La fondazione di Carbonia e il racconto inedito di Giuseppe Marongiu
Carbonia anni Quaranta. Veduta aerea sugli alloggi operai.
Crediti: museodelcarbone.it
Abstract
Nel mese di agosto del 1937 dalla sua casa nuorese l’ingegnere quarantaduenne Giuseppe Marongiu si trasferisce nel cantiere per la costruzione della futura Carbonia. La decisione è dettata da ragioni professionali e dalla necessità di abbandonare il contesto lavorativo della città natale dove si cimentava in una rilevante ma conflittuale attività di progettista. Marongiu è uno dei tanti soggetti della migrazione interna all’isola verso l’area di Monte Fossone nel Sulcis coinvolti nella fondazione del centro industriale a bocca di miniera. Di questa esperienza egli lascia una dettagliatissima e corposa memoria dattiloscritta inedita redatta tra il 1942 e il 1961 dove riporta minuziose descrizioni della sua attività di capo reparto nei cantieri. A partire dai contenuti del manoscritto si esporrà una lettura comparativa tra la memoria e le fonti documentarie individuando possibili indirizzi di ricerca. Si metteranno altresì in risalto aspetti specifici del complesso della vicenda fondativa con particolare attenzione alle problematiche politiche e gestionali e ai profili delle maestranze impegnate nella costruzione della città sulcitana.
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In August 1937, the 42-year-old engineer Giuseppe Marongiu moved from his home in Nuoro to the construction site of the future Carbonia. The decision was dictated by professional reasons and the need to leave the working environment of his hometown where he was engaged in a relevant but conflicting activity as a designer. Marongiu was one of the many subjects of the internal migration to the Monte Fossone area in Sulcis involved in the foundation of the mine-mouth industrial centre. Of this experience, he leaves a very detailed and extensive unpublished typescript memoir written between 1942 and 1961 in which he gives meticulous descriptions of his activities as a foreman at the construction sites. Starting from the contents of the manuscript, a comparative reading between the memoir and the documentary sources will be presented, identifying possible research directions. Specific aspects of the founding complex will also be highlighted, with particular attention to political and management issues and the profiles of the workers involved in the construction of the city of Sulcis.
Giuseppe Marongiu e la sua memoria
Giuseppe Marongiu[1] nasce in una abitazione in Corso Garibaldi a Nuoro da Francesco, falegname, e da Elena Ruju, il 15 novembre 1895. Dopo una breve esperienza di insegnamento nelle scuole e dopo essere stato assegnato al 46esimo Reggimento fanteria della Brigata “Reggio”, dal 1916 al 1919, completa il triennio di studi in ingegneria civile all’Università di Pisa nel 1926. L’anno successivo, all’età di 31 anni, esattamente il 23 aprile 1927, si sposa[2] con Giacomina Tanchis, insegnante, con la quale avrà quattro figli: Elio, Flavio, Iole e Maria.
Marongiu è un professionista curioso, attento e partecipe al dibattito sulla pianificazione urbanistica della sua città come testimoniano alcuni suoi interventi sulla stampa locale. Nelle cronache della Sardegna de «Il Giornale d’Italia» del 7, 23 e 29 gennaio 1937[3] sono presenti approfonditi articoli da lui firmati dedicati al piano regolatore di Nuoro. Esprime punti di vista innovativi, suggerendo scelte ispirate a criteri moderni che prevedono diradamenti al posto degli sventramenti, individuando nuovi centri con edifici multipiano nelle aree sud-ovest a monte e a valle della stazione, che immagina ridisegnata in una zona meno centrale, salvaguardando le aree verdi e tracciando nuove strade con il bitume al posto dell’acciottolato. Nel 1937 Marongiu pensa dunque un’altra città, sposando le teorie di Gustavo Giovannoni, figura di spicco dell’architettura italiana del XX secolo. I profili della sua visione articolata e rigorosa sullo studio della pianificazione emergeranno con chiarezza anche in relazione al suo incarico di capo reparto nel cantiere per la costruzione di Carbonia.[4]
Di lì a poco, infatti, l’ingegner Marongiu deciderà di trasferirsi dalla sua casa nuorese sul monte Ortobene, nel cantiere della futura città a bocca di miniera per rimettersi in gioco, sotto il profilo professionale, abbandonando una avviata ma conflittuale e problematica attività di progettista nella comunità natale.[5] Egli scrive: «Assistevo con troppa frequenza e con profondo disgusto al successo di furbi con poco scrupolo piovuti da ogni dove nella nostra terra, con la mentalità ormai largamente superata dei conquistadores». Marongiu parla di confusione e di turbamento dell’ambiente locale e di una fermissima intenzione di lasciare la città, dice, «per esulare altrove, non importa dove». Il verbo esulare non è casuale: nel 1937 raggiungere l’area di Monte Fossone nel Sulcis poteva apparire effettivamente come un esilio.
Queste parole sono contenute in una memoria inedita,[6] conservata nelle carte di famiglia, dove, oltre al travaglio interiore dovuto alla separazione dal luogo natio, Marongiu descrive la sua esperienza di capo reparto nella fondazione e nell’ampliamento dell’insediamento sulcitano, appunto dall’estate del ’37 sino alla fine del secondo conflitto mondiale.
Il dettagliato memoriale dattiloscritto composto da 237 pagine e redatto in forma sostanzialmente cronachistica nel corso di quasi vent’anni, tra il 1942 e il 1961, probabilmente destinato alla pubblicazione, intitolato Come nacque Carbonia, abbraccia il periodo dall’inizio dei lavori sino all’aprile del ’45 con la nomina ai vertici dell’Azienda Carboni Italiani (ACai) e della Carbosarda di Stefano Chieffi; si suddivide in 60 paragrafi.
