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Novecento di confine. L’Istria, le foibe, l’esodo

Novecento di confine. L’Istria, le foibe, l’esodo

Esuli da Piemonte d’Istria fotografati a Trieste nel 1959
Foto di BiloslavofOpera propria, Pubblico dominio, Collegamento

Enrico Miletto
Novecento di confine. L’Istria, le foibe, l’esodo
Franco Angeli, Milano, pp. 231.

 

Il discorso pubblico e la ricerca storica

I resoconti delle discussioni parlamentari sulla legge che istituì il Giorno del Ricordo[1], con approvazione pressoché bipartisan degli schieramenti politici, sembrano proporre passaggi importanti, se non decisivi, verso il superamento delle divisioni politiche legate alle ideologie del ‘900, la pacificazione nazionale, il riconoscimento nei confronti di lutti, sofferenze e privazioni che la popolazione italiana residente nei territori giuliano, istriano e dalmata ebbe a subire, avendo pagato un conto molto salato nella seconda guerra mondiale.

Tuttavia, come rileva Enrico Miletto in Novecento di confine, il discorso pubblico sulle foibe non incontra con la necessaria serenità i risultati della ricerca scientifica ed è prevalsa nel tempo «una narrazione tesa spesso a privilegiare la spettacolarizzazione degli avvenimenti, incapace di interrogarsi sulle cause che li provocarono»[2]. Ma oltre all’approccio emotivo che insiste sugli aspetti più patetici, fra tutte le celebrazioni civili in calendario attorno alla ricorrenza del 10 febbraio si avverte in misura più forte la pressione politica che si traduce, in casi estremi ma non isolati, in tentativi di imposizione di una lettura univoca che non ammette confronti. Ne rappresenta un esempio la mozione approvata il 7 febbraio 2019 dal Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia che impegnava la Giunta e l’assessore competente

a sospendere ogni contributo finanziario e di qualsiasi altra natura a beneficio di soggetti pubblici e privati che, direttamente o indirettamente, concorrano con qualunque mezzo o in qualunque modo a diffondere azioni volte a non accettare l’esistenza delle vicende quali le Foibe o l’Esodo ovvero a sminuirne la portata e a negarne la valenza politica[3].

Il bersaglio sensibile del documento politico non sono tanto gli storici schierati su posizioni ideologiche pregiudizialmente negazioniste – il cui peso nel dibattito pubblico è piuttosto debole – quanto l’attività di ricerca condotta sulla base di criteri e metodi scientifici (come quella dell’Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell’Età contemporanea nel Friuli Venezia Giulia), che ha prodotto, tra gli altri, uno strumento work in progress come il Vademecum per il Giorno del Ricordo, utile per una prima informazione di base sui temi legati alla ricorrenza[4].

Negli ultimi anni, poi, si sono moltiplicati episodi di intolleranza nei confronti di storici che, attraverso le loro ricerche, sostengono teorie e giudizi sulle complesse vicende del confine orientale tesi a mettere ragionevolmente in discussione, ad esempio, il carattere di pulizia etnica sotteso all’insieme di uccisioni efferate definite con una metonimia «foibe»[5].

Al netto della guerra sui numeri delle vittime delle foibe – che nel contesto attuale sembra avere trovato una dimensione che, pur non pienamente condivisa, ha visto ridursi di molto la forbice tra esagerazioni e riduzioni – il discrimine più rilevante e in certa misura preoccupante appare oggi quello tra la tendenza ad assolutizzare le vicende del confine orientale secondo una prospettiva italocentrica, con derivazioni nazionalistiche e addirittura revanchistiche, e quella a relativizzarle, inserendole in una prospettiva di lungo periodo che risale alla seconda metà dell’800 (se non addirittura al Trattato di Campoformio del 1797), e coinvolge la storia continentale, i movimenti nazionalisti e irredentisti che alimentarono la Prima guerra mondiale, il fascismo, in particolare nella sua versione di confine, le dinamiche della Seconda guerra mondiale, le difficili transizioni diplomatiche verso la pace, la guerra fredda.

Da una simile analisi parte la riflessione di Miletto, che rileva, proponendo un bilancio dei primi quindici anni della legge, come essa abbia prodotto lo

sforzo di proporre un ragionamento capace di muoversi in un’ottica di lungo periodo, di problematizzare il ruolo assunto dagli italiani (non esclusivamente vittime) e allargare la prospettiva alla dimensione europea[6],

cui fanno da controspinte da una parte rigurgiti nazionalisti diffusi a destra, dall’altra ragionamenti riduzionisti, quando non negazionisti, su dimensioni e rilevanza di foibe ed esodo presenti nella storiografia della sinistra radicale.

