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In viaggio nei luoghi gramsciani dell’in-formazione

In viaggio nei luoghi gramsciani dell’in-formazione

Thomas Hirschhorn, “Gramsci Monument”. Foto di Andrew Russeth, 2013, tratta da Flickr. Licenza CC alcuni diritti riservati.

Capita di crescere nello stesso paese in cui Antonio Gramsci trascorse la sua infanzia e adolescenza e non averne consapevolezza, non conoscere il contesto storico, sociale e culturale che tra la fine dell’800 e i primi anni del ‘900 alimentava lo spirito di un giovane che combatterà poi l’egemonia borghese e lo Stato fascista sino alla morte.

La scoperta della vita e del pensiero gramsciano può dunque arrivare molto tardi nel percorso formativo degli studenti sardi (e italiani più in generale), magari negli anni universitari o per un caso fortuito, nonostante siano presenti dei marcatori importanti sul territorio : la Casa Museo di Ghilarza innanzitutto, un cartello stradale, un murale, una via o una piazza o una scuola intitolata a Gramsci. Segnali presenti in vari paesi in Sardegna e oltre i confini isolani ; segnali che servono a ricostituire un’imponente eredità culturale e degli itinerari esistenti e possibili per conoscere il pensatore rivoluzionario che continua a influenzare vari campi del sapere e dell’agire nel mondo intero.

E possibile ripercorrere la ‘geografia gramsciana’ per apprendere la formazione e lo sviluppo di questo pensiero, che si radica in luoghi e affetti locali per espandersi progressivamente col viaggio di Gramsci verso il mondo, durante ed oltre il tempo storico della sua esistenza. La conoscenza diretta dei luoghi gramsciani ha una valenza didattica e pedagogica che va oltre la conoscenza del personaggio, incoraggia l’interdisciplinarietà e rende viva e dinamica l’eredità culturale che i luoghi custodiscono e incarnano.

La biografia come guida

In occasione dell’80esimo anniversario della morte di Gramsci, è stata indirizzata agli istituti scolastici una Circolare del Ministero dell’Istruzione (del 4 maggio 2017), con l’appello a riflettere sulla figura e sul pensiero di Gramsci, “utili per comprendere la complessità del presente che viviamo e le sue radici storiche, per promuovere occasioni di studio, ricerca e approfondimento”.

Una circolare che a dire il vero non è circolata poi tanto, ma che è fatta propria spesso dall’iniziativa dei singoli istituti e/o docenti, anche attraverso la conoscenza e le visite dei luoghi gramsciani, occasione d’approfondimento ed efficace strumento didattico e interattivo per le giovani generazioni impegnate sui banchi di scuola[1]. Le biografie gramsciane, dalla classica scritta da Giuseppe Fiori nel 1967 (Vita di Antonio Gramsci), alla più recente di Angelo d’Orsi (Per una nuova biografia, Feltrinelli 2017) o, per i più piccoli, E’ Gramsci, ragazzi, di Massimo Lunardelli (Blu, 2017), con la loro mole di informazioni, figurano tra le prime guide agli itinerari gramsciani reali e possibili, a partire dalla Sardegna, ovviamente accanto a un’ampia bibliografia che non smette di crescere.

Patrimonio, museo, monumento

Nell’isola di “Nino” i luoghi principali della memoria sono Ales, paese natale dove la famiglia si trovò a vivere temporaneamente, e Ghilarza, paese materno e dove si trova la casa di famiglia divenuta museo. Altre tappe importanti sono il paese di Sorgono, che conserva poche memorie dei primi anni di vita di Antonio, e Santu Lussurgiu, dove Antonio prese pensione per frequentare il ginnasio prima di raggiungere nel 1908 il fratello Gennaro a Cagliari, città fondamentale per la maturazione intellettuale e politica del giovane Gramsci, che da qui si affacciò nel mondo grande e complicato, fatto di lotte dei lavoratori, di sfruttamento delle risorse, ma anche di teatro e divertimenti. La biografia ed i luoghi gramsciani permettono dunque ai visitatori – grazie anche a degli itinerari organizzati – di collegare l’esperienza individuale (quella storica di Gramsci come la propria) a tutta una rete di saperi –  culturale, artistico, produttivo o politico – in cui la e le micro storie incrociano la storia più ampia e sino ai nostri giorni.

