I giovani ribelli della “Zanzara” e le origini del ’68
Abstract
Il caso giudiziario de “La Zanzara”, giornale scolastico dello storico liceo Parini di Milano, che vide il rinvio a giudizio di tre studenti agli inizi del 1966 con l’accusa di pubblicazione oscena, sollevò polemiche e manifestazioni in tutta Italia. Alla fine il tribunale di Milano scagionò i tre giovani perché il fatto non sussisteva, riconoscendo la necessità di modernizzare le idee di moralità. Quella vicenda processuale, e le considerazioni politiche e culturali sollevate allora, sono un valido argomento storico per riflettere e affrontare le nuove sfide poste oggi dai temi eticamente sensibili. In coda all’unità si riporta la documentazione della sperimentazione in un liceo milanese.
Durata
Dalle quattro ore in su.
Testo per docenti
Quando inizia il ’68 in Italia?
Sembra una domanda retorica e scontata eppure non lo è affatto, visto che i prodromi della ribellione studentesca e universitaria nel nostro paese si registrarono sicuramente nel 1967, allorché studenti provenienti da diverse università occupano la “Sapienza” a Roma e formulano una serie di richieste note come le Tesi della Sapienza. Nacque allora il movimento studentesco che nell’anno accademico 1967/’68, pur lottando contro una legge di riforma universitaria (la 2314), si afferma con caratteristiche peculiari: il suo essere di massa, facendo uso di strumenti diversi da quelli tradizionali degli organismi rappresentativi e assumendo obiettivi di valore politico nazionale che travalicavano gli ambiti universitari.
La tensione nel mondo universitario è molto alta, ma i media non ne danno il dovuto rilievo, almeno fino ai primi mesi del 1968. Al contrario, a livello internazionale è un susseguirsi di notizie clamorose: la strage di My Lai in Vietnam il 6 marzo, l’assassinio di Martin Luther King il 4 aprile, di Bob Kennedy il 6 giugno 1968, fino ad arrivare a quel 16 ottobre quando, alle olimpiadi di Città del Messico, gli atleti di colore Tommie Smith e John Carlos si fecero riprendere sul podio con i pugni alzati, i guanti neri (simbolo del black power), la testa bassa e una collanina di pietre al collo, per ricordare i tanti neri linciati e uccisi dai bianchi[1]. Ma se vogliamo comprendere le radici culturali e sociologiche alla base delle rivolte giovanili in Italia, partite dalle università nel 1967 e destinate a sfociare nella “battaglia di Valle Giulia” il 10 marzo del 1968, quando 4000 giovani tentarono di occupare la Facoltà di Architettura di Roma[2], dobbiamo andare ancora più indietro, addirittura in pieno Boom economico. Infatti l’impetuoso sviluppo industriale e economico che si verificò in Italia, soprattutto nelle regioni centro-settentrionali, tra il 1958 e il 1963, ebbe tra le sue conseguenze una trasformazione quasi antropologica nella popolazione italiana, con tutte le inevitabili contraddizioni.
Il boom economico e le sue contraddizioni sociali e culturali
Durante gli anni ’50 le aspettative di vita e di carriera dei giovani erano sostanzialmente incardinate all’interno di un sistema articolato in comparti abbastanza rigidi: “i figli degli operai erano avviati alle scuole di avviamento professionale per diventare “specializzati”, le ragazze alle scuole commerciali per diventare impiegate, e i figli della borghesia alle scuole medie per assicurare il ricambio alla classe dirigente”[3]. Come ha scritto Guido Crainz a proposito del libro di Andrea Sangiovanni sulla “parabola operaia nell’Italia repubblicana”, una attenta ricostruzione storica di quegli anni pone due questioni centrali: “il contraddittorio procedere dei processi di modernizzazione (in forme sotterranee prima, e tumultuose poi) e – in questo quadro – il nodo della giustizia sociale”[4].
Arcaismo e modernità coesistevano nell’Italia degli anni ’60 e non casualmente – nota ancora Guido Crainz – “i due libri che sono stati più importanti per il movimento studentesco italiano rimandano a questi opposti poli: l’Uomo a una dimensione di Herbert Marcuse parlava della “confortevole, ragionevole, democratica non libertà della civiltà industriale avanzata”, mentre la Lettera a una professoressa di Don Milani[5] “immergeva con forza in una Italia ancora poverissima e discriminata”[6]. Le maggiori tensioni si esprimevano contro le derive autoritarie del potere imprenditoriale (alcuni operai arrivarono a definire la Fiat come un campo di concentramento), della magistratura (che censurava spesso romanzi e film in difesa della “morale comune” e del “buon costume” degli italiani), dei partiti filo fascisti come l’MSI, degli insegnanti, anch’essi in buona parte formatisi in epoca fascista.
