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Insegnare storia agli studenti di oggi: echi e suggestioni dalla 26a conferenza annuale di Euroclio

Insegnare storia agli studenti di oggi: echi e suggestioni dalla 26a conferenza annuale di Euroclio

Un’immagine dell’edificio che ospita il Centro europeo di Solidarnosc – foto dell’autore

Abstract

Dal 4 al 7 aprile 2019 si è svolta a Danzica la ventiseiesima Conferenza annuale di Euroclio, associazione europea degli insegnanti di storia. L’evento ha raccolto oltre 140 insegnanti di trentanove paesi europei, ma anche provenienti dagli Stati Uniti, dal Brasile, dal Giappone e dalla Corea. Il tema scelto per quest’anno è stato: portare la storia nella vita, rendere significativo per tutti gli studenti l’insegnamento della storia.
Con questo tema i congressisti hanno voluto discutere essenzialmente di tre aspetti specifici e generali allo stesso tempo della didattica della storia: come superare i limiti dell’insegnamento tradizionale, come affrontare le nuove sfide del presente, come rendere gli studenti capaci di comprendere e decodificare le esperienze storiche di cui il loro presente è intessuto. Tavole rotonde, workshop, escursioni a siti storici e visite a musei e alle scuole locali sono stati come al solito molto seguiti e partecipati.

Secondo la battuta attribuita a Churchill, i popoli dei Balcani producono molta più storia di quanta possano consumare. Questo non vale solo per i Balcani. Anche in altre parti d’Europa la stratificazione e la mescolanza di lingue, culture, popolazioni, istituzioni politiche e appartenenze statali hanno creato una storia complessa e difficile da raccontare. Spesso questi luoghi sono stati anche occasione di conflitti, ne hanno determinata la direzione e ne hanno definito il senso. Questo è sicuramente il caso della città di Danzica, per la quale nessuno voleva morire, ma che, dopo la rioccupazione tedesca del 1939, ha assistito al dispiegarsi di tutti gli aspetti della Seconda Guerra Mondiale.

In questa città carica di storia, polacca e slava nel medioevo, prussiana e tedesca nell’età moderna e contemporanea (con una costante presenza slava) e poi ancora polacca dopo il 1945 che si è svolta dal 4 al 7 aprile 2019, con la partecipazione di oltre 140 insegnanti e educatori di 39 paesi, la ventiseiesima conferenza annuale di Euroclio.

Far rivivere la storia

La scelta di collocare l’iniziativa su un palcoscenico storico così ricco di problemi, in parte ancora insoluti, è stata influenzata anche dal tema sul quale i partecipanti, provenienti da tutta l’Europa e oltre, si sono confrontati: Riportare la storia alla vita: rendere la storia insegnata a scuola significativa per tutti[1].

Insegnanti e educatori hanno discusso su questo tema nel corso di tavole rotonde e workshop, hanno visitato luoghi storici e musei e assistito dal vivo ad attività e lezioni in vari ordini di scuole.

La prima giornata è stata aperta da due tavole rotonde dal tema:

  1. Come reagiamo nelle nostre classi alle sollecitazioni che provengono dalla storia nel suo farsi? Come affrontiamo la discussione e la spiegazione di quei fatti politici, economici e sociali che presumibilmente, o apparentemente, assumono già ai nostri occhi il valore di fatti storici? Fatti di cui la storiografia del futuro quasi sicuramente si occuperà.
  2. Come si può generare un significativo apprendimento della storia?
Le sfide di oggi

Innanzitutto le due questioni sono sembrate collegate: insegnare gli eventi attuali da una prospettiva storica può costituire un incentivo motivazionale, un compito appassionante, che tuttavia costringe gli insegnanti ad affrontare diversi ostacoli, non sempre facili da superare.

Gli eventi di cui occuparsi devono comunque avere già almeno una parvenza di prospettiva storica. Dato che si tratta di eventi del presente, possono essere considerati da un punto di vista storico solo quando permettono in qualche modo di immaginare il futuro, quando il loro presente ingloba un passato che probabilmente orienterà e condizionerà l’avvenire.[2] Se poi consideriamo il tema delle informazioni disponibili, vediamo che esse circolano molto più velocemente del passato, ma, riguardo alla storia recente, possono essere paradossalmente poche e/o carenti in termini di qualità rispetto ad altri periodi della storia meno recente. Per questo il compito degli insegnanti di storia dovrebbe innanzitutto consistere nel far comprendere e utilizzare quanti più criteri possibili per il controllo e la rielaborazione critica dei dati accessibili. Un altro problema è costituito dai sentimenti, dalle opinioni e dalle inclinazioni personali di docenti, studenti e famiglie che possono ostacolare il processo conoscitivo attraverso condizionamenti ideologici o preconcetti apparentemente insuperabili.