L’incidente al pozzo Schisorgiu
In premessa, quale prima citazione dallo scritto di Marongiu, si suggerisce la descrizione dell’incidente, frutto delle inaccettabili condizioni di sicurezza alle quali erano sottoposti i minatori, accaduto al pozzo Schisorgiu il 19 ottobre del 1937 dove persero la vita 14 persone.[7] Si tratta di un doveroso omaggio ai caduti e alla intera comunità di Carbonia dove la memoria del tragico evento rappresenta un’occasione di riflessione e di incontro tra generazioni sui temi sociali e dei diritti dei lavoratori. Il ricordo dell’incidente, causato da un’esplosione di polveri di carbone poco più di un anno prima dell’inaugurazione della città, fu rimosso dal fascismo.[8] Questo preambolo consente di rilevare lo stile asciutto e affilato dell’autore. «Fu questo il primo nostro contatto vero col mondo dei minatori», osserva Marongiu:
Erano trascorse le ventitré di quella stupenda notte lunare e da poco erano cessate le conversazioni nella fattoria. [il riferimento è alla fattoria Atzori tra Serra Lurdagu e Sirai, il quartier generale dei tecnici].
Ciascuno si era ritirato nelle proprie stanze e si apprestava a riposare o scrivere ai propri cari lontani. Io mi trattenevo sulla porta esterna a godere ancora dell’aria fresca, dopo una giornata torrida, quando un leggero tremito distintamente avvertito e un boato sordo richiamarono alla realtà la mia attenzione distratta per concentrarla verso la miniera.
Di che si trattava? Erano forse le mine che regolarmente esplodevano ad ogni cambio di sciolta? [La “sciolta” dei minatori, ovvero la fine del turno di lavoro nella miniera quando appunto si sciolgono i gruppi di lavoro].
Non era possibile. Era questo uno scoppio unico, troppo forte o diverso da quello che avvertivamo le altre notti quasi alla stessa ora. Avevo appena avuto il tempo di abbozzare queste prime ipotesi quando scorsi una colonna di fumo denso uscire del pozzo e profilarsi verticalmente nell’aria tersa e tranquilla, crescendo rapidamente in altezza. Qualche minuto più tardi la sirena del pozzo lanciava nella notte il suo urlo doloroso e profondo che mi parve diverso da quello che annunziava ogni otto ore il cambio delle sciolte. Non v’erano dubbi: a Pozzo Schisorgiu qualcosa di anormale doveva essere accaduto.
In pochi secondi tutti i funzionari della Direzione lavori erano in piedi e mentre gli altri finivano di vestirsi, io e Reali [ingegnere livornese collega di Marongiu] scendemmo quasi a passo di corsa e raggiungemmo il piazzale della miniera.
Vi trovammo raccolti molti operai del turno uscente e qualche caposervizio. Il fumo che ancora usciva dal pozzo rendeva l’aria irrespirabile.
Fu solo dopo la mezzanotte che si poté iniziare la prima opera di soccorso, i primi feriti uscirono quasi all’una e vennero subito avviati al posto di pronto soccorso, poco distante dal pozzo. Tre furono le vittime accertate la sera stessa e che pagarono con la vita il tributo dell’uomo alla natura avara e ribelle. Numerosi altri feriti più o meno gravi furono avviati all’ospedale di Cagliari. Gran parte di questi soccombettero successivamente per le gravi lesioni provocate dalle ustioni interne o dall’urto meccanico conseguente allo scoppio.
Fu questo il primo nostro contatto vero col mondo dei minatori.[9]
Comparazioni
La memoria dell’ingegnere spazia dai contesti generali ai dettagli, raccontando delle sue relazioni sul piano umano e lavorativo con i superiori e con i colleghi, dell’ambiente circostante e della precaria vivibilità delle aree infestate dalla malaria o caratterizzate dal clima opprimente, delle tecniche costruttive, dei materiali, delle tempistiche, dei ritardi; dei rapporti con le autorità e con le imprese, dei caratteri, delle delusioni e delle gioie di numerose figure coinvolte nella vita di cantiere. Indugia sulle difficoltà che le ditte costruttrici hanno dovuto affrontare a causa della carenza di manodopera specializzata, a causa dell’inadeguatezza delle vie di comunicazione e dei mezzi di trasporto, delle sottodimensionate infrastrutture portuali di Sant’Antioco, per l’insufficienza di materiali metallici e per la distanza dell’area di lavoro dai centri di rifornimento.
Ma quali percorsi di comparazione sono stati tracciati per verificare le parole di Marongiu? Il documento trova conferma in un’altra fonte diretta rappresentata dalle relazioni al conto finale e dalle schede riassuntive da lui compilate durante l’espletamento dell’incarico di responsabile dei lavori per l’Istituto per le case popolari dell’ACai e per le società Carbonifera sarda e Termoelettrica sarda sino alla fine degli anni Cinquanta. Si tratta di schede e di prospetti riassuntivi custoditi negli scaffali della Sezione di Storia locale di Carbonia.[10]
Le relazioni al conto finale conservate sono 166 datate dal 20 novembre 1939 al 30 giugno 1963. Di questi documenti, tutti provenienti dall’archivio dell’Istituto autonomo case popolari (Iacp), 24 riportano appunto la firma leggibile del direttore dei lavori Giuseppe Marongiu. Tuttavia, a seguito di un esame comparativo tra la sigla abbreviata e alcune annotazioni autografe in calce, molte altre relazioni appaiono immediatamente riconducibili all’ingegnere nuorese: la prima in ordine cronologico dattiloscritta da Marongiu risale esattamente al 20 novembre 1939, l’ultima al 24 gennaio 1958.[11] La sua permanenza a Carbonia si interromperà il 23 gennaio 1961, dopo il conseguimento della pensione.
