La storia non si ripete: si rinnova. Conversazione con Carlo Greppi
Carlo Greppi
Abstract
Il tema della storia pubblica, inteso nella sua accezione più ampia, è molto caro a Novecento.org, sia per la missione culturale che i vari Istituti svolgono per la storia delle società contemporanee sia per il ruolo che gli insegnanti hanno rispetto alla società e all’educazione delle nuove generazioni.
Carlo Greppi (nato nel 1982) è uno storico e uno scrittore, viene dal mondo della ricerca ma anche della promozione sociale. Ricercatore in Istoreto e collaboratore della Rete Parri, di quest’ultima è stato membro del Comitato scientifico. Nei suoi lavori il tema storico è sempre declinato con uno sguardo verso l’attualità e il futuro, con un tratto civile marcato che nei contesti più disparati assume caratteri di militanza dichiaratamente antifascista. Attualmente dirige una collana di storia (Fact Checking) per Laterza che si propone di affrontare nodi di storia controversiale, ad alto tasso di uso pubblico della storia, e recentemente con un gruppo di studiosi/e, ha dato vita a un manuale per le scuole superiori per il medesimo editore. La conversazione che segue, nell’attenzione che Novecento.org dedica a manuali scolastici e divulgazione storica, intende dunque mettere a fuoco, attraverso il confronto con una officina editoriale, i problemi del lavoro storico riguardo alla comunicazione, sia per la domanda pubblica di storia non specialistica sia per le esigenze didattiche che il presente ci pone.
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The topic of public history, understood in its broadest sense, is very dear to Novecento.org, both because of the cultural mission that the various institutes perform for the history of contemporary societies and because of the role that teachers have with respect to society and the education of the new generations.
Carlo Greppi (b. 1982) is a historian and a writer, he comes from the world of research but also of social promotion. A researcher at Istoreto and collaborator of the Parri Network, he was a member of the latter’s Scientific Committee. In his works, the historical theme is always declined with a glance towards current affairs and the future, with a marked civic trait that in the most diverse contexts takes on characteristics of avowedly anti-fascist militancy. He currently directs a history series (Fact Checking) for Laterza that aims to deal with controversial history issues, with a high rate of public use of history, and recently, with a group of scholars, he has created a manual for high schools for the same publisher. The conversation that follows, in the attention that Novecento.org dedicates to school manuals and historical popularisation, therefore intends to focus, through a comparison with a publishing workshop, on the problems of historical work with regard to communication, both in terms of the public demand for non-specialist history and the didactic needs that the present poses to us.
Da cosa nasce il progetto Fact Checking e quale vuole essere il suo ruolo per un mercato editoriale come quello italiano? Qual è il criterio comune che è alla base della tipologia di temi individuabili? Credo che, in estrema sintesi, come recita lo stesso sottotitolo “la Storia alla prova dei fatti”, si tratti soprattutto di una questione di metodo…
Negli ultimi cinque anni il mio rapporto con Editori Laterza ha assunto sempre più la conformazione – e le dimensioni! – di un cantiere. Un lavoro che potenzialmente è molto individuale è diventato via via un dialogo, sempre più allargato. Con l’editor Giovanni Carletti e con Giuseppe Laterza siamo approdati in maniera del tutto naturale a questa idea in una congiuntura felice che ci ha portati a riflettere sulla necessità di una risposta diretta e immediata al frastuono contemporaneo intorno alla storia: nel primo progetto, ormai quasi di tre anni fa, il titolo da me proposto era però “I piccioni viaggiatori”. Il claim/concept che scrissi era questo: “Si dice che discutere con certe persone è come giocare a scacchi con un piccione: farà cadere tutti i pezzi sbattendo le ali, e poi se ne andrà con il passo fiero, come se avesse