Le possibili soluzioni

Queste sfide non possono essere vinte con ricette o soluzioni standard, tuttavia i partecipanti alle tavole rotonde hanno evidenziato come non si possa rimanere neutrali di fronte a richieste implicite o esplicite da parte degli studenti; per molti ragazzi non esiste un altro spazio protetto, aperto e sorvegliato, come la lezione di storia per discutere liberamente l’attualità. In molti ordinamenti può esserci la possibilità di trattarla nelle lezioni di cittadinanza o di scienze umane (soprattutto sociologia e politica) ma anche in quei casi la prospettiva storica è fondamentale. L’esperienza americana, per esempio, in cui la storia è solo una delle discipline insegnate sotto la denominazione di “Studi sociali” (Social studies), mostra come il docente laureato in storia, o capace di affrontare le questioni della contemporaneità anche in prospettiva diacronica, abbia maggiori possibilità di coinvolgere gli studenti e persino di ottenere da loro risultati scolastici migliori[3].  In breve, se si può azzardare una conclusione, su questi argomenti il lavoro delle classi è sottoposto a una tripla negoziazione: quella del docente con se stesso, che deve trovare il coraggio, la voglia e le risorse per scendere come storico nell’arena dell’attualità, quella del docente con gli eventi, che devono essere in qualche modo riconoscibili come punti di svolta, quella del docente con gli studenti con cui deve concordare di cosa parlare e come. Una traduzione pratica di questi processi nel nostro contesto scolastico potrebbe essere la strategia degli episodi di apprendimento situato, sviluppati anche per la didattica della storia [4].

Di cosa parlare agli studenti

Tra i temi che potrebbero essere catalogati come eventi storici nel loro farsi sono stati portati a titolo di esempio:

  • i cambiamenti climatici e il riscaldamento globale, da collegare con la storia dell’industrializzazione o anche con la critica al modello di sviluppo industriale moderno promossa negli anni Sessanta dalle proteste giovanili,
  • la crisi dei migranti, comparabile, per somiglianza e/o differenza con la storia dei richiedenti asilo durante la Seconda Guerra Mondiale,
  • la Brexit e le recenti elezioni europee, come effetti contraddittori ma interessanti della storia della formazione dell’Unione europea. [5]

La condizione necessaria anche se non sufficiente per affrontare in classe queste tematiche sarebbe però quella di avere abbastanza tempo senza subire troppe costrizioni da parte del curricolo nazionale. Attività di questo genere mettono poi in discussione i confini disciplinari dal momento che un’analisi divulgativa minimamente seria implica un lavoro inter e multi disciplinare per cui la maggior parte degli ordinamenti non è pronta e forse nemmeno desidera esserlo.

La rilevanza della storia come materia scolastica

Per quanto riguarda la seconda questione, la conferenza ha costatato lo iato tra l’impegno e la dedizione dei docenti, spesso amanti del loro mestiere, desiderosi di conoscere sempre di più la storia, anche da prospettive inusuali o poco frequentate, e l’atteggiamento degli studenti che, quando possono evitarla, non scelgono la storia fra le materie opzionali e, quando sono obbligati a studiarla, la trovano spesso noiosa e inutile. Come si può dunque rendere effettiva la convinzione, altrimenti solo ideologica, che un buon insegnamento della storia sia essenziale per la formazione del cittadino, o, forse, persino dell’individuo stesso come essere umano?

Il tema è stato sviluppato da diversi punti di vista. Innanzitutto è stata ancora una volta sottolineata la necessità di esplorare sempre di più tematiche differenti dalla storia politico-militare. Questo non perché la storia politico-militare manchi di interesse o sia poco formativa, anzi, ma proprio per preservarne tutto il valore, per farne apprezzare la necessità e il fascino e per far superare più facilmente le difficoltà che rappresenta. La storia politica può essere compresa solo all’interno del suo contesto di storia sociale e della vita quotidiana, della storia delle donne, della storia delle idee e dei concetti o persino, quando si tratta di storia recente, indagata per mezzo di qualche esperienza di storia orale che restituisca la visione “dal basso” dei grandi eventi. In questa modalità, presente ormai in molti libri di testo, ma non sufficientemente enfatizzata nei curricoli ufficiali e nelle prove d’esame, è possibile che gli studenti si sentano più coinvolti.

