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La storia dell’Alto Adige nella letteratura

La storia dell’Alto Adige nella letteratura
Abstract

Alcune riflessioni sul rapporto tra storiografia e letteratura nel territorio dell’Alto Adige/Südtirol, che riprendono quanto trattato dall’autore nel saggio Storiografia e letteratura: parallelismi, differenze e scambi di ruoli, pubblicato nel volume Alessandro Costazza / Carlo Romeo (a cura di), Storia e narrazione in Alto Adige / Südtirol, Edizioni alphabeta, Merano 2017.

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Some reflections on the relationship between historiography and literature in the South Tyrol/Südtirol region, which pick up on what the author discussed in the essay Storiografia e letteratura: parallelismi, differenze e scambi di ruoli (Historiography and Literature: Parallelisms, Differences and Exchanges of Roles), published in the volume Alessandro Costazza / Carlo Romeo (ed.), Storia e narrazione in Alto Adige / Südtirol, Edizioni alphabeta, Merano 2017.

La riflessione sul rapporto tra storiografia e letteratura si può far risalire almeno fino alla Poetica di Aristotele. Si è soliti riferirsi a tal proposito all’affermazione contenuta nel capitolo 9 di quest’opera, secondo cui la poesia, e quindi la letteratura, sarebbe superiore alla storiografia, avendo la prima per oggetto il possibile e l’universale, la seconda invece ciò che è realmente accaduto e il particolare. Il vero confronto tra letteratura e storiografia si trova tuttavia nei capitoli 7, 8 e 23 della Poetica, in cui Aristotele tratta del racconto, rifacendosi in particolare ai poemi omerici. Secondo le considerazioni contenute in questi capitoli, la letteratura si distingue dalla storiografia per il suo carattere “narrativo”: mentre infatti una storiografia intesa come pura annalistica si limiterebbe, secondo Aristotele, ad allineare avvenimenti spesso anche distanti e senza alcuna relazione tra di loro in maniera puramente cronologica, la letteratura sarebbe costretta invece a scegliere tra gli avvenimenti e ad ordinarli secondo rapporti di causa-effetto in un discorso unitario e coerente.

In realtà, la storiografia sia precedente che successiva ad Aristotele, tanto quella greca che quella romana, la storiografia cristiana, così come quella medievale, quella umanistica in modo non dissimile da quella settecentesca e dell’inizio Ottocento, è sempre stata narrazione, vale a dire scelta dei principali avvenimenti da narrare e rappresentazione delle loro correlazioni in vista di una spiegazione ora trascendente ora immanente delle cause e degli effetti. Solo a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, nel contesto dello storicismo e del positivismo, la storiografia cominciò a considerarsi alla stregua di una scienza esatta, portatrice di una conoscenza oggettiva. E non è un caso che proprio in risposta e per reazione a questa tendenza all’astrazione di una storiografia fatta di documenti, di statistiche e di pochi personaggi pubblici influenti, si sia sviluppato il romanzo storico che, come dice Manzoni, ha la capacità di “mettere davanti agli occhi” e di rappresentare “una storia più ricca, più varia” di quella delle opere storiche.

Almeno a partire dagli anni Settanta del Novecento, anche la storiografia ha cominciato a riconoscere e a rivalutare il fondamentale carattere narrativo della disciplina (Hayden White), vale a dire la natura poetica o costruttiva del lavoro dello storico, che di necessità opera delle scelte e organizza il materiale secondo dei plot narrativi. Possono essere considerate conseguenze almeno indirette di questo crescente riconoscimento anche alcune tendenze della storiografia moderna come la “microstoria” e la oral history, che con una certa propensione alla resa aneddotica degli avvenimenti mettono al centro del loro interesse storie o testimonianze individuali, che tendono poi ad assumere, sullo sfondo della grande storia, un significato metaforico o simbolico più vasto.

Dopo aver evidenziato il carattere narrativo e quindi, almeno in parte, anche letterario, di ogni rappresentazione storica, è necessario rimarcare anche le differenze tra il discorso storico e quello letterario, che si distinguono fondamentalmente per il loro diverso grado di ambiguità e di “mediatezza” della rappresentazione della realtà. Mentre infatti la storiografia tende a trasmettere un messaggio il più possibile chiaro e univoco, la polisemia e l’ambiguità costituiscono un elemento essenziale e imprescindibile della comunicazione letteraria. Tale ambiguità dipende in gran parte proprio dal fatto che il racconto letterario in prosa, contrariamente alla “mimesi” o imitazione diretta della realtà propria del teatro, in quanto “diegesi” si serve dell’istanza di un narratore per raccontare e quindi interpretare la realtà. Questo narratore, che può raccontare in prima o in terza persona, può essere esterno all’azione narrata (extradiegetico) o farne parte (intradiegetico), essere “autoriale” e onnisciente, oppure “personale”, quando guarda agli avvenimenti dalla prospettiva limitata di un personaggio, non deve in ogni caso mai essere confuso con l’autore. Per questo motivo, anche il “messaggio” trasmesso da un racconto o da un romanzo non può essere assolutamente ridotto alla posizione del narratore o a quella di uno dei personaggi, ma risulta piuttosto da un insieme di elementi formali e di contenuto.

