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Formazione e ricerca sui processi migratori: strumenti e approcci geografici

Formazione e ricerca sui processi migratori: strumenti e approcci geografici

Un momento della mostra Eufemia. I sommersi e i salvati.
Fonte: Catalogo Eufemia, pagg. 20-21 (https://www.laboratoriosociologiavisuale.it/new/wp-content/uploads/2020/10/Catalogo-Eufemia-Ita-Eng-WEB.pdf).

Abstract

L’articolo presenta strumenti e approcci geografici legati al tema delle migrazioni, focalizzandosi sull’importanza di utilizzare un approccio biografico e territoriale complesso durante lo studio del fenomeno. Dopo un inquadramento teorico e metodologico, il lavoro presenta due esperienze formative che promuovono uno sguardo critico sul tema oggetto di interesse. La prima esperienza prende la forma di un laboratorio su Processi migratori e cittadinanza globale. La seconda si basa sulla mostra itinerante intitolata Eufemia. I sommersi e i salvati, che raccoglie testimonianze documentarie lasciate dai migranti lungo l’attraversamento del confine italo-francese e su due laboratori didattici ad essa associati, svolti rispettivamente nella città di Ventimiglia e di Menton. Entrambe le attività formative presentate mirano a promuovere una maggiore consapevolezza e comprensione delle migrazioni e a contrastare gli stereotipi e i pregiudizi associati ad esse.

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The article presents geographical tools and approaches related to the topic of migration, focusing on the importance of using a complex biographical and territorial approach when studying the phenomenon. After a theoretical and methodological framework, the paper presents two training experiences that promote a critical look at the topic of interest. The first experience takes the form of a workshop on Migration Processes and Global Citizenship. The second is based on the travelling exhibition entitled Euphemia. The Drowned and the Saved, which collects documentary evidence left by migrants along the crossing of the French-Italian border, and on two associated educational workshops, held in the cities of Ventimiglia and Menton respectively. Both of the educational activities presented aim to promote greater awareness and understanding of migration and to counter stereotypes and prejudices associated with it.

Introduzione

 Il tema delle migrazioni è di estrema attualità. Lo è sempre stato ma, negli ultimi nove anni, ha acquistato una nuova centralità nei discorsi pubblici in ambito italiano ed europeo. Il 2015, in questo senso, è stato emblematico. Durante l’anno, si è registrato un aumento significativo degli arrivi di migranti e richiedenti asilo in Unione Europea (UE),[1] in particolare attraverso le rotte del Mediterraneo. L’eccezionalità del flusso in arrivo si è tradotta, in termini giornalistici e non solo, nell’uso di espressioni quali «lunga estate migratoria»[2] o «crisi dei rifugiati».[3] I paesi europei di primo arrivo hanno risposto a tale nuova ‘crisi’ con l’adozione di politiche e misure straordinarie e, sul fronte comunitario, è stato approvato il Common European Asylum System (CEAS),[4] il cui obiettivo è quello di rendere più stringente la gestione dei flussi migratori in arrivo e più armonica la legislazione dei diversi Stati membri in materia di protezione internazionale.

In questo quadro, si muove il mio lavoro di ricercatrice in geografia politica ed economica e di docente universitaria di un corso denominato Critical Migration Studies presso l’Università di Torino. L’obiettivo delle mie ricerche e della mia didattica – in linea con il dibattito teorico degli studi critici sulle migrazioni – è quello di inquadrare le mobilità come fatti «di questo mondo»,[5] componente costitutiva della vita di un numero crescente di persone, parte centrale delle relazioni sociali[6] e fattore chiave per comprendere gli aspetti materiali e immateriali che connotano i vari contesti territoriali. Partendo da questi presupposti, la ricerca e la didattica si focalizzano su due aspetti cruciali. Da un lato, sulle storie di vita delle persone che hanno compiuto una migrazione. Tale prospettiva è centrale dato che troppo spesso si parla dei migranti in termini numerici o delle migrazioni esclusivamente come processi problematici da gestire. A partire dal livello dell’esperienza, il processo migratorio viene restituito alla complessità delle vicissitudini personali e collettive e dei contesti storici, politici e territoriali in cui si muovono. Dall’altro lato, il focus analitico ricade sulle politiche migratorie e di confine e sulla loro costante riformulazione nel tempo in termini spesso più restrittivi. I processi ai quali stiamo assistendo nell’ultimo decennio, in UE e non solo, stanno esacerbando forme di disuguaglianze socio-economiche nei paesi di provenienza, transito e (per chi riesce) arrivo.

