Un intellettuale alla ricerca di lavoro. Gaspare Finali in Sardegna (1856-1858)
Gaspare Finali. Cesena, 20 maggio 1829 – Marradi, 8 novembre 1914 (per gentile concessione della Biblioteca Malatestiana, Cesena – tutti i diritti riservati)
Abstract
Gaspare Finali, patriota risorgimentale, è noto per esser stato ministro, a lungo parlamentare (senatore, vicepresidente del Senato), presidente della Corte dei conti e anche per aver ricoperto alcuni degli incarichi più delicati della burocrazia statale, specie finanziaria. Nelle sue Memorie, pubblicate nel 1955 a cura di Giovanni Maioli, è contenuta anche una parte dedicata alla sua esperienza in Sardegna in qualità di giovane capo contabile della Società industriale agricola fondata da Pietro Beltrami. In questo saggio si metterà in risalto l’originalità delle considerazioni dell’uomo politico cesenate sul lavoro e sull’impresa nell’isola a metà dell’Ottocento. Nonostante siano ad oggi quasi del tutto inesplorate, tali considerazioni rappresentano un contenuto di fatto inedito e critico nel panorama storiografico sardo in quanto espresse da un osservatore speciale vissuto all’interno di un’azienda nel periodo cavouriano in Sardegna. Finali, per esempio, non si esimerà dal biasimare il depauperamento delle risorse isolane «i cui commerci – egli scriveva – erano tutti in mano di forastieri».
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Gaspare Finali, a Risorgimento patriot, is known for having been a minister, a long-time parliamentarian (senator, vice-president of the Senate), president of the Court of Auditors and also for having held some of the most delicate positions in the state bureaucracy, especially in finance. His Memoirs, published in 1955 and edited by Giovanni Maioli, also contain a section on his experience in Sardinia as a young chief accountant of the Società industriale agricola founded by Pietro Beltrami. This essay will highlight the originality of the Cesena politician’s considerations on work and enterprise on the island in the mid-19th century. Although they are almost completely unexplored to date, these considerations represent an unprecedented and critical content in the Sardinian historiographic panorama as they are expressed by a special observer who lived inside a company during the Cavourian period in Sardinia. Finali, for example, did not shy away from blaming the impoverishment of the island’s resources ‘whose trade,’ he wrote, ‘was all in the hands of forastieri’.
Premessa
«D’ora innanzi non vi è alcuno, che non possa aspirare a diventar ministro»: così la Gazzetta di Torino, all’indomani della nomina di Gaspare Finali[1] a Ministro dell’Agricoltura, industria e commercio del secondo Governo Minghetti (1873-76), volle evidenziare – come esempio di inadeguatezza – la pregressa esperienza dell’uomo politico al servizio di un «umile ufficio di quella Società degli omnibus»[2] che operava in Sardegna. Finali, nelle sue Memorie, ricorda l’episodio spiegando le ragioni, fondamentalmente economiche, che tra il 1856 e il 1858 lo avevano portato ad abbracciare l’impiego di contabile nella Società definita “degli omnibus”, ossia Industriale e Agricola della Sardegna, insediata a Macomer da Pietro Beltrami.[3]
In alcuni ambienti torinesi il suo percorso formativo e professionale non era considerato appropriato al fine di poter ricoprire le più alte cariche pubbliche. Tale mentalità conservatrice e classista ostacolò ogni tentativo di Finali di raggiungere nella città subalpina un’occupazione il più possibile stabile. Il Ministro dell’Istruzione Giovanni Lanza, ad esempio, gli aveva impedito di intraprendere la professione di maestro elementare «alla scuola comunale di Tronzano, grossa borgata a venti chilometri da Vercelli».[4] Fortunatamente, dopo la sua esperienza in Sardegna, guadagnò la stima e l’amicizia di uomini come Quintino Sella, Marco Minghetti e Luigi Carlo Farini, che lo condussero verso i gradi più alti dell’amministrazione pubblica.
