L’arresto degli arlecchini
Aldo Carpi, L’arresto degli arlecchini (gennaio 1944)
olio su tavola 45x55 cm
© Collezione privata famiglia Carpi
CONTESTO STORICO
Aldo Carpi (nome completo Aldo Carpi de’ Resmini, Milano 6 ottobre 1866; Milano 23 marzo 1973) è stato un celebre pittore – partecipa a molte Biennali di Venezia, è vincitore all’Esposizione universale di Parigi, 1937 e autore di diversi affreschi e vetrate nelle chiese di Milano, tra cui la vetrata per il Davide nel Duomo – e dal 1930 docente di pittura all’Accademia di Brera di cui è stato uno dei grandi maestri. Tra i suoi allievi si ricordano: Aligi Sassu, Ennio Morlotti, Bruno Cassinari, Gianni Dova, Roberto Crippa, Umberto Faini, Trento Longaretti, Cesare Peverelli, Bepi Romagnoni, Giuseppe Guerreschi, Lorenzo Milani e Dario Fo.[1]
Prosegue l’insegnamento a Brera anche nella città occupata, nella Milano dei rastrellamenti e delle deportazioni, delle violenze di Theodor Saevecke (la strage di piazzale Loreto è del 10 agosto 1944), della Legione Ettore Muti e della Banda Koch, e sotto gli attacchi aerei degli Alleati[2] (nell’agosto 1943 anche un’ala di Brera viene distrutta nel corso di un bombardamento).
Carpi, come molti altri milanesi, era sfollato fuori città; con la moglie Maria Arpesani (sorella di Giustino Arpesani) e con i sei figli Pinin, Fiorenzo, Giovanna, Cioni, Piero e Paolo, si ritira a Mondonico, una piccola frazione di Olgiate Molgora sulle colline della Brianza, dove già il pittore Emilio Gola aveva tenuto il suo studio. Qui continua a dedicarsi alla pittura e all’insegnamento all’Accademia, nei limiti imposti dalle condizioni di una città lacerata spiritualmente e materialmente dalla guerra. Anche Guido Ballo, celebre storico e critico arte di Brera, e due degli allievi prediletti di Carpi – i pittori Ennio Morlotti e Bruno Cassinari – sono sfollati nella stessa località.
Direttore dell’Accademia è dal 1936 lo scultore Francesco Messina (allontanato dall’incarico dopo il 1945 e reintegrato come docente di scultura nel 1947) e dal 1940 il presidente è Guido Pesenti, sansepolcrista, già podestà di Milano, il quale, non avendo aderito alla Repubblica Sociale Italiana, viene arrestato e rinchiuso nel carcere di S. Vittore fino al marzo 1944.
Il 14 luglio 1944 Fernanda Wittgens – che dal 1940 è direttrice della Pinacoteca: la prima donna a vincere un concorso di questo genere – su delazione di un giovane ebreo tedesco viene arrestata e condannata dal Tribunale speciale a quattro anni di reclusione, colpevole di aver aiutato ebrei e antifascisti. Nel 1935 era stato allontanato dalla direzione della Pinacoteca uno dei maestri di Wittgens, Ettore Modigliani, che non aveva mai preso la tessera del partito fascista e, dopo la promulgazione delle leggi razziali, viene espulso dall’amministrazione dello Stato e costretto a nascondersi per sfuggire alla deportazione.
L’IMMAGINE
Il quadro L’arresto degli arlecchini (gennaio 1944, olio su tavola 45x55 cm, collezione privata) è dipinto da Aldo Carpi in questa atmosfera di guerra civile, persecuzioni e deportazioni, pochi giorni prima del suo arresto avvenuto a Mondonico il 23 gennaio 1944. Il quadro mette in scena sei figure umane in una piazza milanese che tentano di fuggire mentre un piccolo plotone composto di quattro guardie è all’inseguimento per arrestarli. La scena è tragica, l’atmosfera è cupa sotto il cielo plumbeo di Milano, ma dal dipinto affiora una tonalità serena e giocosa che viene dalle figure degli arlecchini intenti a una fuga che sembra trascolorare in una danza: questa tensione è caratteristica di molte opere di Carpi, in particolare della serie nominata da Carpi stesso «Maschere» cui anche questo lavoro appartiene.
Le «Maschere» sono una serie di dipinti (una trentina) e di molti disegni e litografie realizzati tra il 1914 e il 1944 in cui l’autore mette in scena figure e attimi della esistenza in rivolta contro la normalità borghese e come sovversione dell’ordine della società fascista. Si tratta di immagini surreali e dai tratti onirici, non allegoriche come le opere della serie dei «Carabinieri», sviluppata dal 1945.