La testimonianza del tecnico nuorese può essere accostata anche a quella di un altro ingegnere con vocazione da letterato, nonché epistemologo e imprenditore, qual era Valerio Tonini che nell’agosto del 1943 diede alle stampe il romanzo Terra del carbone.[12] Anche in questo caso si tratta di una narrazione decisamente declinata su un realismo perfino più crudo, sulle vicende familiari quotidiane e drammatiche di svariati protagonisti impegnati nelle attività di cantiere con descrizioni del contesto ambientale e sociale e richiami all’esperienza vissuta in prima persona. L’autore era co-titolare di un’impresa di costruzioni, la Fadda&Tonini, alla quale furono affidati i lavori del terzo lotto della prima fase di fondazione di Carbonia.
La scrittura di Marongiu restituisce anche un tratto elegante, a momenti forbito, sempre estremamente lineare, caratteristica derivata probabilmente dalla formazione umanistica del progettista sardo acquisita durante gli studi ginnasiali. Ma la cifra più interessante della memoria dattiloscritta è quella di una vivace schiettezza della quale l’estensore è in grado di permeare sia le descrizioni più colorite sia quelle più intransigenti. La parte introduttiva del memoriale, composta esattamente da 45 pagine e stesa a partire dal 1942, si interromperà nel mese di marzo del 1943. Marongiu ricomincerà a redigere il suo testo il primo gennaio del 1946 con un tono quasi catartico e, tra l’altro, con una netta presa di distanza dalla politica imperialista del regime fascista:
Fin dal primo giorno in cui l’Italia fu travolta nell’immane conflitto fu chiaro, per chi conservava lo spirito libero da prevenzioni propagandistiche, che la partita era troppo grossa per noi e che in ogni caso la posizione e le sorti di Carbonia sarebbero state compromesse irrimediabilmente sol che si fosse turbato, come era inevitabile, quell’equilibrio fittizio fondato sull’ideologia autarchica […].
Con i gravi scacchi africani del 1942 si profilava inevitabilmente per l’Italia, senza possibilità di scampo, quel tracollo che doveva prostrare definitivamente le stremate forze superstiti. Pochi erano infatti coloro che si ostinavano a lottare ormai senza speranza per un ideale che nulla più diceva agli italiani, essendo ridotto a una larva priva di qualunque significato quello che per tanti anni era stato predicato alle folle come il verbo di un’Italia imperiale.[13]
Una fondazione difficile
La fondazione della città sulcitana, in tutte le sue fasi, rappresenta un oggetto di studio sufficientemente indagato, soprattutto sotto il profilo della pianificazione urbanistica e delle caratteristiche tecniche, stilistiche e architettoniche dell’insediamento. Sono stati scandagliati altresì aspetti di storia politica e sociale della comunità, dalla nascita agli anni del dopoguerra, a volte richiamando i contorni delle importanti migrazioni – soprattutto operaie – che hanno reso possibile la formazione e lo sviluppo del centro minerario all’interno di specifiche politiche demografiche del regime fascista.
Non potendo in questa sede elencare tutta la letteratura scientifica sul tema, ci si limita a citare alcuni titoli: innanzitutto il già richiamato lavoro monografico di Ignazio Delogu del 1988 dedicato alla storia della città, alla sua utopia e al suo progetto; la ricerca di Lucia Nuti e Roberta Martinelli del 1981, sulle politiche di fondazione degli insediamenti abitativi in Sardegna nel ventennio fascista; il volume curato dall’architetto Aldo Lino nel 1998 anch’esso dedicato al complesso della vicenda fondativa delle città sarde, a partire dall’epoca sabauda, con particolare attenzione ai saggi di Raffaele Pisano, Franco Masala, Maria Luisa Di Felice, Luciano Marrocu; il saggio di Gian Giacomo Ortu del 1986 che ha tratteggiato le dinamiche sociopolitiche della comunità sino agli anni Settanta del Novecento in Miniere e minatori di Sardegna a cura di Francesco Manconi.
Approfondimento
Tra i principali studi scientifici sulla storia della città di Carbonia si richiama la monografia di Delogu, 1988, (ristampata in una edizione riveduta e arricchita con il titolo Carbonia. Storia di una città, Tema, Cagliari 2003) e la ricerca degli architetti G. Peghin, A. Sanna, Carbonia. Città del Novecento, Skira, Milano 2009 che, integrata da numerose schede tecniche, si sofferma sul significato urbanistico dell’insediamento e sugli interpreti del progetto; per un esame complessivo delle vicende fondative dei centri urbani sotto il fascismo, delle contraddizioni e criticità del fenomeno tra gestione del potere e autocelebrazione, si rimanda a L. Nuti, R. Martinelli, Le città di strapaese. La politica di fondazione del ventennio, FrancoAngeli, Milano 1981, con riferimento a Carbonia, pp. 54-77, pp. 218- 219, e passim; delle stesse autrici, Le città nuove del ventennio: da Mussolinia a Carbonia in Id (a cura di) Le città di fondazione (Atti del 2° Convegno Internazionale di Storia Urbanistica, Lucca 7-11 settembre 1977), Marsilio-Ciscu, Venezia 1978, pp. 271-293; ancora sui processi di formazione delle nuove realtà urbane in Sardegna a partire dagli insediamenti sabaudi sino al Novecento, cfr. Lino (a cura di), 1998, e in particolare i saggi di L. Marrocu, L’America in Sardegna, pp. 84- 87, M.L. Di Felice, Le città di fondazione fascista: problematiche storiografiche e fonti archivistiche, pp. 110- 113, e di R. Pisano, Carbonia e il Sulcis: le vicende di un popolamento, pp. 148-157; una ricostruzione del contesto sociale e politico della comunità carboniense sino agli anni Settanta del Novecento è in G.G. Ortu, Carbonia dalle origini agli anni Settanta, in F. Manconi (a cura di) Le miniere e i minatori della