Casa Gramsci – foto dell’autrice

Gramsci non è personaggio da confinare passivamente in un museo, e proprio perché si è da tempo superata la concezione statica della conservazione e dell’offerta museale, è possibile intrecciare e far comunicare territori e comunità, singoli e storia, sino ad inserire la sua figura in una rete di sistemi e linguaggi museali innovativi e complessi atti a restituircene la grande ricchezza. Questa possibilità comunque non sostituisce tutto il valore dei luoghi fisici, della conoscenza diretta, benché mediata dal tempo e dalla riconversione, dei luoghi d’infanzia, della casa familiare, delle radici culturali che hanno dato linfa al grande pensatore.

Dalla casa familiare alla Casa museo

Nel pensare cosa e come debba essere conservato perché possa diventare un bene comune vi è la convinzione che, nonostante le difficoltà di musealizzare, cioè di rendere pubblico e educativo un luogo carico di riferimenti individuali e intimamente legato a azioni e riti personali, solo la casa sia in grado di raccontare con un linguaggio proprio risvolti di una società, di un’epoca, di un periodo artistico, di una personalità che altrimenti andrebbero irrimediabilmente perduti.[2]

Sebbene siamo certi che la casa non sia sola nell’assolvere a tali funzioni, è utile ricordare come la casa ghilarzese della famiglia Gramsci sia stata ‘recuperata’ (dal PCdI) per diventare finalmente la casa-museo, luogo della memoria gramsciana per eccellenza. Elsa Fubini (1909-2003), curatrice con Sergio Caprioglio dell’edizione Einaudi del 1965 delle Lettere dal carcere, studiò, per quella che diventerà semplicemente ‘Casa Gramsci’, una sorta di mappa concettuale della vita e dell’impegno politico dell’intellettuale sardo. L’architetto Cini Boeri (1924) curò poi l’allestimento museale negli spazi della Casa distinguendo la zona espositiva al primo piano, e pensando il piano terra come spazio di incontro e accoglienza dei visitatori, alcune migliaia ogni anno e di provenienza da tutto il mondo.

Nel percorso è esposta una selezione di oggetti appartenuti a Gramsci unitamente a documenti d’archivio, fotografie, lettere, articoli giornalistici, per ripercorrere cronologicamente i momenti più rilevanti della sua vita[3].

La casa – una costruzione dei primi dell’Ottocento in basalto, pietra d’origine vulcanica utilizzata nelle abitazioni della Sardegna centrale – è stata riconosciuta bene culturale storico e artistico dalla Commissione regionale per il patrimonio culturale della Sardegna con il Decreto n. 6 del 26 gennaio 2016. Infine il Parlamento italiano ha dichiarato monumento nazionale la Casa Museo Gramsci di Ghilarza, con la Legge n. 207 del 3 novembre 2016.

Itinerari gramsciani in Sardegna

Sino agli anni scorsi sono state comunque le associazioni locali (inizialmente legate al Partito Comunista), insieme ai familiari, ad essersi occupate della gestione della Casa (oggi gestita da una nuova Fondazione) e della promozione di attività culturali nel territorio, spesso rivolte alle scolaresche.

E spesso sono proprio i membri delle associazioni locali che ci aiutano a scoprire i luoghi della memoria, ed il contesto più ampio che li ospita, attraverso la loro guida o anche con delle utili pubblicazioni[4]. Alcune caratteristiche accomunavano Ghilarza, Sorgono e Ales, all’epoca in cui i Gramsci vi abitarono: i tre paesi furono sede di uffici (registro, notarile, catasto), di circoli culturali come quello di lettura o femminile a Ghilarza, della società operaia, animati anche da persone che arrivavano dalla penisola, come il padre di Antonio, Francesco Gramsci, potenziali ed effettivi portatori di scambio e crescita culturale. Pur essendo località marginali rispetto alla più vasta cultura italiana del tempo, più vicine all’ambiente rurale che cittadino, sono luoghi importanti da conoscere per capire la maturazione del giovane Antonio. Come diceva il grande storico Eric Hobsbawm[5], Gramsci è stato molto più di un sardo, ma senza la Sardegna è impossibile capire integralmente quel “dono che la campagna ha fatto alla città”. La rilevanza dello spazio vissuto, dell’abitare, della dimensione antropologica ed esistenziale dei Gramsci, è stata sottolineata dalla psichiatra Nereide Rudas (1925-2017)[6] e, in diverse occasioni e con diversi linguaggi, anche dal filosofo Giorgio Baratta (m.2010), che è stato presidente della International Gramsci Society (IGS) in Italia e che ha stimolato originali itinerari di conoscenza gramsciani.

