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Messaggi dal tempo. Gli archivi sonori per la didattica della storia e l’educazione alla cittadinanza

Messaggi dal tempo. Gli archivi sonori per la didattica della storia e l’educazione alla cittadinanza
Abstract

Gli archivi sonori custodiscono un patrimonio di memorie di storia del Novecento che non deve essere soltanto preservato, ma reso disponibile per le nuove generazioni. L’utilizzo delle fonti orali ha contribuito a rinnovare l’insegnamento della storia, introducendo forme di didattica laboratoriale che miravano a superare i limiti di uno studio fondato sul manuale e le prescrizioni dei programmi ministeriali. Al ridimensionamento della storia come disciplina scolastica, previsto dalle normative più recenti, si può rispondere con scelte innovative in cui sono fondamentali la selezione dei temi, alternativa all’idea della trasmissione di un sapere storico enciclopedico, e l’adozione di strategie didattiche finalizzate alla trasmissione di memoria per accrescere, nelle giovani generazioni, la consapevolezza di quanto le vicende storiche rappresentino esperienze vissute e reali.
L’articolo riprende nel titolo e rielabora nei contenuti la relazione tenuta al convegno Recordare i suoni (Torino, 26 ottobre 2018) e un intervento proposto nella tavola rotonda Le fonti orali e il ruolo che possono giocare gli Istituti e le Istituzioni, nell’ambito del convegno Fonti orali in Italia: archivi e rigenerazioni (Torino, 25 e 26 ottobre 2019).

La storia orale dalle origini al riconoscimento della cittadinanza scientifica

La storia orale si è affermata nel corso del Novecento come una metodologia di ricerca fondata sull’utilizzo di interviste e testimonianze soggettive atte ad ampliare, e nello stesso tempo integrare, le fonti disponibili per ricostruire storie e vicende per le quali le risorse tradizionali, soprattutto scritte, non esistono o sono insufficienti, oppure risultano poco utili per particolari esigenze di studio (si pensi, ad esempio, alla storia delle mentalità).

In precedenza il ricorso alle testimonianze orali era praticato già dall’Ottocento negli studi sociologici, etnografici e del folklore, particolarmente in Francia e negli Stati Uniti, ma come l’invenzione della scrittura segna il passaggio dalla preistoria alla storia nelle vicende umane, fu la messa a punto del magnetofono a bobine, sostituite poi dalle musicassette, a provocare lo scarto decisivo sul piano tecnologico e a moltiplicare la produzioni di testimonianze orali a fini di studio storico.

L’origine della storia orale, secondo Liliana Lanzardo, risale agli anni Venti, con le ricerche di sociologia qualitativa della Scuola di Chicago; le ricerche si sono poi diffuse interessando varie università, la cui attività era mirata a raccogliere informazioni complementari a quelle reperibili nella documentazione scritta attraverso interviste a figure di rilievo politico, con l’obiettivo di contribuire a scrivere una storia evenemenziale. Ben presto però cominciò a diffondersi un’altra filosofia di ricerca, indirizzata alla possibilità di dare voce alle minoranze, ai dimenticati, ai silenti, come gli indiani d’America.[1]

 

Gli archivi sonori e l’amministrazione archivistica

L’imponente attività di raccolta di testimonianze ha prodotto nel tempo straordinari giacimenti di memoria, verso i quali, all’incirca a metà degli anni Ottanta, si è attivata l’attenzione dell’amministrazione archivistica. Fra il 1984 e il 1996 la collaborazione fra questa, la Discoteca di Stato e gli Istituti storici della Resistenza consentì di realizzare vari incontri di studio nei quali fu dedicato spazio alle fonti orali e agli archivi sonori.[3] Fu una stagione di forti attenzioni che portò nel 1992 alla realizzazione di un primo censimento dei soggetti che detenevano e conservavano documentazione sonora e audiovisiva. Ma dalla metà degli anni Novanta in poi il tema degli archivi sonori perse la centralità di cui aveva goduto, non tanto perché fosse diminuito il loro valore intrinseco quanto per la rivoluzione tecnologica digitale che assorbì tutte le attenzioni sulle problematiche conservative in era di dematerializzazione dei documenti.