Alla Biennale di Venezia del 1932 Carpi partecipa con una personale di 22 «Maschere» e di quella serie di dipinti nel Diario di Gusen scrive: «Sono espressioni del mio spirito, del mio animo e nascono in me come avvertimenti, come spiegazioni di qualche fatto, certo della vita che può essere anche futuro, più facilmente futuro».[3] Sempre nel Diario di Gusen si legge che nell’Arresto degli Arlecchini c’è «il sentimento del prossimo arresto, perché mi avevano avvertito che ero stato denunciato. Evidentemente i sei arlecchini sono i sei figli, che io desideravo che fuggissero tutti. Però c’è anche un settimo arlecchino che non si vede. Avendo fatto il quadro io, il settimo è l’autore, quello che vede la scena dei figli. Pensavo che si sarebbero salvati tutti, e invece il Paolino se n’è andato».[4]
Casa Carpi è un punto di riferimento per l’antifascismo milanese: in via De Alessandri 1 nel settembre 1943 si tiene una delle prime riunioni del Clnai, con la presenza di Giustino Arpesani. Dal 1943 tutti i figli di Carpi impegnati nella Resistenza sono costretti a vivere in clandestinità o a fuggire in Svizzera; Pinin viene fermato, ma è liberato grazie a uno scambio di prigionieri. Paolo è arrestato con altre diciannove persone il 31 luglio 1944 in viale Regina Margherita 38, nello studio dell’avvocato Luciano Elmo, esponente del Comitato di liberazione e tra i fondatori del giornale clandestino «Risorgimento liberale». Con questa retata i fascisti riescono a individuare la tipografia e ad arrestare Ermanno Tronci e Francesco Biancardi, deportati in Germania e morti in campo di concentramento.[5] Lo stesso Elmo è deportato a Bolzano da cui riesce a fuggire per tornare a essere parte attiva della Resistenza milanese. Paolo Carpi, arrestato all’età di 17 anni, è prima deportato a Flossenbürg e infine assassinato a Gross-Rosen con una iniezione letale, poco prima della liberazione del lager da parte dell’Armata rossa.
Nel gennaio 1944 Aldo Carpi è consapevole che diverse denunce sono state fatte a suo carico: sa che un delatore a Brera lo ha denunciato come antifascista e come «giudeo». Per questo motivo il suo assistente, il pittore Romano Romiti, ha pronto per lui un piano di fuga in Svizzera.
Il delatore è Dante Morozzi, docente di scultura al liceo di Brera, fervente fascista e artista di discreto successo durante il ventennio, anche per via delle sue frequentazioni con Bottai, Farinacci, Preziosi, Manganiello, Pavolini, Interlandi. Dall’ottobre 1941 è docente a Brera dove inizia a svolgere la propria opera di spia del regime. Proviene da Firenze (dove aveva collaborato in qualità di funzionario all’Ufficio affari ebraici diretto da Giovanni Martelloni) e aveva fatto la conoscenza di Carpi e di suo cognato (lo scultore Libero Andreotti denunciato anch’egli, come emerge dai documenti all’atto del processo intentato contro i coniugi Morozzi, alla fine della guerra).
Tra gli obiettivi principali della sua caccia all’ebreo e all’antifascista a Milano c’è Aldo Carpi, pittore celebre – nonostante sia poco stimato dai due critici “ufficiali” del regime Ugo Ojetti e Margherita Sarfatti – docente molto amato dagli studenti e dai colleghi, assai poco incline ad allinearsi come artista e come docente all’ordine fascista che si tenta di imporre anche nell’arte e nell’Accademia. Eliminare Carpi avrebbe significato sbarazzarsi di una figura che intralciava la personale ascesa di Morozzi all’interno dell’Accademia, oltre che un modo per dimostrare il proprio zelo ai nazifascisti.
Come emerge dalle carte del fascicolo del processo ai danni di Morozzi, Carpi viene denunciato una prima volta nel 1942[6] per il suo cognome «giudeo» (nonostante già il nonno di Aldo si fosse convertito al cristianesimo). Nelle parole del delatore la profonda fede cattolica di Aldo Carpi sarebbe stato solo un modo, tipicamente «giudeo», di mimetizzare le proprie origini.
Subito dopo l’armistizio Carpi viene denunciato per aver festeggiato a Mondonico la caduta del regime e per aver ospitato sette prigionieri fuggiti inglesi e greci da un campo nei pressi di Bergamo: Morozzi e consorte, nel frattempo, avevano trovato casa a Mondonico a poche decine di metri dalla casa della famiglia Carpi, per poter meglio controllare le sue attività. In una comunicazione riservata, Morozzi definisce la famiglia Carpi come «furiosamente antifascista».