La didattica come spazio di apprendimento

Il presente contributo non potrà naturalmente prendere in carico tutti gli aspetti fin qui citati. A partire dalla mia esperienza di ricerca e didattica, l’articolo presenterà brevemente alcuni strumenti e approcci geografici al tema e, a seguire, due esperienze formative che sposano uno sguardo critico sul tema.

Il focus sulla didattica come spazio di apprendimento non è secondario. In fase introduttiva, è utile ricordare come proprio la scuola – di ogni ordine e grado – e le università siano un luogo privilegiato in cui è possibile veicolare e favorire atteggiamenti consapevoli e responsabili rispetto alle migrazioni, alla cittadinanza globale e, più in generale, al mondo e alle sue complessità.

Storie personali, storie collettive, storie di territori: prospettive e strumenti di indagine geografici.

Dalla fine degli anni Ottanta, in Italia, si è diffuso un approccio allo studio delle migrazioni che ha dato crescente risalto alla “storia dal basso” intesa nella sua duplice accezione o come storia delle classi popolari o, in un senso più ampio, come sinonimo di approccio biografico. Nel mondo della ricerca, soprattutto sociale, si è teso dunque ad abbandonare i macro-modelli per dare maggiore spazio ad approcci di tipo qualitativo interessati a indagare il fenomeno migratorio a partire dalle storie di vita personali. Queste ultime permettono di prendere in conto le diverse scelte individuali e familiari durante vari momenti del processo migratorio, dei percorsi seguiti, delle vicissitudini (quando non delle propensioni caratteriali) che hanno portato a scegliere un luogo anziché un altro, a preferire la migrazione alla stazionarietà. Una tale attenzione verso i singoli percorsi migratori permette non solo di dare spessore e visibilità alla prospettiva dei soggetti della migrazione, ma anche di complessificare l’analisi dei territori interessati dalle mobilità in uscita, in attraversamento o in entrata.

Aspetti quantitativi e aspetti qualitativi

In ambito geografico, l’attenzione verso gli aspetti qualitativi delle migrazioni è andata infatti di pari passo con quella verso i contesti territoriali attraversati dalle mobilità. Le persone in viaggio non solo vivono cambiamenti personali lungo le rotte, ma producono anche trasformazioni sociali, economiche e politiche lungo il percorso intrapreso. Come ci ricorda il lavoro di Brigden sul confine Messico-Stati Uniti,[7] i sentieri tracciati dai migranti riformulano il paesaggio fisico e socioeconomico dello Stato-nazione, oltre a sfidare con la loro presenza l’equazione troppo spesso data per scontata che a «luogo certo» corrisponda una «identità certa»[8] da un punto di vista socio-culturale. In questo senso, possiamo dire che le migrazioni e il loro studio hanno permesso di sfidare alcune categorie statiche di «nazione» e di «etnicità», comunità, luogo e spazio. Sempre tenendo a mente la dimensione territoriale, il focus sulle migrazioni ha permesso inoltre agli studiosi e alle studiose di rimarcare che le storie dei vari territori si estendono al di là dei loro specifici confini. A tale riguardo, sono state studiate: le reti transnazionali che legano tra loro persone e famiglie che vivono dislocate in aree differenti del globo, le relazioni tra territori di partenza, transito e arrivo e/o tra le diverse forme di comunità che si creano all’estero; i processi di deterritorializzazione e riterritorializzazione di alcune pratiche culturali che il migrante porta con sé dai territori abitati in precedenza; etc. Gli approcci qualitativi e quelli più quantitativi non sono di per sé conflittuali. Lo studio microanalitico, infatti, può offrire un contributo alla ricostruzione dei caratteri generali dei flussi, così come la ricostruzione generale dei flussi aiuta a inquadrare meglio i singoli casi nel contesto storico, politico e territoriale che li ha accolti, definendone in parte il profilo.

