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Storia e memoria nell’insegnamento delle questioni controverse

Storia e memoria nell’insegnamento delle questioni controverse

La 24 Conferenza annuale di Euroclio a Donostia/San Sebastián

Abstract

La storia della Guerra Civile ha lasciato importanti cicatrici, visibili ancora oggi nel corpo stesso della società spagnola come, ad esempio, organizzazioni di volontariato che scavano fosse comuni alla ricerca di vittime della repressione franchista e piccoli nuclei di nostalgici che celebrano messe nella chiesa del monumento noto come Val de los Caidos. Molti paesi, come la Spagna, convivono con ferite storiche mal rimarginate. Le memorie confliggono ancora a seconda del punto di vista dal quale vengono ricordati i fatti. In contesti come questi qual è il ruolo dell’insegnante di storia? Cosa e come si dovrebbe studiare a scuola? Quali problemi insorgono durante l’attività didattica? Questi ed altri sono stati i temi della Ventiquattresima conferenza annuale di Euroclio che si è tenuta ai primi di aprile 2017 a Donostia/San Sebastián, nei Paesi Baschi spagnoli.

Introduzione

Ottanta anni fa la Spagna era in piena Guerra Civile. Una Guerra Civile alla fine della quale, con l’aiuto della Germania di Hitler e dell’Italia di Mussolini, si sarebbe insediato un regime di tipo fascista con tratti reazionari specifici, il più noto dei quali era la giustificazione della lotta contro la democrazia rappresentativa come una crociata in difesa della cristianità e della «civiltà» occidentale. Il regime franchista durò ininterrottamente per trentasei anni fino alla morte del suo dittatore, Francisco Franco, nel 1975. Morto il Generalissimo, la Spagna iniziò a uscire dalla dittatura con un processo capace di integrare, sotto la guida del nuovo re Juan Carlos, le istanze provenienti da nuovi e vecchi settori della società, persino di una parte di quelli sconfitti nella guerra civile.

La Transición, come la chiamano gli spagnoli, fu un processo per certi versi miracoloso. Non  era ancora caduto il Muro di Berlino, nessuno aveva protestato nelle strade come avverrà in Portogallo, molte dittature affliggevano ancora l’America latina. «Non c’era nessuna via maestra che portasse da un governo dittatoriale autoritario verso una democrazia. La Spagna era sola. Doveva trovare la sua strada. E la trovò soffocando il passato. Le commissioni per la verità e la riconciliazione non erano state ancora inventate. Processi del tipo di quelli di Norimberga erano fuori discussione. Molti tra coloro che stavano guidando la Transición avevano un passato franchista. Le loro storie personali furono coperte con una cappa di silenzio. Una paura atavica del passato e il timore di ripetere lo scontro sanguinoso della Guerra Civile furono tra le ragioni di questo silenzio. Un’altra fu la necessità di non far adirare chi, specialmente nell’esercito, rappresentava una grave minaccia per la nuova democrazia.»(Tremlett, 2012, pos. 239)[1]

Memoria e storia: il caso spagnolo

Fu quello che la stampa chiamò il pacto del olvido, il patto dell’oblio. Gli storici cominciarono a fare il loro lavoro, furono pubblicate molte ricerche accademiche sul Franchismo e la Guerra Civile, ma nella sfera pubblica più ampia prevalse il silenzio, il tacito accordo di non sollevare inutili e pericolosi polveroni Talvolta persino nelle famiglie, in privato, era difficile parlare del passato, fu, secondo un parlamentare dell’epoca, un «dimenticare per tutti da parte di tutti» (Tremlett, 2012, pos. 246, Kindle edition).  Da allora a oggi le cose sono molto cambiate, in Spagna e nel mondo, ma il problema del rapporto fra la memoria, il ricordo e la storia, fra la dimensione pubblica della ricostruzione storica e la ricerca accademica, fra la memoria come veicolo di formazione della propria identità privata e la storia come veicolo di formazione della coscienza collettiva è più vivo che mai e chiama in causa gli insegnanti che devono trattare nelle loro classi argomenti sensibili, com’è ancor oggi la Guerra di Spagna.