Un risveglio di sensibilità si è avuto recentemente con il progetto di nuovo censimento degli Archivi sonori in Piemonte realizzato da Istoreto, in stretta collaborazione con la Soprintendenza Archivistica e Bibliografica e con gli istituti storici della Resistenza provinciali piemontesi. I risultati del progetto sono stati presentati al convegno nazionale Recordare i suoni, tenutosi a Torino il 26 ottobre 2018, seguito un anno dopo, sempre a Torino, dal convegno Fonti orali in Italia: archivi e ri-generazioni, promosso oltre che da Istoreto e dalla Soprintendenza, da Fondazione Isec, dall’Associazione italiana di storia orale (AISO) e dall’Istituto Nazionale Ferruccio Parri.

 

Didattica e fonti orali

L’impegno che fu proprio dell’Istituto Nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia nel sostenere la storia orale e la sua declinazione didattica trova espressione in un frammento dell’intervento introduttivo di Guido Quazza al convegno L’insegnamento dell’antifascismo e della Resistenza: didattica e fonti orali, tenutosi a Venezia dal 12 al 15 febbraio 1981:

[…] Ben vengano le fonti orali e i documenti della cultura materiale e della vita quotidiana ad arricchire il nostro patrimonio culturale e, ancor più, l’approccio dal basso capace di scuotere almeno se non di rovesciare le vecchie ottiche dei gruppi dominanti. E ben vengano, in stretta connessione con la ricerca scientifica, nell’uso didattico. La traduzione nell’insegnamento di quel materiale e di quel punto di vista può portare uno scossone salutare per sconfiggere la presunzione e la prepotenza dei programmi ministeriali e di certa manualistica fonte di indottrinamento e di dogmatica.[4]

Da alcune relazioni del convegno emergeva come l’uso delle fonti orali nella didattica della storia fosse già al tempo un dato largamente acquisito, dalle elementari all’università, anche se le ambiguità del loro statuto portava in molti casi ad attribuire loro non tanto la natura di testimonianza del passato da sottoporre ad una mediazione quanto quella di una forma diretta di narrazione storica.[5]

 

Il progetto di storia contemporanea della Regione Piemonte

Della presenza di pratiche didattiche impostate sull’utilizzo delle fonti orali vi è traccia, ad esempio, nelle produzioni degli studenti delle scuole superiori del Piemonte impegnati nel progetto regionale di storia contemporanea che si avviò in maniera sistematica nel 1981 ed è giunto nel 2019 alla 39^ edizione. Il progetto è organizzato dal Comitato della Regione Piemonte per l’affermazione dei valori della Resistenza e dei principi della Costituzione repubblicana, istituito in seno al consiglio regionale nel 1976 e si avvale della consulenza scientifica e delle attività didattiche formative degli istituti storici della Resistenza e della società contemporanea piemontesi. La formula prevede la proposta di tre tracce di storia contemporanea su cui gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado del territorio sono invitati a produrre un elaborato originale. Possono partecipare gruppi di cinque studenti, ciascuno con un docente referente. Il progetto si avvia di norma nel mese di ottobre e prevede l’invio degli elaborati a fine gennaio.

Dopo la valutazione collegiale di una commissione composta da esperti indicati dagli istituti storici sono selezionati 25 gruppi che, a spese del comitato organizzatore, partecipano a viaggi di studio che hanno per meta alcuni significativi luoghi della memoria in Italia o in Europa, possibilmente scelti in relazione alle tracce proposte nel bando, anche se negli ultimi anni tale coerenza non è stata rispettata in maniera assoluta. Per ogni viaggio è prevista la partecipazione di un esperto, generalmente scelto fra i membri della commissione giudicatrice, che ha il compito di stimolare il confronto e la riflessione storica dei partecipanti. Fino a quando è stato possibile, ai viaggi hanno preso parte testimoni che furono vittime della deportazione o dell’internamento.

