause, senza entrare in questioni controverse. In effetti saranno quasi più le omissioni che i contenuti espressi, a darci un’idea della visione generale che sta dietro a questi brevi paragrafi. Quanto alla lingua, si tratta di un inglese nitido e piano[12], elementare dal punto di vista lessicale, e c’è comunque un glossario alla fine, per i termini considerati più tecnici.

Lo vediamo già all’inizio dove, dopo un cenno alla preistoria, si comincia annotando la resistenza dei nativi dell’isola, le tribù britanniche, all’occupazione romana, il cui influsso sulla civiltà successiva, non del tutto trascurabile,  è risolto in quattro righe, le stesse impiegate per raccontare la leadership della regina Boudicca, che guidò la tribù degli Iceni, stanziati nell’odierno Norfolk, contro gli invasori romani.

Nel proseguire del racconto notiamo la precisa volontà di mettere l’accento sul formarsi di strutture territoriali unitarie e di un apparato legislativo, e di concentrarsi sul precoce sviluppo di un sistema parlamentare, visto come una successione di momenti coerenti e in progressione a partire dal Consiglio dei Baroni e dalle limitazioni del potere sovrano inaugurate dalla Magna Charta, fino a oggi.

Il medioevo, quando compaiono gli immigrati

Al Medioevo si fanno risalire -come generalmente è accettato, ma qui chiaramente messo al centro- l’affermarsi dell’economia inglese come fondata sul commercio, e lo sviluppo di una cultura, di una lingua e di una identità nazionale. Identità una ma plurima, perché pur nella stringatezza cui si accennava sopra, non viene mai meno la volontà di segnalare il formarsi di una autonoma, seppur convergente, identità scozzese (e dove è il caso anche gallese o irlandese), che è scrupolosamente annotata in ogni passaggio. Significativa, in aggiunta, è l’informazione che è proprio dal medioevo che gli stranieri hanno cominciato a migrare in Inghilterra per commercio o per cercare lavoro, portando – si sottolinea- ognuno utilissime capacità dal proprio paese di origine: tessitori dalla Francia, costruttori edili e di canali dalla Germana e dall’Olanda, soffiatori di vetro dall’Italia[13]. Non è detto esplicitamente, qui, ma è ripetuto altrove, ed espresso chiaramente nelle linee-guida, che gli stranieri sono invitati a dare il loro contributo alla crescita del paese e alla sua prosperità e che questo contributo è bene accolto, come in una sorta di scambio, in cui queste abilità sono compensate con la sicurezza di vivere in un paese che ha fatto del rispetto dei diritti la sua bandiera.

Dei conflitti, anche di quelli che sono stati i più e sanguinosi e laceranti della storia inglese, si evidenzia sempre la soluzione pacifica: la Guerra delle Due Rose, di cui si dice semplicemente che fu combattuta fra due famiglie rivali e i loro sostenitori, è stata poi seguita dal regno di Enrico VII che volle assicurare, assieme al rafforzamento del proprio potere, che l’Inghilterra rimanesse in pace. E se la Riforma (che in quel tempo “si stava diffondendo in tutta Europa[14], e che viene presentata come un movimento di persone convinte che “la relazione personale con dio fosse più importante che sottomettersi all’autorità della Chiesa[15]) interviene a turbare questo cammino di pacificazione, dividendo la popolazione e persino la stessa famiglia reale, sopraggiunge il regno di Elisabetta I, di cui si può dire “riuscì a trovare un equilibrio fra la visione dei cattolici e quella dei più accesi protestanti, in questo modo evitando ogni grave conflitto religioso in Inghilterra[16] e che “fu molto abile nel gestire il parlamento[17].

Il parlamentarismo inglese

I successori Giacomo I e Carlo I erano “politicamente meno abili[18], infatti, con loro venne ripresa l’idea che il re potesse governare senza consultare il parlamento, “e una guerra civile fra il re e il parlamento a quel punto non poté essere evitata e cominciò nel 1642[19]. La forma passiva, qui come in altri luoghi, sembra avere anche la funzione di mettere una certa distanza fra le azioni e gli agenti responsabili (Maria Stuart fu tenuta prigioniera per 20 anni, si dice, “e successivamente giustiziata[20], con l’accusa -ma sulla fondatezza di queste accuse non ci si pronuncia- di avere complottato contro Elisabetta.).