Il racconto della parentesi isolana, già contenuto nell’unica edizione esistente delle Memorie di Finali pubblicata nel 1955 da Fratelli Lega Editori di Faenza e curata da Giovanni Maioli, è stato ripubblicato nel 2023.[5] Il manoscritto è stato steso tra il 1902 e il 1912 e, attraverso la narrazione autobiografica, propone una ricostruzione della storia d’Italia dal 1848 al 1900 con richiami a vicende personali precedenti e ai moti romagnoli dal 1832 al 1848. Scopo dell’imponente lavoro letterario è quello, per usare le parole di Finali, di «vivificare la coscienza nazionale».[6] Maioli ascrive le sue pagine in «un ufficio quasi sacerdotale, più alto dei molti uffici occupati e assolti durante la sua lunga e laboriosa vita»[7] e le riallaccia alla grande memorialistica ottocentesca da Garibaldi a Massimo d’Azeglio, da Minghetti ad Aurelio Saffi, da Michelangelo Castelli a Giuseppe Pasolini a Felice Orsini.
Le Memorie e la Sardegna
Nel caso di Finali le Memorie rivestono una duplice importanza: da un lato sono la testimonianza di una vita straordinaria con aspetti sconosciuti e sorprendenti (quali, per esempio, i profili dedicati alla Sardegna);[8] dall’altro rappresentano uno strumento fondamentale per lo studio di alcune vicende del Risorgimento e dell’Italia unita. Ma nelle pagine del libro non si tratta solo di politica e di amministrazione, c’è anche la narrazione del viaggio, della ricerca di un lavoro, di una grande apertura al mondo e della sete di conoscenza. Tratti che, a seguito di opportune contestualizzazioni, rendono le parole del cesenate molto attuali.
Gli scritti di Finali sull’esperienza isolana non possono essere annoverati unicamente tra le opere sulla Sardegna “terra da scoprire” lasciate dai viaggiatori dell’Ottocento. Racchiudono aspetti distintivi e originali come, ad esempio, le numerose e schiette considerazioni di carattere economico, sempre filtrate attraverso il punto di vista di un lavoratore e di un intellettuale che ha rivestito per quasi due anni un incarico amministrativo in un’azienda agricola nelle campagne sarde. Un periodo indubbiamente formativo, prodromico a un’esperienza di vita molto intensa e tutt’altro che semplice da ricostruire. I tratti del giovane mazziniano esule in Piemonte e poi emigrato in Sardegna, del funzionario capace di seguire e comprendere le delicate vicende politiche dei governi preunitari, del dirigente pubblico, del politico, dello studioso poliedrico, compongono un profilo estremamente articolato e stimolante. L’impiegato della Società “sarda”, all’epoca poco meno che trentenne, sarebbe divenuto un importante dirigente ministeriale e consigliere di governo, nonché, già avvocato, deputato, ministro, senatore, magistrato contabile, professore di contabilità dello Stato, giurista, storico, letterato, traduttore, studioso di lettere classiche e protagonista del Risorgimento italiano. Gaspare Finali è stato questo e forse altro ancora. Ma a fronte di una così sfaccettata e interessante vicenda umana, politica e culturale, le note biografiche pubblicate fino ad oggi su di lui appaiono sintetiche e talvolta incomplete, mentre non esiste una monografia destinata ad approfondirne la vita e le opere.
Vale la pena ricordare che l’avvocato Gaspare Finali, dopo l’esperienza di capo contabile (1856-58), intraprese una straordinaria carriera dentro le istituzioni politiche del Regno d’Italia: funzionario nei governi provvisori e nel Ministero dell’Interno (1859-62); dirigente di vertice del Ministero delle Finanze (1862-1872); magistrato e presidente della Corte dei conti. Fu anche autore di scritti di carattere giuridico-finanziario nonché di argomento storico politico-risorgimentale. E per completare la figura, si deve ricordare la sua vocazione di letterato, ricordata specie in relazione alla monumentale traduzione dell’opera plautina.
In questo quadro l’esperienza sarda è decisamente marginale, ma contiene due aspetti considerevoli. Il primo riguarda la formazione finanziaria di un avvocato che in seguito avrebbe diretto istituzioni ministeriali; il secondo riguarda la storia di Sardegna, dato che le sue Memorie aiutano a riflettere sul complesso avvio dei percorsi di modernizzazione nell’isola.