Le sfide per gli insegnanti di storia

In questo contesto si è tenuta, dal 2 al 7 aprile 2017, a San Sebastiano/Donostia, nei Paesi Baschi spagnoli, la Ventiquattresima conferenza annuale di Euroclio, intitolata: Intersezioni, come cambia oggi la didattica della storia? L’evento è stato organizzato congiuntamente da Ikastolenelkartea, la Federazione delle scuole basche (http://www.ikastola.eus), e dalla AEPHG, Associazione Spagnola degli insegnanti di storia e geografia. (http://aephg.euroclio.eu) Date le premesse storiche e geografiche dell’incontro il filo conduttore è stato proprio il modo con cui il passato e il presente s’incontrano nell’educazione storica, e la maniera in cui la dimensione locale permette di leggere quella globale e viceversa.

Come hanno scritto gli organizzatori nell’introduzione al programma della conferenza, gli insegnanti e gli educatori in campo storico[2], affinché l’insegnamento della storia aiuti la formazione di società aperte, democratiche, stabili e pacifiche, devono affrontare oggi alcune grandi sfide, che non dipendono da loro, ma che ne influenzano inevitabilmente il loro lavoro:

  • la democrazia in Europa è ancora un processo in costruzione;
  • la cooperazione europea non è più scontata come sembrava fino a qualche anno fa;
  • le migrazioni stanno mettendo a dura prova lo spirito di tolleranza culturale delle nostre comunità;
  • la globalizzazione, che genera sempre nuove opportunità, produce nuove forme di potere, di reazione al potere e di repressione dei rischi reali o presunti per la nostra convivenza civile;
  • lungo i confini orientali dell’Europa numerosi focolai di guerra, apparentemente senza fine, insieme a gravi problemi ambientali, producono una pressione politica e demografica che l’Unione Europea fatica a fronteggiare.

Di fronte a questi problemi quali sono le responsabilità del docente di storia? Come può affrontare queste importanti questioni? I docenti di storia hanno ancora un ruolo? Sono preparati a recitarlo? Cosa occorre per metterli in grado di fronteggiare le sfide del presente e del futuro? In una parola come può e deve cambiare l’insegnamento della storia oggi?

La conferenza

Nella giornata di apertura sono state messe in luce la dimensione locale, l’importanza della lingua e della cultura basca e la storia della città di Donostia/San Sebastián. Una visita guidata al museo di San Telmo, ricco di testimonianze archeologiche, artistiche e culturali ha permesso ai partecipanti di apprezzare quanto la città e il territorio raccontano di sé: una storia di continuità comunitaria e sociale rivendicata con forza anche nel più recente passato, non tanto e non solo dalle organizzazioni paramilitari dell’indipendentismo basco, bensì da parte di tutta la comunità. (https://www.santelmomuseoa.eus/index.php?lang=eu).

L’apertura ufficiale della conferenza si è tenuta nella sala di rappresentanza del comune di San Sebastián, uno splendido edificio di fine Ottocento, già casinò della città fino alla Seconda Guerra Mondiale.

Distrutta nel 1813 a causa di un incendio provocato dalle truppe anglo-portoghesi che venivano a liberarla dalle forze napoleoniche, Donostia/San Sebastián mostra, nello stesso tessuto urbano ricostruito durante le Restaurazione, come la storia spagnola abbia subito numerose fratture, molte volte ricucite in un’unità istituzionale in cui, nonostante i tentativi di nasconderle, le differenze hanno giocato sempre un ruolo chiave.

Già, ma quale Spagna esiste oggi? E soprattutto, dal punto di vista didattico, come s’insegna la Spagna delle guerre intestine, la Spagna della Guerra Civile tra la Repubblica e le truppe franchiste? Quale insegnamento possono trarre i docenti di tutta Europa dalla situazione spagnola? Lo scopo di ogni didattica della storia di qualità dovrebbe essere la promozione di società inclusive, che tuttavia non evitino di affrontare le questioni controverse e sensibili, che sappiano promuovere lo spirito critico e contrastare la radicalizzazione violenta attraverso la ricerca di significato nello studio del passato. Questi e altri temi sono stati affrontati nella prima giornata di lavori in plenaria, ospitati nella sede universitaria del Centro Carlos Santamaria.