vinto lui. In un’epoca dominata dal virtuale e inquinata dalle false notizie, molti sono i temi su cui si discute ‘da piccioni’, ma dei quali poco si sa. E allora è necessario provare a fare il punto, con i tempi della carta stampata, con i tempi di un altro piccione, senza dubbio più utile alla comunicazione e alla conoscenza: il piccione viaggiatore. Uno che guarda il mondo con curiosità, e che ha delle notizie importanti da dare”. Il bisogno di tornare allo stato dell’arte della ricerca e alle acquisizioni storiografiche consolidate, per provare a ribattere colpo su colpo alle narrazioni tossiche, è emerso da un lato dall’esasperazione di fronte a uno spregiudicato uso pubblico della storia e da tanta disinformazione storica – per fare un esempio, suggerivo da anni a Eric Gobetti di fare un libro di alta divulgazione e aggiornamento storiografico da dedicare al tema delle foibe e delle violenze di confine, che è poi diventato E allora le foibe? Dall’altro, nasce dalla sensazione che vi fosse una effettiva percorribilità di un approccio da debunking, ovvero di demistificazione e confutazione di notizie o affermazioni false, scorrette da un punto di vista metodologico e ideologico e trasmesse in modo acritico, usando un titolo antifrastico e scansione interna più o meno immaginata come “replica” agli stereotipi vigenti o come panoramica tematico-cronologica. Un approccio riscontrabile anche in altri lavori di grande successo editoriale, come Italiani, brava gente? Un mito duro a morire[1] di Angelo Del Boca e Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo[2] di Francesco Filippi, – un libro che ho seguito fin dalla sua ideazione.
Dal 2019 il progetto ha preso via via una forma più compiuta e, stilando un primo calendario di uscite, si è approdati alla sua denominazione definitiva – appunto “Fact Checking: la Storia alla prova dei fatti” –, senza ombra di dubbio più di impatto e che non necessita di essere spiegata (a differenza de “I piccioni viaggiatori”). Naturalmente “Fact Checking” ha una sua dimensione anche provocatoria; senza ritenere, estremizzando un approccio positivista, che esistano “nudi fatti” semplicemente da scoprire e rivelare, intendiamo ribadire che il sapere umano è un percorso, e dunque partire da una considerazione piuttosto banale per i professionisti del passato: possiamo accedere alla sua conoscenza, pur mediata e provvisoria, e dobbiamo tenere conto delle fonti e della storiografia più aggiornata per poter discutere seriamente di storia. Esiste un ventaglio di interpretazioni legittime, e intorno a questo si può – e si deve! – discutere. Ma bisogna spazzare via il campo, per quanto possibile, dalle falsificazioni, dalle mistificazioni e dalle vere e proprie menzogne che circolano soprattutto su temi molto “caldi” del nostro passato più o meno recente. E questo lo possono fare solo esperti ed esperte che si occupano da decenni del tema su cui scrivono, e che in un testo dalle dimensioni contenute e dalla scrittura decisamente felice provano a rimettere sul tappeto le questioni cruciali dalle quali è necessario partire. Sì, “fare storia” è soprattutto una questione di metodo: ragionare costantemente sulla solidità delle tracce che ci consentono di raccontarla, in primis, e naturalmente anche sul “come” la raccontiamo, attraverso le incalcolabili forme possibili di non fiction, dal saggio più tradizionale o più narrativo al pamphlet, dal documentario al manuale di storia, per fare solo alcuni esempi che conosco dall’interno e per esperienza e sperimentazione diretta.
Trame del tempo è il titolo del manuale che con Caterina Ciccopiedi, Valentina Colombi e Marco Meotto appena pubblicato per Editori Laterza. Il progetto si presenta come offerta di materiali per lo studio della storia, fonti e storiografia, volti a sottolineare il sapere storico come elemento fondamentale di uno spirito critico e dall’altro è caratterizzato da grande attenzione alla scrittura. Originale ad esempio, e qui emerge il carattere narrativo, la scelta di integrare fonti e citazioni “direttamente nel racconto – e non in apparati paratestuali”, come scrivete voi stessi/e nella prefazione (Cosa c’è in questo manuale?).