Al di là della determinante questione della prospettiva dalla quale viene rappresentata la storia, è importante individuare anche quale sia il rapporto tra le vicende rappresentate nell’opera letteraria e il contesto storico che è oggetto di interpretazione. La rappresentazione letteraria della storia si serve infatti spesso di una “significazione indiretta”, che può essere riportata alle quattro forme del discorso figurato descritte da Vico, vale a dire ai tropi fondamentali della metafora, della sineddoche, della metonimia e dell’ironia. Possono essere considerate metaforiche tutte quelle vicende narrate dalla letteratura che rivelano una somiglianza di contenuto o strutturale con gli avvenimenti o le tematiche di un determinato periodo storico. Quando i singoli personaggi di un racconto, le loro caratteristiche, i loro rapporti e le loro azioni rispecchiano istanze più astratte di una determinata realtà storica, si può parlare addirittura di una significazione allegorica. Se invece la rappresentazione di un microcosmo limitato e ristretto della realtà storica assume la valenza e il significato dell’insieme, si parlerà invece di una significazione sineddochica di “parte per il tutto”. La metonimia descrive invece un rapporto di contiguità logica o materiale, cosicché le vicende narrate possono appartenere a un universo contiguo o parallelo a quello della “grande storia”, oppure rappresentare il prodotto di determinati eventi storici. Rimane, infine, la significazione “ironica”, quando le vicende narrate raffigurano il contrario della realtà storica. Tale tipo di rappresentazione, che ha quasi sempre finalità critiche, la si ritrova tanto nei racconti utopici che nelle distopie oppure nelle “contro-storie”, che disegnano un’evoluzione alternativa della storia passata.

Se ci si chiede quale possa essere la funzione e il significato di una tale comunicazione ambigua e indiretta tipica del testo letterario, caratterizzata tra l’altro spesso da una tendenza all’autoriflessività e con ciò allo smascheramento ironico della propria natura costruita e finzionale, si può rispondere che tale significazione indiretta serve soprattutto a scardinare le versioni consolidate della storiografia, a mettere in dubbio le spiegazioni assodate e le contrapposizioni ereditarie, a superare rimozioni e tabu. Attraverso uno “sguardo obliquo”, a partire da punti di vista insoliti, la letteratura si confronta con i punti più oscuri della storia ufficiale, cercando non tanto di offrire delle risposte, quanto piuttosto di porre delle domande, di insinuare dei dubbi. E proprio il fatto che la sua libertà non sia assoluta, perché i fatti storici costituiscono in un certo senso dei “paletti”, a cui la letteratura deve attenersi, costituisce per gli autori non solo un “ancoraggio” alla realtà delle storie narrate, bensì soprattutto una sfida e uno stimolo.

Facendo seguito a queste riflessioni generali sulle caratteristiche della narrazione letteraria di argomento storico, vorrei ora cercare di mostrare almeno alcune delle strategie narrative messe in atto in alcune delle più importanti opere letterarie a partire dagli anni Quaranta del secolo scorso che hanno per oggetto la storia del Sudtirolo.

Ernst Lothar

Il primo esempio è costituito dal “romanzo del destino sudtirolese” di Ernst Lothar Unter anderer Sonne, pubblicato in inglese con il titolo Beneath another Sun già nel 1942 (trad. it.: Sotto un sole diverso, 2016), in cui viene descritto il destino della famiglia Mumelter, di Bolzano, trasferita forzosamente nella città di Pilsen nel 1939, ancor prima delle Opzioni. Sono forse perdonabili le molte inesattezze storiche presenti nel romanzo, che venne scritto dall’autore mentre si trovava negli Stati Uniti e non aveva quindi a disposizione informazioni dirette e precise. Il vero problema di questo romanzo è costituito tuttavia dal suo “significato indiretto” o simbolico: narrando infatti il destino di una famiglia deportata, esso suggerisce una visione assolutamente distorta delle Opzioni, secondo la quale i sudtirolesi che hanno abbandonato la loro terra sarebbero stati le vittime di una deportazione coatta.

Hubert Mumelter

Il romanzo di Hubert Mumelter Maderneid (1948) richiede invece un’interpretazione “allegorica”. I ricordi narrati da Verena nel 1848, mentre il marito e il figlio combattono con le compagnie degli Schützen in difesa del confine meridionale del Tirolo da una possibile invasione italiana durante la prima Guerra d’Indipendenza, si riferiscono agli anni dell’insurrezione di Andreas Hofer, quando lei e il marito si erano conosciuti. Questo parallelismo tra le due epoche serve evidentemente a far apparire anche le guerre hoferiane come una difesa dei confini dallo straniero, il quale, come viene detto esplicitamente, “è sempre lo stesso e proviene dal Sud”. Tale evidente falsificazione storica ha a sua volta un ulteriore chiaro significato allegorico, perché intende alludere all’ “eroica (?) difesa dei sudtirolesi contro l’invasione fascista”. Se Mumelter sosterrà più tardi di aver espresso nelle critiche rivolte all’interno del romanzo contro Napoleone “tutta la sua rabbia e le sue accuse contro Hitler”, la lettura dell’opera mostra invece senza ombra di dubbio che Napoleone è in realtà solo una sorta di controfigura di Mussolini e non di Hitler.