Occorre inoltre riflettere che la scuola dalla quale arrivavano gli studenti che “volevano fare la rivoluzione”[7] e che frequentavano le università nel 1968, era stata quella d’élite, precedente cioè a quella obbligatoria e unica che vedrà la luce solo a partire dal 1963, e che, pertanto, quelli erano giovani appartenenti ad una media e alta borghesia, mossi però da “un apostolato acuto come un tormento”, come avrebbe scritto la grande filologa e critica letteraria Maria Corti. Giovani che sentivano il bisogno di creare ponti con la classe operaia, con la gente semplice, per svecchiare un’Italia per molti versi arretrata, contro vecchi e nuovi autoritarismi. Né i partiti di sinistra, né la cultura accademica, né gli intellettuali furono in grado di comprendere la portata delle istanze di quei giovani, così come non avevano compreso quelle dei loro fratelli maggiori di otto anni prima.
Le prime rivolte giovanili
Il 1960 è un anno spartiacque, che segna l’inizio dei primi scontri violenti tra giovani e polizia, in occasione di imponenti scioperi e manifestazioni a Genova e in altre città. Nel capoluogo ligure viene indetta per il 2 luglio 1960 una mobilitazione imponente contro la convocazione di un congresso fascista, proprio nella città medaglia d’oro della Resistenza. Si organizza un coordinamento e si muovono contatti tra studenti, operai, ex partigiani, mentre a Genova convergono 15.000 uomini dell’ordine. Il 30 giugno viene dichiarato lo sciopero generale con scontri estremamente violenti tra forze dell’ordine e manifestanti che si battono con pietre, bulloni, sbarre di ferro e tra loro i più decisi sono i giovani, tra i quali cominciano a farsi strada i cosiddetti “teddy boys”[8]. Alla fine il congresso dell’MSI non viene più autorizzato, ma il 7 luglio a Reggio Emilia, durante una nuova manifestazione, la polizia spara e uccide cinque operai, e anche a Palermo e Catania il 9 luglio vengono uccisi altri quattro operai. Una reazione di inaudita violenza, guidata dal governo Tambroni e dal ministro degli interni Scelba, che in seguito saranno costretti a dimettersi.
I fatti tragici del luglio 1960 mostrarono un primo tentativo di organizzazione giovanile, operaia e studentesca, al di fuori dei partiti tradizionali, il Pci e il Psi, e dei sindacati. I giornali parlarono dei “giovani dalle magliette a strisce”, quasi a sottolineare la loro estraneità alla classe operaia, quando in realtà erano in molti ad indossare quelle magliette, dai portuali agli studenti universitari. Pertini intervenne a difendere quei giovani affermando: «Libertà, giustizia sociale, amor di patria. Noi siamo decisi a difendere la Resistenza. Lo consideriamo un nostro preciso dovere: per la pace dei morti e per l’avvenire dei vivi, lo compiremo fino in fondo. Costi quel che costi». La distanza generazionale si faceva sentire e quei giovani, nati durante la guerra, si mostravano insofferenti verso una morale troppo rigida, al centro come a sinistra, affascinati in parte dai film americani e dalla “american way of life”[9]. Dall’altra parte, la massiccia emigrazione vede migliaia di giovani sradicati a forza dalla cultura contadina e catapultati nella realtà della grande fabbrica, privi spesso di una memoria partigiana, comune agli operai più anziani del nord Italia, e abituati a considerare il lavoro come “fatica” e non come emancipazione di “classe”; questi giovani matureranno la convinzione che tutto possa essere cambiato e rimesso in discussione.
Il caso de “La Zanzara”
Nel corso degli anni ’60 la nuova generazione di italiani ribelli, politicizzati e anticonformisti, iniziò a maturare gradualmente il distacco dalla generazione precedente, che aveva fatto la Resistenza ma che veniva accusata di non essere riuscita a modificare la società in senso egualitarista. Anche il tentativo dei primi governi di centro-sinistra, con i socialisti che per la prima volta appoggiavano esecutivi a guida democristiana, appariva distante a quei giovani, che si allontanavano da una politica che non riusciva a intercettare i bisogni e le aspettative di profondi cambiamenti economici e sociali. La società dei consumi che si andava affermando anche in Italia non rispondeva al bisogno di una trasformazione dei rapporti sociali, della morale in un paese per molti versi ancora arretrato e con leggi risalenti al periodo fascista.
In questo contesto, di speranze frustrate e richieste di modernizzazione, il caso della “Zanzara” che scoppia nel noto liceo classico Parini di Milano agli inizi del 1966, rappresenta un esempio emblematico e anticipatore delle future contestazioni del movimento studentesco. La Zanzara, giornale scolastico e organo ufficiale dell’Associazione Studentesca Pariniana, che veniva pubblicato dal 1945, il 14 febbraio 1966 decide di pubblicare una inchiesta dal titolo Che cosa pensano le ragazze d’oggi, firmata dal direttore del giornale Marco de Poli, da Claudia Beltramo Ceppi e da Marco Sassano. I tre studenti non immaginavano certo che con quel pezzo giornalistico avrebbero sollevato un caso di rilevanza nazionale e che sarebbero finiti a processo insieme al Preside del Parini. I primi a gridare allo scandalo furono gli studenti cattolici pariniani, che facevano parte di Gioventù studentesca, l’organizzazione cattolica fondata da Don Giussani nel 1954, più tardi confluita in Comunione e Liberazione. Essi denunciarono in un volantino “la gravità dell’offesa recata alla sensibilità e al costume morale comune”.