Sardegna, Silvana Editoriale, Milano 1986, pp. 103-114; si veda anche l’interessante testimonianza del più volte sindaco di Carbonia e leader comunista, Pietro Cocco, a partire dagli anni della sua militanza antifascista e sino agli scioperi del 1948 e del 1949 rilasciata nel maggio 1993 in S. Ruju, I mondi minerari della Sardegna (1860-1960), Cuec, Cagliari 2008, pp. 155-186; uno spaccato delle caratteristiche architettoniche della città con schede dettagliate è nel già citato Masala, 2001, pp. 217-226; si vedano inoltre: anche per l’ampio apparato di documenti, grafici, e fotografie (alcune delle quali ritraenti Giuseppe Marongiu il giorno dell’inaugurazione della città, il 18 dicembre 1938, e in occasione della visita di Benito Mussolini, a Cortoghiana, il 15 maggio 1942, tratta dall’Archivio Luce), M. Carta, Perché Carbonia, Gasperini editore, Cagliari 1981; M. Pintus, La città progettata: Carbonia, in T.K. Kirova (a cura di), L’uomo e le miniere in Sardegna, Edizioni Della Torre, Cagliari 1993, pp. 137-152; M.G. Pinna, Carbonia, in M. Brigaglia (a cura di) La Sardegna. Enciclopedia, Edizioni Della Torre, Cagliari 1982, v. 1, La storia, pp. 266-270; G. Pellegrini (a cura di), Citta di fondazione italiane 1928/1942 (catalogo della mostra Latina 29 dicembre 2005/28 gennaio 2006, Cagliari 11 febbraio/15 aprile 2006), Novecento, Latina s.d., anche per l’ampia rassegna bibliografica; M.S. Rollandi, Miniere e minatori in Sardegna, Edizioni Della Torre, Cagliari 1981; G. Are, M. Costa, Carbosarda: attese e delusioni di una fonte energetica nazionale, FrancoAngeli, Milano 1989. Di recentissima pubblicazione è il lucido saggio di Salvatore Cherchi, sindaco della città mineraria dal 2001 al 2010, che, a partire dal riconoscimento a Carbonia del prestigioso Premio europeo del paesaggio (edizione 2010-2011), traccia una breve storia urbanistica del centro sulcitano con uno sguardo rivolto al futuro: Città industriale. Città post-industriale, Giampaolo Cirronis editore, Carbonia 2021. Tra le opere coeve alla costruzione della città, si segnala in particolare: V. Piga, Il giacimento carbonifero del Sulcis: Carbonia, Confederazione fascista dei lavoratori dell’industria, Roma 1938; R. Giani, Carbonia, Arione – Rotocalco Dagnino, Torino 1940; il già richiamato Tonini, 1943.
Marongiu, dunque, uno dei tanti soggetti della migrazione interna all’isola verso l’area di Monte Fossone del Sulcis coinvolti nell’intrapresa dell’Azienda Carboni Italiani, non esita a denunciare la crisi dei rapporti tra le imprese e il committente Acai: imprese prevalentemente cagliaritane, selezionate dopo estenuanti trattative e senza alcuna gara d’appalto o asta.[14]
L’ingegnere rileva un rigorismo burocratico nell’applicazione delle penali che causava ulteriori ritardi e sofferenze da parte di tutti i costruttori, denunciando una politica poco accorta da parte dei responsabili. All’origine delle problematiche Marongiu individua deficienti previsioni dei prezzi di appalto contro un andamento ascensionale dei costi di mercato, nonché una grave responsabilità dell’Azienda carboni. Scrive:
Tanto maggiori dovevano risultare gli oneri per l’esecuzione dei lavori appaltati in quanto la regione [Sulcis. N.d.r.] […] offriva ben scarse risorse all’attività costruttiva e la maggior parte dei materiali doveva essere importata da Cagliari o dalla penisola attraverso difficoltà materiali notevoli. Né va trascurato il fatto che sulle imprese gravavano tutti gli oneri relativi all’accantonamento degli operai, comprese baracche, brande e la fornitura gratuita di pagliericci, cuscini, coperte, posate, alla mensa per gli operai stessi, oltre che tutti gli oneri assicurativi contro gli infortuni, la disoccupazione, l’invalidità, la vecchiaia, la malattia ecc. E non occorre ricordare come le disposizioni di legge fossero rispettate con uno scrupolo che può ritenersi insolito, se si pensa alla presenza in loco di un apposito ispettore del lavoro, l’ing. Lo Monaco, il quale sembrava che neppure per temperamento fosse tenero con gli imprenditori. Gli è che Carbonia in quel tempo era al centro dell’attenzione nazionale e perciò, come era oggetto di particolari attenzioni da parte degli organi politici e sindacali, così era la massima delle preoccupazioni del Circolo ispettivo di Cagliari. Ciò spiega le frequenti visite di autorità e gerarchi di ogni calibro.[15]
L’intransigenza manifestata dall’ACai nei confronti delle imprese, la «ostinata sordità ad ogni più evidente ragionamento e ad ogni calcolo,[16] scrive l’ingegnere nuorese, sarebbe stata determinata dalla preoccupazione di coprire le responsabilità personali di chi aveva manipolato, «con poca maestria e molta ignoranza delle condizioni locali»,[17] il capitolato d’appalto e con esso i prezzi relativi. Nuti e Martinelli parlano di una gestione dei capitali pubblici caratterizzata da incompetenza e superficialità «ampiamente coperte da una crescente disponibilità di fondi». Circostanze denunciate anche da una nota riservata sui discutibili criteri di scelta dei dirigenti.[18]
Questo portò per esempio «una delle maggiori imprese a soccombere»,[19] denuncia Marongiu, riferendosi, senza citarla, alla romana Carlo Fiory. Una nota del fondo della Presidenza del Consiglio nell’Archivio centrale dello Stato,[20] conferma: «Il risultato economico dell’impresa Fiory (come per altre che hanno lavorato a Carbonia) è stato disastroso». La società non era più in grado di pagare i fornitori, un centinaio, in larga parte artigiani isolani.
Gli aspetti appena descritti sulla cattiva gestione dei rapporti tra la committenza in tutte le sue articolazioni e le imprese meriterebbero ulteriori ricerche e approfondimenti.
