Le parole per dirsi. La scrittura autobiografica, strumento di promozione personale e comunitaria
Abstract
Quello che segue vuole proporsi come uno spazio di riflessione dedicato alla scrittura autobiografica, alle sue declinazioni in contesti scolastici e ai possibili incroci con la didattica delle discipline storiche. L’obiettivo è quello di sviluppare considerazioni sull’efficacia di una metodologia che può assumere carattere di strumento privilegiato per educare alla memoria e valorizzare la storia di cui ciascuno è portatore e le tante storie che si intrecciano alla nostra, comprese quelle raccolte da testimoni. L’articolo prende spunto da alcuni progetti di scrittura autobiografica realizzati in alcune scuole primarie e secondarie di primo grado e descrive le fasi in cui si è articolato il lavoro, che ha implicite connessioni con gli obiettivi delle discipline storiche, nel senso che educa alla valorizzazione, alla produzione e all’utilizzo e di una fonte, la memoria, particolarmente importante tra gli strumenti a disposizione di chi fa storia.
_____________________
The following article is intended as a space for reflection dedicated to autobiographical writing, its declinations in school contexts and possible intersections with the teaching of historical disciplines. The aim is to develop considerations on the efficacy of a methodology that can take on the character of a privileged tool to educate to memory and enhance the history of which each person is the bearer and the many stories that are intertwined with our own, including those collected by witnesses. The article takes its cue from some autobiographical writing projects carried out in some primary and secondary schools and describes the phases in which the work was articulated, which has implicit connections with the objectives of the historical disciplines, in the sense that it educates to the valorisation, production and use of a source, memory, which is particularly important among the tools available to those who make history.
“le parole sono come astucci e tutte contengono materia vitale” (Marie Cardinal)[1]
“scrivere produce distanza, riflessività e, dunque, pensiero” (Laura Formenti)[2]
“le parole scritte sono per me corpo toccabile” (Fernando Pessoa)[3]
La scrittura di sé ha caratteristiche metodologiche e strumentali che facilitano lo sviluppo delle capacità cognitive e delle diverse forme di pensiero, oltre che di una sensibilità rivolta all’ascolto e alla raccolta delle testimonianze di vita degli altri. Scrivere in maniera autobiografica consente di deporre sulla pagina quello che siamo, quello che abbiamo vissuto, offrendo visibilità e concretezza anche al nostro mondo invisibile, ovvero, alle emozioni, ai ricordi, alla nostra interiorità. Le parole, soprattutto quelle scritte, raccontano di noi, di ciò che siamo stati, del nostro presente e divenire; esprimono la nostra essenza e la parte più vera di noi.
Scrivere è un gesto che richiede un tempo maggiore rispetto alla narrazione orale e questo facilita la riflessività, il pensiero, la consapevolezza. Per questo motivo, offrire alle persone la possibilità di raccontarsi attraverso le parole scritte significa dare loro modo di costruirsi degli strumenti volti al riconoscimento e alla valorizzazione di sé attraverso un incremento di autoconoscenza, di autostima e di consapevolezza. Dunque, la parola scritta si posiziona su di un piano differente rispetto alla parola pronunciata oralmente: essa richiede pausa, tempo, riflessione, come ci suggerisce Laura Formenti. Inoltre, il segno grafico offre forma e durevolezza alle parole, che assumono una densità, quasi una fisicità, ben diversa da quelle dell’oralità. Infine, le parole fermate sul foglio consentono la rilettura, ovvero offrono la possibilità, a distanza di pochi attimi o di lunghi anni, di andare a recuperare quanto scritto. Esse garantiscono la sopravvivenza nel tempo di tutti quei pensieri, esperienze, sensazioni che abitano i nostri giorni e che possiamo recuperare ogni qualvolta torniamo a rileggere, parola dopo parola, ciò che abbiamo messo in salvo dall’oblio grazie alla scrittura. Quante emozioni nel ritrovare certi passaggi del nostro diario dell’adolescenza oppure qualche vecchia lettera scritta e mai spedita o ancora qualche appunto fermato velocemente su una paginetta strappata; nella rilettura ritroviamo parti lontane di noi e della nostra vita, spesso con lo stupore che nasce dalla percezione di essere divenuti altri, nel tempo, fino al punto di interrogarsi sulla genesi autentica dello scritto.