La storia dal basso come occasione di ricerca sul campo

Da un punto di vista strettamente metodologico, un approccio teorico che guarda alla storia dal basso e che sposa una lettura dal taglio non esclusivamente economico, si traduce spesso nella centralità accordata alla ricerca empirica sul campo. Durante la mia attività di ricerca, pur rimanendo all’interno di approcci metodologici di tipo qualitativo, ho adottato vari strumenti in base alle situazioni specifiche analizzate e in base al tempo di durata della ricerca stessa. Nel mio lavoro sulle comunità italiane a Vancouver[9] ho adottato principalmente questionari semi-strutturati rivolti ai membri dell’Italian Cultural Center della città; in Brasile[10] ho indagato le storie di vita dei sardi a Rio de Janeiro attraverso interviste aperte che seguivano una traccia tematica. In un recente lavoro sulle migrazioni irregolari tra l’Italia e la Francia al confine di Ventimiglia[11] ho utilizzato vari strumenti di indagine empirica in base ai diversi soggetti e luoghi indagati: chiacchiere informali e interviste aperte rivolte alle persone in transito tra i due paesi, interviste semi-strutturate rivolte alle diverse autorità della città (sindaco, rappresentanti politici, associazioni locali etc.) e osservazione partecipante della gestione del confine italo-francese. Le voci e le esperienze dirette dei migranti, catturate attraverso i diversi metodi di indagine, sono preziosa testimonianza di diversi nodi problematici presenti in molte esperienze di mobilità: processo di inserimento nel nuovo contesto; le relazioni che uniscono i percorsi singoli, e all’apparenza singolari, ai più ampi processi storici, culturali e politici che hanno coinvolto i territori di partenza, ma anche – come ricordato in precedenza – di «attraversamento» e arrivo.

Al di là dell’uso differente di strumenti, tutti i miei lavori hanno al centro le memorie vive e in continua elaborazione delle persone da me incontrate. Le storie di migrazione, oltre che offrirci uno spaccato del passato, ci offrono infatti una rielaborazione attuale dell’esperienza migratoria, parlandoci dunque inevitabilmente anche del presente e del futuro.

Fare formazione sui processi migratori

L’attuale società pone il nostro sistema educativo di fronte ad una precisa sfida: la creazione di un modello formativo che valorizzi la ricchezza e varietà culturale dei territori e delle classi di ogni ordine e grado.

La crescente presenza di bambini con un background migratorio[12] nelle classi e l’internazionalizzazione dell’educazione terziaria rende scuola e università sedi cruciali per veicolare un’educazione (e pratica) di cittadinanza globale consapevole e attiva. Scuola e università sono luoghi che si fanno soggetto di relazioni globali, dove si tessono occasioni di incontro per la produzione di atteggiamenti consapevoli e responsabili. Attraverso una «geografia del contatto» – che studia i luoghi e le aree dove avvengono interazioni e contatti tra diverse persone, culture o gruppi sociali[13] – è possibile sperimentare alcuni strumenti didattici in grado di facilitare il riconoscimento che la storia di ogni territorio è storia di diversità, mescolanza e condivisione: percorsi laboratoriali che educano all’ascolto reciproco, alla mediazione dei conflitti (quindi anche quelli culturali che potrebbero sorgere) e alla destrutturazione di certi stereotipi veicolati anche attraverso i media giornalistici, alcuni dibattiti politici e, spesso, anche attraverso i libri di testo.[14]