Gramsci: un arcipelago di memorie

Contestualmente, questi luoghi, la loro valorizzazione o la loro dimenticanza in determinati periodi, ci dicono molto sulla ‘costruzione’ della memoria e dell’identità collettiva, stimolandoci anche a riflettere criticamente sulla ‘musealizzazione’ dei luoghi gramsciani, sul loro potenziale pedagogico come sui processi di negoziazione di tali spazi e luoghi, che creano e trasformano il paesaggio fisico, storico e finanche politico, allargandolo dalla dimensione locale a quella globale, che oggi sembra ancor più congegnale a rappresentare “l’arcipelago Gramsci”, insieme composito di isole di sapere e memoria. È forse proprio la controversa globalizzazione che ci ha aiutati o incoraggiati a ri-scoprire Gramsci negli ultimi anni, e tale spinta dal globale al locale ci permette di sondare e apprezzare la vocazione plurale dei luoghi gramsciani, la loro moltiplicazione e diffusione anche creativa. I supporti innovativi e  tecnologici infatti ci aiutano a ripercorrere luoghi della memoria storica anche quando non è possibile raggiungerli fisicamente, o quando non esistono più.

Pensiamo alla possibilità di sfogliare i quaderni del carcere nella loro versione digitalizzata e di poter vedere gli originali: operazione curata dalla Fondazione Gramsci di Roma, in collaborazione con l’Archivio Centrale di Stato e un ampio partenariato[7], che ne ha curato anche l’esposizione in più città, da Torino a Genova e Roma, da Milano a Londra, da Cagliari a Bari, attirando numerosissimi visitatori e molte scolaresche e creando ponti tra luoghi e progettualità. L’intreccio tra fonti e documenti originali e il ricorso a strumenti e riproduzioni digitali un’opportunità significativa per gli alunni delle scuole, che possono così confrontarsi con degli scritti originali per cogliere tutto l’impegno, la fatica e il genio gramsciano nella scrittura di questa immensa ‘opera’. Inoltre, da questo intreccio sono nate altre due mostre, importanti per l’approfondimento del XX secolo: “Antonio Gramsci e la Grande guerra” (Roma) e “Gramsci. I Quaderni e i libri del carcere” (Roma, Cagliari, Bari). L’esposizione dei Quaderni sarà probabilmente a Matera nel 2019, anno in cui la città sarà capitale europea della cultura.

Toponomastica e paesaggio

Ci sono però segni sul territorio che restano indelebili e hanno la capacità di raccontare molto più della volontà di omaggiare l’illustre connazionale. Ci parlano della vita culturale e politica dei luoghi, delle riflessioni proposte da piccole collettività che coinvolgono le generazioni più giovani ma anche l’educazione degli adulti, per riprendere un tema che è anche gramsciano. Gramsci è stato inserito in progetti di varia natura, o ne è stato ispiratore, modificando spesso il paesaggio urbanistico e architettonico di più d’un luogo. Innanzitutto va ricordato il Piano d’uso collettivo che lo scultore Giò Pomodoro (1930-2002) dedicò a Gramsci nel suo paese natale, progettando appunto la piazza Gramsci di Ales[8]. L’area fisica gli era stata dedicata già nel 1967, insieme alla via adiacente, e nel 1977 trova realizzazione il progetto di Pomodoro che qui collocò la sua scultura Il sole deposto, simboleggiante il sole come fabbrica di energia, inserita in uno spazio rettangolare dove si congiungono linee geometriche e riferimenti agli elementi della natura e della società locale. Contribuirono alla realizzazione della piazza, maestranze e materiali del territorio, sino alla piantumazione di una quercia, albero di libertà, che è oggi in qualche modo richiamata dal murale dipinto dall’artista alerese Massimo Spiga nel giardino pubblico intitolato “L’albero del riccio”, raffigurante il noto racconto di Gramsci ai figli.