L’esilio: l’avventura in Sardegna
La fuga da Bologna e il viaggio per Torino, attraverso Livorno e Genova, segnano l’inizio della vicenda che qui si vuole tratteggiare.
A Livorno trovai un vapore Sardo. Quando arrivai vidi la bandiera tricolore, mi parve di essere il signore del mondo. Mi sentiva tutt’altro uomo.[9]
Così scrive Finali nell’intraprendere quella che nelle Memorie definisce la sua “emigrazione”. Eppure, l’inizio della storia da esule non fu semplice. A Torino iniziò a lavorare in uno studio legale (senza ricevere alcun corrispettivo in denaro). Partecipa al concorso per professore di Diritto commerciale ed Economia all’Università di Sassari (si classifica primo ma non è assunto e il posto è assegnato al secondo classificato). Nel suo destino c’era comunque la Sardegna.
L’incontro casuale con Beltrami a Torino – fondatore della Società industriale agricola della Sardegna – è una specie di svolta della vita. Di seguito le parole dove Finali riporta lo scambio con il conte di Bagnacavallo che lo proietta nell’esperienza isolana:
Attraversata la via di Po, per entrare sotto il portico per solito più frequente di popolo, m’imbattei nel conte Pietro Beltrami di Bagnacavallo, già rappresentante all’Assemblea costituente romana, e capo d’una Società, sorta da non molto tempo, che si addimandava Industriale e Agricola della Sardegna; egli allora avea bisogno d’un capo contabile, che pigliasse il posto lasciato da Enrico Guastalla, che acquistò dappoi notorietà come colonnello garibaldino; ed io gli avea proposto il Goldini di Rimini, che, come altrove ho ricordato, si era compromesso in una missione compiuta presso Mazzini a Londra. Salutatici, «Sai?» mi disse il conte «Goldini è venuto stamane a dirmi, che egli rinuncia l’impiego, perché sua madre gli ha scritto, scongiurandolo a non andare a morire di febbri in Sardegna». «Se non va lui, vado io». «Come? tu?» «Sicuro, se mi vuoi». «Pensaci bene: torneremo a parlarne». La cosa premeva; alla principale sua obbiezione io avea troppa ragione di rispondere, che io aveva indarno tentato tutte le vie. Combinammo; lasciando io a lui di stabilire la retribuzione, della quale non volli udire parola.[10]
L’arrivo in Sardegna è decisamente avventuroso e il luogo di lavoro non si trovava in nessuna delle due città dell’isola. Macomer, tuttavia, era un centro che in quel momento risultava essere strategico. La località, infatti, si trovava nell’arteria viaria principale della Sardegna a 87 chilometri da Porto Torres e a 148 da Cagliari. La descrizione dello sbarco e del trasferimento nella sede della Società agricola restituisce dettagli significativi sul paesaggio e sulle condizioni dei trasporti interni dell’isola a metà dell’Ottocento, così come erano avvertiti dall’esule lavoratore cesenate:
Risalii sul ponte, che già si avea in vista la Sardegna, e pigliammo fondo in quel guscio di noce, che era, né so se sia molto migliorato, Porto Torres, unico porto di commercio nel capo settentrionale dell’isola, al quale approdavano settimanalmente i vapori da Genova e da Marsiglia. In poche ore un disagiato omnibus ci portò a Sassari. La campagna era tutta squallida e deserta, fino all’appressarsi della città, che sorge in una collina ubertosa tutta coperta di vigneti e di ulivi. Una diligenza per Cagliari, che faceva giornalmente in ventiquattro ore il servizio fra le due città capitali dell’isola, ci attendeva, e salimmo.[11]
Le osservazioni di Finali sul contesto economico e produttivo della Società industriale e agricola