Complessivamente, dall’istituzione del concorso ad oggi, sono stati coinvolti quarantamila studenti e più di mille insegnanti piemontesi. Negli archivi didattici degli istituti si conserva gran parte delle produzioni e l’esame della documentazione rivela come sin dalle origini gli elaborati furono confezionati ricorrendo ampiamente e con buona qualità metodologica alla raccolta di interviste di protagonisti e testimoni. La proposta progettuale al tempo poteva essere interpretata come un invito implicito ad attuare pratiche didattiche innovative come il laboratorio di storia, in sintonia con l’auspicio di Quazza a superare i ristretti confini della programmazione ministeriale e della dogmaticità manualistica. Che questa suggestione giungesse da un’istituzione politica come la Regione Piemonte dimostra come in quel tempo la questione del rinnovamento delle modalità di insegnamento fosse davvero sentita ai più alti livelli. Con la scelta di portare gli studenti nei teatri degli eventi della seconda guerra mondiale, e più recentemente anche dei conflitti nella ex Jugoslavia, alla didattica dei luoghi della memoria si è congiunta quella del ricorso al testimone per integrare le conoscenze o per costruirne di nuove, con la suggestione che il racconto diretto di chi ha vissuto in prima persona le esperienze evocate possa attivare una dimensione emozionale indispensabile per appassionare i ragazzi alla storia o quantomeno accenderne un interesse difficile da produrre con le lezioni tradizionali.

 

La didattica del testimone

Il ricorso al testimone è una prassi che, almeno dagli anni Ottanta, ha caratterizzato in dimensioni significative la didattica della storia, particolarmente su temi come l’antifascismo, la lotta di liberazione o la deportazione, a volte con progetti strutturati e organici, a volte con iniziative estemporanee che dal 2000 in avanti si sono legate alle ricorrenze del calendario civile. Le esperienze didattiche di questo genere sono di varia qualità, spesso in ragione della capacità dialettica del testimone, della sua preparazione e della capacità di comunicazione; il più delle volte in conseguenza della capacità del docente di organizzare metodologicamente l’intervento e di prevedere momenti di rielaborazione critica. Il limite che non dovrebbe mai essere superato è quello della trasformazione del racconto del testimone in vera e propria lezione sostitutiva rispetto al ruolo del docente. Si tratta, del resto, di considerazioni esaurientemente sviluppate, anche su questa rivista[6].

La questione che qui ci si pone è di altra natura: per i nuclei tematici sopra ricordati, ancora centrali nello studio dell’età contemporanea oltre che nel dibattito pubblico, ora che i testimoni, per ragioni anagrafiche, sono rari e sempre meno disponibili, è destinata alla scomparsa anche la didattica basata sulle testimonianze orali?

 

Testimoni addio?

La prima spontanea considerazione sulla scomparsa dei testimoni è quella di una perdita irrimediabile: il testimone, se oculatamente scelto, con il suo carico di esperienza vissuta, con l’adesione del suo racconto a dimensioni non esclusivamente intellettuali nell’animo degli ascoltatori sapeva generare un’attenzione ed una partecipazione di altissima intensità, creando un’atmosfera irripetibile. Chi, ad esempio, ha vissuto l’esperienza dei viaggi della memoria nei luoghi dello sterminio in compagnia di un reduce conserva, anche a distanza di anni, una consapevolezza straordinaria. Una ex studentessa che concorse ad alcune edizioni del progetto regionale piemontese ed ebbe modo di partecipare a più viaggi nei luoghi della memoria scrisse a margine della sua esperienza:

Dopo alcuni anni passati da queste esperienze di viaggio, ho ancora nitide emozioni dei luoghi visitati e soprattutto delle testimonianze dirette che ci hanno accompagnato durante le visite nei luoghi della memoria. Le file di lapidi nelle Fosse Ardeatine, gli edifici sventrati dalla guerra di Sarajevo, i ricordi e la manifestazione del dolore delle donne di Srebrenica e molti altri momenti permettono di realizzare quanto concreta e ancora viva sia[no] la storia e le vicende storiche, che senza queste opportunità di viaggio e approfondimento, resterebbero in una dimensione teorica e artificiosa.[7]