La bella immagine dei presidenti di Italia e Slovenia che il 13 luglio 2020 rendono insieme omaggio al memoriale della foiba di Basovizza e al monumento dei caduti sloveni, su cui si chiude il capitolo introduttivo del lavoro di Miletto, rappresenta simbolicamente le coordinate entro cui la ricerca dello studioso intende collocarsi e ripropone il dilemma epocale di fronte al quale ci troviamo, anche sul piano storiografico: adottare un punto di vista europeo proiettato verso un futuro unitario, nel quale la storia, in particolare quella novecentesca, alimenti senza rimozioni la coscienza critica o chiudersi nei particolarismi, rinfocolando divisioni storiche in nome di interessi patriottici di antico stampo e chiudendosi al dialogo e al confronto?

 

Dai nazionalismi alle foibe

Il lavoro di Miletto prende l’avvio dalla nascita lessicale della «Venezia Giulia» e delle spinte nazionalistiche e irredentistiche che, a metà ‘800, insinuarono il mito dell’identità etnica, avviando il lungo percorso verso la Prima guerra mondiale e le difficili trattative diplomatiche che condussero – attraverso l’esperienza fiumana, il mito della «vittoria mutilata» e la saldatura fra istanze nazionalistiche, combattentistiche e primo fascismo – al Trattato di Rapallo del 1920.  Si perfezionava così il processo unitario italiano, ma si registrava contemporaneamente il passaggio di quasi mezzo milione di sloveni e croati entro «uno stato che si identificava rigidamente con una sola nazionalità dominante sulle altre»[7]. L’azione del fascismo di confine portò alle estreme conseguenze la vocazione anti-slava imponendo l’italianizzazione forzata alle comunità slovene e croate, attraverso l’istruzione, l’amministrazione pubblica, l’adozione esclusiva della lingua italiana, la trasformazione dei cognomi e la dura repressione di qualsiasi manifestazione di dissenso. Fa parte di questa fase storica, a conflitto avviato, l’occupazione dei Balcani da parte delle truppe dell’Asse e l’assegnazione all’Italia di un terzo dei territori conquistati, tra cui la provincia di Lubiana: fu in questo periodo che si attuarono le politiche di repressione, deportazione e internamento attuate dalle truppe italiane verso la popolazione civile, che assunse caratteri paragonabili a quelli delle peggiori stragi naziste sull’Appennino Tosco-Emiliano, come accadde a Podhum nel luglio 1942. Appare irrealistico disgiungere questi eventi dalla prima tragica stagione delle foibe, che si realizzò nell’autunno del ’43, quando i partigiani di Tito approfittarono del vuoto di potere successivo all’armistizio dell’8 settembre ’43, prima dell’occupazione tedesca, e, in un contesto di insurrezione popolare, sollevazione contadina e resa dei conti con gli esponenti del regime fascista, o presunti tali, uccisero con modalità efferate tra le 500 e le 700 persone.

La seconda stagione delle foibe si colloca nella primavera del 1945 e Miletto ne quantifica i costi in vite umane fra le 3 e le 4mila persone. Questa seconda ondata, oltre ad una dimensione quantitativa diversa, presenta caratteri di sistematicità derivanti da una strategia politica più mirata: eliminare dal territorio quanti potevano impedire o contrastare la presenza del nuovo potere rivoluzionario titino e opporsi all’annessione della Venezia Giulia alla Jugoslavia; un profilo che indubbiamente corrispondeva alla maggioranza degli italiani, fattore che tuttavia non autorizza a concludere che le stragi avessero la prospettiva dello sterminio etnico.

 

Il dopoguerra, i confini, l’esodo

Il volume prosegue con un analitico racconto del dopoguerra, caratterizzato dall’intreccio fra le trattative diplomatiche per la definizione dei nuovi confini, l’instaurazione nei territori passati alla Jugoslavia del sistema socialista, in cui

riorganizzazione amministrativa, requisizioni, confische e collettivizzazione procedettero di pari passo con interventi attuati sul piano culturale, linguistico e identitario che ebbero come bersaglio la popolazione italiana soggetta, nell’arco di tempo che scandì la definizione delle vicende confinarie, a un progressivo, quanto sostanziale, processo di esclusione e indebolimento[8]

e provocarono l’esplosione del fenomeno dell’esodo, peraltro già in corso a partire dagli anni della guerra.

Anche su questo aspetto le cifre del discorso pubblico e quelle della ricerca non combaciano: 350mila profughi italiani nella versione mediatica, 252mila secondo ricerche più puntuali, cifra cui dovrebbero essere peraltro aggiunti 34mila sloveni e 12mila croati di origine istriana, oltre a 4mila persone di altra origine etnica[9]. La dimensione e l’impatto dell’esodo possono essere colti in forma più diretta nei paragrafi che Miletto dedica ai principali centri urbani dell’area (Zara, Fiume, Pola) e alla Zona B del Tlt (Territorio Libero di Trieste); l’attenzione dell’autore si sofferma anche sul controesodo dei comunisti monfalconesi, che scelsero di trasferirsi in Jugoslavia ma, dopo la rottura tra Tito e Stalin finirono emarginati e addirittura perseguitati come presunte spie del Cominform, vivendo sulla propria pelle il fallimento, alla prova dei fatti, della possibilità di integrazione nel sistema jugoslavo.