L’attività principale della società di Beltrami è la fabbricazione di legname finalizzato all’esportazione per la costruzione delle navi da guerra francesi ed inglesi. Lo specifico spaccato che qui è riportato rivela anche investimenti in perdita, o che al massimo generano introiti minimi, nell’estrazione del manganese e nella produzione del carbone. Inoltre si coltiva il sughero e si produce l’alburno tannico, fatto non secondario data la vicinanza fra Macomer e Bosa, sede di concerie. Poco redditizio è infine il settore della produzione del burro e dei formaggi:
Tre erano le [lavorazioni] principali, cioè fabbricazione di legname di quercia rovere da costruzione per le marine da guerra francese ed inglese; produzione di alburno tannico per la concia delle pelli; coltivazione dei sugheri. Non parlo della quarta, che pur figurava nei programmi sociali, cioè della latteria con produzione di burro e di formaggi, da esportarsi nel continente: era una semplice follia, mancando a Macomer i verdi pascoli e l’acqua. L’imbarco delle mucche da latte, fatto a Genova con rinforzo di reclami, non ebbe virtù, nonché di rialzarne il corso, di fare sottoscrivere tutte le azioni di prima emissione; più fortunata era stata la Società dell’Asfodelo, da cui si doveva estrarre alcool per sopperire alla mancanza assoluta del vino, causata per più anni da una Crittogama. Questa Società colla spedizione d’un bastimento carico di piccole zappe e di arpioncini per l’estrazione del tubero; eppoi colla spedizione d’altro bastimento carico di doghe e di cerchi per farne botti da riempire di alcool, aveva ottenuto un prodigioso rialzo delle sue azioni, che poi caddero quasi subito al nulla. Oltre le tre ricordate industrie, si esercitava una piccola miniera di manganese; e si produceva qua e là carbone, sia utilizzando residui di piante atterrate, sia acquistando tagli di boschi cedui e di macchie: tutte industrie poco importanti nel senso assoluto e nel relativo. La industria mineraria era in perdita; la carbonifera offriva scarsi guadagni.[12]
Quindi Finali prosegue con l’illustrazione delle maestranze e del suo impiego, nonché delle difficoltà derivanti dal rischio di contrarre le febbri malariche:
Noi avevamo nell’inverno parecchie centinaia di operai addetti alle varie lavorazioni: ne avevamo di Liguria addetti alla lavorazione del legname di quercia per le costruzioni navali, di Bergamo e di Garfagnana per la stessa lavorazione, e per quella di scorza o alburno per la concia delle pelli e per la fabbricazione del carbone. A questa era preposto Enrico Serpieri, già Questore alla Assemblea Costituente Romana, il cui figliuolo Attilio fra i miei collaboratori di scrittoio era il più valoroso e il più caro. Quante volte Attilio accorse in mio soccorso per rinserrare la Cassa, quando l’improvviso assalto d’una febbre assiderante mi impediva qualunque movimento delle mani e delle dita.[13]
Addestratomi all’ufficio ed all’impiego per me nuovissimo di Capo Contabile col rapido studio d’un breve trattatello, non poteva bastarvi e adempierne tutti i doveri, se non con uno sforzo di energia e di volontà. Alle 8 mi trovava allo scrittoio; dopo un’oretta per la colazione, ripigliava il lavoro di corrispondenza, di scrittura e d’affari fin verso le 7 pomeridiane; e nei giorni di posta col Continente, che erano due o tre per settimana, fino alle 9 di sera. Il sentimento di responsabilità inerente al duplice ufficio mi fece adottare una forma di brogliazzo a fondo di cassa, che mi permetteva fare la verifica di cassa ad ogni ora, e così ogni sera prima di lasciare lo scrittoio. Aveva valorosi collaboratori, quasi tutti figli d’emigrati; che nei tempi nuovi dell’Italia ebbero varia fortuna. Il lavoro continuo poco permetteva il chiaccherare e il confabulare; ma nei giorni che arrivava la posta dal Continente non si poteva resistere a comunicarci le impressioni ricevute.[14].