Murale dipinto da Massimo Spiga nel giardino pubblico intitolato “L’albero del riccio” – foto di Giorgio Serra

Ad Ales si trova anche la casa che ospitò i Gramsci per alcuni anni, sino ai primi mesi di vita di Antonio, come indicato dalla lapide sulla facciata principale. La casa è inoltre sede dell’associazione gramsciana locale e, col recente restauro, è divenuta anche un centro di video arte. All’ingresso del paese si è accolti dal cartello di benvenuto nella città natale di Antonio Gramsci.

La toponomastica nel nostro paese ci dà comunque una misura della presenza di Gramsci intorno a noi: ben 2606 strade, viali o piazze portano il suo nome. E i riferimenti si moltiplicano nel mondo, dall’Europa all’Asia. Sarebbe interessante mapparli per capire se proprio “tutte le strade portano a Gramsci”![9]

La reinvenzione dei luoghi di memoria

La presenza e valorizzazione di elementi di riconoscimento, recuperati o creati nei diversi luoghi gramsciani, non sono sempre sinonimo di consapevolezza e conoscenza storica, ma poiché la storia cambia, risulta particolarmente interessante osservare le modalità di composizione e rinegoziazione della memoria, anche quando ci sembra che venga sacrificata o quando genera dei dibattiti che dividono chi vorrebbe preservare e conservare ogni elemento dell’eredità gramsciana, e chi vorrebbe farlo rivivere nel mercato e con le sue leggi.

Tra i luoghi deputati a ricordare Gramsci, dopo la Sardegna è innanzitutto Torino la città che ne ha marcato la crescita politica, dove ha conosciuto le lotte operaie e il giornalismo militante, lo studio universitario e l’impegno partitico. Anche qui, i luoghi fisici vissuti e percorsi da Gramsci potrebbero fornire più di un itinerario di conoscenza e approfondimento, grazie anche al lavoro che la Fondazione dell’Istituto Gramsci piemontese porta avanti dagli anni ’70 e che oggi contribuisce all’elaborazione culturale e politica del nuovo Polo del ‘900, importante centro culturale e museale con sede nei quartieri militari juvariani di Torino.  Ma la tappa più nota in città è la piazza ‘Carlina’ (piazza Carlo Emanuele II),  dove si trova l’edificio in cui Gramsci prese dimora tra il 1914 e il 1922, come ricorda la lapide ancora presente, e che è stato recentemente acquistato da una società privata per diventare un albergo, suscitando non poche polemiche su questa destinazione d’uso.

Il paradosso del patrimonio culturale comunque sta tutto nei tempi attuali: se le modalità di patrimonializzazione possono talvolta fungere da “antidoto contro gli effetti omogeneizzanti della globalizzazione” [10] – e la progettualità artistica in tal senso offre innumerevoli esempi di ‘resistenza’ – , l’attualizzazione della memoria implica giocoforza dei salti in avanti (dei rischi dunque) con la reinvenzione di alcuni meccanismi di fruizione che sempre più hanno a che fare col il turismo culturale, dal quale discendono considerazioni di varia natura e implicazioni importanti anche a livello pedagogico e politico. Il funzionamento dell’egemonia culturale si presta bene all’analisi anche in questi casi.

Idee di libertà oltre ogni prigione

In tutt’altro contesto si colloca invece il carcere di Turi, dove Gramsci fu detenuto dal 1928 al 1933 insieme ad altri condannati dal Tribunale speciale fascista per la difesa dello Stato. Ce lo ricorda una lapide all’ingresso, che reca l’iscrizione “In questo carcere visse in prigionia Antonio Gramsci. Maestro liberatore, martire, che ai carnefici stolti annunciò la rovina, alla nazione morente la salvazione, al popolo lavoratore la vittoria”.

