La parabola del carbone in Sardegna. Un laboratorio didattico di cinema e storia del lavoro
Fotogramma del film Carbonia, una storia moderna tratto da L’Ultimo pugno di terra di Fiorenza Serra (1965).
Abstract
Il contributo sviluppa una riflessione sulla produzione cinematografica dedicata al tema del lavoro e in particolare alla Sardegna mineraria nel secondo dopoguerra. La ricchezza dei materiali audiovisivi su questo tema diventa l’occasione per immaginare un laboratorio didattico che utilizza le fonti filmiche dei primi anni Sessanta al fine di raccontare la parabola di uno dei settori chiave dell’industria estrattiva: il carbone.
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The contribution develops a reflection on film production dedicated to the theme of work and in particular to mining in Sardinia after the Second World War. The wealth of audiovisual material on this theme becomes an opportunity to imagine a didactic workshop that uses film sources from the early 1960s to narrate the parable of one of the key sectors of the mining industry: coal.
Perché educare agli audiovisivi?
Per prima cosa possiamo dire che esiste un dibattito della didattica irrisolto, che attiene all’uso dell’audiovisivo a scuola, e uso appositamente il termine ‘audiovisivo’ perché è l’unico termine in grado di raccogliere la varietà di prodotti realizzati nell’arco di tempo che parte dal cinema delle origini e arriva ai video di TikTok.
L’attenzione di questo dibattito non può essere rinviata, perché risponde al cambiamento vissuto negli ultimi dieci anni dalla scuola e parallelamente nelle abitudini degli studenti. Mi riferisco alla presenza del digitale, che si concretizza nella diffusione capillare di forme diverse e nuove di immagini (statiche o in movimento). Dell’impatto e dell’influenza che esse esercitano sui giovani utenti, e del conseguente rischio di subalternità che i contenuti di queste immagini possono generare, nessun piano nazionale sembra tenere conto[1] a sufficienza. La presenza massiva dell’immagine nella quotidianità è un ulteriore stimolo all’introduzione di pratiche didattiche che consentano di leggere questa pervasività e aiutino gli studenti a sviluppare lo spirito critico nei confronti dei contenuti che esse veicolano. Di questo compito deve farsi carico l’insegnamento della storia, soprattutto per le numerose implicazioni negative che il racconto del passato con mezzi audiovisivi può provocare in assenza di conoscenze e capacità interpretative. Introdurre l’educazione all’immagine, come mezzo per insegnare la storia, assolverebbe al compito più alto della scuola, ossia dotare gli studenti di capacità critiche e competenza tali da renderli protagonisti del corso della storia; tali competenze e capacità spesso, oggi e nel migliore dei casi, si esauriscono nel puro nozionismo.[2]
Cinema e insegnamento della storia
La storia del cinema è una storia contemporanea, i suoi prodotti hanno svolto e svolgono una funzione così rilevante, dall’epoca in cui sono stati creati, da non poter non essere considerati fonti indispensabili per la costruzione del discorso storico. Nel lavoro dello storico – questa è una consapevolezza ormai acquisita – nessuno mette in dubbio il valore di una fonte audiovisiva, nonostante essa ponga numerosi problemi legati al suo ambito d’uso, da cui va ‘sradicata’ per essere esaminata con la stessa precisione ed esattezza con la quale si esamina un documento scritto. Su questi problemi metodologici esiste un’ampia letteratura che offre indicazioni e ha dato vita a svariati percorsi di ricerca.[3] Qui, per brevità, occorre citare la sintesi di uno dei maggiori interpreti di tale questione, poiché essa rappresenta un ottimo viatico per giustificare il contenuto di questo contributo. Afferma Giovanni De Luna:
Nel rapporto tra cinema e storia si possono immaginare tre percorsi. Il cinema come agente di storia, il cinema come strumento per raccontare la storia, il cinema come fonte per la conoscenza storica.[4]
Il primo rapporto è certamente il più complesso da utilizzare sul piano didattico, soprattutto per le implicazioni che avrebbe un’attività di questo tipo in termini di tempi, competenze e conoscenze pregresse. Più semplice e più usuale è certamente usare il cinema per raccontare la storia.