Considerazioni sul depauperamento delle risorse
Nelle sue osservazioni Finali non si esime dal biasimare il depauperamento delle risorse isolane «i cui commerci erano tutti in mano di forastieri», ricordando per esempio che, tra le principali miniere di piombo argentifero, solo una apparteneva a un sardo e aveva fatto «la fortuna di alcune famiglie sarde»: si trattava di quella di Montevecchio, «aperta da poco tempo, e diretta da Giuseppe Galletti», nonché proprietà di «un Sanna, deputato radicale alla Camera».[15]
Come Finali avrebbe amaramente constatato, la modernizzazione e il progresso agro-pastorale è pagato a caro prezzo dall’isola: «I continentali che a misero prezzo distrussero le querce di rovere e i sughereti di Sardegna, furono anch’essi apportatori di civiltà».[16] L’economista siciliano Francesco Ferrara anticipava alcune considerazioni del cesenate parlando di terreni venduti come «vecchi stracci» ma a «capitalisti vagabondi nelle aule della borsa»,[17] il deputato Giorgio Asproni[18], pur condividendo la necessità di un orientamento liberale nella gestione dei progetti di colonizzazione in Sardegna conseguente a una risoluzione della “quistione degli ademprivi”, dichiarava la sua contrarietà alla cessione monopolistica dei terreni demaniali sostenuta da Cavour a favore di “consorterie” in diverse aree dell’isola e per mere finalità speculative.[19]
Secondo la programmazione aziendale, ricorda Finali, la Società industriale avrebbe dovuto sviluppare la produzione di burro da esportare in continente sfruttando i selezionati allevamenti bovini. Una prospettiva commerciale che, come poco sopra riportato, il capo contabile romagnolo non esita a definire una «follia»[20], mancando a Macomer «i verdi pascoli e l’acqua»[21]. E con la medesima schiettezza, enumera anche tutti gli altri settori in perdita dell’intrapresa Beltrami e smaschera le pratiche di sfruttamento delle risorse naturali perpetrate dalle attività “forestiere” nell’isola.
Ritorna su questi temi nelle Memorie stese a Marradi nel 1912:
I continentali aveano nei commerci abusato della buona fede degli isolani; ma questi erano così propensi a confidare, che accoglievano il forastiero senza sospetto, purché avesse apparenza di galantuomo.[22]
Considerazioni ancora valide, che dimostrano come questo “esule lavoratore” è stato capace di riportare nei suoi scritti uno sguardo non comune sulle conseguenze delle avventure imprenditoriali di metà Ottocento in Sardegna.
La passione per la Sardegna ritorna spesso nelle Memorie dove è possibile leggere l’interesse per le sorti e i caratteri dell’isola all’interno di una colorita rassegna. Non mancano nemmeno alcune (giuste) considerazioni sul rapporto tra i sardi e il mare:
Ricordo gli abitanti cortesi, svegli d’ingegno, fidenti, che nel Logudoro, il centro dell’Isola, tengon viva la pronuncia latina, che in bocca alle persone colte fa gustare tutta l’armonia degli esametri di Virgilio; ricordo le pianure, i monti, gli stagni e i golfi; le foreste dalle colossali roveri e dai sugheri colle braccia aperte e sanguinolenti, e a la selva profumata dai frutti d’oro di Melis; la meravigliosa grotta di Capo Caccia, e Porto Conte, e i nuraghi misteriosi; ricordo la catalana e linda Alghero. La tempestosa Bosa, l’aspra e selvaggia Nuoro, il Castello di Cagliari, la Cattedrale di Sassari, ove furono profusi tanti ornamenti di cattivo gusto. Il carattere del popolo è serio e melanconico, come si manifesta nella cantilena che accompagna il ballo popolare, che non ha agitazione ma pochi e ben composti movimenti. Quel popolo non ama il mare, ed è suo gran danno. Alcuni tentativi per la redenzione agraria ed economica della Sardegna mal riuscirono, e me ne dolsi, come se vi fossi nato; speriamo che gli ultimi provvedimenti diano tutti gli sperati frutti.[23]
L’avventura del turismo, di un secolo più tardi, sarà ancora in gran parte legata alle scommesse di “forastieri”. Come pure le impressioni di un intellettuale dell’Ottocento sull’industria riportano alla luce uno spaccato economico sociale interessante anche per chi vuole leggere quanto sarebbe accaduto nei decenni successivi. Nello studio delle “avventure industriali” del Novecento c’è la necessità di comprendere le fasi primordiali di quel cammino di modernizzazione che è raccontato nelle memorie di Gaspare Finali.
