Il colonialismo e noi. Un progetto del Polo del ‘900
Italienisch-Ostafrika, Massana (Massawa, Massaua): Hafen; Geschäftshäuser an einer Strasse, davor Matrosen
Di Annemarie Schwarzenbach – https://www.helveticarchives.ch/detail.aspx?ID=550254, Pubblico dominio, Collegamento
Abstract
L’articolo presenta il progetto culturale Il colonialismo e noi, proposto nel corso del 2022 dal Polo del ‘900 di Torino, che, partendo da esperienze degli enti e delle istituzioni coinvolte, ha inteso affrontare in termini di storia pubblica la “cattiva memoria” del passato coloniale, declinandola in prospettiva interdisciplinare e con l’intenzione di rivolgersi a pubblici differenti. Si tratta della presentazione di un progetto sui cui aspetti centrali si tornerà con articoli successivi.
___________________
The article presents the cultural project Il colonialismo e noi (Colonialism and Us), proposed in 2022 by the Polo del ‘900 of Turin, which, starting from the experiences of the organisations and institutions involved, aimed to address the ‘bad memory’ of the colonial past in terms of public history, declining it in an interdisciplinary perspective and with the intention of addressing different audiences. This is the presentation of a project to which we will return in subsequent articles.
Colonialismo e noi
Di colonialismo italiano si è parlato, fino a tempi recentissimi, poco o nulla. Non è stato un tema rilevante della discussione pubblica, malgrado la storiografia abbia iniziato a indagarlo già qualche decennio addietro, soprattutto grazie agli studi di Angelo Del Boca e Nicola Labanca.[1] L’eco di questi lavori tuttavia è stata piuttosto scarsa nella sfera pubblica con praticamente nessun riscontro nelle istituzioni. D’altra parte, i manuali scolastici, con poche eccezioni, ancora relegano il colonialismo in un paragrafo affrettato e la voce dedicatagli su Wikipedia è prevalentemente celebrativa. L’enciclopedia online ne segnala la scarsa attendibilità, notando che “andrebbe riscritta integralmente”, ma intanto la voce resta lì, a spiegare che tutto iniziò “con l’acquisizione pacifica dei porti africani di Assab e Massaua”. Usando una metafora psicanalitica che spesso viene riproposta quando si parla degli itinerari, tortuosi e discontinui, dei ricordi collettivi, si può parlare di rimozione. Un tipo di rimozione, questo, sistematico e corale, che va dalle amnesie pubbliche, volontariamente indotte per cancellare le responsabilità dei crimini, ai diffusi silenzi nei contesti informali e familiari, alle scarsissime testimonianze individuali. Ciò vale per tutte le tre “ondate” del colonialismo italiano: quella postunitaria, quella giolittiana e quella fascista.
Il silenzio sul colonialismo fascista è il più assordante, non soltanto perché riguarda la fase maggiormente drammatica e violenta dell’avventurismo italiano in Africa, ma anche perché concerne un periodo su cui l’attenzione pubblica si è spesso soffermata. In maniera, però, assai selettiva. Non c’è in questa circostanza, forse, nulla di nuovo: le memorie collettive si attivano o disattivano a seconda degli interessi in gioco e del peso sociale delle comunità coinvolte. Dopo decenni di oblìo, si è iniziato a discutere e a prendere coscienza delle leggi antisemite emanate nel 1938, quanto meno a partire dall’ottantesimo anniversario; dei provvedimenti razzisti introdotti l’anno precedente nei territori dell’“Impero”, per istituire una normativa discriminatoria “a tutela della razza” contro i “sudditi delle colonie”, si continua invece a sapere molto meno. Si conosce poco, per esempio, un fatto fondamentale che andrebbe invece sottolineato perché mostra come il fascismo affilò in ambito coloniale le armi che avrebbe poi sguainato contro gli italiani ebrei: la legislazione del 1938 non fu modellata tanto sulle norme naziste di Norimberga, come spesso si sente ripetere, quanto proprio su quelle altre leggi, dette “contro il madamato”, che l’Italia impose nel 1937 in Africa orientale, vietando i rapporti coniugali tra coloni e autoctoni.[2]
Enti, istituzioni culturali e documentazione
Rimozioni, silenzi e oblii non hanno riguardato soltanto l’ambito politico o quello accademico. Anche gran parte delle istituzioni culturali che operano nel nostro Paese hanno tendenzialmente ignorato la questione, dedicandovi ben poche ricerche, mostre, approfondimenti. Non ha fatto eccezione, nei suoi primi sei anni di vita, il Polo del ‘900,[3] fondato a Torino nel 2016 con l’obiettivo di integrare alcuni enti culturali della città, con i loro archivi e le loro biblioteche, in una struttura e in un orizzonte comune. Tra le iniziative realizzate a partire dalla storia e dalla memoria del secolo scorso, quasi nessuna ha riguardato il colonialismo italiano. È anche per ovviare a questa lacuna che nel corso del 2022 è stato avviato un progetto sul tema. Coordinato dall’Unione culturale “Franco Antonicelli”, insieme all’Archivio nazionale cinematografico della Resistenza e all’Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea, il progetto si è avvalso del coinvolgimento di altri enti partner del Polo: il Museo Diffuso della Resistenza, l’ARCI-Torino, l’Istituto piemontese Antonio Gramsci e l’Archivio nazionale Cinema Impresa di Ivrea. Per ideare e organizzare il programma delle iniziative è stato creato un comitato scientifico composto da persone che lavorano al Polo o hanno specifiche competenze sul tema: Barbara Berruti, Liliana Ellena, Francesca Gabutti, Diego Guzzi, Enrico Manera, Fartun Mohamed, Paola Olivetti e Micaela Veronesi.
