Pensare come uno storico non è naturale. Sam Wineburg e le competenze nello studio della storia
Immagine di una lettura in Università nel 1400.
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Il problema didattico in storia
Ogni insegnamento «può essere visto come una relazione triplice tra l’insegnante, la materia o la competenza/abilità da un lato e lo studente dall’altra» [Burston, 1972, 1].[1] In altre parole quando cerchiamo di insegnare qualcosa attiviamo un processo in cui un corpo di conoscenze, competenze e abilità si trasmette o si attiva nel discente. «In senso stretto, il docente è un ponte tra lo studente e cosa cerchiamo d’insegnarli» [ivi, 1]. La didattica della storia tradizionale ha sempre ritenuto che il principale problema fosse la scelta degli argomenti, il cosa, ma non il come avvenga l’apprendimento o quali operazioni mentali ne conseguano. Un problema di scelta dei contenuti certamente esiste, a scuola non possiamo insegnare tutto lo scibile umano e la pretesa di insegnare “tutta” la storia non è meno irragionevole di quella di insegnare “tutta” la matematica o “tutta” la filosofia. Quello che spesso non si considera invece è la prospettiva opposta, una volta che i contenuti siano dati per scontati, che si accetti un programma standard come ad esempio la Storia Americana negli USA, o la nostra successione standard delle civiltà e delle epoche, o qualunque altro canone didattico, come facciamo a sapere che gli studenti abbiano veramente compreso quello che hanno studiato? Considerando anche il fatto che la storia non si apprende solo a scuola, come facciamo a sapere che quello che è stato appreso dentro e fuori dalle classi sia affidabile, accurato, coerente, fondato su ragionamenti logici e su un controllo razionale? Solo cercando di rispondere a queste domande gli insegnanti possono tentare di sapere se la loro funzione di mediazione sia avvenuta, se le conoscenze/competenze che hanno tentato di insegnare abbiano veramente attraversato quel ponte metaforico che separa i loro studenti dalla materia che insegnano.
Pensare storicamente
I pochi dati di cui disponiamo non incoraggiano a credere che ciò sia facile o persino possibile. Secondo le statistiche ministeriali solo l’1,1% degli studenti italiani svolge il tema storico agli esami di stato. È vero che il 13% si dedica al saggio/articolo storico-politico, ma i testi proposti consentono molto spesso uno svolgimento genericamente culturale o retorico-filosofico senza la necessità di riferirsi a specifiche conoscenze fattuali o a interpretazioni storiografiche, com’è necessario invece per il tema storico[2]. Molte ricerche, inoltre, anche in Italia, ci mostrano come gli studenti siano interessati alla storia, ma non a quella insegnata nelle scuole, ridotta spesso alla memorizzazione di date, eventi o personaggi, talvolta senza la minima problematizzazione. [3] Gli allievi che conseguono buoni risultati sembrano essere relativamente pochi e quei pochi attribuiscono i loro risultati, le loro competenze interpretative e le loro capacità analitiche a insegnanti che, per carisma e abilità, sono capaci di far apprezzare la storia come materia capace di fornire un modo di pensare la realtà.
Sam Wineburg
Sarebbe perciò opportuno sapere esattamente che cosa significa “pensare la realtà in senso storico”. Questa è la domanda intorno alla quale ruota l’opera di Sam Wineburg, docente di storia e di didattica della storia alla Stanford University in California, dove è anche uno degli animatori[4] di programmi didattici accessibili on line quali:
- Reading like a historian, un curriculum di lezioni in cui gli studenti imparano come indagare le questioni storiografiche usando strategie di lettura come:
- L’analisi delle fonti
- La contestualizzazione
- La conferma o corroborazione
- La lettura attenta e accurata delle fonti, o dei libri di testo (close reading);
- Beyond the bubble, un programma che fornisce agli insegnanti strumenti di valutazione del pensiero storico che vadano “oltre la bolla”, che consentano cioè di valutare la capacità degli allievi di mettere in prospettiva critica e autocritica quanto appreso;
- Civic online reasoning, un tentativo di rendere sistematico, logico e organizzato, il modo con cui gli studenti valutano le informazioni che ricavano dalla rete.
Come pensano gli storici?