Nel novembre 1943 il delatore presenta un’ultima denuncia alle SS e agli Uffici Politici Investigativi nella quale riprende tutte le accuse precedenti, sottolineando come ormai l’Accademia fosse diretta, di fatto, da Carpi. Oltre Carpi, Morozzi denuncia una decina di persone tra cui diversi docenti di Brera: tutti riescono a mettersi in salvo. Carpi, pur consapevole della denuncia, non fugge sperando che il suo arresto possa salvare i figli e la moglie.
Al momento dell’arresto a casa con lui ci sono due altri partigiani: Egidio Lovati (arrestato e deportato a Mauthausen) e Gino Molina (ucciso pochi mesi dopo dai fascisti a Milano).[7] Dopo l’arresto da parte dei carabinieri di Brivio Carpi è rinchiuso a S. Vittore, poi deportato a Mauthausen e infine trasferito a Gusen I. Tra i suoi compagni di prigionia si annoverano il grafico Germano Facetti, l’operaio dell’Alfa Romeo Alfredo Borghi, il critico d’arte Raffaele Giolli l’architetto, Gian Luigi Banfi dello studio BBPR e tanti altri cui Carpi dedica pagine e piccoli disegni pieni di pietas.
Essenziale alla salvezza di Carpi e al suo ritorno a casa dopo la liberazione di Gusen è l’aiuto ricevuto dai medici polacchi all’interno del campo che riescono a tenerlo al riparo dalle fatiche più dure e dai pericoli maggiori. Carpi sopravvive anche perché è un pittore celebre: alcuni capi di Mauthausen e di Gusen (tra cui il famigerato Helmut Vetter, condannato a morte alla fine della guerra e Hans Giovanazzi) chiedono a Carpi ritratti o altri dipinti su commissione e a tale scopo, come ricorda lo stesso Carpi nel Diario, in alcune occasioni viene portato fuori dal lager.[8]
Da questa tragica esperienza nasce una delle testimonianze scritte più importanti dell’esistenza all’interno di un campo di concentramento – il Diario di Gusen – e i circa 150 disegni che Carpi fa della vita nel lager noti come «disegni di Gusen»[9], ora conservati al Museo monumento del deportato di Carpi.
Dopo la liberazione del campo, Carpi, ancora convalescente, viene portato al seguito delle truppe americane. Rientra a Milano da Ratisbona solo il 25 luglio 1945, accompagnato in automobile da un soldato americano. Il ritorno in città coincide con l’attesa del ritorno del figlio Paolo: «Noi vivevamo nella speranza che tornasse. Appena arrivato ho contato i figli: 1, 2, 3, 4, 5, e uno mancava. Non mi è mai più venuto in mente di continuare il Diario, non ho scritto più».[10] Con queste parole si chiude il Diario di Gusen. Solo molti anni dopo la famiglia riceve la notizia ufficiale dell’assassinio del figlio nel lager di Gross-Rosen.
Nelle pagine del Diario, né mai altrove – se non nelle carte processuali – Carpi nomina il suo delatore; nel Diario vi si allude quando parla dello «scultore boia», del «vile mago» e quando, sperando di tornare all’insegnamento, immagina una nuova Accademia priva di quella «lordezza e stupidità»[11] di cui era ricolma prima della deportazione. Un pensiero al suo delatore emerge nella pagina del Diario quando poco dopo la liberazione di Gusen scrive: «Chi ha voluto perdermi, perché questa era l’intenzione, chi ha pensato di non vedermi più tornare, perché veramente non avrei più dovuto tornare, resterà scornato e deluso. Il pittore, l’uomo, il padre ritorna alla sua casa a riordinare con la mente le cose sue e a riprendere il lavoro e anche la lotta».[12]
Al rientro a Brera Aldo Carpi viene eletto direttore per acclamazione. Nel frattempo Morozzi era stato rimosso dal suo incarico da Fernanda Wittgens, eletta Commissario straordinario per Brera dal Cln. Nel 1946 si svolge il processo a carico di Morozzi e di sua moglie Giovanna Conrad: il processo si conclude con la condanna in cui si legge: «La giuria, per la maggiore attività spiegata dal Morozzi, per la perfidia delle sue denunce, per la persecuzione agli stessi colleghi della medesima scuola, reputa congrua la pena di anni diciotto di reclusione, e nei confronti della Conrad, figura di secondo piano, ma pericolosa spia nazifascista, reputa idonea quella di anni dieci».