Di seguito, vengono riportate due esperienze didattiche sul tema migratorio diverse tra loro, ma sinergiche in quanto ad approccio. Il loro comune obiettivo è quello di ribadire che la nostra storia umana si è costruita attraverso flussi, spostamenti, migrazioni e che così sarà in futuro, indipendentemente da politiche più o meno restrittive. C’è da chiedersi, quindi, quale diritto al futuro saremo in grado di assicurare a coloro che vorranno o dovranno spostarsi, con la consapevolezza che tra quei «coloro ci potremmo essere anche noi».[15]

Prima attività didattica:

Officina didattica su Processi migratori e cittadinanza globale

 La prima esperienza didattica è tratta da una Officina didattica dal titolo Processi migratori e cittadinanza globale[16] coordinata insieme a Sara Bin nell’ambito del 21° Corso Nazionale di Aggiornamento e Sperimentazione Didattica proposto nel 2017 dall’AIIG (Associazione Insegnanti di Geografia) ad insegnanti della scuola secondaria superiore.

L’Officina didattica proposta si strutturava in tre parti: contenuti, obiettivi e attività.

Per affrontare il complesso tema dei processi migratori e della cittadinanza globale, siamo partite dai significati che si strutturano attorno alla parola “migrazione”. È stato dunque chiesto ai partecipanti di completare la seguente frase, «Quando sento la parola migrazione penso a…», scrivendo in dei post-it una o più parole. I post-it sono stati successivamente condivisi utilizzando, alternativamente, in base alla classe, due modalità di visualizzazione e condivisione: esposizione su una parete dell’aula e distribuzione sul pavimento dell’androne esterno all’aula. I partecipanti sono stati successivamente incoraggiati a mettere insieme le parole con significati simili e, in un secondo momento, a spostare quelle degli altri al fine di formare delle alleanze di parole sulla base di concetti chiave comuni. Per questa prima attività, si è scelto volutamente di prevedere due momenti di riflessione differenti: il primo individuale e il secondo collettivo. Si è ritenuto importante che ognuno, pur nel successivo confronto, compisse in autonomia lo sforzo di pensare e di dire la sua evitando di innescare dinamiche di esclusione o di ripetizione. Ogni contributo ha giocato la sua parte nella costruzione della conoscenza condivisa. Durante il laboratorio, sono stati associati al termine «migrazione» concetti diversi, di segno più o meno positivo, e in relazione a diverse prospettive (quella del migrante e/o quella del territorio di arrivo). Speranza, cambiamento, viaggio e coraggio; ma anche paura, diversità, volo, mare e culture. Le parole contano; attraverso di esse si costruiscono o si riproducono immagini identitarie forti che segnano i rapporti di convivenza e dettano i comportamenti. Per questo le parole si possono educare e la presa di consapevolezza della non neutralità dei linguaggi può contribuire a una più coerente azione sociale e politica.

Siamo tutti migranti

Il ragionamento condiviso sui termini scelti è stato propedeutico ad una seconda attività, quest’ultima volta a facilitare la consapevolezza che ognuno di noi possiede una storia di migrazione, sia essa vicina o lontana nel tempo e/o nello spazio. Ogni partecipante ha speso qualche minuto per pensare alla propria storia personale e familiare in termini di esperienze migratorie (emigrazione/immigrazione) o di spostamenti interni (da una regione italiana all’altra; da una provincia all’altra; da una città all’altra; dalla zona rurale a quella urbana). Uno alla volta i partecipanti sono stati invitati a dire il proprio nome e a presentarsi attraverso la propria «storia di migrazione». Nel farlo, è stato chiesto loro di tracciare con un pennarello la rotta o le rotte migratorie narrate dalle storie in un planisfero posto al centro del cerchio. Gli spostamenti interni all’Italia sono stati indicati in un foglio a parte, con una scala di maggiore dettaglio. Il risultato dell’attività è stata la creazione di una “carta personalizzata” e partecipata dei flussi migratori del gruppo che ha permesso di ragionare insieme su vari aspetti di tipo sia cognitivo sia emotivo: le idee che vengono in mente nel vedere la carta (ormai) completamente colorata, così come i sentimenti suscitati dalla sua visione.