La scrittura autobiografica a scuola
In quale modo declinare l’approccio autobiografico nel lavoro con studenti della scuola primaria e secondaria di primo grado, all’interno di un percorso di valorizzazione della memoria in cui si offrono agli studenti opportunità di lavoro attraverso lo strumento della scrittura di sé e della raccolta di storie di vita di altri?
Esempi di tale attività sono disponibili all’interno del progetto “La scuola della memoria” promosso dall’Istituto per la storia della Resistenza e della Società Contemporanea di Varallo che ha incontrato l’interesse pedagogico di alcuni istituti comprensivi delle province di Vercelli e di Biella.
Dall’intreccio di tali sensibilità si è sviluppato un lavoro comune in cui si sono coniugati interesse storico ed esperienza scolastica, vivificando entrambi attraverso la valorizzazione di storie di vita in chiave individuale, nel contesto sociale e in prospettiva storica: quest’idea ha avuto la funzione di orientare sia la riflessione sia la pratica educativa. Il lavoro si è sviluppato intorno a temi quali la storia della scuola, il gioco e il tempo libero, i beni comuni, il viaggio, particolarmente invitanti per stabilire relazioni e confronti in prospettiva storica[4].
Si è cercato di dar vita ad una sorta di laboratorio sociale di scambio intergenerazionale, dove gli attori sono stati gli studenti e le loro famiglie, gli insegnanti e gli adulti presenti nell’istituzione scolastica, gli adulti al di fuori di questi ambiti. Attraverso l’incontro di tutte queste persone si è focalizzata l’attenzione sul valore della trasmissione di esperienze e su come ciascuna storia di vita possa essere considerata parte della memoria collettiva.
Nella progettazione del lavoro sono state individuate delle finalità pensate come mete effettivamente raggiungibili, seppur con la gradualità che caratterizza ogni tipo di attività in campo educativo e sociale. Si è quindi immaginato un percorso educativo nel quale fosse possibile accompagnare gli alunni e gli adulti coinvolti nel recupero di parte della loro storia di vita e nell’attribuzione di significato ai propri vissuti. L’intento è stato quello di favorire l’incremento della consapevolezza del valore sociale del proprio patrimonio di esperienza, facilitando, al contempo, il reciproco riconoscimento generazionale: si è mirato a incoraggiare negli alunni lo sviluppo di una sensibilità all’altro, mentre i narratori più adulti sono stati incentivati a recuperare ricordi ed esperienze che avrebbero rischiato di andare perse nello scorrere degli anni, mettendole a disposizione del progetto. Tutto ciò ha consentito di favorire la costruzione/ricostruzione di legami sociali tra le generazioni e all’interno della comunità.
Il progetto si è dato degli obiettivi ambiziosi, per perseguire i quali, in fase di attuazione, si è adottato un atteggiamento di epoché, categoria filosofica caratterizzata dalla sospensione del giudizio: una postura esistenziale che aiuta a mantenersi aperti nei confronti dell’altro (e di ciò di cui l’altro è portatore), ma anche nei confronti di se stessi, esercitandosi ad accogliere ciò che s’incontra, ciò che si scopre e che non ci si aspetta. La sospensione del giudizio, nello scrivere di sé o nell’ascoltare la storia dell’altro, comporta l’abbandono di stereotipi ed aspettative, consentendo a quello che emerge dalle narrazioni di trovare ascolto e spazio. S’impone, dunque, la necessità che adulti e giovani si rendano disponibili a questo atteggiamento di ospitalità, lontani dai luoghi comuni e da quella impalpabile indifferenza che spesso caratterizza il nostro incrociare le persone lungo il cammino.
La proposta progettuale
Come precedentemente riportato, l’attività didattica si è incentrata sulla sperimentazione della narrazione di sé e sulla raccolta di testimonianze altrui su un tema-chiave individuato con i docenti.
Lo strumento della scrittura è stato, dunque, adottato nella sua duplice possibilità:
- autobiografica, cioè la scrittura di sé stessi. Partendo da uno sguardo rivolto al proprio mondo interiore e alle vicissitudini della propria esistenza, ci si è messi alla ricerca delle parole che consentono di raccontarsi, tenendo sempre ben presente che «in ogni parola pronunciata, ancor più se la scriviamo, risuona, risalta, traspare la nostra soggettiva presenza nel mondo»[5]
- biografica, ovvero la raccolta di storie di vita di testimoni. Assumendo una postura di ascolto e di attenzione, si è trattato di accogliere la narrazione orale della storia di una persona e di tradurla poi in un linguaggio scritto, affinché tale racconto potesse assumere continuità temporale, fisionomia e comunicabilità.