Secondo Wineburg il valore didattico e pedagogico della storia consiste nel fatto che «ci insegna un modo di fare le scelte, di controbilanciare le opinioni, di raccontare storie e di essere a disagio – quando è necessario – circa le storie che raccontiamo» [Wineburg S., 2001, ix][5]. Queste finalità non dipendono solo dalla conoscenza degli aspetti metodologici della materia, nessuno studente, per quanto dotato, potrà mai diventare a scuola uno storico in senso stretto. Nessuno a scuola imparerà attraverso il metodo a fare come gli storici, perché manca il tempo e creare piccoli storici non è la finalità della scuola, primaria o secondaria che sia. Si tratta invece di permettere al maggior numero possibile di studenti di comprendere come gli storici pensano la realtà allo scopo di imparare la storia come disciplina, in entrambi i sensi del termine: corpo di conoscenze e acquisizione di un codice di comportamenti intellettuali. Dunque: quali processi si attivano negli studenti che sono in grado di ragionare in modo storico? Cosa significa essere capaci di pensare la storia e di farlo storicamente? Perché questi processi non si attivano o si attivano molto parzialmente?
Il pensiero storico non è naturale
Quello che la ricerca di Wineburg cerca di dimostrare è che:
il pensiero storico, nelle sue forme più profonde, non è né un processo naturale né qualcosa che scaturisce automaticamente dallo sviluppo psicologico. I suoi risultati effettivamente…vanno contro la concatenazione comune dei nostri pensieri; il che spiega come mai sia molto più semplice imparare nomi, date e storie che cambiare le strutture mentali di base che utilizziamo per afferrare il significato del passato»[Wineburg S., 2001, 7].
La conoscenza storica matura, insomma,
ci insegna ad andare oltre la nostra immagine, oltre la nostra breve vita e oltre il fuggevole momento della storia umana nel quale siamo venuti al mondo. La Storia educa (dal latino “condurre fuori”) nel senso più profondo del termine. Tra le materie di un curriculum secolarizzato è la migliore per insegnare quelle virtù un tempo riservate alla teologia – umiltà di fronte alla nostra limitata capacità di conoscere e stupore di fronte all’estensione della storia umana [Wineburg S., 2001, 24].
In altre parole il “presentismo” – l’atto di vedere il passato attraverso le lenti del presente – non è una cattiva abitudine nella quale siamo caduti. Si tratta invece della nostra condizione psicologica in stato di riposo, un modo di pensare che richiede poco sforzo ed arriva abbastanza naturalmente [Wineburg S., 2001, 19].
Costruire i contesti
Se mi trovo di fronte, come mostra Wineburg, diversi discorsi di Lincoln (1809-1865) in cui il sedicesimo presidente degli Stati Uniti d’America sembra contraddirsi di continuo, facendo anche dichiarazioni di stampo razzista, solo una buona riflessione storica può rendere ragione delle contraddizioni, vere o apparenti che siano. Scoprire il contesto delle informazioni in nostro possesso non è un processo deduttivo, semmai è un processo di immaginazione produttiva, come avrebbe detto Kant, bisogna andare dalla fonte al contesto, ipotizzare un’interpretazione, confrontarla ancora con la fonte, e con altre interpretazioni disponibile e, infine, costruire una narrativa che permetta di cogliere le implicazioni della ricerca, per giungere insomma al resoconto della prospettiva storica in cui il passato acquista senso per noi senza perdere le sue caratteristiche specifiche. Ecco allora che Lincoln, alla metà dell’Ottocento negli USA, non trova contraddittorio proclamare che, a causa della comune umanità, gli afroamericani alla fine andranno sottratti alla schiavitù, ma non sono uguali ai bianchi.Un’epistemologia della fonte
Uno dei modi con cui la didattica della storia può aiutare la formazione di un modo di pensare storico, e perciò analitico, critico e sintetico allo stesso tempo, consiste nel costruire una vera e propria epistemologia del testo, come la definisce il nostro autore [Wineburg S., 2001, 75]. Attraverso un esperimento in cui alcuni storici ed altrettanti studenti sono stati messi di fronte alle stesse fonti di informazione, Wineburg ha constatato che gli storici, anche quando non erano specializzati nel campo specifico di cui parlavano i testi, si comportavano nei loro confronti come se fossero dei pubblici accusatori in un processo; non si limitavano ad ascoltare le testimonianze, per così dire, ma le interrogavano attivamente per farle parlare, per far loro esprimere quello che non avrebbero detto spontaneamente. Intendevano cioè scoprire anche quello che le fonti dicono tra le righe o che inducono a pensare per mezzo di implicazioni e concatenazioni logiche implicite nel testo. Gli studenti invece si comportavano come se fossero la giuria di questo processo interpretativo, si limitavano ad ascoltare e giudicare, ma non interrogavano i testi. Il primo è uno degli aspetti principali del pensare storico di Wineburg, il secondo il necessario punto di partenza per insegnarlo.