Di recente, nell’ambito delle rievocazioni di quell’avvenimento, Marco Sassano, oggi giornalista, ha ricordato che quell’inchiesta-sondaggio sulla condizione delle donne avveniva in un Italia in cui non c’era il divorzio, non c’era l’aborto, la contraccezione era un tabù, si diventava maggiorenni a 21 anni. Poche settimane più tardi i tre giovani furono rinviati a processo per direttissima, insieme al preside del Parini Daniele Mattalia e alla titolare della tipografia che stampava il giornale scolastico.
Ma cosa conteneva quell’inchiesta di così tanto grave da smuovere questori, procuratori della Repubblica, il fior fiore degli avvocati e giornalisti finanche stranieri?[10]. Nel presentare l’inchiesta “Che cosa pensano le ragazze d’oggi?”, Marco de Poli nell’editoriale denunciava la difficoltà in Italia di discutere dei temi del matrimonio, del lavoro femminile, del sesso, poiché “sopravvivono in larghi strati della popolazione secolari pregiudizi e un moralismo, che è cosa ben diversa da una salda coscienza morale”. Le risposte delle studentesse del Parini risultano illuminanti ed offrono uno spaccato del bisogno diffuso di libertà e di autonomia dalla famiglia e dalle istituzioni quali la scuola non più rinviabile: “Io posso accettare un consiglio da mio padre solo se è motivato e non perché dice che è il padre e basta!”. E un’altra: “L’educazione sessuale nella scuola, e non solo da un punto di vista medico, è assolutamente necessaria per una modifica della mentalità verso moltissimi problemi quali le ragazze madri, i figli illegittimi, ecc. Non vogliamo più un controllo dello stato e dalla società sui problemi del singolo e vogliamo che ognuno sia libero di fare ciò che vuole, a patto che ciò non leda la libertà altrui. Per cui, assoluta libertà sessuale e modifica totale della mentalità”[11].
Le reazioni della politica e della società civile
Il rinvio a giudizio dei tre studenti scatenò contrasti tra le forze politiche, che giunsero fino in Parlamento. A Palazzo Marino, sede del Comune di Milano, il consigliere socialista Achilli, ex pariniano e ex direttore de “La Zanzara” tra il 1948 e il 1950, proclamava la sua solidarietà ai tre studenti coinvolti, constatando come nella pubblicità, nel cinema e nello spettacolo le tematiche sessuali fossero trattate in modo certamente più grossolano di quanto avessero fatto i tre giovani. Piena solidarietà anche da parte di Antonio Greppi, che era stato il primo sindaco della Milano liberata, e per il quale la vicenda dimostrava che era giunto il momento di modificare in senso più democratico e garantista il codice penale e la legge di pubblica sicurezza.
Si poneva con forza il problema della censura e della repressione della libertà di espressione, come denunciavano tutte le organizzazioni studentesche dei principali licei e istituti superiori di Milano nel volantino con il quale si promuoveva il “Corteo di protesta” del 23 marzo 1966. Parimenti intervennero con una lettera ben 93 professori dei licei e istituti tecnici milanesi in solidarietà col Parini e a difesa della libertà dei dibattiti, pubblicata su “L’Unità” il 17 marzo. In questa si diceva: “Riteniamo che in un Paese in cui si voglia – come spesso si ripete – educare alla libertà per mezzo della libertà, gli educatori debbano assumersi la responsabilità di favorire la libertà dei dibattiti nei giornali studenteschi”.
Ma l’inchiesta giudiziaria andò avanti con metodi piuttosto brutali: il sostituto procuratore dott. Carcasio, arrivò a chiedere ai tre studenti di spogliarsi per controllare se avessero malattie veneree, sulla base di una norma risalente al 1933. Per onor di cronaca, Claudia Beltramo Ceppi si rifiutò di spogliarsi, mentre i due compagni accettarono l’umiliante ispezione. Uno degli avvocati, il prof. Dall’Ora, intese fare ricorso al Consiglio superiore della Magistratura e al procuratore generale di Milano, poiché si trattava di “una norma che risale al 1933, ispirata ai principi del regime fascista, travolta e superata dalla lettera e dallo spirito della Carta Costituzionale”[12]. Finalmente il 2 aprile il tribunale di Milano assolve i tre ragazzi perché il fatto non costituisce reato, e insieme a loro il preside e la responsabile della tipografia. Il Corriere della Sera, nel riportare le motivazioni nel dispositivo di una sentenza che presse ben 53 pagine, ritiene particolarmente significativi i passi che riguardano i giornali studenteschi, la responsabilità della stampatrice e del preside e il reato principale contestato: quello di pubblicazione oscena destinata ai fanciulli o agli adolescenti[13].