I rapporti del re col Parlamento, sempre visti nell’ottica di un necessario bilanciamento dei poteri, sono uno del filoni principali della narrazione di Life in the United Kingdom. Se il loro deterioramento fu causa diretta e unica della rivoluzione del 1642, quando Carlo I tentò di restaurare la monarchia per diritto divino, questi rapporti migliorarono con Carlo II  “[che] capì che non avrebbe potuto sempre agire secondo il proprio volere, ma che in alcune circostanze avrebbe dovuto raggiungere un accordo col parlamento[21], per poi divenire di nuovo turbolenti  con Giacomo II, di cui si dice, ripetendo quasi parola per parola la stessa formula, che “non cercò di raggiungere un accordo col parlamento[22]

Ma con la seconda rivoluzione, The Glorious, chiamata così perché “assicurò il potere del parlamento[23] , e soprattutto con il Bill of Rights, “il re non sarebbe più stato in grado di imporre le tasse o amministrare la giustizia senza un accordo col parlamento. L’equilibrio dei poteri fra la monarchia e il parlamento, ora era mutato in modo definitivo[24]. E’questo l’inizio della monarchia costituzionale, anche se non di una democrazia in senso pieno, si precisa, perché il diritto di voto era fortemente limitato in base al censo, e le donne escluse.

In questo graduale ma inarrestabile cammino verso il sistema parlamentare il racconto attenua molto le tensioni con Scozia e Irlanda, e le cause delle guerre, se enunciate, sono sempre politiche, non economiche. Ma più spesso le guerre semplicemente accadono, per esempio nel 1789 “ci fu una rivoluzione in Francia e il nuovo governo francese dichiarò presto guerra alla Gran Bretagna[25] e Napoleone, poco dopo, “continuò la guerra[26]. I soggetti, del resto, sono spesso astratti: le relazioni  fra le colonie del nordamerica e il governo inglese peggiorarono e alla fine scoppiò una guerra.[27]

Una storia senza perché

Nessun evento ha qui un’origine o trova una spiegazione di tipo economico: non vi sono contese che scoppino per appropriarsi delle risorse, per le rotte commerciali, non vi è conflittualità di classe, la storia economica in quanto tale è appena sfiorata: la stessa rivoluzione industriale si spiega da sé: “avvenne grazie allo sviluppo delle macchine e all’uso dell’energia termica del vapore[28] e le condizioni dei lavoratori, che all’inizio dell’era industriale sono definite miserabili, presto miglioreranno grazie alle azioni di riformatori, parallelamente al progressivo sviluppo della democrazia parlamentare, del benessere, delle conoscenze scientifiche.

L’immigrazione, il cui rigetto sembra essere stata stato una delle ragioni del trionfo della Brexit, qui è costantemente, come si è detto, messa in valore, dal XV secolo, quando stranieri con diverse competenze hanno contribuito a edificare, anche materialmente, l’Inghilterra moderna, passando per gli ebrei e i rifugiati ugonotti, fino al secondo dopoguerra, quando l’immigrazione, specie dall’India,  venne fortemente incoraggiata perché bisognava ricostruire il paese. E persino quando gli effetti del boom cominciarono ad attenuarsi, e venero introdotte leggi più restrittive sui permessi di soggiorno, anche allora “la Gran Bretgna ha accolto 28.000 persone di origine indiana che erano stati costretti a lasciare l’Uganda[29].

Effetti positivi di colonialismo

Infine, due parole a parte merita il modo in cui a chi fa domanda per la cittadinanza (persone quanto mai eterogenee per provenienza e livello di istruzione, ma in una buona percentuale provenienti da ex possedimenti inglesi) si propone la versione ufficiale di ciò che è stato il colonialismo inglese e di ciò che costituisce il triste contraltare della prosperità del paese e del precoce diffondersi della tolleranza e del rispetto dei diritti: la tratta degli schiavi.