Quello che poi bisogna cominciare ad arare anche a scuola è il campo della storia dei fenomeni come la moda, lo sport o la musica, la cultura di massa in senso lato, in cui, tra l’altro, gli studenti, che in certi casi potrebbero persino avere informazioni più aggiornate degli insegnanti, possono insegnare qualcosa ai docenti che, a loro volta, insegnerebbero agli studenti come trattare quelle informazioni in modo critico e come indagarle come oggetti storici, in una parola come interpretarle come fonti.

Una delle sedute plenarie della ventiseiesima Conferenza annuale di Euroclio a Danzica

La divulgazione e l’uso degli oggetti nell’insegnamento

Un altro tema che i partecipanti alla tavola rotonda hanno ritenuto fondamentale per una didattica inclusiva e coinvolgente, soprattutto nel primo ciclo, ma non solo, è l’uso didattico degli oggetti storici. Non si tratta di una strategia didattica semplice. Non basta portare in classe qualcosa, bisogna inquadrarlo nel suo contesto, interpretarne correttamente il significato e l’uso pratico, collocarlo all’interno della sua catena di senso. Per questo motivo l’analisi di oggetti dovrebbe essere un’attività altamente collaborativa, in cui insegnanti e studenti compiono insieme la ricerca necessaria per dare senso al manufatto, magari servendosi della collaborazione degli educatori che lavorano nei musei.

La divulgazione storica, che avviene ormai con molti mezzi, è un altro aspetto che può e deve essere preso in considerazione perché gli insegnanti sono, di fatto, almeno nel senso letterale, anche operatori di storia pubblica che mediano e trasmettono le conoscenze esperte a studenti che vivono a loro volta in un ambiente in vario modo pieno di contenuti, più o meno accurati, di cui non si può non tenere conto. Letteratura, romanzo storico o fiction, sullo sfondo dei loro stereotipi o di modelli di storiografici[6], sono solo alcuni dei più tradizionali veicoli di trasmissione di contenuti esterni ai circuiti scolastici o accademici. I nostri studenti si trovano ormai di fronte a film, serie televisive, fumetti, graphic novel, opere teatrali e video game che fanno grande uso di nozioni storiche. Alcuni di questi oggetti sono immensamente popolari, come il finto Medioevo del Trono di Spade, o video giochi come Assassin’s creed. In questi casi il lavoro dell’insegnante di storia presenta vantaggi e difficoltà. È facilitato dalla sicura conoscenza da parte degli studenti dell’oggetto in questione e reso più difficile dal compito di analisi che non viene naturale rispetto a prodotti che sono nati per intrattenere e non per essere smontati e rimontati. Qualcuno ha anche notato come i giochi didattici o l’adattamento didattico di giochi nati per puro divertimento sia una possibilità concreta, illustrata soprattutto da alcune esperienze nella scuola primaria[7].

La storia della gente comune

Durante la conferenza il bisogno di storia, di costruire narrative sensate del passato (soprattutto di quello più recente) è apparso evidente a tutte le prospettive europee e mondiali presenti. Mancano tuttavia ricerche empiriche che spieghino e ci permettano di comprendere appieno questa sensazione comune agli insegnanti del continente. Non sempre questo bisogno si esprime consapevolmente, ma sembra che raccontare la storia della gente comune, degli individui che come noi non prendono le decisioni che definiamo storiche, ma che, allo stesso tempo, con la loro vita quotidiana, con le scelte personali che compiono nel corso della loro esistenza, contribuiscono a determinare il contesto delle decisioni dei grandi, può essere utile nel tentativo di attualizzare e risvegliare negli studenti l’interesse per la storia e soddisfare dunque questo bisogno spesso inibito dalla scuola. In altre parole la storia delle persone comuni può essere un altro canale, attraverso l’analisi pagine di diario o di epistolari, interviste agli anziani o ai testimoni viventi, con cui coinvolgere gli studenti attraverso processi empatici[8]. In questa prospettiva la grande storia non viene eliminata; la storia della gente comune serve a capire se e come lo studio delle vicende di persone senza particolari responsabilità ci restituisca o meno gli aspetti dell’umano che riscontriamo anche nella storia generale, in secondo luogo ci permette di capire, diciamo così dal basso, l’impatto dei grandi eventi storici sulla gente, di verificare, in un certo senso empiricamente, se e come quelli che i testi scientifici ritengono eventi storici abbiano pesato o modificato o influenzato la vita delle classi subalterne.