Soprattutto, ricordava, il tribunale non può aderire alla tesi secondo la quale l’etica e la morale italiana sono conformi alla religione cattolica; non si può mutuare dall’etica propria di una confessione religiosa, sia pure professata dalla maggioranza degli italiani, un concetto valido per la comunità statale. Il concetto di moralità va inteso in relazione al comune sentimento medio della comunità nazionale, considerato come il sentimento e la sensibilità media di chi vive, con sano equilibrio, nella società del suo tempo”.
Il caso de “La Zanzara” mostrò al mondo intero l’arretratezza culturale di una classe politica e di un sistema di leggi in Italia non più al passo dei tempi, mentre l’insofferenza giovanile si sarebbe mostrata con tutta la sua forza solo qualche mese più tardi, con l’occupazione de “La Sapienza” di Roma e, quindi, con la battaglia di Valle Giulia. Era iniziato il 1968.
Bibliografia
- Nanni Balestrini, Primo Moroni, L’orda d’oro 1968-1977. La grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale, Feltrinelli, 2015
- Andrea Sangiovanni, Tute blu. La parabola operaia nell’Italia repubblicana, Donzelli, 2006
- Don Lorenzo Milani, Lettera a una professoressa, Firenze, 1967
- Herbert Marcuse, L’uomo a una dimensione, Einaudi, 1968
- Eraldo Affinati L’uomo del futuro. Sulle strade di Don Lorenzo Milani, Mondadori, 2016
- Aldo Cazzullo I ragazzi che volevano fare la rivoluzione, 1968-1978; storia di Lotta Continua, Mondadori, 1998
- Canti popolari socialisti e comunisti, a cura di Leoncarlo Settimelli e Laura Falavolti, edizioni Savelli, 1973
- Giampiero Zangrandi, Perché la rivolta degli studenti, Feltrinelli, 1968
Sitografia:
- Gianni Mura, Sono accanto a voi quel volto bianco accanto ai pugni neri, “la Repubblica”, 28 giugno 2012 http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/06/28/sono-uguale-voi-quel-volto-bianco-accanto.html
- Canzone 1960 http://www.ildeposito.org/archivio/canti/e-poi-ci-chiamavano-teddy-boys
- Canzone Grande guerra http://www.ildeposito.org/archivio/canti/il-general-cadorna
- “La Zanzara”, Anno XX, n.3, febbraio 1966
- http://www.liceoparini.org/parini/giornalini/zanzara20/20_3_6.htm
- Articoli di giornali nazionali e internazionali sul caso de “La Zanzara” http://www.liceoparini.org/parini/inserto/zanzara/zanzara.htm
- Don Giussani e “La Zanzara”. Cinquant’anni dopo raccontano ancora le stesse balle, “Tempi”, 13 febbraio 2016 http://www.tempi.it/don-giussani-la-zanzara-cinquanta-anni-dopo-balle#.V4_CLqKYJpA
- “L’Unità”, 17 marzo 1966 http://www.liceoparini.org/parini/inserto/zanzara/660317a-unita.htm
- “The Times” 20 marzo 1966 http://www.liceoparini.org/parini/inserto/zanzara/660320-times.htm
- Testo stenografico del dibattimento nell’aula del tribunale di Milano, tratto da “L’Espresso” http://www.liceoparini.org/parini/inserto/zanzara/processo01.htm
- “La Voce repubblicana” 3 aprile 1966 http://www.liceoparini.org/parini/inserto/zanzara/660403avoce.htm
Testo per gli allievi
I liceali de “La Zanzara”.
L’impetuoso sviluppo industriale che si verificò in Italia tra il 1958 e il 1963 è passato alla storia con il termine “Boom economico”. Esso ebbe tra le sue conseguenze una trasformazione evidente nei consumi, nell’uso del tempo libero (si pensi all’utilizzo sempre più diffuso delle auto), ma anche nei rapporti tra genitori e figli e in una richiesta dei giovani di maggiori libertà nelle relazioni affettive e nei costumi sessuali, con tutti gli inevitabili contrasti generazionali e culturali.
In questo contesto di speranze frustrate e richieste di modernizzazione, il caso della “Zanzara” che scoppia nel noto liceo classico Parini di Milano agli inizi del 1966 rappresenta un esempio storico emblematico e anticipatore delle contestazioni del 1968. La Zanzara, giornale scolastico e organo ufficiale dell’Associazione Studentesca Pariniana, che veniva pubblicato dal 1945, il 14 febbraio 1966 decide di pubblicare una inchiesta dal titolo “Che cosa pensano le ragazze d’oggi”, firmata dall’allora direttore del giornale Marco de Poli, da Claudia Beltramo Ceppi e da Marco Sassano.
Nell’editoriale si denunciava la difficoltà in Italia di discutere dei temi del matrimonio, del lavoro femminile, del sesso e le risposte delle studentesse del Parini risultarono illuminanti, offrendo uno spaccato del bisogno diffuso di libertà e di autonomia dalla famiglia e dalle istituzioni quali la scuola non più rinviabile I tre studenti non immaginavano certo che con quel pezzo giornalistico avrebbero sollevato un caso di rilevanza nazionale e che sarebbero finiti a processo insieme al Preside del Parini, in un Italia in cui non c’era il divorzio, non c’era l’aborto, la contraccezione era un tabù, si diventava maggiorenni a 21 anni. L’inchiesta giornalistica coinvolse nove studentesse del Parini che, come scrisse “The Times”, per la maggior parte condividevano la morale sessuale tradizionale.