Tradizionalmente l’ingresso del cinema a scuola coincide esattamente con questo scopo. Tutti abbiamo nella nostra memoria scolastica il ricordo del film in aula come diversivo, più o meno riuscito, per potenziare il racconto di un evento o di un personaggio. Era un uso, per molti casi lo è ancora, ingenuo e dannoso del cinema perché esercitato senza tener conto dell’intenzionalità dell’autore, della soggettività delle scelte stilistiche, delle specificità del linguaggio, del contesto dell’opera, del pubblico a cui era rivolta. Queste cattive pratiche erano però anche l’espressione di un bisogno che nel tempo ha trovato alcune risposte; oggi, nel costruire il nostro intervento in aula con il cinema, possiamo contare su una lunga sequenza di esperienze positive che tiene conto delle criticità del mezzo e delle sue potenzialità come risposta alla premessa pedagogica riportata nell’incipit.[5] Questo contributo intende, dopo una ricognizione storica e di metodo, suggerire una proposta didattica attraverso l’uso degli audiovisivi su un tema specifico della storia del lavoro, ossia la parabola delle miniere di carbone nel territorio del Sulcis nella Sardegna sud-occidentale.
Cinema e lavoro
Chiunque abbia insegnato storia conosce benissimo la difficoltà di far comprendere le trasformazioni, i modi e i mondi del lavoro. Nel tempo, per ragioni geografiche, sociali e culturali, l’esperienza degli studenti appare sempre più estranea ai cambiamenti dei processi produttivi. Sarebbe dunque legittimo pensare che ‘vedere’ il lavoro sia un ottimo mezzo per comprenderlo, verificando se nel patrimonio audiovisivo esistano i mezzi per farlo. Rispetto a questa ipotesi è necessario dire che, nonostante il lavoro appartenga ai primi minuti impressi in una pellicola[6] e nonostante nella storia del cinema non siano mancati dei veri capolavori dedicati o ambientati in luoghi di lavoro, se misuriamo con attenzione la quantità di pellicole sul tema potremo facilmente scoprire che il binomio cinema-lavoro ha avuto un andamento carsico.[7] In alcuni momenti esso è emerso prepotentemente, producendo opere indimenticabili, per poi sparire nuovamente o esser relegato a cornice di storie che vertono su tutt’altro tema.[8] Nella storia del cinema italiano il periodo più proficuo coincide con le lotte operaie che attraversano il lungo decennio dal ’69 alla fine degli anni Settanta, quando l’attenzione nei confronti del lavoro si tramuta in attenzione verso i lavoratori: le loro lotte, la vita quotidiana, la condizione sociale.[9] Una pellicola su tutte è certamente emblematica, soprattutto per il dibattito e la vasta circolazione che l’accompagna: La classe operaia va in Paradiso[10] di Elio Petri. Uscito nel 1971 rimane ancora oggi uno dei pochi film in grado di restituire, anche nel suo realismo esasperato, il dibattito politico-sindacale, la percezione della condizione esistenziale operaia, le mutazioni che la società dei consumi imponeva ai lavoratori. Non è però un unicum di quegli anni, in cui sono presenti diverse tipologie di racconto filmico del lavoro: il film di finzione, il documentario di propaganda e d’inchiesta, i servizi televisivi, il cinema d’impresa.[11]
Così il cinema contribuisce a costruire un immaginario sulle tute blu, anche quando non entra dentro la fabbrica, evento rarissimo perché di fatto vietato dalla legge.[12] Tuttavia, anche dall’esterno la telecamera riesce a restituire quel mondo e il pubblico che guarda questo cinema si riflette al di là delle differenze di settore, perché per tutti il lavoro svolge un ruolo essenziale. La stessa tv di Stato, nonostante il regime monopolistico e il controllo della politica di governo, non può far a meno di volgere la sua attenzione verso questi cambiamenti. Negli anni Sessanta e Settanta sono prodotti servizi televisivi d’inchiesta, veri e propri documentari, spesso realizzati da grandi autori cinematografici e intellettuali che contribuiscono con la scrittura a realizzare opere di taglio sociale in cui il lavoro e i lavoratori sono protagonisti. Potremmo citare tra tutti, per il prestigio di uno degli autori, la serie a puntate di Roberto e Renzo Rossellini dal titolo: La lotta dell’uomo per la sua sopravvivenza[13] del 1970, ma anche trasmissioni giornalistiche come TV7 e Prima Pagina.[14]