Lavorando sulle storie di migrazione personali o familiari raccontate dai partecipanti è stato possibile ripercorrere alcune tappe della migrazione storica, anche italiana. L’attività svolta, oltre ad agevolare la consapevolezza che la nostra è una storia di migrazioni, aiuta – grazie anche al supporto della carta geografica – il processo di riproduzione dello spazio migratorio su larga scala.

Definire le migrazioni

Proseguendo nell’ottica di promuovere la conoscenza dei significati appropriati e adeguati delle parole, in particolare di quelle che definiscono la questione migratoria, in una delle Officine da noi svolte, i partecipanti sono stati suddivisi in cinque gruppi, ad ognuno dei quali è stato chiesto di definire una parola legata al fenomeno migratorio, senza l’aiuto del dizionario, basandosi esclusivamente sulle conoscenze pregresse e sull’intuizione.

Le parole da definire sono state:

  1. migrante;
  2. migrazione regolare e irregolare;
  3. protezione umanitaria;
  4. richiedente asilo;
  5. rifugiato.

Le definizioni dei gruppi sono state poi confrontate con le definizioni ufficiali dei principali organismi internazionali che si occupano di migrazioni, ovvero l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) e l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR).

Giocare con le conoscenze pregresse

L’attività successiva aveva come obiettivo quello di rinforzare le conoscenze relative alla questione migratoria dal punto di vista storico, geografico, statistico e di facilitare il confronto tra conoscenze e fonti. I partecipanti sono stati divisi in squadre. Si è proceduto ad una vera e propria competizione tramite un quiz di quindici domande a risposta multipla, che metteva in gioco le conoscenze sul tema delle migrazioni e la capacità di riflessione e di condivisione tra i diversi membri del gruppo. A ogni domanda/risposta è stata poi fornita una spiegazione al fine di collocare dati e informazioni all’interno di un quadro più ampio relativo al tema affrontato dalla singola domanda. Come in ogni gara, ha vinto il gruppo che alla fine ha dato il maggior numero di risposte esatte. Le domande (e le risposte) al quiz hanno permesso a noi docenti di affrontare temi come le molteplici e non sempre lineari cause che spingono le migrazioni; abbiamo provato insomma a far emergere la loro complessità. Durante la prima parte dell’Officina, grazie all’attività sulle parole della migrazione e al quiz, è stato possibile ragionare insieme su concetti e dinamiche fondamentali per comprendere le migrazioni, fornendo al contempo dati, sia quantitativi sia qualitativi, sui flussi e sulle presenze di migranti in Italia e nel mondo.

Giocare con le fonti iconografiche

La seconda parte dell’Officina si è posta un duplice obiettivo. Da un lato, quello di far acquisire consapevolezza degli stereotipi che guidano le nostre scelte e i nostri atteggiamenti nei confronti delle persone che effettuano una migrazione e stimolare un cambiamento nel modo di concepire il fenomeno stesso. Durante un’attività sono state mostrate alla classe alcune fotografie di persone migranti. Il fatto che si trattasse di migranti è stato esplicitato in fase di consegna delle regole del gioco. Le immagini sono state appese con del nastro adesivo alle pareti e sotto ognuna di esse è stato posto un foglio bianco. I partecipanti sono stati suddivisi in piccoli gruppi. Ogni gruppo ha sostato qualche minuto di fronte alle singole fotografie, scrivendo sul foglio due domande che desiderava rivolgere al migrante ritratto nello scatto. Trascorsi circa tre minuti, ai gruppi è stato chiesto di spostarsi davanti alla fotografia successiva e di aggiungere, alle domande già presenti, altre due da porre alla persona/persone della seconda foto e così via per 3/4 volte. A conclusione di questa prima fase, ad ogni gruppo è stata assegnata una foto, insieme alle liste delle relative domande. Quelle domande sono state giocate/recitate da alcuni gruppi a cui è stato chiesto di produrre una breve intervista. Al termine delle rappresentazioni, sono state lette le storie vere dei protagonisti delle immagini e raccolte le reazioni dei partecipanti che hanno avuto modo e tempo di discutere su alcuni degli stereotipi emersi.