I primi a gridare allo scandalo contro “La Zanzara” furono gli studenti cattolici pariniani, che facevano parte di Gioventù studentesca, l’organizzazione cattolica fondata da Don Giussani nel 1954, più tardi confluita in Comunione e Liberazione, supportati dal quotidiano “Corriere Lombardo”, che lanciò in prima pagina col titolo “Scandalo al Parini di Milano”, un articolo nel quale si parlava di “affermazioni pazzesche” delle giovani studentesse.
Al contrario, le organizzazioni studentesche dei principali licei e istituti superiori di Milano, in solidarietà con i tre studenti, denunciarono il problema della censura e della repressione della libertà di espressione, e del processo ne parlarono i giornali italiani e anche internazionali[14]. L’inchiesta giudiziaria andò avanti con metodi piuttosto brutali: il sostituto procuratore dott. Carcasio, arrivò a chiedere ai tre studenti di spogliarsi per controllare se avessero malattie veneree, sulla base di una norma risalente al 1933. Claudia Beltramo Ceppi rifiutò di spogliarsi, mentre i due compagni accettarono l’umiliante ispezione.
Finalmente il 2 aprile il tribunale di Milano assolse i tre ragazzi perché il fatto non costituiva reato, e insieme a loro il preside e la responsabile della tipografia. Era una sentenza che riconosceva le esigenze e i fermenti di una nuova società, ma che rappresentò solo l’inizio di una lunga battaglia che i giovani combatteranno negli anni seguenti per modificare leggi e mentalità di una Italia ancora patriarcale e tradizionalista.
Dossier
Sono stati scelti documenti che mi sembrano rappresentare abbastanza chiaramente la complessa vicenda de “La Zanzara”: una silloge di risposte delle studentesse pariniane dall’inchiesta incriminata e un sintetico ma efficace articolo sulla vicenda della nota giornalista Miriam Mafai, ex partigiana e allora direttrice del mensile Noi Donne. Dal momento che parliamo di uno dei più noti licei classici di Milano, in un periodo storico in cui i licei erano ancora appannaggio di una élite, ho ritenuto opportuno inserire alcune considerazioni polemiche di Don Lorenzo Milani sulla scuola dell’obbligo, che solo nel 1963 era stata riformata. Inoltre ho inserito sia alcuni articoli di giornale, per mostrare come la stampa si gettò letteralmente sulla vicenda creando in breve un “caso” nazionale, sia volantini, immagini dalle manifestazioni, fotografie degli stessi studenti incriminati nell’aula del tribunale di Milano, che possano aiutare gli studenti di oggi a cogliere anche a livello iconico lo scontro politico e ideologico andato in scena in quei mesi.
Documento 1
Di seguito riportiamo alcune risposte dall’inchiesta Che cosa pensano le ragazze d’oggi? e un articolo di Miriam Mafai sulla vicenda processuale che coinvolse i tre studenti del Parini e sollevo un putiferio di reazioni:
1a
“Io posso accettare un consiglio da mio padre solo se è motivato e non perché dice che è il padre e basta!”. “L’educazione sessuale nella scuola, e non solo da un punto di vista medico, è assolutamente necessaria per una modifica della mentalità verso moltissimi problemi quali le ragazze madri, i figli illegittimi, ecc. Non vogliamo più un controllo dello stato e dalla società sui problemi del singolo e vogliamo che ognuno sia libero di fare ciò che vuole, a patto che ciò non leda la libertà altrui. Per cui, assoluta libertà sessuale e modifica totale della mentalità”. “Specialmente nell’amore nessuno dovrebbe agire secondo limiti e regole già prima codificati, ma solo secondo la propria coscienza e la propria volontà”. ”Entrambi i sessi hanno ugualmente diritto ai rapporti prematrimoniali”. “Si può volere molto bene a una persona, però fino a un certo punto, perché ci sono cose che non si può e non si deve assolutamente dare, anche se si ama, al di fuori del matrimonio”.[15]
1b
Cosa pensano nel 1966 le ragazze e i ragazzi del liceo Parini, di Milano, del problema del sesso? <La Zanzara>, il giornale studentesco dell’istituto decide di aprire un dibattito sull’argomento. Le risposte appaiono sul numero che porta la data del 22 febbraio. <Molti rapporti sono esperienze utili> dice una delle intervenute. Un’altra aggiunge: <Entrambe i sessi hanno diritto ai rapporti prematrimoniali>. Una terza <Il divorzio deve esistere anche solo per il rispetto che si deve alla libertà dell’uomo>. Un quotidiano milanese pubblica queste risposte. Ed è subito scandalo. Un deputato liberale rivolge una interrogazione al ministro della Pubblica istruzione per sapere <come intenda intervenire per evitare tali avventate iniziative>. Il preside del liceo viene convocato dal sostituto procuratore della Repubblica. Vengono convocati anche gli studenti responsabili della pubblicazione: Marco De Poli, Marco Sassano, Claudia Beltramo. I tre vengono invitati a spogliarsi per sottoporsi alla visita medica prevista dal codice per i minorenni colpevoli di reato. La ragazza rifiuta, pretende di vedere un avvocato. Adesso lo scandalo cambia tono ed obiettivo. Protestano contro il comportamento del sostituto procuratore un folto gruppo di intellettuali, molti avvocati e giornalisti. Il preside del Parini e i tre studenti sono rinviati a giudizio per il 30 marzo. Il 23, per la prima volta nel dopoguerra, migliaia di studenti scendono in piazza in segno di protesta. Gli imputati, difesi da alcuni tra i più noti avvocati italiani (Giacomo Delitala, Giandomenico Pisapia, Alberto Dall’Ora) verranno assolti, stabilendo quindi il principio che anche sui giornali scolastici è lecito discutere di sesso.