Esatto. Credo e crediamo che aprire il laboratorio della storia all’interno di un manuale possa scardinare – à propos – alcuni miti durissimi a morire tra gli studenti, e cioè che la storia sia qualcosa di fisso e immutabile, solo da osservare in maniera “oggettiva”, mentre tutto quello che ci permette di studiarla, interpretarla e raccontarla meriti al più qualche “box”, qualche “scheda di approfondimento” o venga – ancora peggio – derubricato come gustosa curiosità. Mostrare la dinamicità del passato e della sua conoscenza, “svelare” il nostro rapporto con le fonti e con il loro studio, far intravedere per quanto possibile anche il costante lavorio degli storici e delle storiche sul tempo, permettono di vederne appunto le “trame”: il racconto del passato e la riflessione sul fondamento di quella narrazione. Siamo fortemente convinti e convinte che si possa e si debba lavorare con gli studenti e le studentesse in una maniera innovativa, recuperando anche un rapporto con la lettura e con i suoi tempi che si è sgretolato, come ben sappiamo, negli ultimi decenni. Tornare a “leggere” la storia, insomma, crediamo che sia uno dei fondamenti necessari per costruire cittadini e cittadine consapevoli, che sappiano cosa “è” la storia – e più in generale la conoscenza umana, con i suoi inciampi e le sue sfide epistemologiche – e perché “ci serve”.
Tutto questo discorso vale anche per la storia pubblica nel suo insieme. La tua idea è che ragionare di storia sia un’esperienza non solo testuale e intertestuale ma anche “ipermediatica”.
In effetti, se non accompagnati – e qui il ruolo dei/lle docenti è assolutamente centrale, decisivo –, gli studenti corrono il rischio di percepire la storia come un gran calderone, quel passato “usa e getta” criticato spesso da Giovanni De Luna, in particolare ne La passione e la ragione[3], che ci stordisce: viviamo in una costante confusione informativa nella quale non abbiamo gli strumenti per vagliare fonti, narrazioni e interpretazioni; o che quantomeno rischia di farci franare il terreno sotto i piedi, e parlo anche degli adulti. Se da un lato rischiamo di annegare nella sovrabbondanza di materiali – pur con un preoccupante e rapidissimo tasso di obsolescenza – dall’altro prevale la cultura del frammento decontestualizzato, “galleggiante” in rete; questo è vero. Eppure mai come ora nella storia umana si è avuta una così straordinaria opportunità di avere a “portata di clic” una marea di fonti e di testi di varia natura, sul passato più o meno recente e sul nostro presente, che ci permettono di ragionare sulla storia del futuro.
Se il percorso formativo di ogni discente avrà dunque una sua solidità, questo sarà grazie ai testi (strictu sensu e in senso lato) e alle figure professionali che oggi lo accompagnano, capaci di cogliere la sfida della nostra contemporaneità: credo che l’obbiettivo debba essere quello di imparare a “conoscere la conoscenza” – come auspica da tempo Edgar Morin (Il metodo, v. 3[4] e Insegnare a vivere[5]) -, un prerequisito imprescindibile per gli adulti di oggi e domani. Si tratta di dotarsi di strumenti per decifrare e contestualizzare anche i materiali online come fonti e narrazioni, con gli strumenti specifici che vengono dal metodo storico critico.
Altri elementi caratterizzanti il tuo cantiere di lavoro sono quello definito della “cittadinanza plurale” e una certa attenzione alla storiografia recente. Progettare una collana o un manuale significa anche avere in mente lettori, docenti e studenti e in qualche modo individuare che cosa sarebbe utile al mercato editoriale italiano e alla scuola italiana.