La classe dei lavoratori entra nel campo dell’inquadratura, irrompe nel racconto, ha un successo di pubblico che incentiverà anche le produzioni verso questo filone. Ma la loro presenza, il loro mondo, i loro luoghi scompaiono con lo scomparire della fabbrica dal discorso pubblico. Raccontare il lavoro dopo gli anni Ottanta diventa un’operazione di nicchia, fino quasi a dissolversi. Più in generale, gli anni Ottanta rappresentano una lunga traversata nel deserto per il cinema italiano: una generazione inizia a venire meno, il pubblico cambia i suoi gusti e gli autori stentano a imporre una visione indipendente dal mercato e dalle sue richieste. Sono veramente pochi i film riconducibili a questo genere[15] e ancora nei primi anni Novanta risultano sporadici.[16] Non è questo il contesto per approfondire quanto appena accennato, ma si può tuttavia rilevare che dalla metà degli anni Novanta e nei primi vent’anni Duemila il cinema italiano ha ripreso a mettere in scena il lavoro attraverso la commedia e la fiction (pensiamo ai film di Paolo Virzì, Riccardo Milani, Wilma Labate),[17] con documentari di ricostruzione storica (Mimmo Calopresti e Daniele Vicari),[18] con documentari d’inchiesta e militanza (Daniele Segre e Fiorella Infascelli),[19] con la giovanissima generazione impegnata nel “cinema del reale”.[20] Infine, recentemente con Palazzina Laf[21] e Cento domeniche[22]. Sono film che non sempre hanno ottenuto un vero successo di pubblico, spesso per la difficoltà nella distribuzione e nonostante i riconoscimenti ottenuti. In quasi tutte le opere a essere raccontata è la “fine del lavoro”, inteso nella sua accezione fordista. Sono dunque film in cui i luoghi del lavoro sono ripresi il più delle volte come spazi vuoti e disabitati. Il protagonista è il lavoratore, l’ambiente è solo il contesto.[23]
Lo sguardo del cinema sulla Sardegna
Quanto descritto finora per il cinema italiano trova riscontro nella filmografia ambientata in Sardegna. Il primo film girato nell’Isola, prodotto dai Lumière, appartiene al cinema delle origini e descrive la visita dei Reali nel 1899.[24] Si tratta di pochi minuti che fissano due momenti significativi del viaggio dei Savoia: la partecipazione alla Cavalcata Sarda e la tappa alle miniere di Monteponi. In questi pochi minuti è già presente il binomio che attraverserà la maggior parte dei film, di fiction e non solo, girati in Sardegna o sulla Sardegna, ossia: tradizione e modernità, conservazione e progresso. Su questo binomio che attraversa l’intera storia del cinema sardo si è scritto tantissimo e non mancano le ricerche d’ambito antropologico e di storia del cinema.[25] Qui interessa sottolineare come agli albori del racconto sui sardi c’è il lavoro e nello specifico la miniera. Dunque, a dispetto di ipotetiche idealizzazioni di una Sardegna da sempre selvaggia, la presenza della miniera in questi brevissimi girati dimostra che essa è un tema centrale nella narrazione della storia moderna dell’Isola.
Miniera e lavoro negli audiovisivi
Per queste ragioni è propedeutico a un laboratorio didattico sulla storia della miniera, in particolare sui luoghi e sui protagonisti, ripercorrere la vicenda del racconto per immagini dell’industria estrattiva perché coincide con buona parte del cinema sui sardi e dei sardi.[26] I prodotti audiovisivi sulla miniera non sono facilmente reperibili. In particolare, i lavori che appartengono alla produzione regionale (sia esso cinema d’impresa o di propaganda) sono solo parzialmente presenti in Rete; altri, spesso i più significativi, sono conservati negli archivi e nelle cineteche regionali.[27] Molti sono quindi fruibili ma solo tramite prestito o visioni in loco. Sul web si trovano inoltre le produzioni nazionali come quelle dell’Istituto Luce, dell’INCOM (Industria Corti Metraggi Milano), della Rai e dell’Unitelefilm (Utf).[28] La ricerca e selezione di questi prodotti è diventata preparatoria a un’ipotesi di laboratorio didattico dedicato ai luoghi del lavoro minerario in Sardegna. Sottolineo ‘luoghi’ perché a guidare la ricerca è stata l’idea di evidenziare soprattutto le immagini in cui il lavoro è mostrato e non solo raccontato. Non è stato semplice perché, come già accennato, sia nel cinema di finzione sia nel documentario il lavoro di fatto è un grande assente. Nel caso della produzione di audiovisivi in Sardegna sul tema lavoro, si possono rilevare le seguenti tipologie (già richiamate sopra in termini generali):
- il cinema di propaganda,
- il cinema militante,
- il cinema d’impresa,
- la fiction[29],
- il documentario d’autore, a quest’ultimo categoria si possono ricondurre alcuni film che nascono sotto altra tipologia ma rivisti a distanza di tempo sono evidentemente influenzati da questo genere[30].