(Miriam Mafai, Noi Donne, 22 febbraio 1966)
Documento 2
Volantino di protesta degli studenti cattolici legati a Don Giussani
Di recente la rivista di Comunione e Liberazione “Tempi” ha pubblicato un articolo polemico sulle accuse che allora furono lanciate contro “Gioventù studentesca”, riproponendo una intervista dello stesso Don Luigi Giussani su quei fatti.
http://www.tempi.it/don-giussani-la-zanzara-cinquanta-anni-dopo-balle#.V4_CLqKYJpA
Documento 3
Per leggere l’articolo integralmente: http://www.liceoparini.org/parini/inserto/zanzara/660317a-unita.htm
Documento 4
http://www.liceoparini.org/parini/inserto/zanzara/660320-times.htm
Documento 5
Di seguito uno stralcio dal testo stenografico del dibattimento tratto dall’Espresso. Per una lettura integrale: http://www.liceoparini.org/parini/inserto/zanzara/processo01.htm
Documento 6
Manifestazione in difesa dei tre studenti e della libertà di stampa
Documento 7
Documento 8
(La Voce repubblicana 3 aprile 1966). Per una lettura integrale dell’articolo:
http://www.liceoparini.org/parini/inserto/zanzara/660403a-voce.htm
Documento 9
Se si perde loro (gli ultimi) la scuola non è più scuola. E’ un ospedale che cura i sani e respinge i malati… La scuola ha un problema solo. I ragazzi che perde. La vostra “scuola dell’obbligo” ne perde per strada 462.000 l’anno. A questo punto gli unici incompetenti di scuola siete voi (insegnanti) che li perdete e non tornate a cercarli…. Non c’è nulla che sia ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali… (Alla scuola di Barbiana) non c’era ricreazione. Non era vacanza nemmeno la domenica. Nessuno di noi se ne dava gran pensiero perché il lavoro è peggio. Ma ogni borghese che capitava a visitarci faceva polemica su questo punto. […]. Lucio che aveva trentasei mucche nella stalla (da sconcimare ogni mattina) disse:” La scuola sarà sempre meglio della merda”…. Conoscere i ragazzi dei poveri e amare la politica è tutt’uno. Non si può amare creature segnate da leggi ingiuste e non volere leggi migliori.
(frasi tratte da Don Lorenzo Milani, Lettera a una professoressa)
Attività didattica
- Contestualizzazione
– Ricava dal manuale scolastico gli eventi storici più importanti della contestazione giovanile nella seconda metà degli anni ’60 e costruisci una retta cronologica. Cerca i possibili collegamenti fra quegli eventi storici e i documenti inseriti nel dossier.
- Rapporto fra testo e documenti
– Sia nel testo sia nei documenti proposti (articoli, pagine di giornali, volantini) si evincono alcuni motivi ricorrenti nelle rivendicazioni dei giovani degli anni ’60. Quali sono?
– Prova a descrivere, sulla base del testo e dei documenti, le ragioni che opposero gli studenti del Parini che pubblicarono l’inchiesta agli studenti cattolici legati a Don Giussani.
– Quali articoli della Costituzione furono violati chiedendo ai tre giovani di spogliarsi per una visita corporale?
- Lavoro sui documenti
– Quali tra le immagini riportate nel dossier (fotografie, volantini e prime pagine dei giornali) ritieni maggiormente significative e perché?
– Leggi con attenzione gli stralci dal dibattimento presentati nel documento 5 e commentali.
– Nel documento 4 che riporta l’articolo dell’autorevole giornale britannico “The Times” compaiono interessanti considerazioni sul caso de “La Zanzara”. Leggilo con attenzione e evidenzia quelle che ti sembrano più significative.
– I documenti 6 e 7 mostrano istantanee dentro e fuori dall’aula del tribunale di Milano. Quali impressioni ne ricavi?
- Integrazione del testo
– Gli stralci da Lettere a una professoressa nel documento 9 evidenziano una severa critica di Don Milani della scuola classista dell’epoca. Pensi che alcune di quelle considerazioni possano valere ancora oggi?