Visitare i luoghi: il centro storico di Danzica

Una delle vie più comuni, ma anche più efficaci, a nostro parere, per avvicinare gli studenti alla storia è sicuramente la visita dei luoghi in cui la storia è avvenuta, la scoperta materiale della stratificazione storica del paesaggio urbano ed extraurbano. Ciò può avvenire ovunque a patto che si colgano le opportunità presenti con un metodo euristico corretto, trattando tutto lo spazio urbano come una fonte, non solo i monumenti. Nel caso di Danzica, come del resto nel caso della maggior parte delle città d’Europa, per organizzare un percorso significativo di lettura della storia politica culturale basta mettersi a camminare per le strade o entrare in uno dei suoi musei o, meglio, fare entrambe le cose. Anche solo una visita guidata della città vecchia di Danzica, infatti, permette di immergersi, come hanno fatto i congressisti di Euroclio, nelle atmosfere delle antiche città anseatiche e nelle questioni complesse delle convivenze, sovrapposizioni e mescolanze multinazionali tipiche di molti luoghi d’Europa, soprattutto centrorientali, prima della Seconda Guerra Mondiale. Il centro storico della città, completamente ricostruita su iniziativa del governo polacco filo-comunista, mantiene, infatti, la sua bellezza e autenticità, la sua leggibilità storica.

Un gruppo di congressisti davanti al monumento di Danzica che ricorda la repressione del movimento operaio nel 1970

La conferenza e i suoi workshop

Oltre al centro storico Danzica, offre almeno altre due luoghi che, da soli, meriterebbero il viaggio e testimoniano della sua lunga e tormentata storia: il Museo della seconda guerra mondiale[9] e il Centro europeo di Solidarnosc[10].  I due musei, che meriterebbero un articolo di recensione ciascuno, hanno consentito ai congressisti di comprendere meglio il contesto nel quale si svolgeva la conferenza. Gli anni più bui della guerra, insieme con quelli del risveglio democratico, sono quelli che hanno caratterizzato più di tutti la memoria storica della Polonia recente. La conferenza annuale di Euroclio ha presentato diversi laboratori nei quali docenti e educatori delle più diverse provenienze hanno condiviso le loro pratiche educative. Si è trattato di 11 laboratori i più importanti dei quali ci sono sembrati proprio quelli che, in qualche modo, riguardavano l’esperienza storica locale e il modo di insegnarla. Tra questi vogliamo ricordare in modo particolare la proiezione e il dibattito sul film “Warsaw Uprising”, un film di Jan Komasa, Jan Ołdadowski, Wladyslaw Pasikowski e Joanna Pawluskiewicz. Il film, realizzato nel 2014, consiste nella drammatizzazione di materiale cinematografico originale girato a scopo propagandistico durante la rivolta. Il sottotitolo, forse un po’ provocatorio, ma certo comunicativamente efficace, recita: 87 minuti di verità. E in effetti, a parte il colore, restituito alla pellicola con moderne tecniche informatiche, il girato è del tutto autentico, non contiene nessun inserto posteriore e rispecchia con fedeltà il tentativo dei cine-operatori di mostrare in forma documentaria l’entusiasmo della popolazione ribelle, nonché la determinazione dei combattenti supportati dall’organizzazione dell’Esercito Interno, guidato dal governo di Londra. Quello che risulta invece del tutto inventato, anche se plausibile, è la trama. I protagonisti, voci fuori campo, sono un prigioniero americano fuggito da un campo di prigionia e due cameraman polacchi che lavorano per l’Ufficio Informazioni e Propaganda dell’Armia. Essi parlano tra loro e interagiscono con le persone riprese attraverso un sonoro completamente artificiale (i materiali originali sono del tutto muti) che ricostruisce per mezzo della lettura delle labbra quello che le persone stavano effettivamente dicendo in quel momento. Nella loro missione i protagonisti cercano di documentare la rivolta penetrando, idealmente e fisicamente, nel cuore della ribellione. La verità traumatica della guerra, fino al finale tragico, appare sempre più evidente, anche per mezzo delle finte interviste ai combattenti le cui domande sono state pensate con la consulenza di esperti di lettura del movimento labiale, interpretato e reso sonoramente.