Franz Tumler

Più complesso appare il “messaggio” di Aufschreibung aus Trient (1965; trad. it.: Incidente a Trento, 1990), di Franz Tumler, in cui parlano in prima persona due voci narranti dalla prospettiva limitata, quella dell’alter-ego dell’autore, costretto da un incidente a fermarsi a Trento e a fare i conti con il proprio passato personale e con quello politico del Sudtirolo, e quella di Cesare Battisti, che dall’interno di una cella nel Castello del Buonconsiglio segue e commenta l’evoluzione dell’altro io narrante. Anche questo romanzo è in un certo senso “allegorico”, in quanto mette in parallelo due epoche storiche diverse, vale a dire quella dell’irredentismo di Cesare Battisti e quella degli attentati dinamitardi in Sudtirolo dei primi anni Sessanta. Non vi è dubbio che il messaggio principale dell’opera, espresso a vari livelli sia di contenuto che di costruzione formale, sia rappresentato da un invito al dialogo e al superamento delle visioni stereotipate della storia. Dall’altra parte, tuttavia, il parallelismo suggerito a livello strutturale tra Battisti e i dinamitardi sudtirolesi propone un’interpretazione alquanto diversa, che rivela tra l’altro, soprattutto attraverso i molti silenzi e i non detti, una mancata rielaborazione da parte di Tumler stesso della propria adesione al nazionalsocialismo.

Claus Gatterer

Nel 1969 venne pubblicato il romanzo Schöne Welt, böse Leut (trad. it.: Bel paese, brutta gente, 2014) di Claus Gatterer, che rappresenta senza dubbio il massimo esempio di micro-storia della letteratura sudtirolese. Questa storia vista dal basso, dalla prospettiva della piccola gente, contiene moltissime informazioni antropologiche, etnografiche, sociologiche e anche linguistiche su un mondo in rapido mutamento, che segna la fine di una vita contadina per molti versi ancora arcaica e l’apertura alle nuove sfide della tecnica e della modernità, portata ad esempio dall’avvento del turismo. L’accento principale è posto tuttavia sulla vita in un paesino dell’alta Val Pusteria al tempo del fascismo e sulle divisioni politiche che hanno attraversato la popolazione di madrelingua tedesca in quell’epoca e in particolare in occasione delle Opzioni. Ma un aspetto fondamentale del romanzo è costituito dalla strategia narrativa di Gatterer, vale a dire dal suo impiego del racconto autobiografico in prima persona e da quel contrasto tra io narrato e io narrante sul quale si fonda l’ironia che attraversa tutta l’opera. Quest’ironia deriva infatti in parte dalla visione ingenua del bambino o del ragazzo, che guarda alla realtà senza pregiudizi, in parte ancora maggiore, tuttavia, dal contrasto tra questa visione e quella del narratore adulto, che smaschera e denuncia con grande abilità costruttiva tutte le menzogne tanto dell’ideologia fascista che di quella nazista.

Joseph Zoderer

Un altro esempio significativo delle possibilità insite nel racconto autobiografico in prima persona per affrontare la storia è dato dal racconto di Joseph Zoderer Wir gingen (1989; Ce n’andammo, 2006), in cui l’io narrante cerca di comprendere il motivo che ha spinto il padre ad abbandonare la patria nel contesto delle Opzioni e a recarsi a Graz. È interessante qui soprattutto la posizione dell’io narrante, che fin dalle prime righe si propone di scrivere su ciò che non sa, su ciò che non ricorda, poiché al momento dell’abbandono della Heimat aveva solo quattro anni, e su ciò che in seguito non ha mai osato chiedere. La scrittura diventa quindi uno strumento di indagine e nella sua ricerca l’io narrante non ricorre solo ai ricordi del fratello maggiore, rimarcati dal ricorrente “disse mio fratello”, ma anche ai manuali di storia e molto spesso alla fantasia e quindi alle ipotesi che si esprimono nei frequenti “forse”, “probabilmente” e “magari”.

Zoderer riprenderà la tematica della storia del Sudtirolo nel romanzo Der Schmerz der Gewöhnung (2002; trad. it.: Il dolore di cambiare pelle, 2005). Anche in quest’opera la narrazione avviene in prima persona, ma lo sguardo è fortemente decentrato, tanto dal punto di vista spaziale che da quello temporale. L’io narrante scrive infatti i suoi ricordi mentre si trova al confine meridionale dell’Italia, in Sicilia, poco prima di morire e alla fine del millennio. In uno sguardo retrospettivo, passando continuamente da un’epoca all’altra della sua vita e alternando veri ricordi con pensieri e fantasie, egli cerca soprattutto di scoprire le cause di quella sua insuperabile estraneità che ha assunto in lui, per così dire, la forma “simbolica” di un tumore al cervello. Per far questo egli si confronta con la moglie, in particolare però con il padre di lei, che era venuto in Sudtirolo dalla Sicilia come gerarca fascista. Solo grazie allo sguardo “decentrato”, dal profondo Sud, la letteratura permette dunque di cogliere anche le “ragioni del nemico”, come avrebbe detto Claus Gatterer. Attraverso un processo di spietata autoanalisi, l’io narrante è costretto anzi a riconoscere persino il fascista e il razzista che sono in lui.