Il recente sondaggio di Eurispes «Italia 2020» ha evidenziato una preoccupante consistenza di intervistati convinti che la Shoah non sia mai avvenuta (15,6%) o che il numero delle vittime sia inferiore alle stime comunemente riconosciute (16,1%): sarebbe interessante rivolgere analoghe domande al campione ristretto e differenziato di quanti hanno avuto modo di visitare un campo di sterminio insieme ad un testimone o soltanto con una guida per valutare l’efficacia dell’azione didattica praticata. Qualcuno potrebbe osservare che l’effetto di un viaggio in luoghi della memoria come Auschwitz o Mauthausen abbia già di per sé un’intensità tale da escludere che chi li abbia visitati possa negare che essi siano serviti per un sistematico progetto di sterminio. È un osservazione pertinente, che non contraddice, comunque, l’affermazione che visitare un luogo della memoria della seconda guerra mondiale in compagnia di un testimone sia un’esperienza ancora più forte. Molto presto, tuttavia, le giovani generazioni non potranno più vivere questa esperienza.

 

Scorte di memoria per i tempi di carestia di valori

Non tutto è perduto, per buona sorte. I serbatoi di memoria sono ricchi di scorte: negli anni sono state raccolte le voci dei reduci, delle vittime delle persecuzioni e delle varie forme di prigionia, così come dei partigiani, della popolazione civile coinvolta nella guerra, persino dei militi della Repubblica Sociale. Gli archivi degli Istituti storici della Resistenza e della società contemporanea sono ricchi di testimonianze orali, interviste o raccolte di storie di vita, su cui si è lavorato intensamente soprattutto negli anni Settanta. Generalmente la spinta alla raccolta è derivata da esigenze di inchiesta; ancora oggi è soprattutto nell’ambito della ricerca che queste risorse continuano ad essere utilizzate, assolvendo principalmente al compito di fornire informazioni per la ricostruzione storica. Questo non ha impedito alle fonti orali di vivere anche di luce propria, a livello divulgativo, come testimonianze autonome o di essere inserite in prodotti strutturati, audiovisivi e multimediali. Le scorte di memoria costituitesi negli anni, se adeguatamente valorizzate, sono destinate a soddisfare appetiti culturali e scientifici ancora a lungo.

E tuttavia c’è il rischio concreto che l’interesse nei loro confronti riguardi chi è già informato e orientato, senza coinvolgere una fascia più ampia di pubblico, in particolare le giovani generazioni che non intercettano queste risorse e, conseguentemente, ignorano l’esistenza di un patrimonio di memorie su cui grava il pericolo di un’archiviazione definitiva ed irreversibile. Si tratta di un rischio grave, perché dentro quelle fonti orali ci sono i codici genetici del corso storico che il nostro Paese si è dato dopo la seconda guerra mondiale, c’è la possibilità di ascoltare le voci e di percepire le emozioni di chi ha vissuto, è stato protagonista o responsabile di eventi storici determinanti.

 

Emozioni o consapevolezza critica?

È scontato che la riproduzione della memoria, attraverso la fonte sonora, audiovisiva o la trascrizione dell’intervista non possa competere con il racconto in presenza del testimone; l’impatto emozionale è sicuramente ridotto, anche se non annullato.

Ma siamo convinti che il valore dell’uso didattico delle testimonianze orali sia da confinarsi entro la dimensione emozionale? Non pare più funzionale ad un processo di apprendimento lo sviluppo di competenze critiche che scaturiscono dall’analisi e dalla comparazione delle fonti, anche nella loro forma orale? Questi interrogativi implicano un lavoro gravoso a carico dei docenti che vogliono impegnarsi in questo senso, perché la selezione delle fonti orali disponibili è un’operazione più raffinata e delicata rispetto all’individuazione del testimone. Nello stesso tempo i detentori degli archivi sonori in cui si conservano le fonti orali dovrebbero garantire non solo l’accesso alle testimonianze ma anche l’offerta di strumenti funzionali alla fruizione, come le descrizioni, le indicizzazioni, le trascrizioni e, soprattutto, la disponibilità su supporti digitali. E invece ciò che spesso accade è che la logica della raccolta e della conservazione prevalga su quella della diffusione: è comprensibile che ci siano attenzioni su materiali dai contenuti delicati e non sempre liberamente fruibili a norma di legge, ma non si può ignorare l’esigenza civile che il patrimonio di memorie del Novecento conservato negli archivi sonori sia un bene comune e condiviso.

