Linguaggi di ieri e di oggi: la canzone italiana del XXI secolo e le generazioni 2.0
Abstract
Un testo molto breve e spigliato cerca di trasformare in oggetto di studio il prodotto di consumo per eccellenza dei ragazzi. Gli allievi vengono, in seguito, guidati a capire come, confrontando testi degli anni ‘60 e odierni, sia possibile intuire, e introdurre lo studio di alcuni grandi cambiamenti, non solo dell’universo giovanile.
Premessa
Molti sottovalutano la capacità che ha una canzone di raccontare la storia che le gira intorno, per parafrasare un vecchio successo di Fossati. Errore. Il potenziale è molto più grande di quanto si pensi: è tascabile, breve, immediata e si muove su note, spesso gradite ai più. In questo testo abbiamo analizzato come, attraverso canzoni degli anni ’60 e degli anni 2000, sia cambiato il linguaggio, il modo di fare, di dire, di essere, usi, costumi. Trasformazioni di generazioni diverse messe a confronto, soprattutto sulle strade del linguaggio amoroso.
Testo per docenti
Il rapporto tra canzone e poesia è un vecchio refrain che non abbiamo più voglia di ascoltare. Troppo spesso si sono accostati i testi dei cantautori odierni alla forma poetica, troppo spesso questa idea è stata rispedita al mittente. Molto più interessante, a nostro parere, immaginare la forma canzone tout-court, come codice, strumento di espressione e di interpretazione delle generazioni tutte. Specialmente dei giovani, se si lavora a scuola con platee variegate. Non crediamo esista, oggi, un allievo, tra i 10 e i 18 anni, sprovvisto di i-pod e cuffiette o di cellulare con memoria allargata per contenere musica. Tutti i ragazzi ascoltano musica, tutti hanno una playlist e uno strumentino da portarsi dietro per strada, in autobus, in spiaggia, dentro il quale, come in una scatola nera segretissima, ritrovare universi sonori sconfinati che parlano chiaramente di sé.
Ma quale musica ascoltano i ragazzi del XXI secolo? Di che si nutrono? Quali messaggi ricevono e ritrasmettono in forma di linguaggio e di pensiero? Cosa risuona nelle orecchie e, di conseguenza, nel loro modo di fare e di essere e come è cambiato quest’ultimo aspetto, rispetto ad un passato prossimo, calato, all’incirca cinquanta anni fa? Che stili, che note, che grandi temi occupano i loro interessi? Da sondaggi fatti sul campo (sono un’insegnante di italiano in un CPIA) nelle mie classi e in venti classi campione, di tutti gli ordini di scuola, dalle medie ai licei classici e scientifici, fino agli istituti tecnici e professionali, il panorama è eterogeneo e altamente interessante.
Dimmi quando, quando, quando.
Iniziamo dal quando, when, una delle cinque doppiavvù che saltano fuori a chiunque acquisti il kit del perfetto giornalista. Capire il quando, per andare al come, passando dal dove, per capire il perché. Ne manca una: what, il cosa, ma è la canzone stessa, che suonerà nelle righe a venire. Il quando è sempre. Sia per moda che per mood, avere la musica nelle orecchie per i ragazzi di oggi (come cantava un noto brano sanremese degli anni ’80) è una abitudine. E lo si fa, tendenzialmente, per tre motivi diversi, secondo quanto dichiarato dagli studenti stessi:
1. quando si è felici, per accrescere la sensazione di benessere;
2. quando si è in viaggio, o in cammino anche solamente verso la scuola, per scacciare la noia e il vuoto;
3. quando si è giù di corda, per favorire il relax.
Sembra molto banale, ma in realtà non lo è. Tutti e tre i motivi non implicano quasi mai una scelta. La musica non è, per loro, una ricerca, una curiosità, ma una specie di comunione da assumere per lenire gli affanni, per dimenticare o annullare sensazioni di malessere. Non si conoscono, spesso, contesto e ambiente del musicista di turno, non si esce da un recinto fatto di contemporaneità, perché andare indietro nel tempo è da vecchi bacucchi, non si mastica un linguaggio musicale. Si conoscono, però, a menadito i testi. E questo è l’elemento su cui lavorare.