San Sebastián

Un particolare dell’atrio del centro universitario che ha ospitato la conferenza, foto pubblicata sul blog di Euroclio

Per una didattica della storia globale e locale

La Presidente di Euroclio Loa Steinunn Kristjansdottir e la direttrice dell’unità per l’insegnamento della storia presso il Consiglio d’Europa, Tatiana Minkina Milko, hanno aperto la mattinata che ha avuto al centro la relazione del professor Mario Carretero, uno dei massimi esperti di psicologia dell’apprendimento in campo storico. (Carretero, Voss (acd) 1998)

Carretero ha cercato di spiegare come si possano gestire le tensioni tra globale e locale nella didattica della storia. A suo parere vi sono tre aspetti da considerare:

  1. Di solito almeno metà dei curricoli storici riguarda la storia nazionale e ingloba il locale solo quando è funzionale alla prospettiva più ampia. L’altra metà è spesso costituita da contenuti apparentemente inusuali, transnazionali o multiprospettici, internazionali o universali, i “grandi quadri”, che tendono addirittura ad ignorare la dimensione locale. Il locale, invece, non è opposto al globale, ogni argomento o periodo della storia, ad ogni livello di significato, può essere affrontato partendo dal locale per inquadrarlo nel globale e viceversa.
  2. Spesso la dimensione locale è molto presente nell’educazione informale, anzi in molti casi si oppone ai curricoli formalizzati. Secondo Carretero, in questi casi, l’insegnante deve affrontare la sfida del “presentismo”. La storia locale viene frequentemente richiamata per la costruzione delle cosiddette identità, per la formazione e la creazione di quelle memorie collettive, per lo più artefatti culturali, che costituiscono una delle risposte più comuni alle trasformazioni epocali e che i recenti processi di globalizzazione hanno enfatizzato in tutte le parti del mondo. Scoprire o riscoprire con gli studenti le matrici storiche, le fonti, i travisamenti delle fonti, le interpretazioni anacronistiche di queste supposte identità significa operare per la comprensione della storia locale all’interno dalla cornice globale.
  3. In terzo luogo una didattica della storia che voglia affrontare la questione del rapporto tra storia globale e storia locale deve riesaminarne la dimensione narrativa. Almeno sotto sei aspetti:
    1. non si può evitare di prendere posizione o di affrontare il fatto che la storia sia sempre legata al punto di vista dalla quale si studia e agli scopi e/o interessi in gioco nel raccontarla;
    2. la storia produce inevitabilmente processi di identificazione, positiva o negativa, e il docente deve analizzare questi processi e trattarli secondo le sue capacità e possibilità in vista di un approccio attivo e critico;
    3. il mito: la didattica della storia si fonda sulla naturale propensione del discente all’apprendimento attraverso il racconto di storie, miti appunto, secondo il significato etimologico del termine. Il docente deve sapere che fonda il suo racconto su una delle fondamentali inclinazioni al comprendere: quella che avviene secondo narrazioni dotate di senso[3]. La narrazione deve essere un racconto motivato, di cui si ricostruiscono le ragioni, ma pur sempre un racconto. L’insegnante deve costruire con lo studente la capacità di passare ogni racconto al vaglio della domanda critica, dell’analisi testuale e dell’incrocio delle informazioni.
    4. nel racconto identitario tipico della storia locale, così come nella “grande” narrazione globale, si nasconde sempre la tendenza alla semplificazione. Da un lato «la semplificazione di racconti divergenti sugli eventi, le ideologie e gli attori primari rende le storia ufficiale un buon strumento cognitivo per gli individui, almeno nella misura in cui rende comprensibile il flusso dell’esperienza» (Carretero, Voss (acd) 1998, 25). Dall’altro è abbastanza ovvio che «parte dell’apprendimento storico consista nella comprensione della complessità degli eventi e nel ragionare intorno alle differenti interpretazioni di cosa è avvenuto nel passato» (Carretero, Voss (acd) 1998, 98). L’insegnante insomma deve lavorare sulla semplificazione, assumendola come base di partenza, ma cercando di superarla al fine di evitarne l’assolutizzazione (Rivoltella, 2016, 37)[4]. «Il problema è di rendere fronteggiabile da parte dello studente la complessità del sapere» (Rivoltella, 2016, 38).
    5. gli insegnanti, secondo Carretero, sono portati più spesso di quanto non si creda, a ripetere le narrative consuete, quelle che hanno imparato a loro volta nel corso degli studi. La situazione che abbiamo delineato fin qui ci dovrebbe costringere invece a sfidare, ad esempio, il racconto eurocentrico o “occidentalistico” della storia in favore di narrative alternative, non per sostituire le une alle altre ma per confrontarle e criticarle. L’educazione e la formazione dei nostri studenti nell’epoca della globalizzazione richiede dunque che nelle classi vengano esplorate nuove linee narrative sia della storia locale che della storia globale[5].
    6. Nella didattica della storia tradizionale le narrative tendono ad essere essenzialmente nazionalistiche. In altre parole selezionano i contenuti in base al presupposto indimostrabile che l’essenziale per lo studente sia conoscere la storia della propria nazione. Poniamo ad esempio un evento di cui quest’anno celebriamo il centenario: la Rivoluzione d’Ottobre. Non c’è dubbio che in questo caso almeno si tratti di un evento contemporaneamente locale, nazionale, transanazionale e persino per molti aspetti globale.