Alcuni esempi di questi stereotipi sono:

  • la persona «africana» di genere maschile è sempre un migrante appena sbarcato o senza documenti;
  • se l’immagine raffigura due persone, una con la pelle scura e una con la pelle chiara, la prima è quella che ha effettuato la migrazione;
  • se la persona è di pelle chiara allora non può che essere dell’Europa dell’Est e in particolare rumena;
  • non viene mai considerata la possibilità che la persona «africana» possa essere emigrata in un altro paese africano.

Seconda attività didattica

La mostra Eufemia. I sommersi e i salvati e i laboratori nelle scuole

La seconda esperienza didattica è legata alla mostra itinerante Eufemia. I sommersi e i salvati, un’installazione artistica di grande formato che è stata presentata in diverse occasioni sia in Italia sia in Francia: a Genova (16-18 maggio 2019) in occasione del Festival del mare; a Nizza (22 giugno – 15 novembre 2021), presso l’Espace Avant-sceène, Campus St. Jean d’Angeély de l’Universiteé Coôte d’Azur -Urmis-MSHS; a Ventimiglia (10 febbraio – 02 aprile 2022), presso il Liceo Statale Aprosio e a Mentone (07 aprile – 18 giugno 2022), nell’Institute Pierre and Marie Curie.

L’installazione pubblica è una composizione di una serie di testimonianze documentarie lasciate dai migranti in transito tra l’Italia e la Francia e di riflessioni nate intorno ad esse tra coloro che hanno preso parte all’opera.[17] La base principale dell’opera è costituita da circa duecento fogli ricchi di disegni e scritte lasciati dai migranti sui muri dell’Infopoint Eufemia nella città di Ventimiglia.

Genesi del progetto

L’idea di partire da questi materiali per strutturare una mostra collettiva prende le mosse dall’incontro avvenuto a Ventimiglia tra alcuni dei soggetti successivamente coinvolti nella mostra e otto studenti e studentesse della Scuola di Scienze Sociali coordinati da quattro ricercatori del Laboratorio di Sociologia Visuale dell’Università di Genova (Livio Amigoni, Massimo Cannarella, Luca Queirolo Palmas, Enrico Fravega). Le testimonianze lasciate dai migranti, le riflessioni degli studenti della Scuola di Scienze Sociali e il reportage fotografico di Emanuela Zampa sono stati assemblati dal collettivo Milotta/Donchev in un’installazione artistica di grande formato. Le persone coinvolte nel progetto sono dunque numerose, così come diversi il loro ruolo e le competenze. Il collettivo, come mostrato nel catalogo liberamente accessibile,[18] ha immaginato Eufemia come un luogo di attracco, un molo le cui fondamenta sono immerse in un mare di testimonianze. L’opera cerca di far convergere arti diverse in un unico registro e codice fatto di testi scritti, fotografie, disegni, immagini in movimento, arte e, naturalmente, ricerca socio-territoriale. Attraverso proiezioni video, parole che scorrono su cartelli luminosi e altri contenuti visivi e testuali, l’installazione delinea uno spazio al tempo stesso reale e simbolico. I vari elementi multimediali integrati in una struttura di legno (3x6x4m), rappresentano i punti di vista di chi è costretto ad affrontare un lungo e insidioso viaggio pieno di pericoli alla ricerca di un luogo sicuro dove approdare.