In entrambi i casi, ci si è affidati alle risorse di un gesto, quello della scrittura, che consiste nell’«apporre sullo sfondo scuro e sbiadito dell’esistenza il lucore di una volontà di emergere dall’oscurità dall’anonimato, dall’assenza»[6]. In particolare, scrivere di sé stessi è un’importante occasione di sviluppo personale poiché promuove la conoscenza e incrementa la consapevolezza individuale. Partendo da tale constatazione, è bene ricordare che «l’emancipazione individuale, per esempio l’essere riusciti a salvare le proprie memorie, contro lo scoraggiante giudizio altrui, si riverbera sull’emancipazione di una comunità»[7]. Ecco, allora, che quanto contribuisce alla crescita individuale diventa occasione di crescita sociale, a vantaggio della stessa comunità di appartenenza.[8]
Partendo da tali riflessioni, il percorso proposto alle classi si è dipanato attraverso una serie di incontri, che hanno rappresentato le frazioni di un viaggio tra le parole iniziato con l’ascolto interiore e approdato all’ascolto di un narratore esterno disponibile a condividere i propri ricordi.
1 – Incontri di scrittura autobiografica
“Ogni esperienza è un capitale di conoscenza concreta che dorme dentro di noi. La narrazione la rende visibile e fruibile” (Pineau)
Perseguendo l’obiettivo di favorire la libera espressione del proprio mondo interiore, agli alunni sono state proposte delle sollecitazioni di scrittura con le quali sono stati invitati a riflettere e a raccontare i propri vissuti rispetto al tema prescelto. Ogni momento di scrittura è stato accompagnato dalla successiva condivisione in gruppo: ogni studente, in piena libertà, ha avuto la possibilità di leggere a voce alta, ai propri compagni, quanto scritto.
La condivisione ha rappresentato un momento importante, denso di emozioni, in cui è avvenuto un reale scambio di esperienze e di vissuti. Ovviamente ogni gruppo classe è stato preparato ad affrontare la lettura/ascolto delle scritture prodotte con atteggiamento di accettazione incondizionata, di astensione dal giudizio e dalla valutazione. Per coloro che hanno letto gli scritti si è trattato di sperimentare uno spazio di espressione di sé e di superamento del timore del giudizio altrui; per coloro che sono stati ascoltatori è stato interessante scoprire quanto certi temi esistenziali fossero comuni a tutti, sebbene vissuti attraverso modalità individuali.
Il racconto della propria vita consente di creare fili di relazioni in cui le parole dell’uno divengono risonanze per l’altro, occasioni per ritrovare dentro di sé ricordi, esperienze, percorsi esistenziali. L’eco di ogni narrazione consente, a chi ascolta, di accedere a rimembranze impensate, accostarsi a porte ritenute sbarrate, scoprire nuovi aspetti della propria interiorità. Davanti al “fuoco acceso” dell’incontro, è possibile imparare a condividere le proprie storie, in un intreccio che vivifica l’esperienza di ciascuno e crea reti di legami sociali.
I momenti dedicati alla scrittura autobiografica hanno costituito delle preziose opportunità per tradurre in parole esperienze, storie, esistenze. Karen Blixen sosteneva che essere una persona significa avere una storia da raccontare. Questa storia è unica e caratterizza individualmente ciascuno di noi: trovare le parole per raccontarla e un contesto disposto a recepirla, oltre a renderci più consapevoli del nostro vissuto apre una prospettiva di condivisione e di senso di appartenenza ad una comunità.
Il concetto di narrazione ci conduce anche oltre e ci porta alle parole di Hannah Arendt che ricorda quanto «salvare gli atti umani dall’oblio che li fa labili»[9] sia un’azione importante poiché questa azione può «conferire fama imperitura alle parole e alle gesta»[10]. Ecco, dunque, emergere in primo piano non solo la capacità di narrare di sé, ma anche quella di mettere in narrazione la vita di altri, nella piena consapevolezza che «lo statuto di narrabilità appartiene a pieno titolo all’esistente umano in quanto è unico: gli appartiene come un aspetto irrinunciabile della sua vita»[11].