 

San Sebastián

Un Momento della relazione di Mario Carretero

Storytelling e historytelling: costruire in classe le narrazioni.

Uno dei mezzi suggeriti da Carretero per affrontare queste sfide è la pratica delle rievocazioni, soprattutto durante le celebrazioni delle varie giornate della memoria e del ricordo, che costellano ormai i calendari scolastici di tutti i paesi europei. Si tratta di una pratica controversa, per quanto ne sappiamo poco utilizzata nel nostro paese, a differenza di quanto accade ad esempio nel mondo anglosassone. [6] Ha tuttavia dalla sua parte la capacità di suscitare interesse negli studenti, che vivono un’esperienza personale piuttosto intensa, ma, dall’altra, presenta alcuni rischi come la necessità di integrare le rappresentazioni con elementi, vestiti o oggetti, non sempre perfettamente compatibili con le fonti e i dati forniti dalla ricerca accademica. La rievocazione può tendere poi, attraverso la drammatizzazione, a “glorificare” l’evento raccontato, facendolo sembrare un evento determinato teleologicamente, qualcosa che, in altri termini, non avrebbe potuto andare diversamente.

Un altro strumento fondamentale è lo storytelling biografico o autobiografico[7] fondato sull’idea che l’insegnamento della storia serva anche alla formazione dell’identità personale. Il concetto di identità è piuttosto problematico. Carretero, seguendo le tesi di Philipp Hammack, lo considera sia un “peso” che una “risorsa” per i processi di apprendimento/insegnamento della storia. Da un lato, un «forte senso di identità sociale e politica può essere benefico a livello di identità individuale» (Hammack, 2010, 175), dall’altro rappresenterebbe un vantaggio collettivo per i giovani, soprattutto per gli appartenenti a gruppi svantaggiati o subordinati, che hanno bisogno di essere riconosciuti. Insomma senza identità, senza la percezione di appartenere ad un gruppo i giovani sono privi di difese, isolati atomisticamente in un mondo in cui prevale l’individualismo narcisistico. «Per questo approccio è centrale il concetto di costituzione reciproca – la cultura e la psiche si formano vicendevolmente, e il mondo della cultura materiale, incluse le sue configurazioni simboliche e discorsive, è sia un produttore che un prodotto degli attori individuali». (Hammack, 2010, 176)  Insomma permettere agli studenti di raccontarsi e di riconoscere attraverso il racconto identitario le loro esperienze individuali e di comunità significa far emergere a livello simbolico il conflitto latente in ognuna delle società contemporanee. Costruire narrative individuali e di gruppo con la guida degli insegnanti potrebbe forse ridurre, attraverso questo spostamento simbolico, i rischi di radicalizzazione delle controversie, comunque latenti nella quotidianità delle nostre classi.

Memorie, ricordo e storia: una relazione complessa

Dopo la relazione del prof. Carretero si è aperta una tavola rotonda sul tema delle rappresentazioni contrapposte della Guerra Civile, del rapporto fra memorie e storia e fra storie e memoria, sui risultati ottenuti o da ottenere dopo la promulgazione nel 2007 della legge sulla memoria storica (http://leymemoria.mjusticia.gob.es/cs/Satellite/LeyMemoria/es/memoria-historica-522007 ). Hanno partecipato alla discussione Giles Tremlett, giornalista e storico della London School of Economics, José Alvarez Junco, storico del centro di ricerca Ortega y Gasset e Ander Delgado, dell’Università dei Paesi Baschi. La moderatrice, l’olandese Joke van der Leeuw-Roord, fondatrice di Euroclio, ha introdotto la discussione ricordando come ogni paese nasconde o racconta con difficoltà episodi controversi della propria storia. Basti pensare, alle recenti ricerche sulle atrocità commesse dagli olandesi in Indonesia, durante la guerra di indipendenza di quel paese, o, per rimanere al caso nostro, alla difficoltà che ancora incontriamo nel diffondere in Italia le ricerche sui crimini di guerra fascisti durante la Seconda Guerra Mondiale.