Il piano regolatore di Cesare Valle
Sempre nell’ottica di una schietta descrizione delle criticità che condizionarono la realizzazione dei lavori, Marongiu entra nel merito del piano regolatore di Carbonia curato da Cesare Valle[21] individuando un limite nella eccessiva ripartizione degli spazi riservati ai servizi e nell’incompleta realizzazione delle aree verdi destinate alle abitazioni. Ciò scrive nel 1949:
Volendo dar vita a una città giardino, Valle ha finito per determinare una soluzione ibrida che reca in sé la sostanza di molti tra i mali di cui soffre oggi la città: la eccessiva estensione imposta ai servizi stradali, idraulici, elettrici, igienici e quella sensazione di squallore che le case sparse su un terreno privo di vegetazione danno all’osservatore.[22]
Il tecnico sardo risale tuttavia a quella che ritiene la responsabilità prima di queste scelte attribuita in gran parte al presidente dell’ACai, Guido Segre, il quale, sull’esempio di analoghi villaggi per minatori da lui visitati in Germania e nel Belgio, aveva assegnato direttive di massima e criteri informativi all’architetto progettista che «dovevano essere rispettati ad ogni costo».[23] Così fu anche dei progetti di massima che Roma impose per i vari tipi di case operaie e per gli alberghi destinati ai minatori senza famiglia. Scrive Marongiu:
Progetti non tutti buoni né tutti esenti da mende criticabili e per i quali – osserva acutamente più di un tecnico – non era proprio il caso di disturbare l’architettura romana o triestina: In Sardegna si sarebbe potuto fare di più e di meglio, senza far torto a nessuno.[24]
Le leggi razziali
Anche le leggi razziali fasciste rappresentano un oggetto di riflessione e di critica per il nuorese in due distinti momenti. Il primo in occasione di un atto discriminatorio nei confronti di un’impresa, la Icsis, impegnata a Carbonia alla quale spettava il riconoscimento di un premio per una consegna anticipata delle opere murarie della laveria.[25] «Rammento che era quello il tempo in cui la politica imperante aveva iniziato la lotta antisemita che tanti lutti avrebbe arrecato all’Italia e al mondo»,[26] commenta il tecnico. L’amministrazione non intendeva saldare quanto dovuto all’impresa per non favorire, afferma Marongiu, «in quel momento particolarmente delicato»,[27] una ditta non ariana. Non fu facile per la Icsis superare tutti gli ostacoli rappresentati da omissioni e dichiarazioni mendaci. Alla fine, ricorda l’ingegnere, «il contegno fermo di chi aveva la responsabilità della direzione lavori valse a chiudere la liquidazione con il versamento della somma dovuta».[28] Il direttore dei lavori in questione era lo stesso Marongiu. Nell’impresa Icsis lavorava l’ing. Aldo Beer, ebreo residente a Carbonia e nativo di Ancona, soggetto a discriminazioni e all’obbligo di allontanamento dalle «zone costiere», nonché sospetto di attività politica ai danni del regime. Secondo le note informative di polizia datate settembre 1943, l’allontanamento di Beer non avrebbe condizionato l’attività dell’impresa che invece avrebbe potuto continuare a operare con «l’assistenza del geometra».[29] Subito dopo la fine della guerra in Europa, a luglio del 1945, l’ingegnere di Ancona sarà suggerito quale sindaco di Carbonia al Prefetto di Cagliari a seguito delle dimissioni di Ottavio Cucca. Nella nota del prefetto «l’Amministratore delegato dell’impresa I.C.S.I.S.» Beer è stavolta descritto come «persona di provata serietà ed onestà che gode la stima della massa e del Comitato di Liberazione locale».[30]
La seconda circostanza riguarda l’allontanamento dal vertice dell’ACai dell’ebreo piemontese e fascista della prima ora, Guido Segre. «Egli apprese la notizia della sua improvvisa sostituzione a Ostia, scendendo dall’aereo che lo riportava a Roma dopo un suo ultimo sopralluogo a Carbonia»,[31] ricorda Marongiu. Il fatto accadde poco prima dell’inaugurazione della mostra del minerale organizzata al Circo Massimo sui progressi compiuti sotto la spinta dell’autarchia. Dato che quel giorno, il 18 novembre 1938, avrebbe partecipato anche Mussolini, «i gerarchi non vollero avere tra i piedi un ebreo»,[32] scrive il progettista. Constata Marongiu:
Così Segre che aveva anticipato i primi fondi per la costruzione del villaggio minerario di Sirai Serbariu, che aveva curato con ammirevole zelo l’allestimento del reparto carbone nella mostra del minerale, che aveva saputo trasfondere in tutti i suoi collaboratori la sua stessa passione e il suo stesso entusiasmo, dovette andarsene.[33]
Maestranze da tutta Italia
Ma non solo di valutazioni critiche e di biasimo è innervata la memoria di Giuseppe Marongiu. Fotografie ilari e scherzose appaiono qua e là tra le ricostruzioni più rigorose. Una di queste è la galleria di tutti i tecnici dell’ACai, i capiservizio della Carbosarda e i periti minerari alloggiati come lui inizialmente nell’isolata Fattoria Atzori. Una colorita rassegna che in più restituisce plasticamente la variegata provenienza nazionale del personale qualificato al servizio della direzione lavori. Emerge che tra i dirigenti che incontra nel 1937 solo uno è sardo. L’ingegnere parla di livornesi, ragusani, maltesi, siciliani, triestini, veneziani, diversi lucani, un ferrarese, un romagnolo, un romano. Marongiu sottolinea inoltre che migliaia tra «muratori, carpentieri, terrazzieri, cavatori, scalpellini, asfaltisti»[34] provenivano da tutte le province dell’isola o da quelle del continente.