2 – Preparazione dell’incontro con i testimoni individuati
Dopo aver scritto di se stessi, gli alunni sono stati coinvolti nell’incontro con persone adulte alle quali domandare il racconto della propria esperienza in relazione al tema individuato. Per raccogliere tali testimonianze si sono discusse e preparate in classe le griglie con le possibili tracce di colloquio, strumenti concepiti con la massima flessibilità e duttilità per dare sicurezza ai giovani intervistatori che per la prima volta si sono trovati nel ruolo attivo di ascoltatori e di biografi.
Gli adulti intervistati erano di varie età e, dunque, rappresentativi di periodi storici, culturali e sociali diversi; sono stati scelti nell’ambiente familiare o amicale degli alunni, dopo aver manifestato la loro disponibilità a raccontare di sé. In questa fase si sono inserite anche alcune lezioni di storia del Novecento dedicate specificamente ai temi-chiave individuati, finalizzate a fornire agli studenti gli elementi di conoscenza essenziali per contestualizzare le testimonianze.
Questo lavoro di raccolta di narrazioni di storie di vita si riallaccia al concetto di cultura della memoria, che può essere considerata attraverso due suoi tratti distintivi. Innanzitutto, essa si presenta come la capacità di valorizzare il passato: attraverso l’azione del ricordare, il singolo e la comunità possono riconoscere ed incrementare il valore di ciò che è stato, apprendendo a dare dignità a quello che è possibile intravedere attraverso un pensiero retrospettivo (rivolto all’indietro, verso la storia che si è dipanata). Ma la memoria si offre anche come strumento capace di incrementare le condivisioni interpersonali ed intergenerazionali, grazie ad un tipo di pensiero che si fa introspettivo (volto alla propria esperienza personale), ma anche relazionale (concentrato sulla comunicazione con l’altro).
La cultura della memoria, in entrambe le accezioni, consente la promozione delle persone comuni, ovvero, di coloro che non hanno avuto ruoli di particolare rilievo sociale, politico o economico, ma che sono testimoni e portatori di un patrimonio di memoria “viva”, fatta di esperienze quotidiane vissute tra piccoli e grandi eventi che costituiscono il tessuto comunitario.
Se la comunità scolastica sin dai primi gradi dell’istruzione si dedica con consapevolezza al lavoro di raccolta, elaborazione e divulgazione di memorie contribuisce a creare un clima favorevole al fiorire di una sensibilità attenta alla conoscenza storica che, anche grazie alla maggiore articolazione della progettualità in cui si colloca, potrebbe aumentare il proprio valore formativo.
3 – Raccolta delle narrazioni dei testimoni
“Ognuno di noi sa che chi incontriamo ha sempre una storia unica. E ciò è vero anche se lo incontriamo per la prima volta senza conoscere affatto la sua storia”
(Adriana Cavarero)
Dopo il lavoro di preparazione della raccolta dei materiali orali, gli alunni hanno effettivamente incontrato i loro narratori, i cui racconti sono stati in parte registrati su cellulari e in minima parte trascritti direttamente durante l’incontro. Questa esperienza si è rivelata densa di emozioni per molti degli intervistatori: di fronte al racconto dell’adulto, i giovani hanno affrontato l’incognita della reazione emotiva non solo del narratore (‘e se si mette a piangere? se non ricorda più nulla? se parla poco? se parla in dialetto? ‘) ma anche la propria (‘se mi dimentico le domande? se non riesco a farlo parlare o a farlo smettere? se mi imbarazzo o commuovo? ‘). Si è trattato di porsi in un atteggiamento di ascolto reale, prestando attenzione non solo a quanto detto verbalmente, ma anche alle modalità espressive del narratore e al linguaggio non verbale (pianto, imbarazzo, reazioni nervose, agio e piacevolezza nel ricordo…)
Mettersi in ascolto dell’altro significa fare esperienza di empatia, di rispetto incondizionato, di accettazione di una narrazione che può anche assumere connotati assai differenti rispetto alle proprie aspettative. Del resto, l’incontrare l’altro equivale sempre ad avventurarsi su un terreno imprevedibile, che non conosciamo e nel quale possono verificarsi situazioni destabilizzanti. Ci si incontra con il diverso da sé, in un percorso di riconoscimento reciproco della propria umanità, ma anche della propria soggettività.