L’edificio del XIX secolo, fu concepito come complesso monastico, divenne istituto penale (per minorati fisici e psichici) dopo l’unità d’Italia e dal 1975 Casa di reclusione. Si trova al centro di Turi ed è sottoposto a vincolo storico-paesaggistico, anche in relazione ai personaggi illustri che vi furono detenuti, come Gramsci appunto, o Sandro Pertini. Qui, nonostante le gravissime condizioni di salute, scrisse i celebri Quaderni e numerose lettere ai familiari, dove ricorda anche le preziose visite che qui ricevette, da parte della cognata Tatiana, ma anche dei suoi fratelli Gennaro e Carlo, a distrarlo in parte dalla terribile vita carceraria.

La Casa di reclusione oggi conserva una cella con l’essenziale allestimento originario : letto, sedia e tavolino in uno spazio ampio e freddo, dove sono tangibili la sofferenza e l’emozione generati dalla prigionia. Nonostante o proprio per l’attuale presenza di numerosi detenuti, la direzione carceraria è aperta alla realizzazione di progetti culturali in chiave ‘gramsciana’, dal teatro alle visite di studiose.i. [11]  E’ qui che Antonio coltivò una rosa, metafora di ben più quanto stesse vivendo in carcere: “ il ciclo delle stagioni, legato ai solstizii e agli equinozii, lo sento come carne della mia carne; la rosa è viva e fiorirà certamente, perché il caldo prepara il gelo e sotto la neve palpitano già le prime violette, ecc. ecc.; insomma il tempo mi appare come una cosa corpulenta, da quando lo spazio non esiste più per me”, scriveva a Tania il 1 luglio 1929.

La porta delle idee

Conoscere più aspetti del vissuto carcerario offre certo degli spunti di riflessione anche per i più giovani, ai quali Gramsci può essere e viene raccontato e interpretato attraverso molteplici linguaggi: nei luoghi pubblici, in una canzone o un film, le espressioni artistiche che si ispirano all’intellettuale e politico sardo sono innumerevoli e capaci di arricchire la didattica.

Il carcere di Turi ha ispirato inoltre lo scultore sardo Pinuccio Sciola (m. 2016), che ha dedicato alla memoria dell’esperienza carceraria e delle idee di Antonio Gramsci la sua opera “La porta della cella di Gramsci” pensando di poterla collocare proprio a Turi. L’opera è stata invece recentemente acquistata dal comune di Cagliari a completamento della rinnovata piazza Gramsci: una simbolica porta di granito, alta più di 3 metri, con una finestra da cui volano liberi il pensiero, l’intelligenza e l’utopia dell’intellettuale combattente tanto amato da Sciola.[12]

“La porta della cella di Gramsci”, il monumento fatto da Pinuccio Sciola – foto dell’autrice

La cella di Gramsci aveva inoltre già ispirato l’artista cileno Alfredo Jaar, con la sua installazione Infinite Cell al MAXXI di Roma nel 2004 (parte di un più vasto progetto, Gramsci Trilogy), dove i visitatori potevano entrare e sperimentare in qualche modo la prigionia ma anche riflettere sul proprio posto in uno spazio ristretto ma proiettato verso l’infinito, grazie a un potente gioco di specchi.

Percorsi visionari che si intrecciano 

La memoria, l’eredità storica, politica, culturale, si fanno in molti modi materia viva, collegandosi non solo alle esigenze della conoscenza che si rinnovano continuamente, ma anche alla trasformazione dell’esistente, dei saperi e dei luoghi. La volontà di trasformazione della nostra contemporaneità è una volontà politica potentemente espressa in ambito filosofico e artistico, che come ogni ambito della vita sociale, fa emergere forti contraddizioni, a partire dal come e perché “si fa arte”[13]. Quando percorriamo i luoghi gramsciani, reali, della memoria, o quando ne immaginiamo di nuovi, ci si prospetta sempre un’ulteriore riflessione sulle “ricadute”, sugli effetti “collaterali”, benefici o meno che siano: esistono dei rischi di normalizzazione che possono non far vedere più il luogo della memoria, oppure fanno emergere il prodotto culturale o un valore d’uso in termini più economici. Ma possono anche inserirsi negli spazi quotidiani come elemento costitutivo, come memoria viva appunto. È questo un aspetto su cui la didattica dovrebbe porre l’attenzione durante le visite culturali, per stimolare nei più giovani il pensiero critico tanto caro a Gramsci.