Operai sardi e siciliani, abruzzesi e lucani o veneti, sono alloggiati in baraccamenti non certo confortevoli con brande e zanzariere, lavabi e servizi minimi. Ed è in questo scenario che il tecnico nuorese osserva «i muratori di Bosa o di Ittiri lavorare accanto a quelli di Sardara o di Quartu o di Ghilarza, al fianco di toscani e veneti assai più pratici nel maneggiare il laterizio delle murature».[35] Ma i più assidui sono quelli della provincia di Cagliari che ogni sabato sera offrivano uno spettacolo straordinario «allorché, ultimato il lavoro, inforcavano la bicicletta e si dirigevano a gruppi più o meno numerosi, verso i loro paesi situati spesso a distanze ragguardevoli di 50, 70 e anche 100 chilometri».[36]
Il Commissariato per le migrazioni interne aveva aperto a Carbonia un ufficio per regolare l’afflusso delle maestranze che, inviate da varie province, dovevano trovare al loro arrivo a Carbonia un alloggio pronto ad accoglierle e un vitto sano e sufficiente. Nell’ottobre del 1938 gli operai presenti a Carbonia divisi tra edili e lavoratori dell’industria estrattiva sono 11.923. Tra questi i sardi sono 9581 (l’80,9%), dei quali 7945 provenienti dalla Provincia di Cagliari.[37]
Nei primi sei anni di vita la città «ha conosciuto già la vertigine di una crescita tumultuosa (7860 abitanti nel 1938, 36.792 nel 1942)», ricorda lo storico Gian Giacomo Ortu, sino a giungere ai 47.858 del 1950.[38] Il prefetto di Cagliari Tito Cesare Canovai in una relazione sulla situazione della disoccupazione e sui movimenti migratori della provincia indirizzata al Commissario per le migrazioni e la colonizzazione interna della Presidenza del Consiglio dei ministri datata 7 febbraio 1938, annota che nel solo mese di gennaio del 1938 il picco di assunzioni era stato registrato a Carbonia con 725 unità: «Le principali assunzioni riflettono la zona mineraria e segnatamente la zona del nuovo Comune di Carbonia. La Società Carbonifera Sarda ha, infatti, nel gennaio, per ampliamento dei lavori nei pozzi carboniferi, assunto quasi 180 elementi, mentre le ditte “Massarini e Pacca”, “Carlo Ansoldi”, “Fadda e Tonini”, e “Carlo Fiori”, appaltatrici di lotti di lavori interessanti la costruzione del predetto nuovo Comune, hanno assunto rispettivamente altri 185, 55, 180 e 125 operai. Complessivamente la zona di Carbonia ha assorbito 725 elementi».[39]
Conclusioni
Nel dopoguerra Marongiu continuerà a operare nel Sulcis come direttore dei lavori dell’Istituto per le case popolari dell’ACai. Dirigerà cantieri per la costruzione di abitazioni civili o strutture ad uso industriale sempre a Carbonia, a Bacu Abis, Cortoghiana, Portovesme.[40] Dopo il raggiungimento della pensione e dopo quasi 24 anni di attività, lascerà la città sulcitana il 23 gennaio 1961 per trasferirsi a Cagliari. Ricoprirà l’incarico di presidente dell’Ordine degli ingegneri della provincia del capoluogo regionale dal 28 marzo 1968 al 14 maggio 1970.[41] Morirà il 2 febbraio 1973.
Lo scritto del tecnico nuorese illustra con molta franchezza un “dietro le quinte” della fondazione di Carbonia denso di particolari e certamente molto distante dalla coeva e acritica propaganda di regime. È quindi, sotto questo profilo, un documento prezioso. Il progettista non risparmia osservazioni acute e critiche sul piano politico e tecnico e riguardo alla gestione amministrativa, sino al cuore del disegno urbanistico del Valle: temi di ricerca certamente suscettibili di ulteriore approfondimento. Marongiu nella sua attenta disamina non mancherà mai di elogiare – con un certo orgoglio di appartenenza – tutte le maestranze locali contro gli atteggiamenti censori di qualche “Catone” romano: «A quei censori – dirà – basterà buttare in faccia, oggi come ieri, una constatazione sola: a Carbonia nessun lavoratore ha fatto denari! Neppure gli impresari. Possono dire altrettanto quelli che l’hanno vista sorgere, a distanza, con il lavoro degli altri?»[42].
All’origine della scelta di redigere la memoria si riscontrano motivazioni di carattere personale, volte a salvaguardare il patrimonio di ricordi legato all’eccezionalità dell’evento. L’ingegnere scrive:
L’idea di fissare sulla carta la breve, densa storia della nascita di Carbonia non è nuova: mi ronzava nel cervello fin dai giorni in cui l’ansia affannosa della costruzione che tutti aveva preso nel 1938 […] faceva presagire l’importanza che l’evento avrebbe assunto col volgere degli anni […]
Possano queste mie pagine rappresentare ai miei figli quando lo leggeranno da grandi la somma di fede e di sacrificio che Carbonia è costata anche al padre loro […]
Pochissimi ch’io sappia, hanno scritto sulla fondazione di Carbonia e, fatta qualche rara eccezione si tratta di articoli su riviste e giornali, destinati quasi sempre a scomparire molto rapidamente […].[43]
Il nuorese concluderà il suo scritto rappresentando uno scenario possibile per il futuro di Carbonia basato su uno sfruttamento delle risorse del territorio:
Carbonia dunque è destinata a morire? Oppure, accantonate in tutto o in parte le fallaci speranze e le illusorie prospettive fondate sullo sfruttamento integrale delle risorse carbonifere, è ancora possibile riconvertire l’attività degli operatori economici della città, avviandola verso settori di rendimento meno illusorio, anche se di più modeste dimensioni, come potrebbero fornire l’agricoltura, l’industria chimica, la pesca, la piccola industria e l’artigianato? Tutto questo potrebbe essere possibile a condizione che la trasformazione venga operata col necessario impegno e possibilmente fuori dal gioco politico dei partiti, i quali finora hanno mortificato la vita della città, anteponendo spesso l’interesse proprio all’interesse generale.[44]