Carlo Romeo

Il romanzo di Carlo Romeo Sulle tracce di Karl Gufler il bandito (1993) è una sorta di romanzo documentario e polifonico del tutto nuovo nel contesto della letteratura sudtirolese tanto per i contenuti che per la forma, che tratta di un tema rimasto fino ad allora tabu, vale a dire degli episodi di resistenza armata di alcuni disertori riunitisi in bande partigiane in Val Passiria negli ultimi due anni di guerra. Un narratore onnisciente, che pur privilegiando il punto di vista del protagonista conosce i pensieri di tutti i personaggi, cerca di cogliere la natura e le motivazioni del disertore, partigiano e quindi “bandito” Karl Gufler, la figura di spicco e di riferimento di quei disertori, ottenendo un forte effetto di immediatezza soprattutto attraverso i numerosi dialoghi. Questa ricostruzione interna ed empatica viene però interrotta costantemente da parti scritte in corsivo, che riportano testimonianze esterne e posteriori dei fatti, tratte dagli atti processuali dei due processi relativi agli avvenimenti narrati, svoltisi tra il 1951 e il 1954 prima a Bolzano e poi a Trento. Queste testimonianze, redatte nel linguaggio burocratico dei verbali d’interrogatorio di polizia, hanno il duplice e paradossale effetto di rafforzare da una parte la realtà e la credibilità di quanto narrato, svelando dall’altra il carattere “artificiale” di ogni ricostruzione testimoniale e smascherando in tal modo con ancora maggiore evidenza la natura finzionale della narrazione letteraria.

Sepp Mall

Quasi quarant’anni dopo Tumler, il romanzo Wundränder (2004; trad. it.: Ai margini della ferita, 2014), di Sepp Mall, affronta nuovamente il tema degli attentati dinamitardi dei primi anni Sessanta. Come suggerito già dal titolo, l’opera non intende penetrare nel centro del problema, per spiegarne le motivazioni politiche, l’evoluzione o le conseguenze, ma si limita a considerare il fenomeno – la ferita – a partire dai suoi margini, vale a dire a partire da due storie concrete, che si avvicendano di capitolo in capitolo. Entrambi i protagonisti dei due filoni narrativi sono assenti. Il padre del ragazzino Paul, accusato di attività terroristica, è assente perché viene arrestato all’inizio del romanzo, quando viene rilasciato non parla e infine si suicida. Alex, invece, il fratello minore di Johanna che è morto durante la preparazione di un attentato dinamitardo, è assente perché già all’inizio della storia si prepara il suo funerale, ma soprattutto perché è affetto da una grave forma di balbuzie e quindi non parla. Mentre il filone di Paul è narrato in terza persona da un narratore onnisciente che vede però la realtà con gli occhi di un dodicenne che non può comprendere quanto sta succedendo al padre e tantomeno la realtà politica e le motivazioni del terrorismo, la storia di Alex è narrata in prima persona dalla sorella Johanna, che a partire dalla morte del fratello ritorna a vari momenti del passato, per cercare di comprendere le ferite psicologiche di quel fratello che è sempre stato il suo problema maggiore. Soprattutto da questa vicenda si può forse ricavare anche un messaggio simbolico del racconto, secondo il quale sarebbe proprio l’incapacità di parlare e di comunicare la causa profonda della violenza.

Francesca Melandri

Anche nel romanzo di Francesca Melandri Eva dorme (2010), che ripercorre la storia del Sudtirolo dall’annessione all’Italia, per focalizzarsi soprattutto sugli anni degli attentati dinamitardi, sono presenti due prospettive, narrate in maniera diversa e poste l’una sull’asse temporale, l’altra su quello spaziale. La storia di Gerda, scandita dalle date più significative della storia sudtirolese, è narrata in terza persona da un narratore onnisciente, che privilegia tuttavia il punto di vista del personaggio principale. Questa parte del romanzo segue la vita e le difficoltà di una ragazza madre nel dopoguerra, sullo sfondo di un ampio panorama di avvenimenti storici, di questioni culturali e sociologiche tipiche della realtà del Sudtirolo di quegli anni. I capitoli relativi alla storia di Gerda sono intercalati da capitoli narrati invece in prima persona da Eva, figlia di Gerda, che durante il suo viaggio verso la punta estrema dell’Italia ripercorre nel ricordo la propria infanzia e gioventù. Il viaggio di Eva ha un doppio valore simbolico: allontanandosi dal Sudtirolo, ella riesce a guardare infatti con maggiore distacco alla sua terra d’origine e agli eventi spesso drammatici che hanno caratterizzato gli anni della sua infanzia e giovinezza. Il viaggio deve condurre inoltre la protagonista di questa parte del romanzo a trovare il carabiniere che per qualche anno era stato per lei come un padre, permettendo così a Eva di riconquistare in un certo senso quella parte italiana della propria identità che le era stata negata. A differenza della Eva del Paradise Lost di Milton, che dorme mentre l’angelo mostra ad Adamo i tragici destini che attendono l’umanità, l’omonima protagonista del romanzo si è svegliata dal sonno in cui voleva tenerla la madre e intraprende in piena coscienza un importante atto di riconciliazione.