Il progetto è stato chiamato Il colonialismo e noi. Un titolo scarno che ha il merito di restituire lo spirito con cui è stato impostato, ossia la consapevolezza che occuparsi di colonialismo significa anche riflettere su di noi – sui nostri pregiudizi, sulle nostre superficialità, sulle nostre responsabilità indirette – a partire da una necessaria decostruzione del nostro contesto culturale e valoriale di riferimento, imperniato su una concezione “bianca” ed eurocentrica del mondo. Per affrontare l’argomento con onestà intellettuale, bisogna infatti preliminarmente ammettere che, pur in assenza di pregiudizi, possono esservi, anche a livello inconscio, modalità predeterminate e schemi precostituiti che vanno individuati, destrutturati e, in un certo senso, disimparati. A ciò si è aggiunta l’importanza di tenere insieme passato e presente, in base a una scelta fortemente orientata verso l’intreccio di indagine storica e riflessione sull’attualità che diventa, parlando di colonialismo, una prospettiva fondamentale per riconoscere che i mancati conti con il passato sono all’origine di tante forme del razzismo contemporaneo.
Il primo passo del lavoro è stata la stesura di una bibliografia e di una filmografia, corredate di brevi sinossi delle opere scelte, che consentissero di delimitare il raggio d’azione del progetto e al contempo fornissero ai suoi potenziali destinatari alcuni titoli di riferimento, disponibili in lettura o in visione presso le biblioteche e la cineteca del Polo. La bibliografia[4] si articola in tre sezioni: saggistica su colonialismo, postcolonialismo, decolonialità; narrativa sul colonialismo; saggistica sul colonialismo italiano. La filmografia[5] si suddivide in tre parti: film e documentari coloniali e sul colonialismo italiano, con pellicole comprese tra il 1909 e il 1942; film che trattano la decolonizzazione e il colonialismo italiano a posteriori; film e documentari a tematica postcoloniale e decoloniale.
Libri e film hanno di frequente costituito lo spunto del programma di iniziative pubbliche previste dal progetto, a partire da quella inaugurale, introdotta dalla proiezione del documentario di Alessandra Cianelli e Opher Thomson All’aldilà di qua (2020).[6] Il film intreccia l’esperienza biografica di Cianelli, la quale ha ritrovato alcune lettere di famiglia che rimandano alla memoria di un nonno scomparso in Africa nel 1940, e le immagini della Mostra d’Oltremare di Napoli, un complesso espositivo coloniale inaugurato in quello stesso anno e oggi parzialmente in rovina. La continua sovrapposizione di immagini e suoni porta lo spettatore a confondere visibile e invisibile e a smarrirsi nel tentativo di mettere a fuoco ciò che, pur stando davanti ai nostri occhi, non appare mai nitido, proprio come accade alla storia del colonialismo italiano, sbiadita o cancellata dal meccanismo di rimozione poc’anzi evocato.