Ascoltare il racconto di vita di una persona diventa anche occasione per riflettere sulla propria esistenza, in un gioco di specchi: le parole narrate diventano, per l’ascoltatore, occasione di riflessione, possibili piste da percorrere per meglio conoscersi. Scoprendo, in tal modo, che l’altro, pur nella sua diversità, non ci può essere mai completamente estraneo: egli parla anche un po’ di noi, del nostro sentire, delle nostre esperienze.
Si profila, in questa fase, oltre al tema dell’incontro quello dello scambio: incontrare l’altro, incontrarlo nelle sue parole e nel suo volto[12], ascoltando e raccontando, in uno scambio reciproco nel quale, attraverso un movimento tra passato e presente, in un fluire di narrazioni, si sono creati degli spazi in cui può realizzarsi la condivisione di esperienze. Scambiare storie è una delle più antiche pratiche umane che ha reso possibile la creazione delle società complesse.
Una volta raccolte, le testimoniante di vita sono state sbobinate, cioè, trascritte su supporto cartaceo. Gli alunni si sono così confrontati con il faticoso lavoro che richiede il riascolto lento di tutta la registrazione al fine di poter scrivere ogni parola, ogni cosa detta. Si è trattato anche di imparare a tradurre il linguaggio dell’oralità (con tutte le sue espressioni tipiche) in una forma differente, quella scritta, che si caratterizza per altre regole linguistiche.
Questo lavoro di raccolta, trascrizione e ripulitura delle testimonianze raccolte diviene strumento prezioso per fermare sulla carta i tantissimi ricordi di cui i narratori sono portatori e, dunque, per offrire ad essi continuità e conservazione.
4 – Trascrizione delle testimonianze raccolte
“Si deve cominciare a perdere la memoria, anche solo brandelli dei ricordi, per capire che in essa consiste la nostra vita. Senza memoria la vita non è vita. La nostra memoria è la nostra coerenza, la nostra ragione, il nostro sentimento, persino il nostro agire”
(Oliver Sacks)
Le parole di Oliver Sacks affermano la necessità di imparare a guardare con nuovi occhi ciò che, generalmente, consideriamo banale e scontato, ovvero, la nostra capacità di ricordare. Essa consiste nella facoltà di conservare le tracce dell’esperienza passata in modo da poter avere accesso ad essa attraverso il ricordo. Quello che alberga nella memoria di ciascuno di noi è un patrimonio immenso, una ricchezza che, se non riconosciuta e valorizzata, rischia di andare persa.
Tutto sommato, nella quotidianità di cui è fatta la nostra esistenza, ci pare cosa assai semplice andare a recuperare nella nostra memoria ciò che è stato: volti, eventi, percezioni, sentimenti, tutto sembra essere custodito in uno scrigno interiore al quale è possibile attingere quando desiderio o necessità lo richiedono. Molto di noi e della nostra vita sembra essere sempre a disposizione, recuperabile attraverso un minimo sforzo del pensiero. Ma basta poco, una malattia, un incidente, l’avanzare dell’età, per renderci conto che la possibilità della rievocazione non è niente affatto certa: quando tali vicissitudini ci impediscono di accedere ai nostri ricordi, ecco che si fa strada la temibile sensazione del non avere più punti di riferimento e di essere sospesi in una storia senza più agganci ed ancore. Senza ricordi nulla sembra avere più senso, poiché essi sono i depositari dei significati che ciascuno di noi, nel percorrere la propria esistenza, ha elaborato rispetto alle esperienze che si è trovato a vivere. Basti pensare a cosa accadrebbe se dovessimo un mattino svegliarci ed accorgerci di aver tutto dimenticato, l’intero nostro universo individuale perduto in un abbandono della memoria: il libro sul comodino, colui o colei che dormono al nostro fianco, il quadro nell’anticamera ed il maglione a cui siamo tanto affezionati. Ogni cosa e ogni volto non avrebbe più alcun senso e tutto verrebbe appiattito dal venire meno di quegli agganci che ci consentono, abitualmente, di collocare ogni più piccolo dettaglio all’interno della nostra storia. Dalla consapevolezza che la memoria è ciò che ci orienta nella vita e che essa necessita di essere incentivata, protetta e custodita, nasce l’attenzione nei confronti di tutte quelle azioni che, in vario modo, vanno a proteggere e a custodire questa nostra importante facoltà. La possibilità di garantire la conservazione delle memorie dei narratori, fermando sulla carta le loro narrazioni, diviene, dunque, un’azione capace di valorizzare l’esperienza esistenziale del singolo e, al contempo, di mettere in risalto il contributo che essa può recare alla comunità di cui ognuno di noi è parte integrante.
