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Il MIUR e il Piano Scuola Digitale: risorse ed opportunità

Dossier @storia: la storia nell’era digitale, pubblicato sul numero 1, dicembre 2013.

Relazione sull’intervento di Giovanni Biondi.

Abstract

Il relatore interviene sul tema dell’introduzione nella scuola di manuali scolastici misti, capaci di sfruttare le enormi potenzialità che offrono i linguaggi digitali, puntando sul coinvolgimento degli studenti nei processi di costruzione del sapere. È infatti ormai necessario avviare una trasformazione del modo di insegnare e del modo di apprendere, passando da una trasmissione del sapere a una costruzione delle conoscenze, non disdegnando l’utilizzo di strumenti come i videogiochi e superando l’idea del “laboratorio di informatica” per trasformare ogni classe in un laboratorio privo di confini disciplinari.


Le opportunità del digitale
La scuola oggi deve essere in grado di utilizzare le opportunità che offre il digitale, anche per quanto attiene alla storia. Certo, uno dei problemi principali dell’insegnamento della storia è l’anacronismo, peccato capitale dello storico secondo Marc Bloch o Lucien Fevre che sottolineava come sia impossibile pensare che il modo di esprimersi o le percezioni di uomini vissuti nel medioevo fossero gli stessi di un uomo di oggi. Sappiamo quanto sia difficile affrontare temi che riguardano epoche lontane, quanto sia difficile per i ragazzi considerare la “variabile tempo” – variabile che viceversa delinea il campo di studi dello storico – e per noi affrontarla in modo didattico. Alla storia, che pure apparentemente è lontana dalla tecnologia e dai linguaggi digitali – termine che qui preferisco utilizzare – questi offrono in realtà una serie di risposte che la scuola non può ignorare: è ad esempio possibile operare affascinanti analisi diacroniche di un territorio o di una città… attraverso il digitale diventa infatti possibile ricostruire un patrimonio architettonico che altrimenti si farebbe fatica a immaginare. È per questo che si è pensato al cambiamento dei libri di testo tradizionali.

Libri, manuali e linguaggio digitale

Non si tratta solo di alleggerire gli zaini dei nostri studenti, né di passare dalla lettura su carta alla quella in video. Il fatto è che la stragrande maggioranza dei manuali di storia hanno ormai assunto dimensioni enormi, ma possono diventare assai più efficaci se una parte dei materiali vengono trasferiti su un supporto digitale: cartine, documenti storici, fonti potrebbero essere così consultate in grande quantità. Per questo si è pensato al passaggio ad un libro “misto”nel quale la parte “narrativa”, che – e ciò vale per tutte le discipline – risponde a una determinata struttura del sapere, un modo di rappresentare le conoscenze in modo sequenziale, con la suddivisione in capitoli, paragrafi ecc., continuerà a essere cartacea. Il libro rimane indispensabile, né perderà il suo valore per la costruzione del sapere critico individuale; me se oggi vogliamo consultare una carta geografica e navigare in senso spaziale, non usiamo più il vecchio, glorioso atlante De Agostini, ma supporti digitali che rendono enormemente più agevole la manipolazione e l’utilizzo delle conoscenze su un determinato territorio. Non solo un e-book, dunque,ma un libro misto, scelta particolarmente efficace proprio per i manuali di storia. Se il problema è quello di iniziare a praticare una didattica costruttivista, per costruire occorre manipolare documenti, operazione per la quale il digitale offre opportunità straordinarie e di cui gli studenti diventano protagonisti. Così come i ragazzi sono contenti di frequentare facebook, scaricare musica ecc., perché di quelle operazioni sono appunto protagonisti e il loro atteggiamento è attivo, così anche noi abbiamo lo stesso obiettivo: coinvolgere i nostri studenti in un percorso di costruzione del sapere.