Le posizioni che si sono delineate nella discussione sono state tre: il prof. Junco [8], ai tempi della Transición vicino ai vertici del partito socialista (PSOE) e, successivamente, uno dei consulenti per la redazione della Legge spagnola sulla memoria, difende i passaggi istituzionali che la Spagna ha compiuto dalla caduta del Franchismo a oggi. Junco sostiene che il cosiddetto Pacto del Olvido fu necessario per evitare nuove tragedie e che la legge sulla memoria è un buon compromesso: lascia alla società civile la possibilità di elaborare i propri lutti e non obbliga l’amministrazione statale a prendere partito riaprendo una contesa ormai chiusa.

La discussione si è particolarmente accesa quando Junco ha esclamato, con grande foga oratoria, che la memoria non è la storia e che la Spagna dovrebbe affrancarsi dal dibattito sulla memoria o sui ricordi per abbracciare la riflessione storica sotto ogni suo aspetto.

Tremlett, di rimbalzo ha sostenuto con altrettanta energia il contrario (Tremlett, 2012). In Spagna il presente è il passato coincidono drammaticamente. Come scrisse García Lorca: «Un morto in Spagna è più vivo come morto che in qualsiasi altro posto al mondo: il suo profilo ferisce come il filo di un rasoio» (García Lorca, 1933). Passato e presente convivono e conviveranno inestricabilmente, secondo Tremlett, almeno fino a quando non ci sarà la possibilità di riesumare l’ultimo fucilato repubblicano e fino a quando non sarà ricostruita la vicenda delle centinaia di migliaia di persone vittime della repressione franchista.

Junco ha rivendicato la necessità politica che ha spinto la Transición a elaborare una legge sull’amnistia (https://www.boe.es/buscar/pdf/1977/BOE-A-1977-24937-consolidado.pdf ) più volte modificata che, se da un lato ha assicurato l’impunità a molti gerarchi franchisti che si macchiarono di violazioni dei diritti umani, dall’altro ha permesso il consolidamento di istituzioni democratiche stabili per i successivi quarant’anni. Secondo Delgado, invece, la situazione è più sfumata. Non ci sono solo due campi, del passato e del futuro, della storia e della memoria, della Repubblica e del Franchismo. La memoria, che divide anche le famiglie e le comunità, come quella basca, non si possono riconoscere in quanto tali solo in uno dei due campi. Nonostante la nostra identificazione del Paese Basco come una delle vittime principali, simboliche del franchismo, vi furono, infatti, baschi che combatterono aspramente dalla parte di Franco così come ve ne furono dalla parte della Repubblica. Lo stesso vale per le famiglie in cui qualcuno ha combattuto per la Repubblica, qualcuno per i Franchisti e qualcun altro ha cercato di non prendere parte agli scontri. Il bombardamento a tappeto della città basca di Durango da parte dell’aviazione fascista del marzo 1937 e quello più famoso di Guernica, a opera dell’aviazione tedesca poche settimane dopo, non bastano per mettere tutti i Baschi dalla parte delle vittime del franchismo, molti di loro, specialmente in Navarra, aderirono volontariamente alle milizie franchiste.

Che la situazione sia complessa e ambigua lo testimonia anche il recente romanzo di Javier Cercas (Cercas, 2015), in cui, in un’atmosfera vagamente pirandelliana, si racconta la storia veramente accaduta di un sedicente antifranchista che negli anni della democrazia, arriva a dirigere il sindacato anarchico CNT e perfino l’Associazione spagnola dei sopravvissuti ai campi di sterminio. L’impostore, che è anche il titolo del libro, viene smascherato solo nel 2005 e la sua vicenda suscita un acceso dibattito sull’industria della memoria e sulla differenza fra memoria e ricostruzione storica.