Fortemente criticata nel già citato articolo su New Statesman dal giornalista Mehdi Hasan, che scrive che Life in the United Kingdom: a Journey to Citizenship è  “un testo profondamente disturbante che riscrive la storia coloniale inglese e presenta una visione del passato  distorta e ultraconservatrice[30] e in particolare cita un passaggio, poi espunto dall’edizione 2013, in cui si diceva che “ Per molte popolazioni indigene in Africa, nel subcontinente indiano e altrove, l’impero britannico introdusse spesso strutture legislative e di giustizia più corrette, accettabili e imparziali di quelle che molte di loro avevano sperimentato sotto i loro governi, o sotto governi stranieri diversi da quelli europei[31], la parte sulle colonie e l’impero britannico è forse quella che, sia per ciò che è detto che per ciò che è taciuto, presta maggiormente il fianco a una critica che, oltre alla verità storica, tenga conto anche del rispetto delle memorie e delle identità, caro al modello integrazionista inglese e rivendicato nelle linee guida.

Le prime informazioni sul formarsi delle colonie in età elisabettiana sono formulate in modo da lasciare poco spazio a dubbi: “L’età Elisabettiana fu un periodo di crescente patriottismo: un senso di orgoglio di essere inglesi. Gli esploratori  cercarono nuove rotte commerciali e si impegnarono a espandere il commercio inglese nelle colonie spagnole e nelle Americhe[32] poi, poco più avanti, si citano i primi insediamenti dei colonì sulla costa orientale dell’America del nord e, dopo la seconda rivoluzione, i movimenti di chi, in una situazione di crescita della popolazione, “lasciò la Gran Bretagna e l’Irlanda per stabilirsi nelle nuove colonie in America e altrove [33]. Nessun accenno alle popolazioni indigene, mentre, del resto, dove sia questo altrove non è precisato: si passa subito all’arrivo (di cui abbiamo già parlato) degli immigrati ebrei e dei rifugiati Ugonotti.

Del tutto impersonale la forma adottata per la colonizzazione di India, Australia e Sudafrica: “Questo fu anche un periodo di crescita della colonizzazione oltremare[34] e “Cominciarono a essere costituite delle colonie nel sud dell’Africa[35]. Questa espansione dei commerci che porta con sé la spinta alla colonizzazione, e la conseguente prosperità, sono sostenute, si dice, in parte dalla forte crescita della tratta degli schiavi.

Di essa non si nega la violenza: gli schiavi condotti in America e nei Caraibi viaggiavano in condizioni penosissime sulle navi inglesi e il lavoro a cui erano costretti era terribile, ma quasi il doppio dello spazio dedicato a parlare di queste condizioni, cioè 15 righe contro 9, è dedicato a enfatizzare l’opposizione inglese alla tratta, come fu condotta dai primi Quaccheri, passando per il parlamentare cristiano evangelico William Wilberforce, fino all’Emancipation Act del 1833 che pose fine alla pratica[36]. In un box, invece, è raccontata la vita di Sake Dean Mahomet, che servì come sepoy nell Esercito del Bengala, poi emigrò in Irlanda, dove fece una fuga d’amore con una ragazza irlandese, per poi andare in Inghilterra ed aprire, nel 1810 la prima Curry House del paese[37].

L’impero britannico, gloriose sorti

Sempre impersonalmente, ma con evidente orgoglio, è narrata l’espansione  in età vittoriana, quando: “L’impero britannico crebbe fino a coprire tutta l’India, l’Australia e una buona parte dell’Africa[38]. “Crebbe”, si dice. Come una pianta, un organismo vivente che non può farne a meno e senza ricadute umanitarie. “Divenne il più grande impero che il mondo avesse mai visto, con una popolazione stimata di più di 400 milioni di persone[39]. La crescita continua fino al 1920, in un clima generale di progresso e ottimismo, interrotto solo dalla Grande Guerra, un clima  in cui “La nazione, con il suo vasto impero, con la sua flotta universalmente rispettata, l’industria fiorente e le sue solide istituzioni politiche, era ciò che oggi si chiama una ‘superpotenza’ globale’”[40].