La miniera durante il fascismo
Al cinema di propaganda potrebbero appartenere certamente i prodotti realizzati durante il fascismo. E tuttavia lo scenario non è così lineare. L’occhio del regime non dimentica l’Isola, ma risente delle scelte politiche del governo di Mussolini. La Sardegna è una specialità all’interno dell’Italia, in qualche modo la sua lingua e la sua cultura non possono conciliarsi con l’uomo della rivoluzione fascista. Probabilmente, per queste ragioni, nel Ventennio anche nelle produzioni propagandistiche si riaffaccia il racconto della Sardegna selvaggia, così diversa dal modernismo della nuova Italia.[31] Sembra dunque difficile fare di questa parte d’Italia un luogo per raccontare il regime. Nell’arco di tempo che va dal 1925 al 1942 l’Istituto Luce realizza diversi cinegiornali che spaziano dalle visite di Mussolini e gerarchi a sagre e tradizioni. Ma nell’ottica del presente contributo occorre soffermarsi soprattutto su dei documentari che a partire dalla fine degli anni Trenta sono pensati per registrare le principali bonifiche e la fondazione delle città di Mussolinia (oggi Arborea), Carbonia e Fertilia. Nel dettaglio contribuirà alla costruzione dell’immaginario collettivo sulle sorti che derivano dalla miniera il film Carbonia,[32] che ripercorre velocemente le fasi della costruzione della città soffermandosi sui luoghi e sui cambiamenti, secondo il leit motiv che alterna l’inciviltà del mondo rurale alla civiltà del mondo delle macchine. In questo racconto c’è poco spazio per gli uomini che nel film sono quasi comparse, a eccezione di Benito Mussolini, il cui discorso fondativo è montato sulle immagini. Per tutto il resto del film la voce fuori campo indugia sul “minestrone” ideologico tipico dei documentari d’epoca, in cui conservazione dei valori nazionali e trasformazione architettonica sembrano poter convivere serenamente anche quando sono in aperta contraddizione. Carbonia e la sua economia sono quindi moderne, ma la famiglia e lo stile di vita che si racconta afferiscono ad una società tradizionale italiana alternativa a quella sarda che si vorrebbe cancellare.[33]
La miniera e l’industria nelle politiche autonomiste
Dal racconto filmico della miniera emerge un dato: fino alla fine degli anni Cinquanta sono di fatto assenti dai contenuti della narrazione gli elementi, in realtà ampiamente diffusi, di crisi e di lotta sociale. C’è una continuità nei toni tra il racconto del fascismo e la ripresa post bellica e nel decennio successivo rispetto alla fabbrica rappresentata come una valida prosecuzione della miniera stessa. Questo racconto subisce una cesura netta ( non solo da parte del cinema di militanza ma anche della tv di Stato) a partire dai primi anni Sessanta. Per circa un decennio, dapprima soprattutto a opera della Unitelefilm, in seguito anche ad opera della Rai, sono prodotti diversi documentari e servizi di denuncia.