Gli studi postcoloniali
Ai numerosi incontri e dibattiti dedicati ad altri libri e altri film[7] si sono accostate riflessioni di più ampio respiro: sullo stato dell’arte degli studi postcoloniali, in un incontro con l’antropologo e sociologo Iain Chambers; sulla “colonialità che tutto avvolge”, in un laboratorio condotto dalla geografa Rachele Borghi in cui si è ragionato di come gli stereotipi coloniali siano profondamente interiorizzati nella nostra società e nella nostra cultura; sul tema della nerezza italiana in una prospettiva politica, tra black queerness e rivendicazioni delle comunità LGBTQIA+, con un incontro/performance dello scrittore SA Smythe.[8] L’interdisciplinarità è d’altro canto essenziale per allargare l’orizzonte di riflessioni su un tema e la mescolanza di linguaggi uno dei cardini della Public History. Tale mescolanza ha riguardato anche l’arte e ha preso forma in particolare grazie a due iniziative maturate nel corso dell’anno. La prima ha visto protagonista il Museo diffuso della Resistenza di Torino che ha realizzato una mostra curata da Enrico Manera, Roberto Mastroianni e Chiara Miranda, intitolata Scenografie coloniali. Nell’esposizione il colonialismo italiano è stato raccontato a partire dall’opera di Eleonora Roaro FIAT633NM, una videoinstallazione che l’artista ha costruito a partire da alcune fotografie ritrovate dopo la morte di un nonno che era stato camionista in Africa orientale durante gli anni dell’“Impero” ma della cui esperienza in famiglia non si era mai parlato.[9] Un altro esempio, insomma, di rimozione e di oblio, che ribadisce come anche sul piano privato le vicende coloniali siano state taciute più di altre – per esempio di quelle legate alle guerre mondiali.
Tracce coloniali
La seconda iniziativa si è concretizzata grazie alla collaborazione con la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, e si è incentrata, sull’ampliamento e la valorizzazione di un progetto che costituisce un fecondo punto di incontro tra ricerca storica, impegno civile e arte pubblica. Si tratta di un lavoro realizzato dall’artista Alessandra Ferrini, in collaborazione con la ricercatrice e attivista Mackda Ghebremariam Tesfaù, intitolato Non più eroi.[10] L’idea di fondo è la ricerca delle tracce coloniali nel tessuto urbano torinese, in particolare al Parco del Valentino, dove a partire da alcuni monumenti e targhe commemorative è possibile ripercorrere alcune zone d’ombre della storia del Regno d’Italia. Il lavoro, condotto in parallelo a un’attività di PCTO con l’attuale classe 3B del Liceo Classico Gioberti di Torino, ha portato alla realizzazione di una mappa del parco che segnala alcuni luoghi legati alla storia coloniale e li descrive grazie a un’audioguida, in una sorta di itinerario sonoro che ne rievoca la violenza dimenticata. Al Parco del Valentino venne allestito, in occasione dell’“Esposizione generale italiana” del 1884 – dunque agli albori delle pratiche coloniali – uno “zoo umano”, ossia la ricostruzione di un villaggio dell’Africa orientale, chiamato “la Baia di Assab”, in cui furono costrette a vivere sei persone – tre uomini, una donna e due bambini – mostrate al pubblico come esempi di esotismo, in un’ottica disumanizzante. Scrive Alessandra Ferrini: «Per la maggior parte del tempo, i sei furono costretti a permanere nella “Baia”, dove masse di persone si accalcavano nel tentativo di attirarne le attenzioni, spesso richiamandoli con dolcetti e altre esche, come si è soliti fare agli zoo». La passeggiata sonora “Non più eroi” verrà proposta nei prossimi mesi dal Polo del ‘900 e dalla Fondazione Sandretto come attività di educazione civica rivolta a classi della scuola secondaria di secondo grado, nell’ambito di un modulo didattico che la farà precedere da una lezione introduttiva volta a fornire un primo quadro generale sulla storia del colonialismo italiano. Tale lezione, di taglio seminariale, servirà a illustrare alle studentesse e agli studenti coinvolti una cronologia fondamentale, alcuni esempi di crimini perpetrati sulle popolazioni aggredite e una tipologia di abusi e strumentalizzazioni della memoria. Una forma di restituzione dell’esperienza maturata in classe consisterà nella preparazione di un kit didattico che, riprendendo un lavoro già realizzato dall’Istituto piemontese per la storia della Resistenza,[11] fornisca a insegnanti e formatori un vademecum sul tema, a integrazione dei manuali scolastici più lacunosi.