Implicazioni didattiche
Nel complesso della vita scolastica è possibile pensare a strategie didattiche che permettano agli studenti di leggere con attenzione quello che hanno di fronte, ma non è facile proporre strategie capaci di produrre il passaggio da una lettura attiva ma non problematica, tipica della maggior parte dei migliori studenti di storia, a una lettura attiva e problematica, come quella che viene naturale agli storici.
La visione tradizionale, nella quale la conoscenza passa dalla pagina del testo alla testa del lettore è inadeguata. Tuttavia la visione metacognitiva nella quale la conoscenza viene costruita dagli studenti interrogandosi su un testo dal significato prefissato facilmente comprensibile è ugualmente insufficiente [Wineburg S., 2001, 83].
Non si tratta dunque solo di avere studenti che si facciano delle domande, i migliori studenti di storia saranno quelli fanno le domande ai testi, che interrogano tutto ciò che, provenendo dal passato, ci racconta una storia tanto più interessante quanto più riusciamo a ricavarne quello che non emerge immediatamente.
Conclusioni provvisorie
Lo studio di caso cui abbiamo già accennato, quello nel quale studenti esperti e storici di professione non specialisti della materia, interrogano diversi e contraddittori testi pronunciati in varie occasioni dal presidente Lincoln, permette a Wineburg di giungere a qualche conclusione provvisoria. La prima consiste nel riconoscere che una delle caratteristiche principali del pensiero storico è la capacità di contestualizzare le fonti. «Pensare contestualmente significa che le parole non sono simboli scorporati che trascendono il tempo e lo spazio» [Wineburg S., 2001, 90]. Contestualizzare significa confrontare il testo con tutte le informazioni spazio temporali che si conoscono, con le circostanze e i luoghi in cui quel testo è stato prodotto, con le esigenze del momento in cui è stato prodotto, con le possibili intenzioni o motivazioni che hanno spinto l’autore, in questo caso Lincoln, a usare questa o quell’altra espressione. Come abbiamo detto non tutti riescono in questa delicata operazione e sarebbe perciò di grande interesse per ogni insegnante sapere perché molti, invece, si fermano ad una lettura decontestualizzata, e dunque anacronistica, della storia.
Caccia alle incoerenze
Una pista è sicuramente quella delle incoerenze. Lo studente capace di un approccio contestuale ai testi è quello che cerca di dare senso alle contraddizioni che incontra, che le cerca persino, rendendosi conto che tra noi è il passato c’è una contraddizione permanente, come recita un famoso titolo “Il passato è un paese straniero” [Lowenthal D., 1985][6], ma, come in tutti i paesi stranieri, esiste la possibilità di capirne gli abitanti imparandone la lingua e traducendola nella nostra, proprio come fa chi contestualizza i dati che provengono dalle fonti o dalla storiografia. Rimandiamo ai lettori di Wineburg per l’appassionante e sofisticata analisi dei risultati dell’esperimento, ma non possiamo esimerci dal citarne le conclusioni. Insegnare il pensare storico significa innanzitutto insegnare a riconoscere l’inadeguatezza del nostro apparato concettuale quando ci rivolgiamo al passato. Se non insegniamo a riconoscere quanto la nostra esperienza individuale sia limitata, quanto le esperienze degli altri nel tempo e nello spazio sfidino la logica che noi consideriamo normale, quanto le scelte e le credenze del passato possano apparire assurde al confronto dei nostri standard, allora, secondo Wineburg, non insegniamo storia, ma soprattutto «applicando i programmi di ieri ai problemi di oggi potremmo improvvisamente esaurire le possibilità del domani» [Wineburg S., 2001, 110].