Non cessa però la promozione del cinema di propaganda su cui la Regione investe, in preparazione e a partire dal primo Piano di Rinascita.[34] È proprio il periodo che intercorre tra la metà degli anni Cinquanta e la fine degli anni Sessanta a essere maggiormente ripreso. In quel periodo sono pubblicati diversi lavori, della durata di 10 minuti e destinati alle sale cinematografiche, che si concentrano esclusivamente sul passaggio da una società arcaica a una società moderna e industrializzata.[35] Le sequenze di questi filmati ripropongono sempre un unico intreccio: una Sardegna quasi disabitata, in cui i sardi non sono mai ripresi, dove esistono luoghi che attraverso un repentino salto temporale si proiettano in una nuova epoca contrassegnata dalle macchine e dal progresso. La voce off ripete frasi e utilizza toni non distanti da quelli che appartengono alla storia del cinema di propaganda fascista. Questo genere di produzione è anche il terreno nel quale si formano i primi registi sardi, come il documentarista sassarese Fiorenzo Serra, su cui ci soffermeremo a proposito del film L’ultimo pugno di terra.[36]
A questo genere di lavori appartengono anche documentari che potremmo classificare sotto la categoria del cinema d’impresa in quanto prodotti da enti o consorzi pubblici collegati con la Regione, come il CIS (Credito Industriale Sardo) o l’ETFAS (Ente per la trasformazione fondiaria e agraria in Sardegna), o da altre realtà societarie del settore minerario come la Società Mineraria Sarda e in seguito l’Ente Minerario Sardo, che si affidavano all’Istituto Luce per la realizzazione di filmati di promozione della mineria.[37]
Nei primi anni Sessanta, in particolare tra il 1962 e il 1965, anni cruciali nella parabola dei bacini minerari sardi e per lo sviluppo dell’industrializzazione nell’Isola,[38] emerge prepotentemente l’uso dell’audiovisivo come strumento per descrivere ai sardi e all’Italia le nuove sorti della regione. L’approvazione del Piano straordinario di finanziamenti per la Rinascita della Sardegna ha bisogno di essere raccontato, ma di questa narrazione iniziano a circolare due versioni distinte. Da un lato si impongono le produzioni istituzionali locali che possono contare su importanti finanziamenti e su una circolazione nella distribuzione delle sale cinematografiche regionali e in alcuni casi nazionali, dall’altra parte emergono le posizioni dei partiti di minoranza (in particolare del PCI) che inaugurano una nuova fase della loro propaganda con la fondazione della già citata Unitelefilm. In tale contesto non fa eccezione la Sardegna dove la Utf, dalla metà degli anni Sessanta, produce i seguenti film: Sardegna il futuro si chiama Rinascita, Emigrazione ’68, Vivere qui,[39] solo per citare due titoli scritti da Ignazio Delogu e Mario Carbone.[40] Essi rappresentano “l’altro racconto” dell’industrializzazione perché insistono sulle conseguenze di un processo che, sebbene considerato inevitabile per il PCI, non di meno deve essere esaminato criticamente: i lavori promossi dal partito comunista fanno emergere la miopia e le contraddizioni soprattutto riguardo a fenomeni come la disoccupazione nel settore minerario, l’emigrazione, la povertà educativa e materiale, il verticismo delle decisioni.
La parabola del carbone: un’ipotesi di laboratorio didattico
In questo passaggio cruciale della storia della Sardegna la sorte di Carbonia e del comparto carbonifero assumono un significato emblematico perché, come già evidenziato nel documentario di Ferdinando Cerchio, questa vicenda più di altre si interseca con la costruzione di un immaginario collettivo e perché gli esiti della parabola discendente dell’industria mineraria pesano ancora sul presente.
Il laboratorio tiene conto della fattibilità in funzione dei tempi scolastici e della disponibilità concreta dei materiali. Per tale ragione i contenuti audiovisivi selezionati sono reperibili in Rete (a esclusione di uno).[41] Una scelta possibile grazie all’importante lavoro svolto dagli archivi che negli ultimi vent’anni hanno reso accessibili migliaia di documenti filmati confermandosi ancora di più luoghi di ricerca, di elaborazione di memorie e di spunti didattici innovativi e costruttivi.[42]
Il laboratorio, come accennato, si concentra su uno dei luoghi simbolo della miniera ossia la città di Carbonia. La sua storia fa da sfondo all’esame di video realizzati tra il 1961 e il 1965. Le fonti scelte si concentrano sulla parabola del settore carbonifero, sui suoi legami con la storia dei lavoratori nell’Isola, sulle politiche della Regione Autonoma della Sardegna nei primi anni Sessanta e sul conseguente passaggio alla nuova fase di industrializzazione che soppianterà il settore minerario.