Sabine Gruber

Il romanzo di Sabine Gruber Stillbach oder die Sehnsucht (2011; trad. it.: Stillbach o della nostalgia, 2014) affronta soprattutto due temi storici ancora oggetto di accese e controverse discussioni in Sudtirolo: da una parte quello del significato dell’attentato di Via Rasella a Roma, nel marzo del 1944, che provocò la morte di 33 soldati sudtirolesi, componenti del Polizeiregiment Bozen, e che avrebbe poi portato alla rappresaglia del massacro delle Fosse Ardeatine; dall’altra quello degli aiuti ottenuti da numerosi criminali nazisti in fuga verso il Sudamerica da parte del Vaticano ma soprattutto da parte di istituzioni religiose in Sudtirolo. Queste tematiche vengono affrontate attraverso il filtro di almeno quattro prospettive diverse. La cornice del romanzo alterna infatti la prospettiva di Clara e quella dello storico austriaco Paul, che vengono narrate però in terza persona da un narratore onnisciente, ma con focalizzazione interna. I due si incontrano a Roma per liberare l’appartamento di Ines, l’amica di Clara improvvisamente deceduta. E tra le carte di Ines essi trovano un romanzo a cui ella stava lavorando, che viene riprodotto come romanzo nel romanzo con un differente carattere tipografico. Anche in questo romanzo vi sono almeno due prospettive. Da una parte viene narrata in terza persona la storia della sudtirolese Emma Manente, trasferitasi a Roma alla fine degli anni Trenta e diventata poi padrona di un albergo, la quale era stata fidanzata di uno dei componenti del Polizeiregiment Bozen morti nell’attentato di via Rasella. Dall’altra vi è però anche la testimonianza in prima persona della giovane Ines, che nell’estate del 1978 aveva lavorato per qualche mese nell’albergo della signora Manente. Queste due prospettive sono a loro volta mediate ovviamente da Ines in quanto autrice del romanzo nel romanzo, come è dimostrato, all’interno della finzione, dal fatto che il figlio della signora Manente metta ripetutamente in dubbio la veridicità del racconto. Questa complessa struttura narrativa serve a considerare gli avvenimenti storici da prospettive decentrate o “eccentriche”, inserendoli, in particolare attraverso le riflessioni dello storico Paul, in un contesto storico più ampio.

Lilli Gruber

I tre romanzi di Lilli Gruber, Eredità. Una storia della mia famiglia tra l’impero e il fascismo (2012), Tempesta (2014) e Inganno. Tre ragazzi, il Sudtirolo in fiamme, i segreti della Guerra fredda (2018) costituiscono una trilogia che ha per oggetto la storia del Sudtirolo dagli anni dell’annessione all’Italia fino agli attentati dinamitardi degli anni Sessanta. Nonostante la continuità cronologica e la ricorrenza di alcuni personaggi nei diversi romanzi, le tre opere sono profondamente differenti tra di loro e appartengono in un certo senso a generi letterari diversi. Mentre Eredità rientra nel genere della memorialistica familiare, Tempesta si avvicina alla spy-story e Inganno è almeno per metà un saggio storico.

Narrato in prima persona da un narratore onnisciente, Eredità segue la vita della bisnonna dell’autrice in quegli anni così densi di avvenimenti, cambiamenti e oppressioni per il Sudtirolo che vanno dall’inizio del Novecento fino alla sua morte nel 1940. L’istanza narrante non si limita a riferire i fatti e a commentarli, ma aggiunge dettagliate spiegazioni su diversi avvenimenti storici, a volte anche solo indirettamente collegati ai fatti narrati, ma che servono a costruire il contesto storico più generale. Nella ricostruzione delle vicende, l’io narrante si rifà spesso a racconti e memorie tramandate in famiglia, riportando ad esempio brani dai diari della bisnonna o dalle lettere della figlia più giovane di quest’ultima, vale a dire della prozia Hella. Benché il romanzo segua la vita della bisnonna, è questa prozia il vero centro dell’opera, che vuole soprattutto cercare di comprendere come questa prozia abbia potuto diventare una fanatica e attiva nazionalsocialista. Proprio nel porre con forza questa questione, risulta tanto più evidente il grado di coinvolgimento dell’io narrante, che all’interno del romanzo interrompe ripetutamente il flusso del racconto per parlare di sé, del suo passato e delle proprie esperienze personali.

Completamente diverso è l’approccio nel romanzo Tempesta, pubblicato nel 2014, che segue invece la vita della prozia Hella dal 1941 fino alla sua morte per parto nel 1944. Le vicende narrate non riguardano più propriamente la famiglia, bensì piuttosto il lento processo di disillusione delle convinzioni politiche della prozia di fronte al tragico precipitare degli avvenimenti storici. Esse vengono narrate in terza persona da un narratore onnisciente e la narrazione è interrotta anche qui da parti in corsivo che riportano direttamente e spesso con tono patetico i pensieri e i sentimenti della zia Hella, senza che sia possibile stabilire tuttavia se si tratti di appunti di diario, di trascrizioni di lettere o semplicemente di pensieri. Con la storia di Hella si incrocia inoltre la vita avventurosa del falsario berlinese di origine ebraica Karl, che dopo aver trovato rifugio a Bolzano, crede di lavorare per la resistenza contro Hitler ma viene poi ricattato e impiegato dai nazisti prima all’interno dell’“operazione Bernhard” e quindi per la falsificazione di documenti che dovevano garantire la fuga a criminali nazisti. Con la storia di Karl entra nell’orizzonte del romanzo un quadro storico molto più vasto, che riguarda tutta l’Europa, da Praga a Berlino, da Stalingrado fino al campo di concentramento di Sachsenhausen. La prospettiva non è più quella micro-storica del primo romanzo, bensì quella della grande Storia e si ha spesso l’impressione che proprio Bolzano sia diventata in quegli anni il crocevia dei destini europei. Anche qui l’istanza narrante interviene spesso per spiegare gli avvenimenti o il contesto storico. Non c’è però più lo stesso coinvolgimento familiare che era presente nel romanzo precedente. E quando l’io narrante interviene direttamente, in quattro capitoli datati “Bolzano, estate 2014”, non lo fa più – o solo in misura minore –  per parlare di sé stesso, bensì per riferire le testimonianze di vittime della persecuzione nazista in Sudtirolo o in Trentino.