Prolifera insomma la creazione di itinerari che fanno scoprire personaggi e paesaggi insieme, legando storia e tradizioni locali, creando comunicazione e arricchendo l’approccio pedagogico indirizzato alle scuole in particolare. Arricchire creativamente la didattica incoraggia insomma l’apprendimento e le relazioni tra luoghi, paesi, città, nazioni, in un momento in cui la rottura o l’attraversamento delle frontiere diventa un imperativo collettivo.

“Fiabe intrecciate”, opera di Maria Lai, Stazione dell’arte di Ulassai – foto dell’autrice

Non possiamo non ricordare a tal proposito il lavoro dell’artista Maria Lai (1919-2013), conterranea di Gramsci che si è ispirata al racconto scritto al figlio Delio, Il topo e la montagna, per la sua opera Fiabe intrecciate, situata nello spazio aperto della Stazione dell’arte di Ulassai[14]. Si tratta di una struttura metallica che si lega alla montagna ed al paese della sua infanzia, dove nel 1981 Maria Lai diede vita alla performance comunitaria “Legarsi alla montagna”, cinta da un lungo nastro celeste.

Monumenti aperti e temporanei

Così, anche le frontiere della rappresentazione storica e artistica vengono attraversate e stravolte; il monumento o il museo non sono solamente dei luoghi fisici statici ma generano essi stessi forme nuove di produzione e fruizione creativa e sempre più partecipata. Il monumento può dunque essere mobile, temporaneo, dialogico. Pensiamo all’installazione del Gramsci Monument dell’artista svizzero Thomas Hirschhorn nel quartiere del Bronx a New York nell’estate del 2014. Hirschhorn ha ideato una serie di monumenti temporanei – concepiti come community commitments – dedicati a dei filosofi, “a dei pensatori che hanno da comunicare”. Gramsci è stato l’ultimo accanto a Spinoza, Deleuze, Bataille. Con questo tipo di monumento l’artista sceglie di dedicarsi alla parte ‘informativa’ per concentrare l’attenzione sui perché più che sul chi (come nei monumenti classici) e facilitare l’accesso di tutte.i al pensiero gramsciano[15], grazie alla partecipazione collettiva alla creazione e fruizione degli spazi.

Mappa del Gramsci Monument di Thomas Hirschhorn – foto dell’autrice, scattata nell’atelier dell’artista a Parigi nel 2013

Il Gramsci Monument ha fatto discutere, come ogni grande opera d’arte, dimostrando che, come sosteneva Gramsci, “L’arte è educatrice in quanto arte, ma non in quanto arte educatrice”, perché in tal caso è nulla, e il nulla non può educare [Q6§ 〈64〉, p.732]. Accanto a tale considerazione però, gli artisti non si esimono certo dal coniugare arte e pensiero, filosofia e politica, resistenza creativa e memoria storica.

Gramsci patrimonio internazionale-popolare

Gli esempi sono innumerevoli e continuano a moltiplicarsi, dandoci la misura della contemporaneità di Gramsci e di quanto ancora abbia da insegnarci. I luoghi della memoria poi si uniscono e collegano in percorsi che vanno dalla Sardegna alla Campania, dalla Calabria all’Albania[16], da Torino a Mosca o a Roma. Qui finì l’esperienza umana di Antonio Gramsci, ricordato soprattutto nel bellissimo cimitero acattolico nei pressi della Piramide Cestia, dove si trova la stele con l’urna cineraria che ispirò il componimento di Pasolini, Le ceneri di Gramsci e dove ogni anno, il 27 aprile, la IGS italiana invita a posare una rosa in memoria del nostro rivoluzionario.

La tomba di Gramsci – foto di Gabriele Di DonfrancescoOwn work, CC BY-SA 3.0, Link

Riflettere su materialità e immaterialità della memoria gramsciana, sui luoghi politici e pedagogici, dove la storia si impara e si fa al contempo, ci dice quanto vivere i luoghi gramsciani sia esperienza storicizzabile, che entra essa stessa negli archivi della memoria e amplifica una vicenda umana, storica e politica unica, continuamente rinnovata e perciò attuale.