I film scelti non hanno come oggetto la ricostruzione storica in quanto l’intento del progetto non è quello di sostituire una lezione frontale su questi temi bensì di “fare” storia attraverso l’esame di una o più fonti. Nel laboratorio sono proposti quattro prodotti di non fiction che per semplicità possono essere definiti documentari. Questa scelta non è motivata dal pregiudizio che definisce il documentario come il “film più vero”, ma dalla constatazione che questa tipologia di racconto consente di sviluppare un lavoro didattico più completo e ricco di spunti, anche in vista di un eventuale confronto con film di fiction sullo stesso argomento.[43]
Tuttavia anche per il documentario si applicano i medesimi accorgimenti che si applicherebbero alla visione didattica di un film: la specificità del linguaggio, l’intenzionalità dell’autore, la produzione e il pubblico a cui si rivolge. È dunque auspicabile che il docente guidi lo studente fornendogli alcuni rudimenti sul linguaggio cinematografico: a questo scopo segnaliamo in calce utili riferimenti sitografici che possono servire per avvicinarsi all’uso dell’audiovisivo a scuola. Inoltre, può essere d’aiuto al raggiungimento di un risultato scientifico, oltre che didattico, utilizzare la scheda per documenti filmici proposta da Letizia Conti.[44]
Tempi e materiali del laboratorio
Prima di procedere con l’attività di laboratorio al docente è richiesto di svolgere una lezione introduttiva che inquadri il contesto in cui sono stati realizzati i documentari: la storia dell’industria mineraria in Sardegna, in particolare la storia della città di Carbonia, della sua fondazione e del legame che connette il settore carbonifero con l’economia autarchica.[45] È altrettanto importante fornire uno spaccato sui cambiamenti economici e sociali che hanno attraversato l’Italia del secondo dopoguerra.[46] A questo scopo potrebbe essere d’aiuto leggere insieme alla classe testimonianze orali significative (per esempio: Pietro Cocco e Daverio Giovannetti) che si soffermino sul lasso temporale relativo alle fonti audiovisive proposte e che ricostruiscano gli eventi precedenti su cui mancano documenti filmati.[47] Inoltre le testimonianze orali possono essere oggetto di confronto con i film che saranno proiettati. Per una maggiore completezza del laboratorio può essere utile reperire in Rete un articolo giornalistico, un’interrogazione parlamentare o una mozione presentata in Consiglio Regionale (tra le tante che furono presentate tra il 1961 a il 1965) che contribuirono ad immaginare un futuro dell’industria estrattiva, in particolare del settore carbonifero, o a denunciarne l’abbandono.[48]
Esaurita questa prima parte propedeutica della durata di due ore, si può entrare nel vivo del laboratorio. Gli studenti possono essere suddivisi in gruppi e invitati a esaminare i quattro contributi audiovisivi selezionati. Quindi saranno invitati a compilare per ogni filmato la già citata scheda di Letizia Conti e a rispondere ad alcune domande guida.
Questo lavoro confluisce pertanto in un testo scritto condiviso la cui parte introduttiva, uguale per tutti, dovrà essere completata alla luce delle fonti prese in esame.[49]
I contenuti del laboratorio
I film scelti per il laboratorio sono quattro: Inchiesta a Carbonia,[50] Tre tempi sulcitani,[51] Carbonia, una storia moderna,[52] Sardegna il futuro si chiama Rinascita.[53] Pur riprendendo gli stessi contesti negli stessi anni i film presentano alcune differenze significative che rendono interessante la loro comparazione. La principale differenza riguarda il committente dei lavori cinematografici. La produzione in opere di questa tipologia riveste una rilevanza notevole. Nei casi presi in esame, per esempio, corre un abisso tra Tre tempi sulcitani prodotto dall’Istituto Luce per la Società Mineraria Sarda e Sardegna il futuro si chiama Rinascita pensato dall’Unitelefilm per la campagna elettorale regionale del 1965 a sostegno del Partito Comunista. Nel primo caso siamo di fronte a un’opera ascrivibile sia al cinema di impresa sia al cinema di propaganda, mentre nel secondo caso la propaganda si intreccia con la denuncia e con l’inchiesta. In entrambi i casi il contesto di riferimento è quello della ricaduta che il Piano di Rinascita dovrebbe avere sul tessuto sociale ed economico e dell’impatto che il passaggio di gestione all’Enel potrà esercitare sulle miniere. Un discorso a parte meritano gli altri due film. Inchiesta a Carbonia, di cui si hanno pochissime notizie rispetto alla produzione e alla sua distribuzione immediata, agli occhi di oggi assume certamente un valore intrinseco rilevante per l’aderenza alla realtà e per la forza delle immagini. A realizzarlo, non a caso, è Lino Micciché[54] che nella sua, non vasta, produzione ha sempre fatto prevalere l’uso politico del cinema quale mezzo per denunciare il malessere sociale e la cattiva politica. Inchiesta a Carbonia sembra essere una risposta, a distanza di vent’anni, a Carbonia di Fernando Cerchio in cui la miniera è rappresentata solo come progresso senza alcuna contraddizione o conflitto.