Inganno, del 2018, affronta infine gli attentati dinamitardi dei primi anni Sessanta. I protagonisti sono due ragazzi e una ragazza poco più che adolescenti, che alle prese con le loro inquietudini sentimentali si trasformano in terroristi, facendo saltare un traliccio durante la “notte dei fuochi” del 1961 e pianificando qualche anno più tardi l’uccisione del rappresentante dei servizi segreti italiani in Sudtirolo. La costellazione narrativa viene integrata e approfondita storicamente dai genitori dei protagonisti, le cui biografie rimandando a un passato in cui tutti hanno qualcosa da nascondere, nonché dalla presenza di un reduce della Wehrmacht attivo nei gruppi terroristici e del rappresentante dei servizi segreti italiani. Non solo i tre giovani protagonisti appaiono nella loro ingenuità come strumenti al servizio di interessi che vanno al di là della loro prospettiva individuale, ma anche tutti gli altri personaggi adulti del romanzo, che credono di combattere per la propria causa e di influire in maniera attiva e determinante sugli eventi, dovranno riconoscere alla fine di essere stati ingannati ed utilizzati per altri scopi. È questa l’interpretazione che il romanzo intende suggerire della stagione degli attentati terroristici in Sudtirolo nei primi anni Sessanta, che solo a prima vista dovevano servire la causa dell’indipendenza politica del territorio, mentre in realtà sarebbero stati sfruttati dai vari servizi segreti italiani, austriaci e americani per giustificare la militarizzazione di una zona di confine assolutamente strategica in chiave antisovietica, per mascherare le operazioni delle reti stay behind e dell’organizzazione Gladio e coprire la dislocazione di testate nucleari. Una simile interpretazione viene sostenuta soprattutto nei quattordici capitoli non finzionali che occupano quasi la metà del libro. Attraverso numerose interviste a importanti personaggi della politica italiana e sudtirolese, a ex-terroristi e ai loro famigliari, a un ex generale dell’esercito, a un magistrato o a un filosofo, ma anche tramite documenti provenienti da archivi storici dei carabinieri o della guardia di finanza ovvero dall’archivio di un importante esponente dei servizi segreti italiani, viene riepilogata la storia del Sudtirolo dall’annessione all’Italia fino al secondo dopoguerra, con particolare riferimento agli sforzi intrapresi per raggiungere l’autonomia del Sudtirolo e alle vicende relative alle varie fasi degli attentati terroristici nel decennio 1957-1967. Da un certo punto di vista, quindi, il volume può essere considerato come una sorta di saggio storico, mirante a interpretare la complessa e contradittoria natura della prima stagione del terrorismo sudtirolese nel contesto geopolitico della Guerra fredda. Può darsi che la costellazione dei personaggi nella parte finzionale dell’opera risulti talvolta alquanto artificiosa e il fatto che nessuno dei tre giovani protagonisti possa essere considerato un rappresentante tipico del dinamitardo sudtirolese degli anni Sessanta rischia di far apparire l’intero fenomeno terroristico come una sorta di gioco da ragazzi. Nondimeno, la tensione tra la parte finzionale e quella saggistica risulta assolutamente stimolante, consentendo al lettore di scegliere di volta in volta a quale dei due piani attribuire maggiore o minor peso.

Marco Balzano 

Dello stesso anno dell’ultimo romanzo della Gruber è anche il romanzo di Marco Balzano Resto qui (2018). Esso ha per oggetto la creazione del lago di Resia, che nel 1950 causò l’allagamento e la scomparsa del paese di Curon Venosta, di cui oggi resta solamente il campanile che esce dal lago, trasformatosi nel frattempo in attrazione turistica. Questo evidente sopruso da parte dello Stato Italiano, che dopo essere stato a lungo rimosso anche da parte della popolazione tedesca del Sudtirolo, dai politici e dalle stesse vittime, è diventato nel 2018 tema anche di un’opera musicale e multimediale e di un film documentario, viene presentato nel romanzo dalla prospettiva di una donna di nome Trina, che scrive alla figlia Marica, rapita e portata in Germania dalla cognata all’epoca delle Opzioni, per raccontarle la propria vita, dalla sua gioventù fino agli anni Cinquanta e in particolare la strenua lotta intrapresa assieme al marito Erich contro la costruzione della diga. Il rapimento della figlia costituisce dunque non solo la ferita inguaribile da cui sgorga l’intero romanzo, ma rappresenta piuttosto il legame che unisce a livello simbolico l’Opzione con la costruzione della diga e la conseguente distruzione del paese: la scomparsa della figlia intende infatti significare che non solo chi allora se ne era andato, abbandonando la casa, la patria e le tradizioni, ma anche chi era rimasto aveva perso in quell’occasione per sempre una parte fondamentale di sé stesso. Tanto Erich che Trina considerano inoltre la costruzione della diga e la cancellazione del paese come il prodotto dell’epoca e dell’ideologia fascista, mentre Trina vede sé stessa e tutti gli abitanti di Curon posti di fronte allo stesso dilemma di allora, vale a dire alla scelta “se restare o partire”: anche chi nel 1939 aveva scelto di rimanere in Sudtirolo, era stato costretto solo una decina di anni più tardi ad abbandonare la propria casa e la propria terra. Il dolore causato dalla scomparsa della figlia in occasione delle Opzioni si ripete dunque con la scomparsa del paese sotto le acque del lago artificiale, ma mentre la prima perdita aveva in un certo senso unito Trina e Erich, dando loro la forza di resistere e di lottare, la seconda sconfitta incrina per sempre la resistenza di Erich, che muore qualche anno più tardi.