Dove dov’è
Il dove ha una funzione dirimente in questo discorso e per nulla trascurabile. Se cinquant’anni fa il dove era solo ed esclusivamente il negozio di dischi, oggi per procurarsi della musica si va in rete. Il mercato piange, alcune case discografiche investono, pur di mantenere un assetto tradizionale e storico, spesso perdendoci grosse somme, ma non c’è altro luogo che internet per un giovanissimo. La rivoluzione operata da youtube, che ha messo a disposizione di tutti noi perle rare e meraviglie di ogni sorta, ha sortito effetti diversi. Più in alto si va con l’età, in una immaginaria scala cronologica dai trenta in su, più youtube è fonte di ricerca maniacale, feticista e asservita al recupero di un passato a volte noto da risvelare, a volte immaginato solo attraverso i vinili (un esempio su tutti: i concerti dei Beatles); se quella scala si percorre però al contrario, scendendo dai trenta, fino ai dodici anni circa (periodo in cui gli adolescenti iniziano, all’incirca, ad avere libero accesso dai genitori al mezzo), la musica cambia.
E non è solo un gioco di parole. Non vi è ricerca, come si diceva poco più su, ma casualità. I ragazzi attingono a volte per generi, quei pochi che conoscono e che vanno in tv al momento, altre volte per nome di artista. In alto a destra, nella home di youtube, c’è un tastino: spostando la levetta, dopo aver digitato nella stringa della ricerca qualcosa, si passa in shuffle, per attivare la “ripoduzione casuale”; questo presuppone che, se nella mia preferenza ho indicato una canzone di Fedez, i successivi brani che arriveranno saranno del genere simile, o della casa discografica di appartenenza. Il mercato qui non piange, ma gode grandemente attraverso le visualizzazioni. E la musica, in questo senso, la definiamo “subita” e non cercata.
I canali di youtube, personalizzati, aumentano, e la rete dà visibilità a prescindere, senza troppo filtro. Nascono gli youtuber, che in men che non si dica, entrano a gamba tesa nel circuito, accumulando clic e facendo le scarpe a Michel Jackson e a Bob Dylan.
Naturalmente non tutto quello che gira intorno è spazzatura, anzi. Molti giovani artisti talentuosi con le condivisioni facebookiane, i likes, i canali streaming e youtube stesso, hanno avuto il meritato successo. Altre volte, sul podio, ci sono finiti bellocci dalla vocina più che comune, che hanno giovato di una presenza in video planetaria e su questa, grazie alla modalità televoto, costruito una carriera. In fondo, Tony Dallara (come tanti altri) aveva una gran voce, ma non essendo proprio un adone, avrebbe avuto davvero pochi clic. La fortuna di essere infilato in un 45 giri era anche questa. I tempi cambiano. I modi anche.
A chi?
A chi è rivolta l’attenzione musicale dei giovani, oggi, quando parliamo di canzone italiana? Da quello che emerge dai sondaggi, dallo screening delle loro playlist, dai discorsi che fanno, dai cappellini che indossano e dal linguaggio utilizzato poi nei temi e nelle espressioni confidenziali, si possono individuare quattro grandi macrocategorie:
1. quella dei neomelodici napoletani. Schiere di alunni ascoltano, a sorpresa, la scena melodico-trash, abitata da giovani cantanti figli putativi di Nino D’Angelo, o il nuovo panorama rap partenopeo il cui protagonista più acceso è Rocco Hunt;
2. quella cantautorale, erede inevitabile della scena più nota della canzone italiana anni ’70 e composta da singoli protagonisti o gruppi che rispondono ai nomi di: Dente, Baustelle, Afterhours, Marta sui tubi, Brunori Sas, I cani, I ministri, Lo stato sociale, I verdena, ecc. ha ammiratori, però, tra i ragazzi più grandi (17/18 anni) e appartenenti a una fascia medio-alta di istruzione (allievi dei Licei);
3. quella dei cosiddetti “figli dei Talent show”, ragazzi vincitori di programmi televisivi, configurati come gare di canto, e balzati alla notorietà grazie al potente mezzo della immediata visibilità in tv e del televoto da casa: Alessandra Amoroso, Emma Marrone, Francesca Michielin, Lorenzo Fragola, Marco Carta, Marco Mengoni, ecc.. Sono i preferiti soprattutto del pubblico femminile;
4. quella dei rapper, degli hip hopper e degli youtuber. È forse lo scenario più seguito, “quello che spacca”, per usare lo slang giusto, quello che senza filtro e senza indugio (anche troppo) dipinge (a detta loro) alla perfezione sentimenti e sensazioni di questa generazione. I nomi? Fedez, Emis Killa, J ax, Salmo, Nitro, Gemitaiz, Benji e Fede.