Che i tempi anche per il cinema di propaganda siano cambiati, che anche per la Sardegna e i suoi primi autori cinematografici sia giunto il vento del neorealismo e del cinema d’inchiesta, lo si può rilevare dall’episodio Carbonia, una storia moderna tratto da L’Ultimo pugno di terra di Fiorenzo Serra.[55] Si tratta di un lungo documentario prodotto per la Regione Autonoma della Sardegna le cui vicissitudini hanno a lungo interessato la biografia del regista di Porto Torres e che, dopo la morte dell’autore, sono state all’origine di ricerche che qui non è possibile riassumere. È però utile sottolineare che questo episodio appartiene appunto a un lavoro più ampio che avrebbe dovuto raccontare le grandi sorti a cui era destinata la Sardegna della Rinascita. Invece il documento si rivela una testimonianza sui divari e sulle contraddizioni della modernità che, nel caso dell’episodio dedicato a Carbonia, appaiono ancor più evidenti: nella città di fondazione la modernità è già presente e mostra il volto della crisi. Arricchito da testi desunti dalla letteratura sarda, il film di Fiorenzo Serra è un significativo richiamo al passaggio storico dalla miniera all’industria e alla dialettica tra questi cambiamenti e l’ambiente in cui sono inseriti.
La comparazione tra gli audiovisivi proposti può essere realizzata prima di tutto attraverso la schedatura del film, ma ancor di più attraverso domande guida che spingano gli studenti ad un lavoro di approfondimento e di confronto tra i prodotti e il contesto. Le domande che possono essere formulate dal docente, ma che in uno step successivo potranno essere pensate anche dagli studenti, suggeriscono un passo necessario per sperimentare l’attività dello storico o più semplicemente per raggiungere uno degli obiettivi posti in apertura di questo contributo: rispondere alle rappresentazioni per immagini con spirito critico e consapevolezza storica.
Conclusioni
I tempi scolastici non sono funzionali alla didattica laboratoriale. La sua introduzione nel lavoro quotidiano, anche episodico, deve essere frutto di una scelta che privilegia i percorsi significativi al procedere diacronico del racconto storico. Nel laboratorio proposto c’è anche un altro aspetto che deve essere valorizzato: è la necessità di integrare lo studio della storia globale con la storia dei luoghi in cui gli studenti vivono. Nel caso della Sardegna, non si può non sottolineare come la storia dei sardi sia ancora assente nelle aule scolastiche: essa vi entra raramente e per lo più come eccezione alla storia generale. Da questa proposta didattica può emergere come l’impatto della ‘grande trasformazione’ abbia coinvolto la Sardegna allo stesso modo del resto d’Italia, causando conseguenze analoghe e specifiche date dal contesto. Da qui si dipanano tante altre opportunità di ricerca e approfondimento d’ambito didattico, perché il materiale audiovisivo è ricco e attraversa tutti i temi della storia del Novecento. La Sardegna nello schermo è da tempo fonte di studi antropologici, ma più raramente ad essa fa riferimento la storiografia. Il laboratorio proposto può essere dunque da stimolo per nuove ricerche sulla storia dell’Isola.
Risorse per il laboratorio e per approfondire
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- Viaggio in Italia (G. Piovene, RAI 1953-56)
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- Sardegna nuova (A. Torrese pseud. di F. Serra, RAS 1957)
- Storia di un’economia (L. Brizio, RAS 1958)
- Inchiesta a Carbonia (L. Micciché, 1961)
- Un’isola si industrializza (L. Bizzari, CIS 1964)
- Essere donne (C. Mangini, 1965)
- L’Ultimo pugno di terra (F. Serra, 1965)
- Tre tempi sulcitani (D. G. Luisi, 1965),
- Carbonia, una storia moderna (F. Serra, 1965)
- Sardegna il futuro si chiama Rinascita (I. Delogu, M. Carbone, 1965)
- Vivere qui, (Ignazio Delogu e Mario Carbone, 1965)
- Emigrazione ’68, (L. Pirelli, 1968)
- Apollon. Una fabbrica occupata (U. Gregoretti, 1969)
- La lotta dell’uomo per la sua sopravvivenza (R. Rossellini, 1970)
- La classe operaia va in Paradiso (Elio Petri, 1971)
- Sardegna mineraria (G. Costa, Ente Minerario Sardo 1973)
- Noistottus (P. D’Onofrio, F. Vannini, 1987)
- La bella vita (P. Virzì, 1994)
- Ovosodo (P. Virzì, 1997)
- Il figlio di Bakunin (G. Cabiddu, 1997)
- Tutto era fiat (M. Calopestri, 1999)
- Non mi basta mai (D. Vicari, 1999-2000).