Nota bibliografica su Gaspare Finali
Gli studi su Finali sono ancora agli esordi. Le Memorie con la presentazione di Maioli costituiscono ancora oggi la base per ogni lavoro sul cesenate. Il saggio di Angelo Varni aiuta a comprendere la statura politica del personaggio.
Il Finali letterato è stato oggetto di vari e accurati lavori di Marino Biondi e di Alice Cencetti. Il volume curato con Walter Falgio ha analizzato la vicenda sarda del patriota, a partire dai suoi ricordi di un’esperienza di vita del tutto particolare. Si aggiunge inoltre l’aspetto biografico che completa il lavoro e che è utile a correggere piccoli refusi e dubbi presenti in altre note biografiche. La documentazione d’archivio[24] consultata per la realizzazione del suddetto studio, infine, aiuta a comprendere aspetti specifici della lunga carriera del patriota romagnolo.
- G. Finali, Memorie, con introduzione e note di Giovanni Maioli, Società di Studi Romagnoli, Città di Cesena, Fratelli Lega Editori, Faenza 1955;
- A. Varni, Gaspare Finali, in «Studi romagnoli», XXXII (1981), pp. 115-125;
- M. Biondi, Gaspare Finali letterato e la cultura classica, in Id., La tradizione della città. Cultura e storia a Cesena e in Romagna nell’Otto e Novecento, Società di Studi Romagnoli, Stilgraf, Cesena 1995, pp. 74-97 e pp. 108-10.
- A. Cencetti, Gaspare Finali testimone del Risorgimento, in Storia di Cesena, a cura di B. Dradi Maraldi, Bruno Ghigi editore, Rimini 2004, vol. VI, t. I, pp. 183-244;
- Dall’esilio in Sardegna alle istituzioni del Regno. Materiali per una biografia di Gaspare Finali , a cura di W. Falgio e D. Sanna, FrancoAngeli, Milano 2023.
Bibliografia
- G. Asproni, Diario politico (1855-1876), Giuffrè, Milano 1974.
- I. Birocchi, La questione autonomistica dalla «fusione perfetta» al primo dopoguerra, in L. Berlinguer, A. Mattone (a cura di), La Sardegna, Einaudi, Torino 1998, pp. 131-199.
- L. Del Piano (a cura di), I problemi della Sardegna, da Cavour a Depretis (1849-1876), Editrice Sarda F.lli Fossataro, Cagliari 1977.
- M.L. Di Felice, La storia economica dalla «fusione perfetta» alla legislazione speciale (1847-1905), in L. Berlinguer, A. Mattone (a cura di), La Sardegna, Einaudi, Torino 1998, pp. 289-419.
- F. Ferrara, La colonizzazione della Sardegna, in «L’economista», gennaio-aprile 1956.
- N. Malvezzi, I lavori di Gaspare Finali (discorso), in “Atti e Memorie della Regia Deputazione di storia patria per le province di Romagna”, s. IV, v. VII (1916-17), pp. 316-39.
- E. Orsolini, voce nel Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 1997, vol. XLVIII, pp. 14-17.
- T. Orrù e F. Pau (a cura di), Giorgio Asproni. Una vita per la democrazia, Paolo Sorba editore, La Maddalena 2017.
- G.G. Ortu, Tra Piemonte e Italia., La Sardegna in età liberale (1846-96), in La Sardegna, a cura di L. Berlinguer e A. Mattone, Einaudi, Torino 1998, pp 201-288.
- L. Polo Friz e T. Orrù (a cura di), Giorgio Asproni. Un leader sardo nel Risorgimento italiano, AM&D Edizioni, Cagliari 2008.
- L. Rava, Gaspare Finali, in “Nuova Antologia” 16 dicembre 1914, pp. 521-539.
- D. Vaienti, Cesena: uomini ed elezioni dall’Unità d’Italia ad oggi, Comune di Cesena, Cesena 2014.