Il tema del futuro dell’impero nel primo dopoguerra viene trattato, o liquidato,  in questo modo: si dice che nel paese alcuni erano fautori dell’espansione perché ritenevano che l’impero giovasse alla Gran Bretagna in termini di espansione delle manifatture e del commercio, mentre altri ritenevano che l’impero fosse eccessivamente esteso e che i frequenti conflitti che lo percorrevano costituissero un drenaggio di risorse. Il punto del contrasto sembra quindi essere non una nuova coscienza dei diritti dei popoli colonizzati, ma la pura e semplice valutazione dei vantaggi economici che l’Impero era ancora in grado di portare. Tuttavia, si sottolinea in ogni caso, la grande maggioranza della popolazione ingese credeva nell’impero “come a una forza positiva nel mondo[41]. E’ la visione kiplinghiana, non relativizzata o distanziata in alcun modo, e, anzi, riproposta poche righe dopo, nel box dedicato proprio a Kipling: “Le sue poesie e i suoi romanzi riflettono l’idea che l’impero britannico fosse una forza positiva[42]. A force for good: una forza positiva, benefica, propulsiva, nel mondo.

Gli anni successivi alla seconda guerra mondiale sono raccontati come un lungo periodo di cambiamenti sociali, con l’allargamento dei diritti delle donne e dei lavoratori, di crescita tecnologica (c’è un grande box con le invenzioni inglesi del XX secolo), fino all’inaugurazione del Parlamento Scozzese e dell’Assemblea del Galles, all’impegno per la liberazione del Kuwait e nella coalizione internazionale contro il terrorismo. Il capitolo sulla storia del Regno Unito si chiude, infine, con le elezioni del 2010 e il governo di coalizione presieduto da David Cameron.

Insularità identitaria

In conlusione, se non è corretto chiedere a questa sintetica panoramica della storia inglese una articolazione e una complessità che di fatto non può avere, sia per le dimensioni che per gli scopi, certo si può osservare che in parte questi scopi sono traditi. L’auspicio di Bernard Crick che l’orgoglio e la sicurezza di diventare cittadini si fondino su una forte consapevolezza e impegno in valori che siano comuni, è nel complesso vanificato dal fatto che i valori di cui si parla qui non sono fondati in una comune appartenenza europea, come elaborazione di una storia collettiva, ma sono intesi come frutto e destino di un percorso storico strettamente inglese, che però l’immigrato può, anzi deve, essere orgoglioso di assumere come propri.

Isolare, nella complessa e non sempre così “gloriosa” storia dell’isola, un percorso di questo tipo ha comportato l’evitamento di ogni considerazione critica su tre secoli di colonialismo e quasi altrettanti di tratta degli schiavi, sull’imperialismo, sulle centinaia di migliaia di morti di malattie e di stenti negli slums della rivoluzione industriale, vittime della “prosperità”. Al neo cittadino si chiede dunque, paradossalmente, di aderire a un passato senza memorie divisive, senza ripensamenti, senza autocritica, un passato che non chiede scusa a nessuno e si salda senza imbarazzo a un presente che, al momento della stesura del volumetto, si sente ancora pienamente europeo, e anzi fiero di essere un esempio di integrazione rispettosa della diversità per l’Europa intera. Un sentimento che nel 2016 appare ancora più precario.


Note:

[1] https://www.theguardian.com/politics/blog/live/2017/jan/17/theresa-may-brexit-speech-pound-steadies-ahead-of-theresa-mays-brexit-speech-politics-live?CMP=Share_AndroidApp_Memo. Il discorso completo può essere ascoltato qui: http://www.independent.co.uk/news/uk/home-news/full-text-theresa-may-brexit-speech-global-britain-eu-european-union-latest-a7531361.html

[2] https://www.theguardian.com/uk-news/2016/nov/30/eu-citizens-in-uk-home-office-residency-applications-right-to-remain-before-brexit-talks

[3]Life in the United Kingdom. A Guide for New Residents. 3rd Edition, 2013, United Kingdom, TSO-Home Office

[4] I titoli delle sezioni sono: The values and principles of the UK; What is the UK?; A long and illustrious history; A modern, thriving society.