– Nella tua famiglia vi sono persone (nonni, zii più anziani) che ricordano la vicenda de “La Zanzara”?
– Le affermazioni delle studentesse del Parini nel 1966 sollevarono uno “scandalo” di livello nazionale. Come costruiresti un’inchiesta sui tuoi coetanei oggi? Pensi che la società italiana attuale sia ancora arretrata su certi temi cari ai giovani?
Il caso de “La Zanzara” e gli studenti di un liceo nel 2017
Il caso de “La Zanzara” è stato proposto in una classe quinta liceo, come evento significativo per avvicinare gli studenti a quel periodo di grandi cambiamenti sul piano del costume, della mentalità e dei diritti rappresentato dagli anni Sessanta.
La vicenda si è rivelata particolarmente indicativa ed efficace in quanto alcuni ragazzi della classe sono stati impegnati nel corso dei cinque anni nella redazione del giornalino scolastico e proprio per questo si sono sentiti particolarmente coinvolti.
Dopo un esame generale degli eventi principali di quegli anni (dalle rivolte dei “ragazzi con la maglietta a righe” del luglio 1960, alle principali riforme del Centrosinistra, in particolare l’istituzione della Scuola Media Unica), gli studenti hanno analizzato i documenti proposti nel Dossier ed è stato loro chiesto di commentare quelli da loro considerati più significativi. I ragazzi hanno concentrato la loro attenzione sulla tipologia di domande e risposte dell’inchiesta, ai loro occhi di studenti del 2017 assolutamente “innocue”, legittime e prive di qualsiasi elemento che possa essere in contrasto con il comune sentire.
Occasione di riflessione sono state le affermazioni contenute nel volantino di protesta di “Gioventù Studentesca”, in cui ci si appella a un “… elementare senso di libertà e democrazia (…) nel tentativo di eliminare dalla nostra convivenza ogni espressione di violenza”. Si è aperto quindi un dibattito su cosa significhi libertà d’espressione, democrazia e violenza in una società pluralista come quella in cui viviamo, dove, nel rispetto dei principi fondamentali della vita civile, convivono diverse posizioni etiche: è violenza esprimere le proprie concezioni in merito alla sessualità? O è violenza censurarle, in nome di una visione comune? Chi si può arrogare il diritto di prescrivere i “comportamenti corretti” nella sfera dei comportamenti individuali? E’ giusto impedire l’uso del burkini?
Sollecitati a pronunciarsi su cosa potrebbe oggi suscitare scandalo, gli studenti hanno posto l’attenzione sul tema dell’omosessualità e hanno evidenziato come su tale problema, a loro parere, la società italiana sia ancora arretrata. Si sono richiamati, a questo proposito, a un articolo pubblicato sul loro giornalino scolastico, nel quale l’autore sosteneva la “non naturalità”, e quindi la condannabilità, dell’omosessualità, articolo seguito da numerosi interventi in risposta a tali considerazioni. Sul tema c’è stato quindi un libero confronto, ma gli studenti si sono dimostrati convinti che se avessero proposto un’inchiesta sul modello di quella de “La Zanzara”, ma incentrata sull’omosessualità, ci sarebbero state proteste simili a quelle di allora, anche se senza denunce penali.
A queste riflessioni si è aggiunta l’idea di elaborare un questionario, sul modello di quello del 1966, magari proponibile in futuro alla redazione del giornalino, e del quale “Novecento.org” non mancherà di dare conto.
Note:
[1] Qualche anno fa Gianni Mura ha così ricordato quell’immagine che fissa per sempre un gesto di sfida epocale dei due atleti di colore, cui si associò con coraggio l’unico bianco sul podio, l’australiano Peter Norman: “Bisogna sforzarsi di non guardare i due a testa bassa, il pugno chiuso alzato in un guanto nero, calze nere e niente scarpe, sul podio. Bisogna concentrarsi sull’atleta di sinistra, bianco, lo sguardo dritto, le braccia lungo i fianchi. Bisogna ricordare alcune cose, di quel 1968 perennemente associato al Maggio francese. Il 16 marzo il massacro di My Lai, il 4 aprile l’assassinio di Martin L. King, il 5 giugno tocca a Bob Kennedy. Aggiungiamoci il Biafra, i carri armati sovietici sulla primavera di Praga, la strage di piazza delle Tre Culture poco prima che cominci l’Olimpiade messicana (…) Appena giù dal podio la loro carriera sarà finita, bruciata, e la vita un inferno. Ma loro non lo sanno e, se lo sanno, non gliene importa. Non erano due neri e un bianco a chiedere rispetto e giustizia su quel podio, erano tre esseri umani. «Sono affari vostri», poteva dire Norman, ma non lo disse e non si pentì mai, e gli altri due nemmeno. Tutte cose che la foto non dice.…” http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/06/28/sono-uguale-voi-quel-volto-bianco-accanto.html
[2] Quello stesso giorno il ministro dell’interno Paolo Emilio Taviani, ex partigiano medaglia d’oro della Resistenza, riferì alla Camera e disse: “so anch’io che i problemi dell’università non si risolvono con la polizia. Ma debbo dire che fino a quando rimarrò a questo posto, le forze dell’ordine non daranno in nessun caso quell’impressione di vuoto di potere che dettero nel 1922 e che furono tra le cause che portarono al fascismo».