Un esempio di utilizzo didattico di testimonianze riprodotte è descritto da Micaela Procaccia in un contributo ad un volume di studi e riflessioni sulla Shoah e riguarda una sperimentazione risalente all’anno scolastico 2003-2004 in un liceo romano: un gruppo di studenti analizzò sistematicamente un’intervista integrale di circa sei ore rilasciata da Liliana Segre (all’epoca non ancora al centro dell’attenzione mediatica) alla Shoah Foundation, ricavandone la spinta all’approfondimento di temi come le leggi discriminatorie e il diritto di asilo, non solo in prospettiva storica ma con declinazione anche sul tempo presente. Commenta l’autrice:

[…] la testimonianza registrata non è assolutamente paragonabile alla testimonianza dal vivo. L’incontro con una persona, con la sua fisicità, lascia spesso un segno indelebile: molti dei ragazzi che si sono recati in visita ad Auschwitz, accompagnati dai testimoni, hanno raccontato del loro bisogno di contatto fisico con loro, di toccarli, di abbracciarli. Il racconto della Shoah, evento indicibile per eccellenza, lascia senza parole, ma, semmai, suscita anche l’urgenza di gesti di vicinanza e di solidarietà. Tuttavia, la testimonianza registrata può lasciare comunque un segno considerevole nelle persone, purché venga usata considerandone le particolari caratteristiche. Può essere vista, rivista, analizzata momento per momento, in una parola «studiata».[8]

 

Una scelta di campo

Viviamo una stagione di gravi difficoltà nella trasmissione della memoria, essendosi indebolita la comunicazione attraverso i canali della famiglia e della comunità sociale. Anche l’investimento istituzionale sull’insegnamento della storia si è ridotto, con esiti culturali negativi che sono visibili a tutti ma che probabilmente non preoccupano affatto.

Ancora una volta chi intende contrastare l’andamento generale deve agire con intraprendenza e autonomia, applicando strategie e metodi didattici alternativi alla dimensione manualistica, nonostante la riduzione del tempo d’insegnamento destinato alla storia e l’eterno scrupolo di rispettare le esigenze del programma.

Occorre, insomma, fare una scelta di campo precisa tra l’enciclopedismo e la selezione di temi funzionali agli obiettivi didattici prescelti.

Dunque, come creare interesse per l’esplorazione di questo patrimonio? La questione non è soltanto se utilizzare o meno queste risorse in ambito didattico, naturalmente: si tratta di sostenere la scelta con la consapevolezza di intraprendere un percorso di valorizzazione delle esperienze tramandate funzionale alla formazione della cittadinanza secondo i principi della Costituzione e della Dichiarazione universale dei diritti umani.

E tuttavia per perseguire questa finalità occorre sperimentare strategie capaci di sensibilizzare ragazzi che appaiono sempre più passivi e disinteressati verso forme di comunicazione che non li coinvolgono nel «fare». Occorre, cioè, riproporre la strategia didattica del laboratorio creando le condizioni per cui agli studenti sia offerta la possibilità di sperimentare attivamente il piacere, e conseguentemente riconoscere il valore, della ricerca storica.

Esperimenti, discussioni, esercizi intorno ad una ricerca simulata rendono lo studente un «apprendista», cui sono dati gli strumenti tecnici per «imparare il mestiere».

 

La didattica laboratoriale: alcune proposte

Le trasformazioni dell’insegnamento hanno certamente modificato nel tempo le modalità del laboratorio, costringendo chi vuole ricorrervi a modellarne le forme e le misure secondo le mutate condizioni.

In questo senso appare particolarmente adattabile alle esigenze di integrare o, su argomenti specifici, sostituire l’insegnamento manualistico con la didattica che utilizza lo studio di caso, un laboratorio ridotto che può essere svolto in poche ore di lezione, in cui allo studente si forniscono alcuni materiali (documenti, anche materiali da archivio sonoro) e le istruzioni operative per svolgere alcuni compiti.