La rapida carrellata di alcune delle opere letterarie che a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale si sono occupate delle vicende storiche del Sudtirolo mostra chiaramente come le principali tematiche in esse affrontate riguardino soprattutto il periodo dell’occupazione fascista e nazista, con particolare focus sulle Opzioni, ma anche il periodo degli attentati dinamitardi dei primi anni Sessanta. Questo ambito abbastanza ristretto di avvenimenti viene tuttavia illuminato da molteplici, spesso eccentriche prospettive e filtrato, per così dire, attraverso differenti strategie narrative. Non è evidentemente possibile prescindere da questi aspetti formali, se si vuole cercare di comprendere l’interpretazione offerta da queste opere della storia sudtirolese: essi complicano bensì enormemente il messaggio, rendendolo indubbiamente più ambiguo, ma aprono allo stesso tempo anche nuove prospettive che favoriscono nuove conoscenze.

Dal punto di vista formale, vi sono alcune rappresentazioni che seguono almeno in parte e secondo diverse modalità il modello biografico/autobiografico (Gatterer, Tumler, Zoderer, Lilli Gruber), mentre la maggioranza delle opere prese in considerazione propone almeno una doppia prospettiva narrativa (Mall, Melandri, Lilli Gruber), talvolta ulteriormente duplicata (Sabine Gruber). Solo in alcuni casi è possibile riconoscere una precisa volontà di significazione allegorica (Mumelter, Tumler), mentre molto più frequente è l’intento simbolico tanto nei titoli che in alcuni elementi dei racconti (Mall, Melandri, Balzano). Quasi tutte queste opere scelgono una prospettiva micro-storica dal basso, raccontando il destino della piccola gente, e comune a molte di esse è anche lo sguardo “decentrato”, proveniente cioè da una prospettiva differente dal Sudtirolo (Tumler, Zoderer, Melandri, Sabine Gruber). Proprio questa visione decentrata permette di rappresentare anche i punti di vista degli “altri”, quello di un funzionario fascista inviato in Sudtirolo (Zoderer) o di un carabiniere calabrese inviato in Sudtirolo per combattere il terrorismo (Melandri).

È da notare, invece, come sia poco utilizzata in queste rappresentazioni della storia sudtirolese l’ironia: essa compare quale vera e propria strategia narrativa in una sola opera (Gatterer), ma non è invece mai presente nella forma di gioco autoreferenziale tipica del romanzo postmoderno, con l’unica eccezione di qualche piccolo accenno di autofinzione (Sabine Gruber). Benché alcuni romanzi riproducano documenti storici, diari e lettere (Lilli Gruber), vi è tra le opere considerate un solo esempio almeno parziale di “romanzo documentario” (Romeo), mentre è del tutto assente la cosiddetta non fiction.

Bibliografia

Le opere

  • M. Balzano, Resto qui, Einaudi, Torino (trad. ted. Ich bleibe hier, Diogenes, Zürich 2020).
  • C. Gatterer, Schöne Welt, böse Leut. Kindheit in Südtirol, Fritz Molden, Wien-München 1969 (ed. it. Bel paese, brutta gente. Ro-manzo autobiografico dentro le tensioni di una regione europea di confine, trad. di Pinuccia Di Gesaro, Praxis 3, Bolzano 1989).
  • L. Gruber, Eredità. Una storia della mia famiglia tra l’Impero e il fascismo, Rizzoli, Milano 2012.
  • L. Gruber, Tempesta, Rizzoli, Milano 2014.
  • L. Gruber, Inganno. Tre ragazzi, il Sudtirolo in fiamme, i segreti della Guerra fredda, Rizzoli, Milano 2018.
  • S. Gruber, Stillbach oder Die Sehnsucht, C. H. Beck, München 2011 (ed. it. Stillbach o della nostalgia, trad. di Cesare De Marchi, Marsilio, Venezia 2014).
  • E. Lothar, Beneath Another Sun, Doubleday, Doran & co., New York 1942 (ed. tedesca Unter anderer Sonne. Roman des Südtiroler Schicksals, Paul Zsolnay, Wien, 1961; ed. italiana Sotto un sole diverso, trad. di Monica Pesetti, Edizioni E/O, Roma 2016).
  • S. Mall, Wundränder, Haymon, Innsbruck 2004 (ed. it. Ai margini della ferita, trad. Sonia Sulzer, Keller, Rovereto 2014).
  • F. Melandri, Eva dorme, Mondadori, Milano 2010 (trad. ted. Eva schläft, Übersetzung Bruno Genzler, Karl Blessing, München 2011).
  • H. Mumelter, Maderneid. Lied eines Lebens. Der Continent, Klagenfurt 1947.
  • C. Romeo, Sulle tracce di Karl Gufler il bandito, Raetia, Bolzano 1993 (2° ed. Bolzano 2017; ed. ted. Flucht ohne Ausweg. Auf den Spuren des Banditen Karl Gufler, trad. di Martha Verdorfer e Dominikus Andergassen, Raetia, Bozen 2005).
  • F. Tumler, Aufschreibung aus Trient, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1965 (ed. it. Incidente a Trento, trad. di Anna Lucioni dal Collo, SugarCo, Milano 1990).
  • J. Zoderer, Wir gingen. In: Messner, Reinhold (a c.), 1995, pp. 195-212 (ed. bilingue: Wir gingen/Ce n’andammo, trad. di Umberto Gandini, Raetia, Bolzano 2004).
  • J. Zoderer, Der Schmerz der Gewöhnung, Hanser, München 2002 (ed. it. Il dolore di cambiare pelle, trad. di Giovanna Agabio, Bompiani, Milano 2005).