5 – Riflessione sull’esperienza
A conclusione del progetto, agli alunni è stato offerto un momento di metariflessione sull’esperienza vissuta: essi sono stati sollecitati a scrivere quanto sperimentato lungo l’intero percorso formativo, prestando attenzione agli aspetti emotivi che li hanno accompagnati nelle diverse attività svolte. Oggetto di queste scritture finali è stato il percorso stesso, con quanto di cambiamenti, acquisizioni, difficoltà e scoperte ha recato con sé; ne sono scaturiti giudizi assolutamente individuali, legati all’esperienza ed alla percezione soggettiva di ciascun alunno.
Per le giovani generazioni, non è niente affatto agevole fermarsi, sostare dentro di sé e mettersi in ascolto dei propri movimenti interiori. È necessario che gli adulti, soprattutto coloro che hanno un ruolo educativo nei confronti dei più giovani, offrano delle occasioni in cui poter apprendere la capacità della riflessione, del silenzio, dell’ascolto di sé. Solo in questo modo si dà la possibilità ai ragazzi di riconoscere le risonanze personali di ogni esperienza vissuta, costruendo un significato soggettivo alle stesse.
Elemento costante che ha accompagnato il lavoro, una sorta di filo conduttore presente in ogni fase del progetto, dai primi incontri di scrittura autobiografica fino al lavoro conclusivo di riflessione personale, è stata la forte attenzione nei confronti delle ‘parole’: esse ci raccontano, ci descrivono, parlano di noi.
Le parole sono vive, entrano nel corpo, bucano la pancia: possono essere pietre o bolle di sapone, foglie miracolose. Possono far innamorare o ferire. Le parole non sono solo mezzi per comunicare […] ma sono corpo, carne, vita, desiderio. Noi non usiamo semplicemente le parole, ma siamo fatti di parole, viviamo e respiriamo nelle parole.[13]
Indicare ai più giovani la possibilità e, al contempo, la necessità, di ascoltare con attenzione ogni singolo vocabolo, che giunga dal mondo o che scaturisca dal proprio sentire interiore, significa poter offrire loro l’occasione per affinare una sensibilità nuova, grazie alla quale sia possibile cogliere le sfumature, il non detto, i confini di ciò che costituisce il nostro raccontarci. Del resto, attraverso le parole ciascuno di noi si dà una forma e costruisce il proprio essere nel mondo; le parole sono il luogo dove le cose divengono, dove le esperienze si accendono di significato. La cura nei confronti delle parole attraverso le quali scegliamo di raccontare di noi e della nostra esistenza diviene una forma di attenzione verso i propri pensieri e verso il modo con cui costruiamo il significato dell’esistenza e di quanto in essa sperimentiamo.
6 – Prodotto finale
Tutto il materiale elaborato da ogni singola classe è stato poi raccolto e pubblicato in un quaderno che è stato consegnato ad ogni singolo alunno. In questo modo, tutte le scritture nate durante il realizzarsi del progetto educativo, con le storie di vita di cui erano portatrici, hanno trovato un luogo sicuro, le pagine del libro, dove essere custodite e dove poter incontrare lo sguardo di chi, nel tempo, attraverso la lettura, si regalerà il viaggio tra di esse.
Ogni libro è diventato lo spazio nel quale i ricordi di molte persone, giovani e adulte, hanno potuto trovare ospitalità: sono i racconti di uomini e donne comuni, persone che, con le proprie esistenze, generalmente rimangono pressoché invisibili agli occhi degli storici. In realtà, sono loro a costituire e a dare vita al dispiegarsi della storia stessa, quel contenitore infinito che spesso viene immaginato composto esclusivamente da date memorabili, grandi eventi e personaggi celebri. Invece, sono proprio le tracce delle singole vite, per quanto piccole, ordinarie e soggettive, a costituire il dipanarsi del filo del tempo e ad alimentare la memoria collettiva. Salvare dall’oblio tali tracce consente di conoscere la storia attraverso la ricchezza di prospettive che la caratterizza e di valorizzare tutte le micro storie di cui essa è tributaria.