Ricerca e Public geography

Eufemia, i sommersi e i salvati è, dunque, narrazione collettiva, polifonia di messaggi e pensieri, arte e opera di ricerca pubblica sulla, e contro, la frontiera. I sentimenti che emergono dai disegni e dalle scritte e la nostra rielaborazione nell’ambito dell’opera collettiva contrastano volutamente il mare di narrazioni che disumanizzano i migranti, descrivendoli come «oggetti» da gestire e di cui controllare il movimento. Nel far questo, il nostro lavoro dialoga (anche se in questo caso indirettamente) con altri lavori di matrice critica che hanno analizzato i materiali lasciati dai migranti lungo il loro percorso per esplorare l’impatto violento delle politiche di confine, in Europa come negli USA.[19]

Nonostante questa connessione teorica, la mostra non è naturalmente un prodotto esclusivamente accademico. Come ricordato in precedenza, infatti, l’opera è stata installata in diverse occasioni e in ambo i lati del confine e, per ben due volte, in due istituti scolastici. Insieme al più ampio pubblico della cultura, infatti, il mondo della scuola può rappresentare una svolta, sia di numeri sia di sostanza, nella costruzione di nuovi modelli sociali.

Attività didattiche

In entrambi i casi, l’installazione è stata accompagnata da mini-laboratori didattici e da dibattiti sul tema del confine. Nel caso di Ventimiglia, il workshop Animare, coordinato da Antonino Milotta, ha avuto l’obiettivo di analizzare i disegni e le scritte lasciate dai migranti in transito da Ventimiglia, con la finalità di dare vita attraverso piccole variazioni grafiche ad una nuova animazione. Nella pratica, il laboratorio ha permesso la realizzazione e la trasposizione – con la tecnica del rotoscopio – di una scena della durata di 3-5 secondi. Le scene prodotte, realizzate singolarmente da ogni studente, sono state successivamente editate per la realizzazione di un video, che sulla scia di quello già presente nella mostra Eufemia, i sommersi e i salvati ha poi costituito un ulteriore tassello della videoinstallazione. Il secondo incontro, tenutosi presso l’Institute Pierre and Marie Curie, ha rappresentato un’importante opportunità per approfondire ulteriormente il tema della mostra e coinvolgere attivamente i partecipanti. Questo incontro ha avuto infatti diverse sfaccettature significative. Innanzitutto, è stato organizzato da Antonino Milotta un laboratorio simile a quello tenutosi a Ventimiglia. L’attività, anche in questo caso, ha offerto agli studenti l’opportunità di partecipare attivamente alla creazione di contenuti artistici che permettono di entrare ancora più in connessione emotiva con le esperienze dei migranti in transito. Ciò ha sicuramente contribuito a umanizzare la narrativa migratoria e a sfatare potenziali stereotipi e pregiudizi. Inoltre, è stata creata un’occasione unica di scambio culturale e linguistico tra due classi provenienti da contesti diversi: la classe dell’istituto francese che ospitava la mostra e una classe del Liceo Statale Aprosio di Ventimiglia in visita per l’occasione. Ciò ha consentito agli studenti di confrontarsi direttamente sulle loro esperienze e percezioni della frontiera, contribuendo così a una maggiore comprensione reciproca e a una sensibilizzazione verso le sfide e le problematiche condivise. Questo tipo di incontro non solo ha arricchito l’esperienza educativa degli studenti, ma ha anche promosso una maggiore consapevolezza e sensibilità nei confronti delle politiche e delle normative che influenzano la vita dei migranti, permettendo ai partecipanti di riflettere sulle implicazioni umane e sociali delle stesse.

Bibliografia e fonti
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  • C. Giorda, M. Puttilli, Educare al territorio, educare il territorio. Geografia per la formazione, Carocci, Roma 2011.
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Note:

[1] L’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) e l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) persecuzioni, conflitti e povertà hanno stimato la cifra record di un milione di persone arrivate in Europa in maniera irregolare nel 2015. Cfr. https://www.unhcr.org/it/notizie-storie/notizie/un-milione-di-rifugiati-e-migranti-fuggiti-in-europa-nel-2015/, url consultata il 22/03/2024.

[2] S. Mezzadra, In the Wake of the Greek Spring and the Summer of Migration, in “South Atlantic Quarterly”, 4, 2018.

[3] M. Bojadžijev, S. Mezzadra (2015). ‘Refugee crisis’ or crisis of European migration policies?, in “Focaal Blog”, 12.