Bibliografia
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Sitografia
- Sezione di Storia locale delle biblioteche comunali di Carbonia aderenti al Sistema bibliotecario interurbano del Sulcis gestita dalla cooperativa Lilith: https://www.sbis.it/storia-locale.html
- CSC Carbonia della Società Umanitaria, Fabbrica del Cinema: https://www.umanitaria.it/carbonia
- Fotografia che ritrae Giuseppe Marongiu, in Archivio storico Istituto Luce. (L’ingegnere è ultimo a destra, in piedi davanti al tavolo, durante la visita di Mussolini in Sardegna). Cortoghiana, maggio del 1942: https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/detail/IL3000006823/12/mussolini-consulta-carte-nel-villaggio-minerario-cortoghiana.html?startPage=0&jsonVal=%7b%22jsonVal%22:%7b%22query%22:%5b%22Cortoghiana%22%5d,%22fieldDate%22:%22dataNormal%22,%22_perPage%22:20%7d%7d
- Video propagandistico del regime fascista in occasione dell’inaugurazione di Carbonia alla presenza di Mussolini il 18 dicembre 1938, in Archivio storico Istituto Luce: https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/detail/IL5000032082/2/mussolini-arriva-sardegna-inaugurare-citta-mineraria-carbonia.html?startPage=0&jsonVal={%22jsonVal%22:{%22query%22:[%22Carbonia%22],%22fieldDate%22:%22dataNormal%22,%22_perPage%22:20}}
- Veduta panoramica sulla città il giorno dell’inaugurazione, in Archivio storico Istituto Luce: https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/detail/IL0010035859/12/veduta-panoramica-della-nuova-citta-mineraria.html?indexPhoto=0
- Museo del carbone: https://www.museodelcarbone.it/
- Sistema museale di Carbonia: https://www.carboniamusei.it/
Note:
[1] Sulla figura di Giuseppe Marongiu mi sia consentito richiamare il mio Carbonia nella memoria di un progettista, in S. Ruju (a cura di), Migrazioni, colonie agricole e città di fondazione in Sardegna, FrancoAngeli, Milano 2021, pp. 39-60, di cui il presente lavoro è una revisione ampliata e aggiornata.
[2] Gli atti di nascita e di matrimonio di Marongiu mi sono stati cortesemente segnalati dalla prof.ssa Marina Moncelsi che ringrazio.
[3] Si ringrazia il prof. Franco Masala per la segnalazione e cfr. il suo Le città sarde nel ventennio, in A. Lino (a cura di), Le città di fondazione in Sardegna, Cuec, Inu, Cagliari 1998, pp. 191-192.
[4] Città di fondazione del regime fascista finalizzata allo sfruttamento dei giacimenti carboniferi del Sulcis sulla spinta delle politiche autarchiche e sul modello di altri villaggi minerari quali Arsia (oggi Raša, Croazia) e, successivamente, Pozzo Littorio (oggi Podlabin, Croazia), fu inaugurata il 18 dicembre 1938. Attirò manodopera da tutte le regioni italiane sino a superare la considerevole cifra di 45mila abitanti agli albori degli anni Cinquanta. Dopo la crisi e la chiusura delle miniere il centro ha subito un progressivo calo demografico. Attualmente è la principale città della Sardegna sud-occidentale, con oltre 25mila abitanti, vocata ai servizi e con una vivace proposta culturale.
[5] Sul periodo nuorese di Marongiu si veda Falgio, 2021, pp. 42-45. Sui processi di organizzazione urbana della città di Nuoro nel ventennio fascista, oltre a Masala, 1998, pp. 188-194, si veda: S. Russo, Nuoro perché…, Coop grafica nuorese, Nuoro 1985, pp. 25-30; S.L. Arru, N. Pigozzi, Nuoro, in G. Mura, A. Sanna (a cura di), Le città, Cuec, Cagliari 1999, pp. 235-245; F. Masala, Storia dell’arte in Sardegna. Architettura dall’Unità d’Italia alla fine del ’900, Ilisso, Sassari 2001, pp. 165-183; M. Cadinu, Architettura e urbanistica nella Nuoro premoderna, in A. Falzetti (a cura di), Riscoprire la città. Nuovi paesaggi per lo spazio urbano, Argos, Roma 2004, pp. 59-69; Il palazzo postale di Nuoro: un tentativo di riportare alla luce l’opera di Angiolo Mazzoni, tesi di Fausto Cuboni, Università degli Studi di Cagliari, master universitario di II livello in Recupero e conservazione dell’architettura moderna, ed. 2006, s.l., s.n., 2006.
[6] Da ora Mem. Ringrazio Giuseppe “Gepi” Marongiu, nipote omonimo del progettista, per avermi messo a disposizione lo scritto e dedico a lui, scomparso prematuramente il 27 febbraio 2024, il presente articolo. Le citazioni immediatamente precedenti sono alle pagine 5 e 6 dello scritto.
[7] Per una conoscenza dettagliata dell’evento si consiglia la visione del film: “Schisorgiu 1937” di Paolo Carboni (Sardegna 2021, 40’).
[8] «La tendenza a minimizzare la gravità degli infortuni è evidente, come pure a tacere di quelli che hanno causato vittime, dovute a esplosioni, a mancanza di adeguati impianti di aereazione e a cure rapide e corrispondenti alle ferite riportate», scrive Ignazio Delogu commentando le relazioni prefettizie della fine degli anni Trenta relative all’avanzamento dei cantieri della città di fondazione: in Carbonia. Utopia e progetto, Valerio Levi, Roma 1988, pp. 174-176. Nelle stesse pagine Delogu cita una relazione del podestà di Carbonia Ovidio Pitzurra al prefetto di Cagliari dell’8 giugno 1939, dove si legge: «Le condizioni di estremo pericolo nel quale si svolge il lavoro in questi cantieri si rendono sempre più manifeste e non mi sorprenderebbe se, da un momento all’altro, le masse operaie venissero colte da tale panico da degenerare in fatti spiacevoli». Si veda anche il recente M. Pistis, La tragedia nella miniera carbonifera di Schisorgiu, Giampaolo Cirronis Editore, Carbonia 2022.