Approfondimenti

  • A. Costazza, Franz Tumler. Una letteratura di confine, alphabeta, Merano 1992.
  • A. Costazza, ‘I sudtirolesi non avevano niente da dire di se stessi’. La rielaborazione del passato fascista e nazionalsocialista nella letteratura sudtirolese degli anni cinquanta e sessanta. In: “archivio trentino di storia contemporanea”, n. 2, 1996, pp. 45-67.
  • A. Costazza, ‘Die Südtiroler hatten über sich nichts auszusagen’. Vergangenheitsbewältigung in der Südtiroler Literatur der fünfziger und sechziger Jahre. In: Schmidt-Bergmann, Hansgeorg (Hrsg.), Zwischen Kontinuität und Rekonstruktion. Kulturtransfer zwischen Deutschland und Italien nach 1945. Niemeyer, Tübingen 1998, pp. 32-53.
  • A. Costazza, Der Bildungsroman eines Historikers: Geschichte und Geschichten in Claus Gatterers „Schöne Welt, böse Leut“. In: Studia theodisca XI, Milano 2003, pp.165-220.
  • A. Costazza, La memoria dei fascismi nella lettera- tura sudtirolese. In: “Geschichte und Region/Storia e regione”, n. 2, Studienverlag, Innsbruck 2004, pp. 140-146.
  • A. Costazza, Oltre i confini: geografia e storia nel romanzo Bel paese, brutta gente di Claus Gatterer. In: Casari, Mario/Gavinelli Dino (a c.), La letteratura contemporanea nella didattica della geografia e della storia, Cuem, Milano 2007, pp. 23-39.
  • A. Costazza, Südtirol. In: Fiorentino, Francesco/ Sampaolo, Giovanni (a c.), Atlante della letteratura tedesca, Quodlibet, Macerata 2009, pp. 265-270.
  • A. Costazza, Die Suche nach dem Dialog. Aufschreibung aus Trient als hermeneutischer Roman. In: Holzner, Johann/Hoiß, Barbara (a c.), Franz Tumler. Beobachter – Parteigänger – Erzähler, Studienverlag, Innsbruck-Wien-Bozen 2010, pp.133-143.
  • A. Costazza, Il Südtirol di Lilli Gruber nei romanzi Eredità e Tempesta. Il fardello della grande storia. Pregi e vulnerabilità delle due opere. In: “Corriere dell’Alto Adige” 19 feb., 2015, pp. 12-13.
  • A. Costazza, Il viaggio verso il Sud per guardare alla storia del Sudtirolo in alcuni recenti romanzi in lingua italiana e in lingua tedesca. In: “Il Cristallo, Rassegna di varia umanità”, LVII, n. 2, 2015, alphabeta, Merano, pp. 35-44.
  • A. Costazza, Der dezentrierte Blick. Die Fahrt in den Süden. Zu einem Motiv in den Romanen von Franz Tumler, Joseph Zoderer, Francesca Melandri und Sabine Gruber. In: Klettenhammer, Sieglinde/Wimmer, Erika (Hg.), Joseph Zoderer – Neue Perspektiven auf sein Werk. Internationales Symposium November 2015, Haymon, Innsbruck-Wien-Bozen 2017, pp. 75-96.
  • A. Costazza, Cesare Battisti: un terrorista? La figura del patriota trentino nel romanzo di Franz Tumler “Aufschreibung aus Trient” (1965). In: “Il Cristallo, Rassegna di varia umanità”, LIX, n. 1, 2017, alphabeta, Merano, pp. 105-114.
  • A. Costazza, C. Romeo, 2017: Storia e narrazione in Alto Adige / Südtirol, alphabeta, Merano.

Dati articolo

Autore:
Titolo: La storia dell’Alto Adige nella letteratura
DOI: 10.52056/9791254691090/10
Parole chiave: ,
Numero della rivista: n.17, giugno 2022
ISSN: ISSN 2283-6837

Come citarlo:
, La storia dell’Alto Adige nella letteratura, in Novecento.org, n. 17, giugno 2022. DOI: 10.52056/9791254691090/10

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