[4] https://home-affairs.ec.europa.eu/policies/migration-and-asylum/common-european-asylum-system_en, url consultata il 22/03/2024.

[5] F. Bachis, A. Pusceddu, Storie di questo mondo. Percorsi di etnografia delle migrazioni, CISU, Roma 2013.

[6] H. De Haas, S. Castles, M. J. Miller, The age of migration: International population movements in the modern world, Bloomsbury Publishing, London 2019.

[7] N. K. Brigden, The migrant passage: Clandestine journeys from Central America, Cornell University Press, Ithaca (NY) 2018.

[8] E. Dell’Agnese, Introduzione, in D. Massey, P. Jess, Luoghi, culture e globalizzazione, Utet, Torino 2001.

[9] S. Aru, Lingue e territori in Diaspora. Italiani a Vancouver, Pacini, Pisa 2011.

[10] S. Aru, Fare la Merica: storie d’emigrazione e racconti di vita dei sardi in Brasile, Aipsa, Cagliari 2014.

[11] L. Amigoni, S. Aru, I. Bonnin, G. Proglio, C. Vergnano (a cura di), Debordering Europe. Migration and Control, Palgrave Macmillan, New York 2021.

[12] Il concetto di “studenti con background migratorio” offre un chiaro vantaggio rispetto alla nozione di “studenti stranieri”, poiché riflette il background familiare considerando sia coloro appartenenti alle cosiddette “prime generazioni” (nati all’estero da genitori stranieri), sia le “seconde generazioni” (nati in Italia da genitori migranti), indipendentemente dalla cittadinanza formale. Questa terminologia più inclusiva consente di affrontare la complessità delle esperienze che emergono dai processi migratori, senza trascurare, ma anzi esplorando più approfonditamente, le sfide specifiche legate alle diverse situazioni personali e familiari, considerando anche la durata della permanenza nel nuovo contesto di vita.

[13] C. Giorda, La geografia per educare alla cittadinanza e all’intercultura, in “AIIG”, 2018. https://www.aiig.it/wp-content/uploads/2018/12/Educare_Cittadinanzaeintercultura.doc.

[14] https://www.repubblica.it/scuola/2020/09/25/news/scuola_la_frase_del_manuale_di_seconda_elementare_quest_anno_io_vuole_imparare_italiano_bene_-268478300/, url consultata il 22/03/2024.

[15] S. Bin, S. Aru, Mondi migranti e cittadinanza globale: pratiche educative, in C. Giorda, G. Zanolin (a cura di), Educare al mondo. La geografia per la scuola, FrancoAngeli, Milano 2019.

[16] Il presente paragrafo è tratto da: Bin, Aru, 2019.

[17] L. Amigoni, S. Aru, A. Milotta, ‘Eufemia, i sommersi e i salvati’: un’opera collettiva tra arte contemporanea e ricerca sociale a Ventimiglia, in Atti Congresso Geografico 2021, Padova 2022.

[18] https://www.laboratoriosociologiavisuale.it/new/wp-content/uploads/2020/10/Catalogo-Eufemia-Ita-Eng-WEB.pdf, url consultata il 22/03/2024.

[19] J. De León, The Land of Open Graves: Living and Dying on the Migrant Trail, University of California Press, Berkeley 2015; I. Derluyn, C. Watters, C. Mels, E. Broekaert, We Are All the Same, coz Exist Only one Earth, why the BORDER EXIST’: Messages of Migrants on Their Way, in “Journal of Refugee Studies”, 1, 2014; I. W. Tsoni, A. K. Franck, Writings on the Wall: Textual Traces of Transit in the Aegean Borderscape, in “Borders in Globalization Review”, 1, 2019.

Dati articolo

Autore:
Titolo: Formazione e ricerca sui processi migratori: strumenti e approcci geografici
DOI:
Parole chiave: , , ,
Numero della rivista: n.22, dicembre 2024
ISSN: ISSN 2283-6837

Come citarlo:
, Formazione e ricerca sui processi migratori: strumenti e approcci geografici, Novecento.org, n.22, dicembre 2024.

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