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8 settembre 1943: morte della Patria, nazione allo sbando o occasione di riscatto?

8 settembre 1943: morte della Patria, nazione allo sbando o occasione di riscatto?

Quale significato possono avere oggi la memoria o il ricordo dell’8 settembre? Quale senso ha studiarne la storia a scuola? È questa una data che appartiene o dovrebbe appartenere al calendario civile degli italiani? In un certo senso sarebbe come se i francesi celebrassero la sconfitta di Sedan o gli americani il giorno dell’attacco a Pearl Harbour (Foot, 2011,111). In realtà è molto peggio, perché con l’8 settembre, con la fuga ignominiosa del re, della corte e di poche centinaia di alti funzionari e responsabili di governo accade la fine di un mondo, la fine di una classe dirigente, la fine del tentativo durato ottant’anni di costruire uno stato nazionale italiano centralizzato «a origini bonapartiste» (Cusin, 1970, 452), insomma «la pagina più brutta della guerra italiana e la dimostrazione del degrado morale delle alte gerarchie in vent’anni di dittatura» (Rochat cit. in Peli, 2004, 16). Come dare senso didattico a un evento di questo tipo?

Per rispondere a questa domanda è utile leggere l’articolo di uno dei più importanti storici militari del secolo scorso, Piero Pieri qui (Ieva, 2015,) pubblicato nel 1964 sulla rivista “Il movimento di liberazione in Italia”. Innanzitutto egli nota come:

la storia è sempre giudizio politico, ed è tanto più valida, quanto maggiore è il vigore dell’analisi politica. Non si può infatti essere davvero storici senza una sicura coscienza politica. Ed è bene ricordarlo, ogni fonte storica è sempre manchevole da un lato e sicura dall’altro: recente o antica, sincera o tendenziosa, non può non rivelare lo stato d’animo del suo autore, ciò che voleva far credere, quali interessi rappresentava, e così via (Pieri, 1964, 5) .

Non sembra esserci nulla di meglio dell’8 settembre per confermare questa tesi. Il giudizio su quell’evento dipende necessariamente dalla valutazione politica delle sue conseguenze. Le implicazioni metodologico didattiche sono molte. Proviamo a elencarne alcune:

  • Nel racconto storico non esiste una sola “verità”, ma possono essere costruite narrazioni differenti secondo il punto di vista “politico” di chi le produce, a patto che siano narrazioni oneste e responsabili, come dice Anton De Baets (De Baets, 2009).
  • L’uso disonesto, l’abuso della storia, deve essere analizzato storicamente, possiede un significato, una pertinenza che, una volta riconosciuti, permettono agli studenti di imparare molte cose di grande valore, soprattutto oggi.
  • Non è detto che la ricerca storica possa sempre ottenere un consenso unanime o un accordo prevalente su quale narrativa debba prevalere o quali significati la narrativa prevalente debba veicolare. In alcuni casi mancano i dati necessari, i documenti, le prove per costruire una narrativa unica, in altri le memorie, i punti di vista, le prospettive sono inconciliabili (Luzzatto, 2004, 21-37).
  • Quanto ne consegue non va confuso con un relativismo dozzinale in cui tutti possono dire quello che vogliono, ma, al contrario, mostra come la storiografia possieda una sua particolare teoria della verità, plurale e non assoluta, e che il criterio di scelta tra un racconto e l’altro, tra un significato e l’altro, tra una verità e l’altra, a parità di correttezza e di onestà metodologica e intellettuale, non è, o non può essere affare dello storico in quanto tale, ma riguarda le scelte etico-politiche di ciascuno, storico compreso.

È per questo motivo che Pieri, egli stesso partigiano, non ha dubbi sull’interpretazione degli eventi seguiti alla lettura radiofonica del proclama Badoglio. E il suo giudizio è fondato su di una valutazione politica positiva della Resistenza.

«Se l’improvviso tracollo dell’8-9 settembre segnava la profondità del baratro in cui la nazione era precipitata, esso era pure il punto di partenza di quella meravigliosa affermazione delle recondite virtù di nostra gente che si disse la Resistenza» (Pieri, 1964, 4).

Molto è stato detto per sminuire questa valutazione entusiastica, per negare il valore politico della Resistenza. Molto è stato scritto per enfatizzare la constatazione del baratro in cui la nazione, la patria, lo stato, a seconda dei punti vista, erano caduti. Molto è stato argomentato per mostrare come da quel baratro non ci sia risollevati che attraverso espedienti in fondo retorici: una Costituzione formale sostanzialmente contraddetta dalla Costituzione materiale, un regime dei partiti, democratico, ma che, anche a causa della Guerra Fredda, conservò molte caratteristiche del regime monopartitico che lo aveva preceduto etc. L’8 settembre sarebbe insomma la data in cui muore e non rinasce più la patria (Galli della Loggia, 1998). A parte il fatto che l’esistenza in Italia di una patria «Una d’arme, di lingua, d’altare,/Di memorie, di sangue e di cor/» prima del 1943 non è un fatto scontato, la relativa debolezza politica della Resistenza come esito dell’8 settembre non può forse spiegarsi con il contesto?