La cultura storica ha acquisito ormai una conformazione globale, e le influenze reciproche travalicano i confini nazionali in maniera sempre più travolgente. Un esempio noto e assai dibattuto è quello dell’affermarsi della memoria della Shoah nel mondo occidentale, in particolare a partire dagli anni Novanta; un processo nel quale non mancano insidie altrettanto note, dal paradigma vittimario all’emergere di un approccio “emozionale” alla storia e alla memoria pubblica. Si è così rapidamente imposta in Italia, all’inizio del nuovo millennio, una doppia ingombrante polarizzazione: “storia vs memoria” e “conoscenza vs emozione”. Sul primo aspetto: se la memoria – individuale, collettiva, sociale – è una fonte indispensabile per gli storici, e come tale va considerata, la storiografia non può fare a meno, a mio modo di vedere, di confrontarsi con le dinamiche che regolano la memoria pubblica, nella quale è comunque inserita. A proposito della seconda dicotomia: mi preme qui ricordare come uno dei nuclei argomentativi più dirompenti del volume a mio parere indispensabile (quanto a capacità analitica e carica empatica) Non c’è una fine[6] di Piotr M. A. Cywiński, direttore del Memoriale e Museo di Auschwitz-Birkenau, sia proprio quello della decostruzione del presunto binomio oppositivo conoscenza/emozione, come peraltro ogni esperienza di insegnamento e di confronto può confermare – i due aspetti si compenetrano al punto che è spesso difficile districarli.
Al di là degli effetti perversi che possono naturalmente avere le “strategie dell’emozione” (riprendo la felice definizione di Anne-Cécile Robert che peraltro sottolinea a sua volta il fatto che le ricerche più recenti “mostrano come i due registri di emozione e ragione si completino a vicenda, vale a dire come sia possibile un’‘integrazione’”) che fanno largamente uso della memoria sacralizzata, mi auguro che questa doppia dicotomia sia oggi superata. Lo storico francese Ivan Jablonka, autore di una mirabile apologia della storia (L’Histoire est une littérature contemporaine: Manifeste pour les sciences sociales[7]) purtroppo non tradotta in italiano, chiudendo la sua Storia dei nonni che non ho avuto. Uno storico sulle tracce della propria famiglia scomparsa ad Auschwitz[8], già ci aveva messi in guardia: «non ha senso contrapporre scientificità e partecipazione emotiva, eventi esterni e passioni di chi comunica, storia e arte del racconto, perché l’emozione non nasce dal pathos o dall’accumulo dei superlativi: essa scaturisce dalla nostra tensione verso la verità».
Qui entra in gioco l’esperienza di educatore, extrascolastico ma in rapporto con il mondo della formazione, e un universo civile che si affianca a quello della ricerca e della comunicazione. Il che è centrale per l’insegnamento della storia (e oggi della curricolare “educazione civica”), che sono radicate nei problemi e nelle inquietudini del presente.
In questi anni, con l’associazione Deina, portando in viaggio nella storia e nella memoria – metaforicamente e concretamente parlando – decine di migliaia di studenti e studentesse, abbiamo cercato di tenere in equilibrio le emozioni che la storia fa scaturire e la conoscenza che le precede e le segue, in un approccio ai miei occhi virtuoso. Naturalmente per accompagnare i discenti o i lettori in questa “tensione verso la verità” non si può prescindere, per come la vedo io, dalle domande che rivolgiamo alla storia; e ritengo che sia efficace esplicitarle.
Nel panorama editoriale può valere come esempio, per restare sul tema dell’“officina” dello storico e per fotografare una tendenza indubitabilmente globale, il dilagare della prima persona singolare nella sua manifestazione più evidente: quella della scrittura, e dunque della “divulgazione” o comunque della messa a disposizione dei risultati della nostra ricerca. Un approccio che di norma, da lettore e da autore, a me convince moltissimo, perché svela e rivela la soggettività di chi scrive; le sue domande, le sue inquietudini e i suoi inciampi, il suo posizionamento (anche etico, anche politico). In un saggio di prossima pubblicazione Enzo Traverso riflette in maniera appassionata e acuta su questi molteplici “io” (l’“io” di posizione, d’indagine o di emozione), mettendone in luce anche i rischi, ricordandoci in particolare che la storia è fatta da soggetti collettivi: “non tanti piccoli ‘io’ ma un grande ‘noi’”. Noi che di storia scriviamo siamo parte del racconto; il nostro sguardo e i nostri obiettivi – esplicitati o meno – in qualche forma penso che debbano venire alla luce.