Il pubblico ministero aveva chiesto sedici anni di reclusione, la giuria ne aggiunge altri due. Il processo si svolge in contumacia (Morozzi e Conrad sono sfuggiti in Svizzera). Il 15 aprile 1947, la Cassazione dichiara estinto il reato per amnistia. Carpi partecipa anche a diversi processi ai danni dei nazisti in Germania: nel corso di una delle sue testimonianze disegna una cartina di Gusen I. Forse l’ultimo gesto che legato direttamente alla storia della sua deportazione è la supplica grazie alla quale[13] riesce a convertire in pena detentiva la condanna a morte che era stata inflitta dal Tribunale militare di Monaco a Hans Giovanazzi, il sergente di Gusen che era stato costretto a ritrarre.
BIBLIOGRAFIA
PAROLE CHIAVE
PER CITARE L’ARTICOLO
Maurizio Guerri, L’arresto degli arlecchini, Novecento.org, n. 16, agosto 2021.
Note:
[1] Una efficace sinossi biografica e artistica di Carpi al seguente indirizzo:http://www.treccani.it/enciclopedia/carpi-de-resmini-aldo_(Dizionario-Biografico)/
[2] Sulla città di Milano in questo periodo si rinvia a Luigi Borgomaneri, Hitler a Milano. I crimini di Theodor Saevecke capo della Gestapo, Datanews, Milano 1997, consultabile come pdf a questo indirizzo: http://www.associazioni.milano.it/isec/ita/memoria/download/hitlermi.PDF
[3] Aldo Carpi, Diario di Gusen, a cura di Pinin Carpi, introd. di Corrado Stajano e con un saggio di Mario De Micheli, Einaudi, Torino 1993, 147. Aldo Carpi scrive a Gusen questo Diario sotto forma di lettere impossibili da spedire alla moglie Maria. Dopo la liberazione del lager, Carpi porta con sé questi foglietti, non li rilegge, né ha intenzione di pubblicarli. Stimolato dai figli, in particolare da Pinin, Aldo Carpi decide di raccoglierli in un volume che è curato dal figlio Pinin ed è pubblicato in prima edizione da Garzanti nel 1971. Le uniche differenze del testo pubblicato rispetto alla stesura originaria sono i brevi paragrafi esplicativi in cui Aldo Carpi offre al lettore la possibilità di orientarsi nelle vicende della deportazione e della detenzione a Mauthausen e Gusen. Sulle «Maschere» si veda anche lo scritto di Matteo Bianchi e Marina De Stasio in Aldo Carpi. Mostra antologica (Milano Palazzo Reale 19 gennaio -25 febbraio 1990, Bolis, Bergamo 1990, pp. 30-31.
[4] Aldo Carpi, Diario di Gusen, cit., p. 57.
[5] Per ulteriori approfondimenti relativi alla storia della testata in questione, si rinvia alla voce «Risorgimento liberale», in Stampa clandestina.it.
[6] La vicenda delle delazioni di Carpi è ricostruibile sulla base delle carte del processo contro i coniugi Morozzi: processo Morozzi, 2 marzo 1946. Cas Milano, Fascicoli processuali, busta 35, fascicolo 577, Archivio di Stato di Milano, cui ci si riferisce in tutte le citazioni processuali successive. Molti di questi documenti sono conservati anche nel Fondo Aldo Carpi, Apice, Università degli Studi di Milano. Per una dettagliata ricostruzione della vicenda della delazione si rinvia all’approfondita ricostruzione di Paola Franceschini, Un nome non detto. Il delatore che Aldo Carpi voleva dimenticare, in M. Guerri (a c. di), Aldo Carpi. Arte, vita, Resistenza, Mimesis, Milano-Udine (in corso di stampa).
[7] Sulla figura di Luigi Molina si veda: https://www.bdl.servizirl.it/vufind/Record/BDL-OGGETTO-5384?pageOrigin=COLLECTION&originId=BDL-COLLEZIONE-283&originTitle=Fondi+Archivistici
[8] Sul “lavoro” di pittore a Mauthausen e Gusen si vedano alcune pagine del Diario di Gusen, cit., pp. 32-33; pp. 51-53; pp. 58-59. Alcuni di questi quadri sono stati esposti per la prima volta nella mostra Aldo Carpi. Arte, vita, Resistenza, a cura di Maurizio Guerri, tenutasi a Milano presso il Memoriale della Shoah e l’Accademia di Brera (aprile-maggio 2015).
[9] I «disegni di Gusen» sono catalogati e visibili al seguente indirizzo: http://bbcc.ibc.regione.emilia-romagna.it/pater/loadcard.do?id_card=7492&force=1
[10] Aldo Carpi, Diario di Gusen, cit., p. 306.
[11] Ivi, p. 160.
[12] Aldo Carpi, Diario di Gusen, cit., p. 118.
[13] Una copia della supplica al Tribunale su carta intestata dell’Accademia di Brera è depositata nel fondo Aldo Carpi presso Apice, Università degli studi di Milano.