Percorsi e materiali online

Nel corso del pomeriggio vengono presentati il nuovo sito di Historiana (https://www.beta.historiana.eu/#/ ), il portale di contenuti storici di qualità online frutto del lavoro di un team di specialisti supportati da tutta la comunità di Euroclio. Durante la conferenza di Donostia/San Sebastián sono stati presentati due nuovi moduli disponibili in inglese per docenti e studenti di tutta Europa. Il primo «Changing Europe» riguarda la storia che ha portato alla formazione dell’Unione Europea ed reperibile on line a questo indirizzo: http://graph.historiana.eu/modules/module/changing-europe/ . Il secondo, cui ha contribuito anche l’Istituto Parri di Bologna, s’intitola «Silencing citizenship through censorhip» ed è reperibile on line all’indirizzo: http://graph.historiana.eu/modules/module/silencing-citizens-through-censorship/ . La lunga giornata di lavoro è poi finita con nove laboratori paralleli in cui i partecipanti hanno potuto discutere e sperimentare contenuti e attività didattica connesse al tema generale della conferenza.

La terza giornata, martedì 4 aprile, si è aperta con un’altra tavola rotonda in cui si sono confrontati due tra coloro che oggi chiameremmo public historians come Maria Naimska, project manager di ENRS, European Network Remembrance and Solidarity (http://enrs.eu ) e Jordi Guixe, direttore dell’Eurom-Osservatorio Europeo sulle Memorie (http://europeanmemories.net ). La prima ha presentato le attività della sua rete multinazionale creata dai ministri della cultura di Germania, Ungheria, Polonia e Slovacchia, cui si è aggiunta nel 2014 la Romania. Il consorzio ha per scopo, come recita il suo sito web,  «la promozione della ricerca e della documentazione sulla storia del XX secolo e su come viene ricordata. Il campo di interessi principale è il periodo dei regimi dittatoriali, le guerre e la resistenza all’oppressione». Il sito, molto ricco di materiali e di proposte di discussione, non ha una valenza propriamente didattica, ma costituisce un buon repertorio di informazioni e di riflessioni sui temi della violenza politica soprattutto nell’Europa centro orientale.

Quanto all’Osservatorio Eurom, si tratta di una istituzione finanziata da una fondazione collegata con l’Università di Barcellona e studia in modo particolare il rapporto fra storia e memoria in Spagna, pur collegandosi con una vasta serie di siti della memoria in ogni parte d’Europa. Il centro catalano propone un ventaglio di ricerche e di attività non direttamente collegate con la didattica, ma, fra le sue proposte, vi sono molti spunti per un approfondimento didattico delle tematiche legate allo studio e alla conservazione della memoria. Per citarne solo una, il progetto di un Dizionario storico dell’uso delle espressioni e dei concetti della memoria collettiva.

Nel caso particolare della Spagna il direttore di Eurom Guixe si è apertamente schierato con coloro che vorrebbero superare gli ostacoli che ancora si frappongono alla riesumazione di tutte le vittime della Guerra Civile. La storia, a parere di Guixe, dovrebbe concentrarsi, come affermava Benjamin, sulla memoria di coloro che non hanno nome (Benjamin, 1997). Torna dunque la questione della narrativa, che come abbiamo visto nella relazione di Carretero, dovrebbe integrare la narrazione canonica, quella che Benjamin definiva epica, (Benjamin, 1997, 77), per farla «esplodere» nel racconto ricavato dal ricordo e dalle testimonianze dei vinti e non solo dei vincitori. La lezione del passato, soprattutto del nostro passato più vicino, il XX secolo, dovrebbe essere perciò quella di non usare la storia come un’arma politica.

Progetti didattici nella scuola e sul territorio

La seconda parte della mattinata del 4 aprile è stata dedicata alla presentazione di alcuni dei lavori realizzati dagli studenti spagnoli che hanno partecipato alla sessione iberica della competizione Eustory (http://eustory.es ). La gara spagnola è stata promossa dalla Real Maestranza de Caballeria de Ronda (http://www.rmcr.org ) che si occupa da anni della promozione e della conservazione del patrimonio storico nazionale spagnolo. La presentazione dell’iniziativa, di cui un efficace riassunto può leggersi on line in spagnolo (http://www.rmcr.org/es/seleccion_40.html ), ha dimostrato ancora una volta come studenti, anche delle scuole tecniche, dichiaratamente lontani dal gusto per l’erudizione storica e il racconto tradizionale, se coinvolti in ricerche che li riguardano da vicino, sono capaci di produrre contenuti e narrative di valore educativo e persino storiografico seppure su scala ridotta. La presentazione cui mi è capitato di assistere ha permesso a studenti di una scuola professionale di salesiani di scoprire e raccontare la storia del loro edificio scolastico che, durante la Guerra Civile, fu utilizzato dai repubblicani come fabbrica d’armi. Il progetto ha avuto molto successo a livello locale tanto che alcuni degli spazi utilizzati allora e mai più riaperti sono stati musealizzati e sono oggi visitabili dal pubblico[9].