“Fare storia” significa anche confrontarsi con le novità della storiografia, duellando costantemente con quanto accade sotto i nostri occhi sul piano della memoria pubblica: dalle “false notizie” alle nuove sensibilità, delle quali credo sia sempre fondamentale tenere conto.
Queste considerazioni hanno avuto una loro ricaduta per me naturale in Trame del tempo. Un manuale che intende fare propria l’idea di una cittadinanza plurale aperta e inclusiva: un numero sempre crescente di studenti e studentesse in Italia non è nativo o figlio di nativi, ed è bene tenerlo sempre a mente. Così come sarebbe miope, credo, ignorare la vivacità della memoria pubblica e la sua intrinseca conflittualità. Da questo punto di vista è importante porre la questione della legittimità, da parte di chi è tradizionalmente escluso dalla scrittura del passato, di pretendere di farne parte; e più in generale è fondamentale dedicare molta attenzione agli “usi” della storia, proponendo agli studenti attività laboratoriali per ragionare sul revisionismo, sulla storiografia tra mercato e politica, sui temi della memoria pubblica e sulle problematicità di alcune giornate della memoria, spiccatamente nazionaliste. L’ultimo esempio in ordine di tempo è l’approvazione, sostanzialmente all’unanimità, della Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli Alpini (26 gennaio, vigilia del Giorno della Memoria), criticatissima dagli storici perché di fatto, celebra la guerra dell’Asse. È un contesto, quello sotto i nostri occhi, in cui mancano ancora assunzioni di responsabilità storiche che siano collocate in un’elaborazione del passato più ampia, che guardi alla storia umana nel suo complesso e non a letture nazionali o identitarie rassicuranti. A proposito di tutto questo, penso (e auspico) che nei prossimi anni prenderà sempre più piede il bisogno di storie – a prescindere dal contesto in cui queste saranno ambientate, sia chiaro – radicate nell’universale, abbandonando un certo provincialismo ombelicale che ci riguarda tutti, e mostrando sempre più spesso i percorsi cognitivi e le ricerche che ci muovono verso e nella conoscenza del passato, che è sempre un’indagine, personale e collettiva, mossa da istanze del presente. Penso che servirebbe una ulteriore e decisa spallata alla storia come ancora viene spesso percepita, e non solo dagli studenti e dalle studentesse: qualcosa di “oggettivo” (non esiste l’oggettività, in storia: ci devono guidare l’onestà intellettuale, il metodo, la conoscenza dei nostri limiti) e allo stesso tempo qualcosa di “nostro”, avvinghiata alla territorializzazione dell’umanità, che contribuisce a tracciare confini, a sancire divisioni. La storia, per come la vedo io, deve essere di tutte e tutti, o non è di nessuno.
Note:
[1] A. Del Boca, Italiani, brava gente? Un mito duro a morire, Neri Pozza, Vicenza 2005.
[2] F. Filippi , Mussolini ha fatto anche cose buone : le idiozie che continuano a circolare sul fascismo, Bollati Boringhieri, Torino 2019.
[3] G. De Luna, La passione e la ragione : il mestiere dello storico contemporaneo, La nuova Italia, Firenze 2001.
[4] E. Morin, Il Metodo. 3: La conoscenza della conoscenza, Cortina, Milano 2007.
[5] E. Morin, Insegnare a vivere : manifesto per cambiare l’educazione, Cortina, Milano 2015.
[6] P. M. A. Cywinski, Non c’è una fine : trasmettere la memoria di Auschwitz, Bollati Boringhieri, Torino 2017.
[7] I. Jablonka, L’Histoire est une littérature contemporaine: Manifeste pour les sciences sociales, Seuil, 2015.
[8] I. Jablonka, Storia dei nonni che non ho avuto. Uno storico sulle tracce della propria famiglia scomparsa ad Auschwitz, Mondadori, Milano 2013.