Profili biografici di Gaspare Finali pubblicati su:
- portale del Senato della Repubblica https://www.senato.it/web/senregno.nsf/876b34df7222a9fac125785e003ca629/fa63bbcf9635315e4125646f005bbede?OpenDocument (url consultata il 21 giugno 2024);
- portale della Corte dei conti https://www.corteconti.it/Home/Organizzazione/Presidente/PresidentiDellaCorteDeiConti/GaspareFinali (url consultata il 21 giugno 2024).
Note:
[1] Per una ricostruzione generale del profilo biografico di Gaspare Finali, tra l’altro, si veda: L. Rava, Gaspare Finali, in “Nuova Antologia” 16 dicembre 1914, pp. 521-539; N. Malvezzi, I lavori di Gaspare Finali (discorso), in “Atti e Memorie della Regia Deputazione di storia patria per le province di Romagna”, s. IV, v. VII (1916-17), pp. 316-39; A. Varni, Gaspare Finali, in “Studi romagnoli”, XXXII (1981), pp. 115-125; E. Orsolini, voce nel Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 1997, vol. XLVIII, pp. 14-17; A. Cencetti, Gaspare Finali testimone del Risorgimento, in B. Dradi Maraldi (a cura di), Storia di Cesena, Cassa di Risparmio di Cesena, Bruno Ghigi editore, Rimini 2004, vol. VI, t. I, pp. 183-244; la scheda sul cesenate uomo politico ed amministratore locale in D. Vaienti, Cesena: uomini ed elezioni dall’Unità d’Italia ad oggi, Comune di Cesena, Cesena 2014, pp. 151-152; e i profili pubblicati anche on-line sui portali istituzionali dal Senato della Repubblica (notes9.senato.it/web/sen- regno.nsf/ed2182d507919709c12571140059a266/fa63bbcf9635315e4125646f005bbede?O- penDocument) e dalla Corte dei conti (www.corteconti.it/Home/Organizzazione/Presidente/ PresidentiDellaCorteDeiConti/GaspareFinali). (url consultate il 21 giugno 2024). Su Finali letterato cfr.: M. Biondi, Gaspare Finali letterato e la cultura classica, in Id., La tradizione della città. Cultura e storia a Cesena e in Romagna nell’Otto e Novecento, Società di Studi Romagnoli, Stilgraf, Cesena 1995, pp. 74-97 e pp. 108-10.
[2] G. Finali, Memorie, con introduzione e note di Giovanni Maioli, Società di Studi Romagnoli, Città di Cesena, Fratelli Lega Editori, Faenza 1955, p. 380.
[3] Nato a Bagnacavallo (Ravenna) il 3 giugno 1812 e morto a Villa Ginori (Firenze) il 20 dicembre 1872, cospiratore rivoluzionario, partecipò ai moti del 1831 e fu tra i protagonisti di quelli del 1845. Attivo soprattutto nell’industria del legname in Sardegna, acquistò ed ebbe in concessione, tra l’altro, ampie aree forestate nel Sulcis-Iglesiente che sottopose a massicci disboscamenti.
[4] Per essere ammesso alla scuola, spiega Finali, «occorreva possedere il certificato d’aver fatto un corso, che dicevano di metodo, corrispondente presso a poco a un corso odierno di scuola normale». Non vantando tale titolo, il cesenate fu presentato all’allora Ministro dell’Istruzione Lanza «per vedere se questi colla sua autorità avesse voluto supplire al difetto de’ miei requisiti». Tuttavia, racconta sempre Finali, il ministro «con poche recise parole mi fece restare senza fiato; e mi allontanai dal suo cospetto senza speranza». Le citazioni sono tratte da Mem., cit., pp 91-2.
[5] W. Falgio, D. Sanna (a cura di), Dall’esilio in Sardegna alle istituzioni del Regno. Materiali per una biografia di Gaspare Finali, FrancoAngeli, Milano 2023. Studio dal quale si traggono riferimenti contenuti nel presente lavoro.
[6] Finali, 1955, pp. 416-417.
[7] Finali, 1955, p. XXI.