L’utilizzo di fonti orali può essere applicato anche nell’ambito della didattica controversiale, il debate, che prevede l’analisi di documenti che sostengono tesi opposte, chiamando gli studenti ad una elaborazione conclusiva fatta di argomentazioni e controdeduzioni: generalmente si propongono documenti scritti, ma possono avere notevole risalto didattico anche documenti sonori e testimonianze, purché rappresentino bilanciatamente tesi e antitesi.

Un’ulteriore opportunità è costituita dal laboratorio teatrale, più adatto a progetti extracurriculari.  Il punto di partenza può essere costituito da racconti e testimonianze popolari, antieroiche, anche in contrasto tra di loro, finalizzate alla trasmissione di esperienze «dal basso» che consentano rielaborazioni del vissuto. Un progetto in fieri che riguarda gli studenti di un istituto tecnico industriale biellese, ad esempio, prevede che, fornendo loro materiali provenienti dal fondo delle testimonianze sulla storia del lavoro, drammatizzino alcune scene di vita operaia da rappresentare in occasione di un evento dedicato alla memoria del territorio, in cui si prevede di ripercorre un sentiero di montagna sul quale quotidianamente transitava chi si recava in fabbrica e che era percorso ancora negli anni Sessanta. Le connessioni con la storia locale, ambientale e i luoghi della memoria rendono il progetto suggestivo; nel caso biellese si ricostruisce un milieu socio-economico caratterizzato da insediamenti industriali in aree montane, dove si poteva sfruttare l’energia idroelettrica (ma il modello può naturalmente essere adattato anche a realtà contadine e alle urbane). In ogni caso è fondamentale il lavoro didattico nella definizione del tema, nell’individuazione e reperimento delle fonti, nell’organizzazione e nel coordinamento del lavoro in vista della restituzione pubblica del prodotto finale[9].

Parallelamente al lavoro sulle fonti orali già esistenti possono essere attivati anche progetti in cui gli studenti siano formati alla raccolta di interviste, contribuendo attivamente al processo di produzione della memoria. È il caso di alcune iniziative incentrate sull’educazione alla scrittura autobiografica in una prima fase e, successivamente, alla raccolta di storie di vita o di interviste organizzate in base ad un questionario. Tali attività rientrano in un discorso di ricerca, formazione e diffusione della cultura della memoria. Il racconto autobiografico è da considerarsi uno strumento per la valorizzazione delle propria biografia, ma ha anche l’effetto di incentivare la sensibilità rivolta alle testimonianze della vita degli altri, favorendo gli scambi interpersonali e intergenerazionali. Applicati su progetti di storia o di educazione alla cittadinanza questi progetti si propongono di valorizzare il passato e rafforzare le consapevolezze sul presente e sul futuro. Le esperienze realizzate nell’attività didattica dell’istituto biellese e vercellese si sono incentrate su temi specifici, di forte valore sociale e civile, come l’esperienza scolastica, il gioco e il tempo libero, i beni comuni, il viaggio[10]. Gli effetti collaterali positivi di simili attività riguardano l’educazione all’ascolto e al dialogo intergenerazionale. Ma il fine ultimo è quello di rafforzare il valore della memoria in modo non effimero, per rendere consapevoli le giovani generazioni della necessità di non disperderla.

 

Bibliografia

  • C. Bermani e A. De Palma (a cura di) Fonti orali. Istruzioni per l’uso, Società di mutuo soccorso Ernesto De Martino, Venezia, 2008
  • D. Celetti e E. Novello (a cura di) La didattica della storia attraverso le fonti orali, Centro studi Ettore Luccini, Padova, 2006
  • A. Chiappano e F. Minazzi (a cura di), Il ritorno alla vita e il problema della testimonianza. Studi e riflessioni sulla Shoah, Firenze, Giuntina, 2007
  • L. Passerini, Storia orale. Vita quotidiana e cultura materiale delle classi subalterne, Rosenberg & Sellier, Torino, 1978
  • La memoria e l’ascolto per una didattica della storia orale nella scuola dell’obbligo, Bruno Mondadori, Milano, 1985
  • La storia: fonti orali nella scuola, Marsilio, Venezia, 1982

 


Note:

[1] L. Lanzardo, Oral history e la sua nipotina italiana, Fonti orali, disponibile online all’indirizzo https://www.openstarts.units.it/bitstream/10077/15504/1/Riviste-storiche-17_Lanzardo.pdf, URL consultato 5 febbraio 2020.