Come si cambia
E già, perchè, se i libri di letteratura italiana che si usano a scuola hanno ormai tra le pagine i cantautori nostrani, posizionati subito dopo la triade d’attacco Svevo/Montale/Ungaretti, a cui a stento arrivano i maturandi, stirando i giorni di giugno, (Quasimodo, ahinoi, resta in panchina, mentre Saba è del tutto esonerato), qualcosa vorrà dire. Le canzoni e i loro autori ci parlano, ci raccontano la storia, offrono bozzetti e macchie di colore che assumono le tinte e i simboli dei partiti, o sfumature ideologiche imperanti, o indossano capigliature e abiti secondo la moda del momento. Tracciano sentieri e prestano il fianco, lasciando indelebili ritratti del periodo in cui sono composte. Così era per quelle di cinquanta anni fa, così è per quelle del XXI secolo. Ciò che ascoltano oggi i ragazzi è uno specchio riflesso inevitabile: si canta come si parla, usando linguaggi stringati, pieni di inglesismi e contrazioni (hasthag, account, privè), per raccontare, a loro volta, la sintesi di un sentimento che spesso si traduce in uno scambio via whatsapp. Si rappa, si strippa, si parla di chiche (e non di ragazze), si chatta con la tipa da andare a prendere per portare all’apericena; si posta, si tagga e la grande condivisione internettiana accoglie ansie, amorazzi e mostra tatoo appena fatti. È storia. E qualcuno una volta cantava proprio che la storia siamo noi.
Facciamo un esempio. Se nel 1970 Massimo Ranieri, con timore e pudicizia da corteggiatore ingiacchettato, comunque lanciatissimo e deciso alla riconquista – e soprattutto con una voce che avrebbe convinto chiunque – compra (attenzione al verbo) e regala ad una lei rose rosse che le avrebbero parlato di lui, aggiungendo una chiara dichiarazione d’amore a chiosa della strofa, nel 2009 Dente, al secolo Giuseppe Peveri, scapigliatissimo cantautore, che cela romanticismo puro sotto una grande dose di autoironia, scrive nel verso d’inizio di Beato me: «comprati un mazzo di fiori, che poi ti do i soldi». Come dire: i fiori restano, ma i modi cambiano. E i linguaggi pure. L’amore rimane sempre quello, si spera, ma si canta e si racconta a seconda del qui e ora. E così la storia. Uomo del mio tempo, recitava Quasimodo dalla panchina a bordo campo.
La scelta dei testi
Le canzoni scelte per il testo degli studenti mostrano una chiave di lettura legata al fenomeno dilagante e, a nostro parere, non poco preoccupante del cambio di atteggiamento dei giovani di oggi nei confronti dell’amore. Ma non solo. La modalità social, l’uso sfrenato della tecnologia, i cellulari perennemente connessi hanno creato una bolla di solitudine e abulìa in cui i ragazzi si rifugiano pur se in modo inconsapevole. Immaginano un mondo idealizzato, lo guardano attraverso uno schermo, lo corteggiano, ma spesso non ne sono o non se ne sentono all’altezza. Le richieste sono moltissime e anche alte e generano ansie notevoli: si richiedono fisici pieni di muscoli e privi di cellulite, vite da divi del cinema, prestazioni sessuali esperte, tenori di vita non consoni all’età adolescenziale. Le tappe si bruciano presto, tutto è scopribile facilmente attraverso l’amico “Google”, nulla si attende, si spera, si ottiene a fatica. Questo, nel cambio di linguaggio ha influito in maniera dirimente, e il linguaggio, come si diceva poco più su, è specchio dei tempi in corso.
Spiegazione dei materiali per lo studio di caso
Si tratta di frammenti di sei testi di canzoni appartenenti ad anni diversi, raccolti a coppie, per tema, con l’intento di creare un diretto parallelo tra gli anni ’60 e gli anni 2000, evidenziandone cambi di costume e di linguaggio.
Doc. 1
Beato me è una canzone del 2009, tratta dall’album L’amore non è bello. A cantarla e ad averla scritta è Dente, fiorentino, al secolo Giuseppe Pevieri, che compare sul palco nella ultimissima scena cantautorale italiana conservando il nomignolo affibbiatogli da suo zio quando, era piccolo. Il suo stile è al tempo stesso ironico e romantico ed è dalla critica avvicinato a quello di Rino Gaetano, Francesco De Gregori, Ivan Graziani.
Doc. 2
Rose rosse è un brano famosissimo, del 1969, di Bigazzi-Polito e cantato da Massimo Ranieri. Eseguito per la prima volta a Canzonissima, dove ne viene immediatamente decretato il successo.