La rivolta di Varsavia

Ne risulta così un film avvincente che in circa un’ora e mezza riassume oltre 600000 minuti di girato[11]. Quali sono gli obiettivi di un simile lavoro? Gli autori hanno fatto leva sul coinvolgimento generato dall’utilizzo della fonte storica per ottenere una narrazione verosimile e hanno nel complesso convinto l’uditorio che l’operazione, pur non esaurendo gli approcci didattici all’evento, rappresenta un’ottima base di partenza per approfondirne poi i molteplici aspetti. Molti consulenti militari, di storia del costume, della moda, dell’alimentazione e della lingua, delle abitudini sociali e della mentalità hanno, infatti, collaborato nell’interpretazione di gesti e comportamenti e nella contestualizzazione degli spezzoni che in un certo senso hanno parlato per decenni senza essere sentiti. Il girato, infatti, come abbiamo detto, era privo di sonoro, ma, data la forte enfasi sull’Esercito interno comandato dal governo di Londra, era stato per lungo tempo tenuto segreto o semi-segreto dalle autorità comuniste.

Insegnare temi storicamente sensibili e controversi

Tra gli altri laboratori, oltre ad una proposta di debate storico formulata da chi scrive e di cui parleremo in un altro articolo, vorremmo segnalarne due: il primo riguarda un interessante parallelismo tra come viene insegnata la Seconda Guerra Mondiale in Polonia e nel Regno Unito, mentre il secondo affronta il problema dell’insegnamento delle questioni sensibili e controverse, ovunque, ma in particolare nella situazione libanese.

La seconda questione, particolarmente grave in Libano, accomuna molti ordinamenti scolastici. I libri di testo libanesi sono fermi all’inizio degli anni 80, così come i programmi di storia, perciò i giovani nati e cresciuti in un periodo ormai lontanissimo dalla guerra civile (1975-1990) possono uscire dalla scuola senza alcuna nozione strutturata di ciò che è accaduto nel loro paese o altrove negli ultimi 30/40 anni. L’Associazione degli insegnati libanesi per la storia (LAH)[12], membro effettivo di Euroclio, ha provato a risolvere la questione con un progetto di storia orale. I ragazzi si confrontano con persone che hanno vissuto durante la guerra, discutono con loro e con i loro insegnanti uno stock di domande da porre e poi rielaborano con gli insegnanti i risultati delle interviste cercando di costruire, usando le testimonianze come fonti, una narrativa il più possibile coerente e controllata. In questo modo, con un progetto che, seppure volontario ed extra curricolare, riscuote un certo successo, i ragazzi possono farsi una loro idea dell’accaduto senza limitarsi ad assorbire dalle famiglie versioni parziali, piene di risentimento o, peggio ancora, silenzi vergognosi e rabbiose omissioni.

Insegnare la Seconda guerra mondiale in Polonia e in Inghilterra. [13]

Nel primo laboratorio i colleghi Richard Kennett e Jacek Staniszewski hanno mostrato, invece, come nei loro rispettivi paesi la Seconda Guerra Mondiale sia insegnata in modo sorprendentemente parallelo, spesso sulla base di concetti e idee dati per scontati. Entrambe le nazioni sembrano aver vinto la guerra da sole, gli inglesi per mezzo del loro eroico comandante Winston Churchill, i polacchi, come abbiamo già visto, attraverso l’indefesso e indomabile lavoro della resistenza guidata dall’esercito interno e perciò dal governo in esilio a Londra. La Polonia anteguerra si è sentita tradita a Yalta e, perciò, la Polonia di oggi deve enfatizzare il suo ruolo proprio perché nei decenni del regime comunista tale ruolo è stato costantemente e consapevolmente sminuito. La Gran Bretagna della Brexit sottolinea l’ultimo grande sforzo vittorioso del suo glorioso impero.

Per contrastare questo tipo di presentazioni stereotipate i colleghi hanno proposto cinque attività differenti:

  1. considerare la complessità dei personaggi storici: si pensi ad esempio alle vicende che riguardano Churchill, dallo scacco di Gallipoli, al suo rapace imperialismo con sfumature esplicitamente razziste,
  2. lavorare su fotografie e immagini: esse mostrano, ad esempio come, molti polacchi, circa 300000, abbiano combattuto con la divisa tedesca o abbiano collaborato con l’occupante,
  3. considerare il grande quadro, la necessità cioè di comprendere gli avvenimenti della propria nazione attraverso la comparazione con altre esperienze,
  4. Considerare la guerra dal punto di vista delle persone comuni,
  5. Aiutare gli studenti a interpretare criticamente il materiale documentario disponibile sulla rete e negli archivi digitali.
Conclusione