Comprendere grandezza e limiti della Resistenza, intravederne i contorni utopici quanto il realismo politico è possibile solamente pensando a una società che vent’anni di fascismo hanno in gran parte spoliticizzato e appiattito, occupando tutti i gangli vitali della vita collettiva: la “piazza”, la cattedra, l’informazione.(Peli, 2004, 6)

Lo studio dell’8 settembre tuttavia, anche quando viene correttamente inserito nel suo contesto, si dimostra particolarmente difficile. Le contraddizioni e le manchevolezze nelle fonti e le fumisterie menzognere che si leggono nelle memorie dei protagonisti, già evidenziate nell’articolo del Pieri,  rendono probabilmente impossibile ricostruire tutti i dettagli di quella triste vicenda (Aga Rossi, 1993), ma proprio la natura controversa del fenomeno, della sua interpretazione e dell’interpretazione delle sue conseguenze può avere un grande valore didattico. È possibile, a mio parere, lavorare con gli studenti trasformando le discussioni storiografiche in piste di ricerca e i problemi interpretativi in spunti laboratoriali.

Se ne possono per esempio proporre alcuni in forma di domande da porre agli studenti:

  1. In che misura la valutazione storica dell’8 settembre dipende dalla valutazione di quello che ne è seguito: Resistenza, guerra civile, liberazione da parte degli Alleati, redazione della Costituzione, Repubblica?
  2. In che senso l’8 settembre dipende da quanto lo ha preceduto: formazione dell’Unità nazionale, avvento del Fascismo, decisioni della monarchia e delle classi dirigenti, debolezze dei partiti antifascisti?
  3. In che senso le scelte della classe dirigente italiana fra 8 e 10 settembre 1943 sono da considerarsi un tradimento dei propri doveri? Come si può giudicare il comportamento degli Italiani di fronte al problema della scelta, così ben delineato nel libro di Pavone? (Pavone, 1994)
  4. Come raccontare il ruolo delle donne durante i giorni immediatamente successivi all’armistizio? Anna Bravo, ad esempio, racconta del rischioso maternage di massa nei confronti di sbandati e prigionieri di guerra. (Portelli, acd, 2017, cap. 8 settembre)
  5. Come giudicare e definire la cosiddetta zona grigia? Già il film di Comencini Tutti a casa (Comencini, 1960) faceva notare, soprattutto nel finale, come anche le scelte di chi non voleva prendere partito si modificassero nel tempo e dipendessero dai contesti. Chi sono gli uomini e le donne che traccheggiano con le responsabilità e cercano di galleggiare, più o meno colpevolmente, dopo l’8 settembre: gli “uomini in grigio”? (Greppi, 2016).
  6. Infine perché non provare qualche volta anche nelle nostre classi, traducendone lo spirito anche se non la lettera, ad adottare l’approccio didattico di Facing history and ourselves, ONG educativa che propone agli studenti di tutto il mondo lo studio dell’Olocausto e di altri genocidi attraverso una metodologia che coinvolge anche la sfera affettiva e etica? L’8 settembre forse si presta meglio di altre parti della nostra storia nazionale a porre gli studenti di fronte alla domanda: e tu cosa avresti fatto in quel contesto?
Bibliografia
  • Aga Rossi E., 1993, Una nazione allo sbando 8 settembre 1943, Bologna, Il Mulino.
  • Cusin F., 1970, Antistoria d’Italia, Milano, Mondadori.
  • De Baets A., 2009, Responsible history, New York-Oxford, Berghan Books.
  • Foot J., 2011, Italy’s divided memory ,Palgrave McMillan, ed. orig. 2009 (trad.it. Fratture d’Italia Da Caporetto al G8 di Genova: la memoria divisa del paese, Milano, Rizzoli, 2009).
  • Galli della Loggia, 1998, La morte della patria. La crisi dell’idea di nazione tra Resistenza, antifascismo e Repubblica, Bari, Laterza.
  • Ieva F., 2015, Piero Pieri, in: Dizionario Biografico degli Italiani, Treccani, vol. 83; reperibile on line: http://www.treccani.it/enciclopedia/piero-pieri_(Dizionario-Biografico)/
  • Luzzatto S., 2004, La crisi dell’antifascismo, Torino, Einaudi (in modo particolare i capitoli 4-5-6, Elogio della memoria divisa, Critica della storia «bipartisan», Carte d’identità).
  • Pavone C., 1994, Una guerra civile Saggio storico sulla moralità nella Reistenza, Torino, Bollati Boringhieri.
  • Peli S., 2004, La Resistenza in Italia Storia e critica, Torino, Einaudi.
  • Pieri P., 1964, La storiografia italiana relativa al 25 luglio e all’8 settembre, in: “Il movimento di liberazione in Italia”, 77.
  • Portelli A. (acd.), 2017, Calendario Civile Per una memoria laica, popolare e democratica degli italiani, Roma, Donzelli.
Filmografia e sitografia
  • Comencini L., 1960,Tutti a casa, De Laurentis.
  • facinghistory.org

L’articolo di Pieri pubblicato nel fascicolo 77 de “Il movimento di liberazione in Italia”