A seguire una doppia sessione di laboratori paralleli ha concluso i lavori.

I Paesi Baschi e la loro tragica storia recente

La giornata successiva è stata dedicata alle visite sul territorio: il Museo della Pace di Gernika/Guernica (http://www.museodelapaz.org ), la sede dell’antico Parlamento basco, sempre a Gernika e una mostra itinerante promossa da Gogora, l’Istituto basco per Memoria, la Convivenza e i Diritti umani (http://www.gogora.euskadi.eus/aa82-home/es/ ). Il Museo di Gernika racconta la storia del bombardamento reso famoso anche dal dipinto di Picasso. Attraverso numerose sale disposte su più piani i visitatori possono rendersi conto del contesto e dello sviluppo della Guerra Civile nonché della tragedia che colpì la città ottanta anni or sono. Il bombardamento di Gernika non fu casuale, l’obiettivo fu scelto dai tedeschi proprio per il suo valore simbolico. Gernika, infatti, è da sempre la sede delle istituzioni politiche basche, la culla della loro autonomia. Per secoli i sovrani che hanno detenuto il potere sulla regione hanno dovuto giurare fedeltà alle leggi locali sotto la quercia denominata Gernikako Arbola, albero di Gernika, e ancora oggi il capo del governo Basco accetta il suo incarico nello stesso luogo, solo l’albero è cambiato.

Quanto all’istituto Gogora, nella piazza di un villaggio vicino Donostia/San Sebastián abbiamo potuto visitare un tendone del progetto “Plaza de la memoria” (http://www.memoriaplaza.eus/home.php?idioma=es ). Si tratta di un’iniziativa molto interessante, cui chiunque può partecipare e accedere per la sua natura itinerante, aperta e democratica. Nelle piazze vengono montate installazioni in cui sono riprodotti in sequenza brevi video che esprimono emozioni o portano testimonianze di o su fatti concernenti la memoria privata e collettiva dei Paesi Baschi durante il periodo del terrorismo indipendentista e delle squadre di paramilitari che lo combattevano illegalmente. Ciascuna di queste mostre temporanee ospita poi sotto la tenda anche una sala riunioni nella quale si animano dibattiti o si tengono lezioni riguardo ai temi che emergono dalle testimonianze. Nella presentazione dei racconti i curatori cercano di presentare tutte le prospettive, tanto che le operazioni di violenza paramilitare contrarie al separatismo basco sono enfatizzate al pari delle attività dell’ETA militare, l’organizzazione indipendentista che proprio nei giorni della conferenza ha consegnato unilateralmente tutte le proprie armi dichiarando ufficialmente la fine di un’epoca, anche se per qualcuno si è trattato solo di propaganda (http://www.lastampa.it/2017/04/07/esteri/leta-consegna-le-armi-in-francia-le-vittime-solo-propaganda-czT0eCiHzG0Avi3h51JOuK/pagina.html )[10].

L’ultimo giorno della Conferenza è stato dedicato a visitare alcuni plessi scolastici della città di Donostia/San Sebastián. Quello basco è un sistema scolastico trilingue: castigliano e euskera (la lingua basca) e inglese, per l’ampia diffusione della metodologia CLIL.

La prossima conferenza annuale di Euroclio si terrà nella primavera del 2018 a Marsiglia e avrà come tema l’insegnamento della storia del Mediterraneo.

 

 

 