[9] Mem., p. 29.
[10] La Sezione di Storia locale delle biblioteche comunali di Carbonia aderenti al Sistema bibliotecario interurbano del Sulcis (da ora Seslc), gestita dalla cooperativa Lilith, si trova nella ex Officina meccanica della miniera di Serbariu: https://www.sbis.it/storia-locale.html. (url consultata il 30 luglio 2024). Si tratta di un importante presidio culturale in collaborazione con il quale è possibile progettare percorsi didattici.
[11] Per esempio, risale rispettivamente al 1940 e al 1941 la direzione dei lavori di Marongiu nei cantieri per l’edificazione di case intensive operaie e del poliambulatorio di Carbonia, come confermato in A. Sanna, G. Monni (a cura di), Carbonia. Progetto e costruzione al tempo dell’autarchia, EdicomEdizioni, Monfalcone Gorizia 2020, pp. 168 e 205.
[12] V. Tonini, Terra del carbone, Guanda Editore, Modena 1943: «Il romanzo ha un sapore di verità che le testimonianze di quelli che conobbero il lavoro dei cantieri da operai o da sorveglianti confermano senza esitazioni», in Delogu, 1988. Tonini, originario di Velletri, sposa a Cagliari Elena Salazar: cfr. l’albero genealogico della famiglia Salazar da araldicasardegna.org in: http://www.araldicasardegna.org/genealogie/alberi_genealogici/albero_famiglia_salazar.pdf (url consultata il 30 luglio 2024).
[13] Mem., p. 49.
[14] «Contemporaneamente all’assegnazione dell’incarico per la preparazione del Piano regolatore, l’Ufficio Tecnico dell’Ifacp dell’ACai aveva provveduto ad assegnare i differenti lotti alle ditte appaltatrici. Non risulta che siano state fatte gare o aste»: Delogu, 1988, p. 108.
[15] Mem., pp. 126-127.
[16] Mem, p. 129.
[17] Mem, p. 129.
[18] Nuti e Martinelli, 1981, pp. 73-74. In generale, attorno alle “città nuove” «si animava una scena in cui si muovevano i grandi protagonisti del regime e i suoi organismi portanti». Si rivelavano così i meccanismi di gestione del potere, «le faide interne, le correzioni di rotta, l’ambiguità del ruolo dello Stato e della sua burocrazia, l’incompetenza e la disonestà dei pubblici amministratori». Ivi, p. 7.
[19] Mem., p. 129.
[20] (1937-’39, fasc. 3/1-10). Cfr Delogu, 1988, p. 108. Anche in Tonini, 1943 si parla dell’impresa Cassani destinata al fallimento per «eccessivi immobilizzi»: p. 35 e segg.
[21] Sull’architetto Valle si veda il recente M. Antonucci (a cura di), Cesare Valle (1902-2000). Architettura, ingegneria, urbanistica in Italia attraverso il Novecento, Bologna University Press, Bologna 2023.
[22] Mem., p. 94.
[23] Mem., p. 94.
[24] Mem., p. 94..
[25] I lavori di edificazione della laveria furono appaltati nella primavera del 1938 mentre la Relazione al conto finale, firmata dallo stesso Marongiu, è datata 9 novembre 1939: Seslc, Relazione al conto finale n. 8.
[26] Mem., p. 159.
[27] Mem., p. 159.
[28] Mem., p. 160.
[29] Archivio di Stato di Cagliari (da ora, ASCA), Prefettura, Gabinetto del prefetto (da ora Pgp), Ebrei-Discriminazione, cat. 18, f. 67.
[30] ASCA, CLN Prov. di Ca, f. 3/23 Carbonia.
[31] Mem., p. 200.
[32] Mem., p. 200.
[33] Mem., p. 201.
[34] Mem., p. 87.
[35] Mem., p. 87.
[36] Mem., p. 125.
[37] Cfr. Piga, 1938. pp. 140-141; Delogu, 1988, pp. 139 e segg. e 110 e segg. e id., Carbonia una «città nuova», in Manconi (a cura di), 1986, pp. 100-102. Marongiu conferma a pagina 123 della memoria che, a seguito delle richieste del Commissariato per le migrazioni interne, gli operai giunti a Carbonia erano in prevalenza abruzzesi, napoletani, pugliesi, lucani e siciliani: tranne che per napoletani e pugliesi, il dato combacia con quanto riportato da Piga e da Delogu, mentre non rileva più la presenza di personale veneto citato in precedenza, di fatto la seconda comunità più numerosa. «Ci furono bandi per il reclutamento dei lavoratori e questi bandi furono accolti anche da molti lavoratori che non avevano mai lavorato in miniera, a parte i nuclei di minatori specializzati che provenivano dall’Iglesiente e dalle altre zone minerarie del Continente. Ecco perché l’insieme della classe operaia era un po’ raccogliticcia. Erano operai con provenienze diverse che venivano trapiantati in un’esperienza nuova, dove tutto veniva improvvisato, fatto che i lavoratori pagarono duramente, con morti, molti morti e tantissimi feriti dovuti ad incidenti sul lavoro»: testimonianza di Pietro Cocco in Ruju, 2008, p. 164.
[38] Ortu, 1986, p. 103.
[39] ASCA, Pgp, Relazioni III, cart. 16, fasc. 58.
[40] Seslc, relazioni al conto finale nn. 108 (20 giugno 1947), 128 (15 settembre 1950), 146 (24 agosto 1955), 147 (15 marzo 1956), 149 (24 gennaio 1958) siglate da Giuseppe Marongiu.
[41] Archivio dell’Ordine degli ingegneri della Provincia di Cagliari. Scheda anagrafica di Giuseppe Marongiu.
[42] Mem., p. 122
[43] Mem., pp. 3-5, 10.
[44] Mem., p. 235.