Dalla trasmissione del sapere alla costruzione delle conoscenze
La norma relativa alla graduale trasformazione dei libri di testo in libri misti a partire dal dicembre 2014, voluta dal ministro Profumo, è un cavallo di Troia che, inserito in un ambiente come quello della scuola che tende a riprodurre se stesso, serve a trasformare il modo di insegnare e il modo di apprendere. Il digitale non è un obiettivo in sé, né si tratta di inseguire delle mode, ma di utilizzarla allo scopo di conseguire l’obiettivo finale della scuola, nella misura in cui essa ci è d’aiuto. I ragazzi non vengono a scuola per usare o imparare a usare il computer; l’obiettivo della scuola rimane quello di educare, di aiutare a sviluppare un pensiero critico, un pensiero complesso; questo lo si può raggiungere in tanti modi, forse anche uscendo da uno schema trasmissivo esclusivamente storico-narrativo, che è quello utilizzato in tutte le materie. Tale schema oggi può essere migliorato passando da una trasmissione del sapere a una costruzione delle conoscenze, grazie alle potenzialità del linguaggio digitale. Abbiamo quindi il dovere di affrontare il tema del linguaggio digitale – preferisco questo termine a “tecnologia/e”, che ritengo adeguato – perché in sé possiede delle potenzialità che la scuola non può ignorare. Una dimensione che, ad esempio, può essere interessante per la disciplina storica è quella dei videogiochi, strumenti che oggi vengono utilizzati perfino in ambito universitario negli studi di economia. Ve ne sono tantissimi di soggetto storico; si tratta di ambienti “immersivi” nei quali bisogna utilizzare un linguaggio e delle regole che sono proprie di una certa società e di un certo ambiente storico; ciò aiuta, specie i ragazzi più piccoli, a superare l’anacronismo naturale derivante dalla studio del passato. Tali ambienti immersivi sono strumenti tutti da studiare e da non sottovalutare, dotati di un linguaggio molto appassionante e coinvolgente. Si tratta infatti proprio di coinvolgere i ragazzi in delle attività, per cui non serve più una didattica laboratoriale intesa come utilizzo di laboratori, aule speciali – per non dire che non esistono aule speciali di storia –; le aule speciali vanno abolite, a partire dai laboratori (e dal nome stesso) di “informatica”, fatti salvi gli istituti tecnici a indirizzo informatico. Oggi dobbiamo parlare di linguaggi digitali, ovvero di linguaggi trasversali, che devono entrare in ogni classe: non si tratta di portare la classe in laboratorio, ma il laboratorio in classe, e questo laboratorio non ha confini disciplinari, è un linguaggio rispetto al quale l’insegnante ha il dovere di aggiornarsi per comprenderne le potenzialità, è un’opportunità che amplifica le possibilità di interagire con i ragazzi e di potenziare i processi di apprendimento. Si tratta potenzialmente di una rivoluzione: non possiamo pensare semplicemente di sostituire alla lavagna tradizionale quella elettronica; l’innovazione digitale è potenzialmente in grado di modificare gli ambienti di apprendimento come noi li conosciamo, non ci saranno più scuole divise in classi, anche gli ambienti saranno suddivisi in modo diverso. Non a caso, con il ministro Profumo abbiamo elaborato le nuove linee guida per le architetture interne delle classi – le ultime risalivano al ministero Malfatti! – perché le nuove scuole hanno bisogno di spazi completamente diversi, nel quale anche il tempo scuola dovrà essere riorganizzato.

Dalla sequenzialità alla reticolarità del sapere
La valutazione esterna Ocse del piano digitale in Italia è stata positiva ma ha rilevato anche la mancanza di risorse. È chiaro che sarebbero necessari investimenti non solo nelle tecnologie ma anche nel capitale umano, molto più che nel’hardware o nel software. Per fare ciò occorrono risorse, e disporre di un sistema che preveda perfino un diverso contratto di lavoro, funzionale a una scuola della trasmissione del sapere nata per una società che oggi non c’è più. Ciò nonostante, il piano per la scuola digitale va avanti. Noi veniamo da una formazione basata sul libro, siamo tutti dei digital immigrants, e come tutti gli immigrati facciamo fatica. Dobbiamo ricordarlo, perché i ragazzi delle nostre classi sono una tribù digitale che parlano un’altra lingua, hanno sensibilità diverse. Si pensi ad esempio alla loro capacità di operare! Al posto della sequenzialità che ci viene dalla nostra formazione, oggi c’è la reticolarità; un filosofo contemporaneo sostiene che il modo per rappresentare conoscenze della nostra società è reticolare non sequenziale, e che è il sistema reticolare a meglio rappresentare la natura della conoscenza della società contemporanea. Internet, del resto, è nato nei laboratori di fisica del Cern per condividere gli sviluppi delle ricerche nel campo della fisica teorica. La rete è dunque ciò che la società contemporanea ha scelto per condividere e diffondere le conoscenze: la scuola può stare fuori da un cyberspazio capace di ospitare un patrimonio documentari infinitamente superiore per quantità a quello di qualunque biblioteca del mondo? Se siamo dei lavoratori della conoscenza, questa oggi, piaccia o no, è digitale. Possiamo non capire la portata di tale rivoluzione, ma la nostra comune origine di storici – sono arrivato all’informatica attraverso lo studio della storia! – ci fa comprendere come la scuola debba trovarsi al centro di una trasformazione di tale portata.

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Dati articolo

Autore:
Titolo: Il MIUR e il Piano Scuola Digitale: risorse ed opportunità
DOI: 10.12977/nov6
Parole chiave: , , , ,
Numero della rivista: n. 1, dicembre 2013
ISSN: ISSN 2283-6837

Come citarlo:
, Il MIUR e il Piano Scuola Digitale: risorse ed opportunità, Novecento.org, n. 1, 2013. DOI: 10.12977/nov6

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