Doc. 3
Account a te è un rap di Fedez, al secolo Federico Leonardo Lucia, cantante e produttore discografico che si è fatto strada attraverso il canale di youtube e come giudice in un noto talent show televisivo. Il suo stile è spesso provocatorio e i suoi rap raccontano la realtà dei giovani d’oggi.
Doc. 4
Come sinfonia è un brano con cui Pino Donaggio esordisce a Sanremo nel 1961. La canzone, ricantata da Teddy Reno e da Mina, ottiene un enorme successo, arrivando primo in classifica per tre settimane di seguito.
Doc. 5
A cena dai tuoi, brano composto e cantato da altro rapper dei giorni nostri, Emis Killa, al secolo Emiliano Rudolf Giambelli, classe 1989. Sin da piccolo ama il genere e ben presto si aggiudica un premio come campione di free style, quella tecnica di composizione libera di versi rap, tipica di una scena undergrond americana.
Doc. 6
Se puoi uscire una domenica sola con me è un pezzo del 1964, di Zambrini – Guardabassi. Portato al successo da Gianni Morandi, era il lato B del 45 giri, sul cui lato A trionfava In ginocchio da te.
Testo per gli studenti
Che coss’è l’amor?
Non è un errore quella doppia esse che si legge nel titolo, ma solo la maniera buffa e incisiva di porsi una delle domande più difficili a cui rispondere da quando l’uomo è comparso sulla terra. Ed è anche il titolo di una canzone di Vinicio Capossela, cantautore che con l’amore ha sempre fatto squadra. Fiumi di righe sono stati scritti in letteratura, milioni di canzoni hanno girato su accordi e chitarre. Rispondere è arduo e soprattutto molto soggettivo. Quello che invece vogliamo provare a fare è indagare sui modi e i linguaggi dell’amore. Su cosa cinquanta anni fa ci si aspettasse da una donna (e da un uomo), come la si corteggiasse, con quali frasi, gesti, attenzioni e cosa sia cambiato oggi. A leggere i testi delle canzoni, molto. Già, perché se i nostri genitori (i vostri nonni) aspiravano a un bacio sulla bocca, dato di straforo dietro un angolo di strada, nel momento in cui la fanciulla sfuggiva alla sorveglianza dei suoi, oggi le ragazze hanno molte possibilità di essere in contatto con il corteggiatore di turno e non bisogna certo attendere l’uscita di scuola per vedersi, o la passeggiata domenicale. Quasi tutti i ragazzi posseggono un cellulare, con la connessione attiva ventiquattro ore su ventiquattro, hanno account di posta elettronica, profili facebook, chat a portata di dito. Ci si sente, ci si scrive molto, ci si può anche scambiare una foto e valutare, dai profili online, se chi ci scrive ha un bel visino o meno. Questo non avveniva negli anni ’60. Era assolutamente impensabile. La realtà di una famiglia tipo prevedeva spesso un padre che lavorava, una mamma casalinga e dei figli educati in maniera rigorosa.
Inevitabile il cambio di registro. Ai fiori regalati per galanteria si sono sostituiti cuoricini e faccine innamorate che corrono sui fili del wifi; al desiderio ardente di correre sotto un portone anche solo per sfiorarsi, è subentrata la web cam; scomparsa del tutto la tipica bugia dell’uscita con la migliore amica, da sparare ai propri vecchi per vedere il moroso, perché oggi ci si incontra comodamente a cena della fidanzata.
E la canzone, che si muova in valzer o sulle righe di un rap, ci racconta tutto questo in maniera impeccabile.
Documenti
Doc. 1. Grazie dei fior. Dente e Massimo Ranieri
Comprati un mazzo di fiori che poi ti do i soldi
cerca di farti bella più bella di quello che sei
muoviti fai presto che ti voglio vedere
non sbagliare via e porta qualcosa da bere
quando sei qui con me questa stanza non ha più pareti
appena te ne vai olocausto di tutti i poeti
(Beato me, Dente. 2009)
Forse in amore le rose
non si usano più,
ma questi fiori sapranno
parlarti di me.Rose rosse per te
ho comprato stasera
e il tuo cuore lo sa
cosa voglio da te.D’amore non si muore
ma chi si sente solo
non sa vivere più.
Con l’ultima speranza
stasera ho comprato
rose rosse per te.