La conferenza annuale di Euroclio, momento culminante della vita dell’associazione, cui ci si può iscrivere anche a livello individuale, ha costituito insomma ancora una volta un’ottima occasione di confronto e di ricerca. La didattica della storia non esaurisce mai i suoi temi e i suoi argomenti. Nuovi problemi sono sorti e sorgeranno dagli studenti e nuovi problemi sorgono dai risultati della ricerca, particolarmente interessante in un periodo come il nostro in cui, anche dal punto di vista storiografico, nuovi paradigmi sono apparsi all’orizzonte. Quello che forse quest’anno è mancato, ma forse manca in generale alla didattica della storia di oggi è la discussione di un nuovo modello di storia generale. Posto che la successione delle civiltà dai Sumeri a oggi nella quale gli europei del Novecento sono stati educati non regge più, quale modello di storia generale o universale, se ne dobbiamo offrire uno, dobbiamo insegnare ai nostri studenti?

Riferimenti bibliografici e sitografici

Libri:

  • Bricchetto E. 2016, Fare storia con gli EAS. A lezione di Mediterraneo. Nella scuola secondaria di II grado. Ediz. a colori, Brescia: La Scuola.
  • Danto A. C. 1985, Narration and Knowledge including the integral text of Analytical Philosophy of History, New York: Columbia University Press. it. : Filosofia analitica della storia, Bologna, Il Mulino, 1971.
  • Mc Millan M. 2006, Parigi 1919 sei mesi che cambiarono il mondo, Milano: Mondadori.
  • Wineburg S. 2001, Historical Thinking and other unnatural acts, Philadelphia: Temple University Press.

Siti o articoli consultabili on line (ultimo accesso 27 giugno 2019)

Articoli sulla conferenza di Danzica e su Euroclio in generale:

I musei di Danzica:

Articolo di novecento.org su Wineburg:

Didattica della storia e giochi:

Divulgazione televisiva:

Il trailer del film “Warsaw uprising”:


Note:

[1] https://www.euroclio.eu/tag/26th-euroclio-annual-conference/

[2] Tra le tante formalizzazioni filosofiche di questa prospettiva si può vedere ad esempio: [Danto, 1985], p.159 (tr.it. Danto, 1971, p.218)

[3] In questo senso ci ha parlato la consulente, autrice di libri di testo e sviluppatrice di curricula americana Joan Brodsky Schur; inoltre si può leggere in proposito il saggio di Sam Wineburg, Reading Abraham Lincoln, [Wineburg, 2001], ne abbiamo già parlato distesamente in novecento.org (https://www.novecento.org/pensare-la-didattica/pensare-come-uno-storico-non-e-naturale-3402/)

[4] [Bricchetto, 2016]

[5] Euroclio, soprattutto riguardo alle vicende dell’ex-Jugoslavia, sta inoltre sviluppando un progetto intitolato Learning history that is ‘not yet’ historyhttps://www.euroclio.eu/project/learning-a-history-that-is-not-yet-history/.

[6] Si pensi, per esempio, all’opera dei Wu Ming

[7] Interessante soprattutto il lavoro del collega Daniel Bernsen: https://geschichtsunterricht.wordpress.com/, purtroppo solo in tedesco (in Italia segnaliamo il sito www.historialudens.it; per la divulgazione televisiva segnaliamo invece una serie tv olandese, che sarà però trasmessa in inglese. Questo programma si rivolgerà agli studenti di tutta Europa e parlerà di ciò che è successo negli ultimi venti anni: https://www.vpro.nl/programmas/in-europa/lees/artikelen/in-Europe-at-school.html

[8] L’empatia nell’insegnamento della storia è un concetto problematico e controverso. In lingua inglese la bibliografia sull’argomento è sterminata.

[9] https://muzeum1939.pl/en

[10] https://www.ecs.gda.pl

[11] Qui si può vedere il trailer: https://www.youtube.com/watch?v=CRmdNnyD41U

[12] https://www.annalindhfoundation.org/members/lebanese-association-history-lah

[13] Dobbiamo le informazioni su questo laboratorio alla collega francese Ann Laure Liéval di cui si può leggere qui l’articolo in francese: https://www.aphg.fr/IMG/pdf/atelier_idees_recues_gm2.pdf