Conclusioni
Il progetto “La scuola della memoria” è stato presentato anche all’interno di percorsi formativi dedicati ai docenti, riscuotendo un interesse che ne ha consentito la prosecuzione in tempi di emergenza sanitaria, pur con qualche adattamento. La valenza didattica che lo caratterizza è quello di contribuire a far comprendere la funzione culturale della memoria con la finalità di educare gli studenti ad esserne protagonisti quali raccoglitori e contestualmente prepararli ad esserne produttori. L’azione si ferma prima dell’obiettivo della formazione della coscienza storica, che necessita di altri interventi didattici e dell’acquisizione di strumenti critici interpretativi delle testimonianze, ma ne agevola certamente il raggiungimento, rendendo gli studenti consapevoli dei processi di raccolta, elaborazione e valorizzazione educativa della memoria.
Affido ai lettori, come messaggio conclusivo e, spero, motivante le parole della scrittrice e psicoanalista statunitense Clarissa Pinkola Estés:[14]
Non ci sono modi giusti o sbagliati di raccontare una storia. Allora, blandite i vecchi bisbetici facendovi raccontare i loro ricordi più belli. Chiedete ai piccoli quali sono stati per loro i momenti più felici. Chiedete agli adolescenti quali sono stati i momenti più inquietanti della loro vita. Date ai vecchi la parola. Girate attorno al cerchio. Spingete gli introversi da aprirsi. A tutti fate domande. Vedrete. Tutti si sentiranno riscaldare, sostenuti dal cerchio di storie che insieme creerete
Note:
[1] M. Cardinal, Le parole per dirlo, Bompiani, Milano 1976.
[2] L. Formenti (a cura di), Attraversare la cura. Relazioni, contesti e pratiche della scrittura di sé, Erickson, Trento 2009, p. 23.
[3] F. Pessoa, Il libro dell’inquietudine, Feltrinelli, Milano 1986.
[4] Per chi volesse consultare alcuni dei materiali prodotti nei progetti si rimanda ai seguenti link http://www.storia900bivc.it/pagine/editoriaelettronica/scuolamemoriaVarallo.pdf; http://www.storia900bivc.it/pagine/editoriaelettronica/scuolamemoriaSerravalle.pdf.
[5] D. Demetrio, La scrittura clinica. Consulenza autobiografica e fragilità esistenziali, Cortina ed., Milano 2008, p. 6.
[6] Demetrio, 2008, p. 10.
[7] Demetrio, 2008, p. 152.
[8] Queste riflessioni, riguardanti il generativo intreccio di incontro, memoria e narrazione, si sono ispirate alla Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari. Si tratta di un’associazione senza fini di lucro, fondata nel 1998 grazie all’iniziativa di Duccio Demetrio (già professore di Filosofia dell’educazione e di Teorie e Pratiche della Narrazione presso l’Università degli Studi di Milano – Bicocca, già preside della Facoltà di Scienze dell’Educazione) e di Saverio Tutino (inventore dell’Archivio Diaristico di Pieve Santo Stefano). Essa si configura come una comunità di ricerca, di formazione e di diffusione della cultura della memoria, attraverso le tante declinazioni che essa può assumere.
[9] H. Arendt, Tra passato e futuro, Garzanti, Milano 1999, p. 70.
[10] Arendt, 1999, p. 75.
[11] A. Cavarero, Tu che mi guardi, tu che mi racconti. Filosofia della narrazione, Feltrinelli, Milano 1997, p. 47.
[12] Per approfondire il tema del volto umano come “esperienza dell’altro” si consiglia l’approfondimento del pensiero di E. Levinas, filosofo francese di origini ebraico-lituane che a lungo ha meditato, nelle sue opere, sul volto umano.
[13] M. Recalcati, L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento, Einaudi, Torino 2014, p. 90.
[14] C. Pinkola Estés, L’incanto di una storia, Frassinelli, Milano 1997.