[2] La definizione deriva dalla figura del «medico scalzo» che operava in Cina ai tempi della rivoluzione maoista: erano persone non laureate che avevano ricevuto una minima formazione medica e che prestavano le loro cure alla popolazione dei villaggi rurali dove l’assistenza sanitaria non arrivava; giravano scalzi perché si trovavano spesso ad attraversare le risaie. L’intento denigratorio aveva come bersaglio la presunta ideologia maoista e l’assenza di titoli accademici, oltre alla mobilità necessaria per raggiungere i testimoni, in genere intervistati a domicilio.

[3] Le iniziative in cui è stato dedicato spazio alle fonti orali, i cui atti sono raccolti nei volumi delle collane delle Pubblicazioni degli Archivi di Stato, disponibili in rete sono:

  • Gli archivi per la storia contemporanea, Mondovì 1984
  • L’intervista strumento di documentazione: giornalismo, antropologia, storia orale. Atti del convegno, Roma, 5 maggio 1986, Roma 1987
  • Archivi sonori, Atti dei seminari di Vercelli (22 gennaio 1993), Bologna (22 -23 settembre 1994), Milano (7 marzo 1995), Roma 1996

[4] G. Quazza, Introduzione in La storia: fonti orali nella scuola. Atti del convegno L’insegnamento dell’antifascismo e della Resistenza: didattica e fonti orali, Marsilio, Venezia, 1982, pp.35-36

[5] D. Jalla, Le fonti orali per la didattica della storia, ibidem, pp. 109-125

[6] C. MarcelliniTestimoni a scuola. Una riflessione sull’uso delle fonti orali per la didattica della storia, Novecento.org, n. 3, 2014. DOI: 10.12977/nov42

[7] Nel 2011 ho preparato e somministrato ad alcuni studenti vincitori un questionario relativo all’esperienza dei viaggi della memoria. I risultati ottenuti sono stati rielaborati nell’articolo I viaggi di studio ai luoghi della memoria. Bilancio di un’esperienza didattica pubblicato, pubblicato su l’impegno, rivista semestrale dell’Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia, disponibile on line all’indirizzo http://www.storia900bivc.it/pagine/rivista/impegno1-11.pdf. La citazione è ricavata dalle valutazioni libere richieste a fine questionario.

[8] M. Procaccia, Alcune considerazioni sul possibile uso didattico della testimonianza registrata, in Chiappano A. e Minazzi F. (a cura di) Il ritorno alla vita e il problema della testimonianza. Studi e riflessioni sulla Shoah, Giuntina, Roma, 2007, pag.73-76

[9] Il progetto riprende un’idea di Marcello Vaudano, già docente di storia e filosofia e presidente dell’istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia dal 2010 al 2016.

[10] L’attività è stata condotta da Barbara Calaba, docente presso la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari. Alcuni dei prodotti realizzati sono consultabili on line al link http://www.storia900bivc.it/pagine/editoriaelettronica/scuolamemoriaVarallo.pdf e http://www.storia900bivc.it/pagine/editoriaelettronica/scuolamemoriaSerravalle.pdf

Dati articolo

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Titolo: Messaggi dal tempo. Gli archivi sonori per la didattica della storia e l’educazione alla cittadinanza
DOI: 10.12977/nov341
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Numero della rivista: n.14, agosto 2020
ISSN: ISSN 2283-6837

Come citarlo:
, Messaggi dal tempo. Gli archivi sonori per la didattica della storia e l’educazione alla cittadinanza, in Novecento.org, n. 14, agosto 2020. DOI: 10.12977/nov341

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