Odonomastica coloniale
Il tema delle tracce nello spazio pubblico, e in particolare nell’odonomastica cittadina, è stato oggetto di ulteriori riflessioni, perché il fatto di individuare e contestualizzare i toponimi dedicati a vicende coloniali potrebbe consentirne una presa di coscienza su larga scala. La questione è stata per esempio affrontata in un incontro con la ricercatrice Daphné Budasz, che ha ideato insieme allo storico Markus Wurzer il sito web Postcolonial Italy. Mapping colonial heritage,[12] creato nel 2018 per rendere visibili le tracce della storia coloniale nelle principali città italiane e metterne in discussione l’eredità: è al momento stata avviata la mappatura di Bolzano, Cagliari, Firenze, Roma, Torino, Trieste e Venezia. I siti segnalati vengono suddivisi in quattro tipologie (strade, piazze, edifici i cui nomi siano legati alla storia coloniale; statue, monumenti e targhe commemorative legati alla storia coloniale; istituzioni coinvolte nel colonialismo; tracce coloniali nella cultura popolare e di massa) e a ciascuno di essi è abbinata una sintetica descrizione. Si tratta di un lavoro da estendere e implementare che tuttavia, già nella versione attuale, rappresenta un’utile piattaforma di lavoro, aperta alla collaborazione di chiunque voglia contribuire.
E ora?
Il prossimo passo de Il colonialismo e noi sarà un coinvolgimento delle istituzioni, a partire dalla Città di Torino,[13] per sollecitare una ricognizione ufficiale dei toponimi di origine coloniale, una loro classificazione – per esempio secondo la griglia proposta da Budasz e Wurzer – e una loro datazione. È infatti anche interessante sapere quando certe intitolazioni sono avvenute. Numerose strade dedicate a vicende del colonialismo di fine Ottocento vennero per esempio intitolate in epoca fascista, dunque a decenni di distanza e per scopi celebrativi, nel quadro della proclamazione dell’Impero. L’obiettivo di medio periodo dovrebbe invece consistere in una riflessione, il più possibile allargata alla cittadinanza e condivisa con gli attori del territorio, sulle azioni da intraprendere rispetto ai nomi delle strade o rispetto alle statue e ad altri monumenti commemorativi: come segnalarne la presenza, raccontarne la storia e i suoi retroscena, risignificarli in un’ottica postcoloniale. O, in certi casi, proporne la rimozione. Un’eventualità, questa, che non ha probabilmente senso contemplare nel caso di toponimi geografici generici, come Tripoli o Massaua, ma diventa invece un’opzione praticabile quando il riferimento è a battaglie che hanno causato massacri, come nel caso di Amba Aradam,[14] o a “eroi fascisti” decorati al valor militare (come il generale Rodolfo Graziani) che sono in realtà stati spietati criminali di guerra.[15]
Note:
[1] A. Del Boca, Italiani brava gente?, Neri Pozza, Vicenza 2005; N. Labanca, La guerra italiana per la Libia, 1911-1931, Il Mulino, Bologna 2012; N. Labanca, La guerra d’Etiopia, 1935-1941, il Mulino, Bologna 2015.
[2] Si veda M. G. Losano, Dalle leggi razziali del fascismo alle amnistie postbelliche, Mimesis 2022.
[4] Disponibile al link https://www.polodel900.it/wp-content/uploads/2022/05/BIBLIOGRAFIA-Il-colonialismo-e-noi.pdf
[5] Disponibile al link https://www.polodel900.it/wp-content/uploads/2022/05/FILMOGRAFIA-Il-colonialismo-e-noi.pdf
[6] https://www.torinofilmfest.org/it/38-torino-film-festival/film/all%27aldila%27diqua/41731/; https://mubi.com/it/films/all-aldila-diqua/trailer.
[7] Un elenco completo delle iniziative, realizzate tra maggio e dicembre 2022, è disponibile al link https://www.polodel900.it/il-colonialismo-e-noi/.
[9] https://www.cantica21.it/artista/eleonora-roaro
[10] https://verso.fsrr.org/project/non-piu-eroi/
[11] Il lavoro è liberamente disponibile al link https://www.polodel900.it/didattica/razzismo-e-razzismi-il-colonialismo-italiano/
[12] https://postcolonialitaly.com/it/home-2/
[13] https://www.editorialedomani.it/politica/italia/massacro-etiopia-litalia-ha-rimosso-19-febbraio-tcbdpvaa
[14] https://www.lastampa.it/cultura/2017/02/15/news/ambaradan-quando-una-parola-nasce-da-un-genocidio-1.34654124/