La questione della multiprospettività
La questione può ripresentarsi anche dal punto di vista della narrativa storiografica. Insegnare storia sicuramente coinvolge la capacità di narrare, di raccontare sensatamente e coerentemente a partire dalle fonti di informazione in nostro possesso. Le narrative storiche possono essere molteplici, possono esserci punti di vista incommensurabili, dai quali è possibile partire per raccontare diverse storie sensate sullo stesso argomento, uno stesso argomento può stratificarsi in diversi punti di vista coerenti tra di loro ma ciò nonostante separati, in una parola una delle dimensioni fondamentali della storia consiste nella multiprospettività. [7] Wineburg si pone il problema di come insegnarla, soprattutto ai bambini della scuola primaria. Secondo i suoi esperimenti questi riescono abbastanza facilmente a riconoscere le diverse prospettive storiche attraverso drammatizzazioni o rappresentazioni grafiche, analisi di pellicole cinematografiche o semplici romanzi storici con personaggi che incarnino positivamente punti di vista anche antagonisti.
Lo storytelling come strumento didattico
Come possiamo fare se vogliamo passare, nella scuola secondaria, da una rappresentazione della varietà di posizioni esistenti tra i protagonisti del passato ad una conoscenza consapevole dell’esistenza di prospettive che si escludono reciprocamente? Non basta certo proporre l’analisi di diverse prospettive precostituite. Quello che le esperienze di Wineburg sembrano suggerire è che:
l’unico modo con cui possiamo comprendere la molteplicità del passato è attraverso l’esperienza diretta del raccontarlo, del districarsi attraverso la matassa delle visioni conflittuali e produrre una storia scritta dalle nostre mani [Wineburg S., 2001, 131].
Ancora una volta, si tratta di provare a risolvere le contraddizioni senza fare finta che non esistano. Per farlo, sostiene Wineburg nelle sue ricerche, gli insegnanti, non appena ne abbiano l’occasione, dovrebbero stimolare gli allievi a costruire in proprio le loro narrative: un compito che renderebbe la storia uno degli strumenti didattici più efficaci per l’educazione alla cittadinanza. Comprendere le diverse prospettive è in un esercizio di empatia ragionevole che consiste nel mettersi nei panni dell’altro, dell’uomo o della donna del passato, e provare a raccontarne la storia come se fosse la nostra. Il che non significa naturalmente che la storia che raccontiamo debba necessariamente essere quella che ci piace o nella quale ci identifichiamo. Raccontare immaginando di essere un personaggio del passato, lo storytelling applicato alla didattica della storia[8], potrebbe essere una buona strategia didattica per comprendere la dimensione multiprospettica della della storia e, contemporaneamente, imparare a selezionare le informazioni affidabili e accurate necessarie alla solidità del racconto.
Pensare storicamente educa alla cittadinanza consapevole
In un recente articolo Wineburg afferma provocatoriamente «pensare storicamente non riguarda [solo, diremmo noi] la Storia» [Wineburg S., 2016][9]. Dove ovviamente la storia va intesa come attività scientifica e il pensare storicamente come quel modo di pensare, non naturale ma insegnabile, che permette a chi lo apprende di orientarsi nel presente attraverso l’esercizio di capacità apprese nello studio del passato. Permettere agli studenti di generalizzare questa abilità e cioè consentire loro di riconoscere le informazioni affidabili e di distinguerle da quelle inaccurate o inaffidabili ha un grande valore educativo e politico. «L’informazione affidabile sta alla capacità di formare una pubblica opinione civile come l’aria pulita e l’acqua potabile stanno alla salute pubblica» [Wineburg S., 2016, 16].
Per una didattica delle competenze disciplinari
Tutti questi ragionamenti potrebbero sembrare tecnicismi pedagogico-didattici, ma Wineburg non è genericamente transdisciplinare come spesso accade da noi, dentro e fuori la formazione iniziale e in servizio degli insegnanti italiani. Qui, il ruolo della materia come disciplina è determinante. Per giungere agli obiettivi di una buona didattica della storia, secondo Wineburg, bisogna innanzitutto conoscerla. Nella scuola americana la materia viene insegnata insieme ad altre nelle ore di “Scienze sociali” (Social sciences), un cocktail di sociologia, antropologia, economia, geografia umana e storia. Ebbene gli insegnanti che hanno studiato storia all’università, che ne posseggono la formazione specifica, riescono con più facilità dei laureati in sociologia o antropologia ad ottenere, o persino a riconoscere, quegli obiettivi di alfabetizzazione storica (historical literacy) di cui abbiamo parlato fino a questo momento. In altre parole gli insegnanti capaci sono quelli che possiedono una conoscenza esperta della materia (expert knowledge of content) [Wineburg S., 2001, 170], ma anche quelli che riescono con saggezza ad utilizzare tutta la tastiera delle tecniche e tecnologie didattiche e che ritengono adatte alle classi che si trovano di fronte.