  • Benjamin W. 1997, Sul concetto di storia, Torino, Einaudi.
  • Bruner J. 1993, Due tipi di pensiero, in: La mente a più dimensioni, Roma-Bari, Laterza, , pp. 15-54 (edizione originale 1986).
  • Carretero M., Voss J. F. (acd) 1998, Learning and reasoning in History, International Review of History Education, volume 2, Routledge Falmer, London and New York.
  • Cercas J. 2015, L’impostore, Milano, Guanda editore.
  • Council of Europe 2017, Developing a culture of cooperation when teaching and learning history https://rm.coe.int/developping-a-culture-of-cooperation/168071506a
  • Demetrio D., 1995, Raccontarsi L’autobiografia come cura di sé, Milano, Raffaello Cortina editore.
  • García Lorca F. 1933, Teoria e gioco del duende, conferenza pronunciata il 20 ottobre 1933 presso la Società degli amici dell’Arte di Buenos Aires, reperibile in italiano qui: https://www.carmeloveneto.it/joomla/images/documenti/Teoria_e_gioco_del_duende.pdf
  • Hammack P. L. 2010, Identity as Burden or Benefit?Youth, Historical Narrative, and the Legacy of Political Conflict, “Human Development”, 2010, 53, 173-201.
  • Junco Álvarez J. 2014, Mater dolorosa La idea de España en el siglo XIX, Penguin Barcelona, Kindle edition.
  • Rivoltella P.C., 2016, Che cos’è un EAS L’idea, il metodo, la didattica, Brescia, Editrice La Scuola.
  • Rumiz P., Greppi C. e Bidussa D. 2016, Il passato al presente Raccontare la storia oggi, Milano, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, kindle edition.
  • Shemilt D., 1984, Beauty and the Philosopher: Empathy in History and classroom in: Dickinson A.K., Lee P.J. and Rogers P.J. (acd) 1984, Learning History, London, Heinemann Educational Books.
  • Smithsonian Institution, Museweb Foundation s.d., Storytelling Toolkit Introduction,  https://museumonmainstreet.org/sites/default/files/complete_toolkit_v2.1.pdf
  • Tremlett G., 2012, Ghosts of Spain Travels Through a Country’s Hidden Past, London, Faber and Faber, Kindle edition.
  • Vanhaute E., 2015, Introduzione alla World History, Bologna, Il Mulino.

Note:

[1] Tutte le traduzioni non citate sono a cura di chi scrive.

[2] http://euroclio.eu/wp-content/uploads/2016/05/Booklet_no-paxlist_final.pdf  Parafrasi a cura di chi scrive.

[3] Sul fatto che la narrazione sia uno dei tipi fondamentali di «funzionamento cognitivo» vedi: (Bruner, 1993, 15l-55).

[4] Qualcosa del genere afferma Pier Cesare Rivoltella quando assume in funzione educativa il concetto di «semplessità». Si tratta di un concetto nato in campo biologico per descrivere «il comportamento adattivo di un organismo che prova a fronteggiare una complessità con cui in qualche modo deve provare a convivere (o alla quale deve cercare di sopravvivere)» (Rivoltella, 2016, 37).

[5] Al di là delle vicende tormentate del curricolo di storia nella scuola italiana, la lettura di un manuale qualunque di introduzione alla storia mondiale, come ad esempio: (Vanhaute E., 2015) o lo studio di materiali basati sulla storia locale, come la recente pubblicazione del Consiglio d’Europa, Developing when teaching and learning history, scaricabile qui https://rm.coe.int/developping-a-culture-of-cooperation/168071506a , mostrano come tra storia globale e storia locale, anche nell’insegnamento, non vi sia alcuna contraddizione insuperabile.

[6] Nel mondo anglosassone il tema è studiato fin dagli anni Ottanta del secolo scorso, si veda ad esempio: (Shemilt, 1984).

[7] Sull’aspetto formativo dello storytelling si può vedere: (Demetrio, 1996); un piccolo manuale in inglese di storytelling è reperibile qui: https://museumonmainstreet.org/sites/default/files/complete_toolkit_v2.1.pdf ; ma se ne parla anche con una certa eloquenza in un libretto piuttosto recente, dove si teorizza la necessità di fare «historytelling» con gli studenti e il pubblico in generale: (Rumiz, Greppi e Bidussa, 2016, pos.308, Kindle edition)

[8] Il professor Junco ha scritto una bella storia del nazionalismo spagnolo dell’Ottocento: (Junco, 2014).

[9] Qui si può leggere una sintesi della vicenda: http://www.infoans.org/sezioni/notizie/item/2352-spagna-scoperto-un-rifugio-antiaereo-dell-epoca-della-guerra-civile-sotto-l-opera-salesiana-di-sarria

[10] Molti contestano anche il fatto che, pur consegnando le armi, ETA non ha chiarito cosa ha fatto con quelle armi né quando, né dove. Si veda questo articolo in spagnolo su El Pais: https://politica.elpais.com/politica/2017/04/07/actualidad/1491551995_970443.html

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