[3] Nanni Balestrini, Primo Moroni, L’orda d’oro 1968-1977. La grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale, Feltrinelli, 2015, p.15. La 1° edizione di questo “classico” sul decennio rivoluzionario fu pubblicato nel 1988.
[4] Andrea Sangiovanni, Tute blu. La parabola operaia nell’Italia repubblicana, Donzelli, 2006, p.VIII.
[5] Don Lorenzo Milani, Lettera a una professoressa, Firenze, 1967. La figura di Don MIlani è sempre attuale e ancora presente nel nostro tempo. Si veda l’ultimo libro di Eraldo Affinati L’uomo del futuro. Sulle strade di Don Lorenzo Milani, finalista al premio Strega. Affinati ha cercato l’eredità spirituale di don Lorenzo nelle contrade del pianeta dove alcuni educatori isolati, insieme ai loro alunni, senza sapere chi egli fosse, lo trasfigurano ogni giorno.
[6] Andrea Sangiovanni, ivi, p.XI
[7] Uso volutamente tale espressione in riferimento al volume di Aldo Cazzullo I ragazzi che volevano fare la rivoluzione, 1968-1978; storia di Lotta Continua, pur consapevole che la storia di Adriano Sofri e compagni prese una piega diversa rispetto a quanto preconizzato da molti giovani universitari di allora, che non pensavano affatto alla lotta armata e al terrorismo.
[8] Si facevano chiamare “teddy Boys” alcuni gruppi giovanili apparsi tra il 1960 e il 1961 in alcune città del nord Italia, provenienti per lo più dai quartieri periferici , identificabili dai giubbotti di pelle nera, jeans e foulard indossati da Marlon Brando, nel film cult Il selvaggio del 1953. La rivolta del luglio ’60, con l’insurrezione dei giovani con le magliette a strisce (un capo di abbigliamento tipicamente giovanile dell’epoca). A proposito di quel 30 giugno 1960 si veda la canzone popolare composta nel 1963 E poi ci chiamavano teddy boys, raccolta nell’antologia di Canti popolari socialisti e comunisti curato da Leoncarlo Settimelli e Laura Falavolti per le edizioni Savelli nel 1976. Il testo era cantato significativamente sulla melodia delle Strofette del Generale Cadorna, canto antimilitarista dei tempi della Grande Guerra. Cfr. i due testi su http://www.ildeposito.org/archivio/canti/e-poi-ci-chiamavano-teddy-boys e http://www.ildeposito.org/archivio/canti/il-general-cadorna
[9] Lo storico Ruggero Zangrandi in un interessante opuscolo scritto a poche settimane dalla battaglia di Valle Giulia nell’aprile del 1968, nel tentativo di interpretare quel movimento esplosivo, si chiedeva come dalla generazione della fine degli anni cinquanta, nel complesso disimpegnata e protesa all’integrazione e ai consumi resi disponibili dal Boom economico, fosse venuto “il primo guizzo di rivolta politica e civile, di impronta anche violenta: quella che fu detta delle magliette a strisce”, coi moti che da Genova si espansero ovunque nell’estate del 1960. Ancora più singolare fu che, così come non si seppe individuare la provenienza di qui giovani in canottiera a righe, constatava Zangrandi, se ne persero subito le tracce Cfr. Giampiero Zangrandi, Perché la rivolta degli studenti, Feltrinelli, 1968.
[10] Perfino “The Times” il 20 marzo riportava la vicenda del Parini in un articolo dal titolo: Italian storm over student’s sex inquiry.
[11] M. Sassano, M. De Poli, C. Beltramo Ceppi, Che cosa pensano le ragazze d’oggi, in “La Zanzara, organo del centro studentesco pariniano”, Anno XX, n.3, febbraio 1966, p.6.
Il testo integrale in http://www.liceoparini.org/parini/giornalini/zanzara20/20_3_6.htm.
Per una disamina di buona parte dei titoli e degli articoli dei giornali italiani e internazionali sulla vicenda, si veda http://www.liceoparini.org/parini/inserto/zanzara/zanzara.htm
[12] Invero illustri giuristi impugnarono l’articolo 13 della Costituzione che sancisce “l’inviolabilità della persona umana”. Tra gli avvocati anche Carlo Smuraglia, ex partigiano e attuale presidente del’Anpi nazionale.
[13] L’articolo integrale del Corriere della Sera in: http://www.liceoparini.org/parini/inserto/zanzara/660414-corriere.htm
[14] Perfino “The Times” il 20 marzo riportava la vicenda del Parini in un articolo dal titolo: Italian storm over student’s sex inquiry. Si veda il documento 4 del Dossier.
[15] M. Sassano, M. De Poli, C. Beltramo Ceppi, Che cosa pensano le ragazze d’oggi, in “La Zanzara, organo del centro studentesco pariniano”, Anno XX, n.3, febbraio 1966, p.6-7