Competenze disciplinari e gesti mentali
Come formare e come selezionare questi insegnanti saggi è uno dei problemi che Wineburg lascia sostanzialmente irrisolto. Certo non sembra favorevole alla moda dei test, ma nemmeno riesce a individuare una strategia che lo convinca particolarmente. Quello che ha cercato di fare a Stanford è stato costruire un sistema sperimentale di selezione in entrata e di valutazione in servizio attraverso l’analisi delle performance in classe e fuori. Sono stati proposti metodi per l’esame della valutazione dei testi scritti dagli studenti, sull’uso dei materiali documentali e sull’analisi dei libri di testo. In tutti i casi il lavoro è stato molto complesso e, ancora una volta, non possiamo che rimandare al libro di Wineburg per una lettura analitica. Quello che ci sembra di poter concludere, però, è che la strada tracciata mostra come un’analisi seria delle competenze necessarie all’insegnamento e all’apprendimento di qualsiasi disciplina non solo non possa fare a meno della disciplina, ma in un certo senso la costituisca almeno come oggetto didattico. In altre parole: se non so la storia non la posso insegnare, ma, d’altra parte, se non conosco o non indago i processi mentali, i gesti mentali[10], che compio mentre la insegno, e che dovrebbero almeno iniziare a compiere gli allievi mentre la imparano, non saprò mai se e cosa ho insegnato veramente.
Pensare la disciplina e la sua didattica
Molto di quello che dice Wineburg potrebbe sembrare ingenuo o banale per un lettore italiano. L’insistenza sulla procedura del pensare ad alta voce (thinking aloud), ad esempio, non sembra molto lontano dalle nostre consolidate prassi di discussione guidata o di colloquio formativo. L’insegnante commenta ad alta voce un testo, ragiona su di un’immagine etc, chiede allo studente di fare altrettanto, chiede un parere a questo, una controdeduzione all’altro, insomma niente di particolarmente innovativo. Quello che tuttavia sembra interessante evidenziare nel contesto italiano è che:
- posto che non si può insegnare tutta la storia, qualunque cosa voglia dire, e
- posto che gli insegnanti sono sempre di fronte ad un curricolo che non scelgono loro, nei confronti del quale possono avere anche margini di manovra, ma che non possono scegliere dall’inizio,
allora cercare di determinare come si pensa in una disciplina e, in modo particolare, come e a cosa si pensa quando si impara storia e quando la si insegna sarebbe così importante per la formazione dei nostri studenti da far ritenere che la storia possa giocare un ruolo meno marginale di quello che gioca oggi in Italia e nel mondo.
Appendice
Traduciamo qui di seguito per chiarezza una griglia di valutazione del pensiero storico reperibile on line sul sito di Wineburg[11]:
Competenze di lettura storica | Domande | Gli studenti dovrebbero essere capaci di… | Suggerimenti |
Analisi delle fonti | Chi ha scritto?
Qual è la prospettiva dell’autore? Quando è stata scritta? Dove è stata scritta? Perché è stata scritta? È affidabile? Perché? Perché no? |
Identificare la posizione dell’autore circa l’evento storico
Identificare e valutare lo scopo per il quale l’autore ha prodotto il documento? Fare delle ipotesi su cosa l’autore vuole dire prima di leggere il documento. Valutare la veridicità della fonte considerandone genere, pubblico e finalità. |
L’autore probabilmente crede che…
Io penso che il pubblico sia… Basandomi sulle informazioni contenute nella fonte penso che l’autore potrebbe voler dire che… Credo o non credo a questo documento perché… |
Contestualizzazione | Quando e dove il documento fu creato?