Dopo avere dedicato attenzione alle partenze, Miletto si occupa degli arrivi dei profughi in Italia, evidenziando i provvedimenti legislativi e gli aspetti organizzatici dell’accoglienza e dell’assistenza, oltre alle non facili dinamiche dell’integrazione, spesso ostacolata da pregiudizi di varia natura, tra cui quelli di carattere politico che negli ambienti della sinistra rappresentavano gli istriani come “fascisti in fuga”.

Il capitolo conclusivo è dedicato a Trieste, centro di passaggio dei profughi diretti in Italia nella prima fase dell’esodo e successivamente, insieme a Gorizia, meta finale di quanti avevano abbandonato la Zona B del Tlt e alle emigrazioni oltreoceano di circa 70mila profughi giuliano-dalmati.

Quella di Miletto è una pubblicazione che si presta molto bene alla funzione di strumento di lavoro anche in chiave didattica: l’autore, infatti, arricchisce la narrazione con continui riferimenti di carattere letterario, cinematografico e musicale che possono dare lo spunto per la costruzione di studi di caso e per approfondimenti; è ampio il ricorso alle testimonianze e alla produzione diaristica di esuli, materiali che lo stesso autore ha contribuito a raccogliere nella sua non breve esperienza di ricercatore. Lo stile divulgativo favorisce la lettura e rende il volume adatto ad un pubblico molto vasto, senza deviare dalla linea di ricerca della maggiore obiettività possibile e tenendo fede al dichiarato intento di «raccontare la storia, ma raccontarla tutta»[10].

 


Note:

[1] La legge 30 marzo 2004, n. 92 che istituì il Giorno del Ricordo, fu discussa alla Camera dei Deputati nelle sedute del 4, 10 e 11 febbraio 2004 e concluse il suo iter parlamentare il 16 marzo successivo, prima di essere promulgata dal Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi. Approvata con il voto favorevole di un arco parlamentare che comprendeva i deputati di centro-destra e centro-sinistra, incontrò l’opposizione soltanto degli esponenti di Rifondazione comunista e dei comunisti italiani: 15 voti su 517 a Montecitorio.
I resoconti delle sedute parlamentari possono essere consultati sul web ai seguenti link
Seduta n.562 del 10 febbraio 2004 n.421 della Camera dei deputati
–        http://documenti.camera.it/_dati/leg14/lavori/stenografici/sed421/pdfs005.pdf
Seduta n.563 dell’11 febbraio 2004 n.422 della Camera dei deputati
–        http://documenti.camera.it/_dati/leg14/lavori/stenografici/sed422/pdfs001.pdf
–        http://documenti.camera.it/_dati/leg14/lavori/stenografici/sed422/pdfs002.pdf
–        http://documenti.camera.it/_dati/leg14/lavori/stenografici/sed422/pdfs003.pdf
Seduta n. 563 del 16/03/2004 del Senato
–        http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=14&id=98166&part=doc_dc-ressten_rs

[2] E. Miletto, Novecento di confine. L’Istria, le foibe, l’esodo, Franco Angeli, Milano 2020, p. 7

[3] Il testo ufficiale della mozione è consultabile al seguente link http://www.consiglio.regione.fvg.it/IterLeggi/MOZ_Pagine/MOZ_dettaglio.aspx?NUMO=9181&LEG=586596&NODG=50

[4] Il testo del Vademecum per il Giorno del Ricordo nella sua ultima versione disponibile al momento in cui viene redatta questa recensione si trova al seguente indirizzo: http://www.irsrecfvg.eu/didattica/218/Vademecum-per-il-Giorno-del-Ricordo-Seconda-edizione-2020

[5] Accanto a casi più eclatanti, lo stesso Enrico Miletto e il sottoscritto furono invitati sul bisettimanale Il Biellese da un lettore di chiaro orientamento politico a non occuparsi di foibe, esodo e confine orientale in quanto, paragonati a “nipoti di Krusciov che parlano di gulag o eredi del nazismo che ricostruiscono la vita ad Auschwitz”, non autorizzati a trattare argomenti su cui il diritto di tribuna doveva essere riservato ai rappresentanti delle associazioni di esuli istriani, fiumani e dalmati [cfr. Il Biellese, martedì 13 febbraio 2018].

[6] Miletto, 2020, p.17, citazione ripresa da R. Pupo, Due vie per riconciliare il passato delle nazioni? Dalle Commissioni storico culturali italo-slovena e italo-croata alle giornate memoriali, in “Italia Contemporanea”, 282, 2016, p.249

[7] Miletto, 2020, p. 37

[8] Miletto, 2020, p.117

[9] Miletto, 2020, pp. 123-124

[10] Miletto, 2020, p. 11