Tutte queste modalità di interpretazione e rappresentazione testimoniano della continua fortuna di Gramsci: figura universale e singolare, foriera di pensiero critico e resistenza, di potere e potenzialità di trasformazione dell’esistente.


Note:

[1] L’Associazione casa natale di Antonio Gramsci di Ales e l’Istituto Gramsci della Sardegna ad esempio, promuovono da anni il concorso per le scuole sarde di ogni grado, Immaginando Gramsci, invitando docenti e studenti ad approfondire anche creativamente la figura di A. Gramsci.

[2] http://www.abitare.it/it/architettura/2009/05/05/case-museo/?refresh_ce-cp

[3] www.casamuseogramsci.it

[4] Cfr Tomaso Sanna, Dai vicinati alle contrade, Iskra 2012 e Il circolo di lettura di Ghilarza (1848-2015), Iskra 2015; Marco Marras, I Gramsci a Sorgono, Iskra 2014.

[5] L’Associazione Terra Gramsci ha pubblicato nel 2015 un cofanetto con dvd e testi, Caro Nino. Eric J. Hobsbawm interroga Gramsci (Cuec), che contiene l’intervista che Giorgio Baratta fece allo storico inglese nel 2007.

[6] Vedi anche il suo contributo al volume Casa Gramsci, curato da A. Marchi e A. Sanna (Iskra 2012), “Gramsci: la casa, lo spazio vissuto e l’abitare”, pp.7-14.

[7] Nel sito della Fondazione Gramsci sono presenti varie informazioni. https://www.fondazionegramsci.org/archivi/archivio-antonio-gramsci/

[8] Giorgio Serra, “Il piano d’uso collettivo A. Gramsci 1977”, in Il pensiero permanente. Gramsci, oltre il suo tempo, a cura di E. Orrù e N. Rudas, Tema, Cagliari 1999/2015, pp.334-46.

[9] Dal titolo dell’articolo di Paolo Di Paolo nell’inserto Robinson di Repubblica del 19/02/2017, dedicato a Gramsci nell’80esimo anniversario della sua morte.

[10] http://www.lavoroculturale.org/note-per-una-riflessione-critica-sulla-patrimonializzazione/

[11]https://www.museodellamemoriacarceraria.it/copertina/dal-carcere-di-turi-a-tirana-sulle-tracce-di-gramsci-accordo-culturale-a-bari/; http://www.artribune.com/arti-visive/arte-contemporanea/2018/03/un-ponte-tra-puglia-e-tirana-nel-segno-di-antonio-gramsci-con-due-progetti-di-alfredo-pirri-la/; https://unaltrasestu.com/2014/09/02/nella-cella-di-gramsci/

[12] http://www.fondazionesciola.it/2018/02/05/sciola_gramsci/

[13] Lo scorso anno, nell’ambito delle iniziative per celebrare l’ottantesimo anniversario della morte di Gramsci, sono stati tanti i progetti artistici dedicati a Gramsci, in particolare a Cagliari si è tenuto il Gramsci CampoSud, che ha coinvolto artisti e filosofi per indagare le relazioni tra arte, resistenza e politica in varie declinazioni. Vedi www.gramscicamposud.it

[14] http://www.stazionedellarte.com. Vedi anche il cofanetto curato da Terra Gramsci, Maremuro. Appunti per un dialogo meraviglioso, Cuec 2014.

[15] Gramsci Monument (Cathalogue), Dia Art Foundation, New York 2015, p.51.

[16]http://www.paese24.it/5409/alto-jonio/plataci-gramsh-gemellaggio-arbereshe-benedetto-dal-nipote-di-gramsci.html

 

Dati articolo

Autore:
Titolo: In viaggio nei luoghi gramsciani dell’in-formazione
DOI: 10.12977/nov250
Parole chiave: ,
Numero della rivista: n.10, agosto 2018
ISSN: ISSN 2283-6837

Come citarlo:
, In viaggio nei luoghi gramsciani dell’in-formazione, in Novecento.org, n. 10, agosto 2018. DOI: 10.12977/nov250

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