[8] Corrispondono alle parti del memoriale (custodito dalla Biblioteca Malatestiana di Cesena) stilate da Finali nei quaderni II, III e VIII. Esattamente, il capitolo XV dell’edizione delle Memorie curata da Giovanni Maioli intitolato “Difficoltà Sardegna”, che si estende dalla pagina 94 alla pagina 96 del quaderno II e dalla pagina 21 alla pagina 35 del quaderno III; il capitolo XVI della suddetta edizione Maioli intitolato “La Sardegna”, che occupa i fogli dalla pagina 36 alla pagina 72 del quaderno III; il capitolo intitolato “Memorie di Sardegna”, inserito nell’Appendice I delle Memorie citate, che si ritrova tra la pagina 185 e la pagina 200 del quaderno VIII; il paragrafo “Un incidente di polizia” dello stesso capitolo che è invece contenuto tra le pagine 240 e 244 del medesimo quaderno; seguono i paragrafi “In foresta” (pp. 244-8) e “Caccie” (pp. 248-64).
[9] Finali, 1955, p. 78.
[10] Finali, 1955, p. 93.
[11] Finali, 1955, p. 99.
[12] Finali, 1955, p. 101-102.
[13] Finali, 1955, p. 662.
[14] Finali, 1955, p. 661.
[15] Giovanni Antonio Sanna.
[16] Finali, 1955, p. 673.
[17] F. Ferrara, La colonizzazione della Sardegna, in «L’economista», gennaio-aprile 1956. Citato in G.G. Ortu, Tra Piemonte e Italia.La Sardegna in età liberale (1846-96), in La Sardegna, a cura di L. Berlinguer e A. Mattone, Einaudi, Torino 1998, p. 246. Anche in L. Del Piano (a cura di), I problemi della Sardegna, da Cavour a Depretis (1849-1876), Editrice Sarda F.lli Fossataro, Cagliari 1977, p. 281.
[18] Tra l’ampia bibliografia sull’uomo politico bittese, si vedano: I. Birocchi, La questione autonomistica dalla «fusione perfetta» al primo dopoguerra, in Berlinguer,Mattone,, cit.,pp. 152-156; T. Orrù e F. Pau (a cura di), Giorgio Asproni. Una vita per la democrazia, Paolo Sorba editore, La Maddalena 2017; L. Polo Friz e T. Orrù (a cura di), Giorgio Asproni. Un leader sardo nel Risorgimento italiano, AM&D Edizioni, Cagliari 2008.
[19] G. Asproni, Diario politico (1855-1876), Giuffrè, Milano 1974, vol. I, periodo dicembre 1855-giugno 1856, pp. 318-433. Riguardo alle proposte di colonizzazione del 1856 che presupponevano la cessione di 60.000 ettari di terre demaniali e che vedevano contrapposti il progetto del banchiere francese Bonnard e quello del banchiere e deputato torinese Bolmida e altri, Asproni scrive di sardi «palleggiati come merce da porre all’incanto»; di Bonnard che «ha avvelenato le gioje dei monopolisti» (ivi, p. 404) e di «monopolj, trame e iniquità» a danno della Sardegna (ivi, p. 422). In merito, il deputato bittese esprime così il suo pensiero durante un incontro con Cavour e la rappresentanza parlamentare sarda, il 26 maggio del 1856: «Quanto agli ademprivi giovare che la legge sia larga e si faccia presto. Senza questa misura essere impossibile un miglioramento agricolo e industriale nell’Isola. Per la colonizzazione credere io giovevole un sistema generale liberalissimo da pubblicarsi per legge prima che si formi qualunque compagnia» (ivi, p. 419). «Spesso dietro i progetti di colonizzazione della Sardegna povera e disabitata si celarono le speculazioni di chi intendeva invece sfruttare le ricchezze boschive dell’isola»: M.L. Di Felice, La storia economica dalla «fusione perfetta» alla legislazione speciale (1847-1905), in Berlinguer, Mattone, cit., p. 311.
[20] Finali, 1955, p. 101.
[21] Finali, 1955, p. 101.
[22] Finali, 1955, cit., p. 659.
[23] Finali, 1955, 108-9.
[24] Note personali. Condizione e qualità dell’Impiegato ACS, Corte dei conti (1856-1988), Personale (fine sec. XIX – 1988), f. Gaspare Finali.