(Rose rosse, Massimo Ranieri. 1969)
Doc. 2. Resta cu’ mme’: Fedez e Pino Donaggio
La tua foto profilo è sempre account a me
Una farfalla finita nella rete in un mare di nerd
Quelle tue espressioni strane con quel non so che di insolito
Ti giuro solo tu mi fai provare certe emoticon
Quando skypiamo insieme lo facciamo a luce spenta
Anche se poi non vedo un cazzo nel riquadro della webcam
Una finestra sul PC sarà la nostra suite
Ti regalo una stella ma a te bastava anche un retweet
Ma quale vita atletica, io passo la domenica
(Account a te)
PC con quattro terabyte, raffreddamento ad elica
(Account a te)
Guardiamoci un bel film, ti sto passando il link
(Non c’è un perché)
dai connettiti a FaceTime e per sempre resterai
(Account a me)
(Account a me, Fedez. 2014)
Sogno… Sogno…
e tu sei con me
chiudo gli occhi
e in cielo splende già
una luce.
Ah…
Io sogno…
D’esserti vicino e di baciarti
e poi svanire
in questo sogno irreale.
Lassù
sento gli angeli che cantano per noi,
dolcemente… dolcemente…
È un canto fatto di felicità !
Ah…
Ascolto
e ti vedo ancora più vicina
la musica che sento
è come sinfonia;
il coro degli angeli
mi fa sognare ancora
io vorrei, io vorrei
che questo sogno fosse realtà.
Ah…
Realtà, d’un sogno d’amor…
(Come sinfonia, Pino Donaggio. 1961)
Doc. 3. Fatti mandare dalla mamma: EmisKilla e Gianni Morandi
Ho l’ansia già dalle sei
perché stasera mi porti dai tuoi
hai detto che devo dargli del voi
perché sono all’antica, cos’è Medioevo? Ma ok
entro Emiliano piacere
tuo padre mi invita a sedere
e poi dice sai, mia figlia mi ha detto di te
della tua industria di caffè a Saint Tropez
io ti guardo tipo eh, che hai detto di me?!
non sanno che campo col rap?
Intanto tua mamma mi guarda i tattoo
chissà se sapesse che sotto ne ho molti di più
poi mi chiede fai sport? Di dove sei?
Dove vi siete conosciuti tu e lei?
Io dico al concerto di Lana Del Rey
anche se eravamo tutti ubriachi ad un rave
non sanno nulla di noi
di quello che vuoi tu dì quello che vuoi
ma tuo padre ti guarda come fossi una santa cioè
cosa pensa che facciamo quando dormi da me, eh?
(A cena dai tuoi, Emis Killa. 2013)
Se puoi uscire una domenica sola con me
mi porterò la Cinquecento di papà
t’aspetterò col batticuore e sai perché
ti porterò con gli amici
no no no no, a ballare
no no no no sulla spiaggia
ma soltanto per baciarti in riva al mare
mare mare mareDi pure ai tuoi che viene Elvira,
insieme a noi, di lei si fidano di certo,
ma non di me
poi dopo un po’ la scarichiamo e sai perché
ti porterò con gli amici
no no no no a ballare
no no no no sulla spiaggia
ma soltanto per baciarti in riva al mare
mare mare mare
(Se puoi uscire una domenica sola con me, Gianni Morandi. 1964)
Attività didattica
-
Dopo aver letto il testo, analizza i documenti. Vedrai chiaramente che sono frammenti di testi di canzoni, suddivisi in tre coppie. Tre di loro sono afferenti agli anni ’60 e tre agli anni 2000.
Cerca in rete le foto dei cantanti interpreti dei brani e identificali fisicamente, soprattutto se i loro nomi non ti dicono nulla.
Poi cerca i brani su youtube e, dopo averli ascoltati e guardato il filmato, prova a confrontare abiti, pettinature, modi di fare, stilando un elenco delle differenze tra i cantanti, per mettere a confronto le generazioni.
-
Lavora adesso sui testi. Puoi anche scegliere una sola coppia di canzoni delle tre fornite, o lavorare su tutte. Trova le parole comuni tra i testi e cerca di mettere in evidenza il modo differente in cui vengono utilizzate.
Ti facciamo un esempio: la parola “rose” compare sia nel brano di Massimo Ranieri, che in quello di Dente, ma è inserita in due contesti diversi. Prova a spiegare come.
-
I testi di Fedez e di EmisKilla contengono molti termini derivanti da slang o linguaggio quotidiano degli anni 2000. Cercali, elencali e prova a spiegarne il significato ad un ragazzo degli anni ’60, costruendo un dialogo immaginario senza tempo: tieni conto che lui non sa nemmeno cosa sia un pc. Devi essere preciso, come con un marziano che proviene da un altro pianeta.
-
Prova adesso a rispondere alla domanda chiave: “che cos’è l’amor”, scrivendo il testo di una canzone. Puoi usare lo stile anni ’60, o quello degli anni 2000, o ancora meglio, mescolarli entrambi.