Cosa c’era di differente allora e cosa invece era simile ad oggi? Come potrebbero le circostanze della sua stesura aver influito sulla stesura e sui contenuti del documento? |
Comprendere come le informazioni di sfondo e di contesto influenzino il contenuto del documento
Riconoscere che i documenti sono il prodotto di specifici momenti temporali |
Sulla base delle informazioni di base in mio possesso, comprendo questo documento in modo differente perché…
L’autore potrebbe essere stato influenzato da …….(contesto storico) Questo documento potrebbe non contenere l’intero quadro della situazione perché…. |
Corroborazione | Cosa dicono gli altri documenti?
Gli altri documenti sono d’accordo? Se no, perché? Quali documenti sono più affidabili? |
Stabilire cosa è più probabile comparando fra di loro i documenti
Riconoscere le differenze fra i racconti storiografici |
L’autore è/non è d’accordo con….
Questi documenti sono/non sono d’accordo su….. Un altro documento da considerare potrebbe essere… |
Lettura attenta | Quali affermazioni fa l’autore?
Quali prove usa? Quale linguaggio (parole, frasi, immagini, simboli) usa l’autore per persuadere il pubblico del suo documento? In che modo il linguaggio dell’autore indica la sua prospettiva? |
Identificare le affermazioni dell’autore sull’evento.
Valutare le prove e i ragionamenti che l’autore usa a supporto delle sue affermazioni. Valutare la scelta delle parole compiuta dall’autore: comprendere che il linguaggio è usato deliberatamente. |
Penso che l’autore scelga queste parole al fine di…
L’autore cerca di convincermi di… L’autore sostiene che… Le prove usate dall’autore a supporto delle sue tesi sono… |
Note:
[1] Burston W.H. 1972, Principles of History Teaching, Methuen Educational LTD, London – Toronto – Sydney –Wellington, p.1 (traduzione a cura di chi scrive).
[2] http://www.miur.gov.it/ricerca?p_p_id=101&p_p_lifecycle=0&p_p_state=maximized&p_p_mode=view&_101_struts_action=%2Fasset_publisher%2Fview_content&_101_assetEntryId=6704432&_101_type=document&inheritRedirect=false
[3] Si veda ad es.: Crivellari C. e Bravin R., 2018, I giovani e la storia. Un’indagine tra gli studenti delle scuole superiori del Veneto https://www.novecento.org/pensare-la-didattica/i-giovani-e-la-storia-unindagine-tra-gli-studenti-delle-scuole-superiori-del-veneto-3293/ e Rombi M., 2013, La conoscenza della storia del Novecento in uscita dalla scuola secondaria di secondo grado – Indagine empirica su livelli di conoscenza, rappresentazioni ed esperienze didattiche degli studenti, Roma, Edizioni Nuova Cultura.
[4] Wineburg ha fondato nel 2001 un gruppo di lavoro all’interno della facoltà di educazione, lo Stanford History Education Group (l’acronimo SHED può significare in italiano qualcosa di simile a “chiarire”, “far luce”).
[5] Wineburg S. 2001, Historical thinking and other unnatural acts, Temple U.P., Philadelphia. Tutte le traduzioni di questo libro sono a cura di chi scrive.
[6] Lowenthal D. 1985, The past is a foreign country, rev. ed. 2015, Cambridge, CUP.
[7] Per una trattazione sintetica del tema si veda: Stradling B. 2003, Multiperspectivity in history teaching: a guide for teachers, CoE. https://rm.coe.int/1680493c9e
[8] Tra i vari contributi in materia segnaliamo un progetto recente condotto da un collega olandese, Pascal Tak, reperibile qui: https://euroclio.eu/2018/07/the-avatar-method/
[9] Wineburg S., 2016, Why historical thinking is Not about History, “History News”.
[10] La riflessione sulla necessità di una didattica dei gesti mentali nacque molti anni fa in Francia con Antoine de La Garanderie. Come Wineburg, La Garanderie, seppure in generale, non nello specifico della storia, si interroga soprattutto sul perché gli apprendimenti spesso non avvengano. Di La Garanderie, che Wineburg non cita, si può leggere: La Garanderie A. de, 1987, Comprendre et imaginer, Éditions du Centurion.
[11] https://sheg.stanford.edu/sites/default/files/download-pdf/Historical%20Thinking%20Chart.pdf