[5] Tale testo, reperibile integralmente in rete, è un rapporto di indirizzo al governo sugli scopi del test e ciò che nel manuale di preparazione avrebbe dovuto essere enfatizzato

[6]“We want British citizenship to embrace positively the diversity of background, culture and faiths that living in modern Britain involves. The Government is also concerned that those who become British citizens should play an active role, both economic and political, in our society, and have a sense of belonging to a wider community”; in The New and the Old, cit., p.10. Tutte le traduzioni sono a cura dell’autrice.

[7] Esistono analisi molto accurate, come per esempio quella di Thom Brooks, docente alla Durham University, The ‘Life in the United Kingdom’ Citizenship Test: Is it Unfit for Purpose? https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2280329

[8] MEHDI HASAN, The citizenship test makes a mockery of Britishness, says Mehdi Hasan, The Statesman, 4 luglio 2012 http://www.newstatesman.com/blogs/politics/2012/07/testing-makes-mockery-britishness

[9] “According to irate historians, a new 146-page government booklet is leading would-be citizens astray with a confusing array of historical errors, questionable suppositions and glaring misquotes”, The Guardian 29 aprile 2006, https://www.theguardian.com/uk/2006/apr/29/immigration.immigrationpolicy  

[10] The Statesman, cit.

[11] Life in the United Kingdom, cit., p.7

[12] Il testo è peraltro disponibile, e l’esame può essere sostenuto, in lingua scozzese e gallese.

[13] Life in the United Kingdom, cit., p.25

[14]was happening across Europe”, ivi, p. 27

[15]a person’s own relationship with God was more important than submitting to the authority of the Church”, ibidem

[16]succeded in finding a balance between the views of Catholics and the more extreme Protestants, in this way, she avoided any serious religious conflict within England”;ivi, p. 29

[17]“was very skilled at managing Parliament”, ivi, p. 32

[18]less skilled politically”, ivi, p. 32

[19]and civil war between the king and the Parliament could not now be avoided and began in 1642”, ivi, p. 33

[20]“and eventually executed”, ivi, p. 29

[21]understood that he could not always do as he whished but would sometimes need to reach agreement with Parliament”, ivi, p. 34

[22]did not seek to reach agreements with Parliament”,  ivi, p. 36

[23]it guaranteed the power of Parliament”,  ivi, p. 36

[24]the king would no longer be able to raise taxes or administer justice without agreement of Parliament. The balance of power between monarch and Parliament had now permanently changed, ivi, p. 37

[25]there was a revolution in France and the new french government soon declared war on Britain”,  ivi, p.44

[26]“continued the war”, ibidem

[27] Ivi, p. 43

[28]happened because of the development of machinery and the use of steam power”,   ivi, p. 40

[29]Britain admitted 28.000 people of indian origin who had been forced to leave Uganda”,  Ivi, p. 64.

[30]a deeply disturbing document that rewrites British colonial history and presents a skewed and reactionary view of the past”, MEHDI HASAN, cit.

[31]for many indigenous peoples in Africa, the Indian subcontinent, and elsewhere, the British empire often brought more regular, acceptable and impartial systems of law and order than many had experienced under their own rulers, or under alien rulers other than Europeans”, ibidem

[32]“The Elizabethan period in England was a time of growing patriotism: a feeling of pride in being English. English explorers sought new trade routes and tried to expand British trade into the Spanish colonies in the Americas”, Life in the United Kingdom, cit.,  p. 27

[33]left Britain and Ireland to settle in new colonies in America and elsewhere”, ivi, p. 38

[34]This was also a time of increased colonisation overseas”, ivi, p.42

[35] Colonies began to be established in southern Africa”, ibidem

[36] Ivi, p. 43

[37] Ivi, p. 42

[38]The British Empire grew to cover all af India, Australia, and large part of Africa, ivi, p. 47

[39]  “It became the largest empire the world has ever seen, with an estimated population of more than 400 million people”, ibidem

[40]The nation, with its expansive Empire, well-admired navy, thriving industry and strong political institutions, was what is now known as a global ‘superpower”, ivi, p. 53

[41] “As a force for good in the world “, ivi, p. 51

[42]  “His poems and novels reflected the idea that the British Empire was a force for good “,  ivi, p. 52