- Asuba de su serbatoiu (sul serbatoio), (D. Segre, 2000-2001)
- Il posto dell’anima (R. Milani, 2002)
- Signorina Effe (W. Labate, 2007)
- La terra dentro (S. Obino, 2010)
- Pugni chiusi (F. Infascelli, 2011)
- Dal profondo (V. Pidicini, 2013)
- Ignazio. Storia di lotta, d’amore e di lavoro (M. A. Pani, 2022)
- Uomini in marcia (P. Marcias, 2023)
- Palazzina Laf (M. Riondino, 2023)
- Cento domeniche (A. Albanese, 2023)
Archivi
- http://patrimonio.aamod.it/aamod-web/
- https://www.archivioluce.com
- https://www.sardegnadigitallibrary.it
Sitografia
- Per una bibliografia molto esaustiva sul tema cinema e storia: https://luceperladidattica.com/wp-content/uploads/2015/01/bibliografia_luce_per_la_didattica.pdf
- Scheda analisi del film come fonte primaria : https://letiziacortini2.files.wordpress.com/2013/05/schedaanalisiberkeleyfontiprimarieaudiovisive.pdf
- Sito di sintesi sulla storia della Sardegna https://lastoriasarda.com
- Sito dello studioso Sandro Ruju https://www.sandroruju.it/campi-di-ricerca/le-miniere/
Film proposti nel laboratorio
- Tre tempi sulcitani: https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/detail/IL3000088714/1/tre-tempi-sulcitani.html?startPage=0#n
- Carbonia, una storia moderna: https://www.youtube.com/watch?v=7MemSpZN30A
- Sardegna, il futuro si chiama Rinascita dal minuto ‘25: https://www.youtube.com/watch?v=3qDEtDPxdWk&t=539s
Note:
[1] Mi riferisco soprattutto al Piano Nazionale Scuola Digitale e al Piano Nazionale Cinema per la Scuola in quanto partono dalla constatazione delle novità che vengono da questi linguaggi, ma orientano buona parte delle azioni verso l’alfabetizzazione, tenendo in poca considerazioni le ricadute più strettamente educative degli stessi.
[2] Il dibattito sul media education e digital education è difficilmente riassumibile in questo contesto, personalmente però ritengo ancora valide le riflessioni di uno dei padri dell’educazione degli adulti in Italia: Filippo Maria De Sanctis che nel 1970 avvia con la sua monografia Il pubblico come autore una riflessione originale sul cinema e sugli audiovisivi come strumenti di cui riappropriarsi per emancipare l’uomo.
[3] Per una bibliografia quasi esaustiva sul tema rimando al seguente link: https://luceperladidattica.com/wp-content/uploads/2015/01/bibliografia_luce_per_la_didattica.pdf (url consultata il 30 settembre 2024).
[4] G. De Luna, Le nuove frontiere della storia. Il cinema come documento storico, in L. Cortini (a cura di), Annali dell’Archivio Audiovisivo del movimento operaio e democratico n. 16, Le fonti audiovisive per la storia e la didattica, Edizioni Effigi, Roma 2013, pp. 39-40.
[5] Occorre citare un importante esempio di pratica didattica che alla fine degli anni ’80 ha prodotto in Sardegna un libro, frutto della collaborazione tra il C. S. C. (Centro Servizi Culturali) della Società Umanitaria di Cagliari – Cineteca Sarda e l’ISSRA (Istituto Sardo per la storia della Resistenza e dell’Autonomia): F. Masala (a cura di), Cinema e insegnamento della storia, Dattena, Cagliari 1988.
[6] La Sortie des usines Lumière, (F.lli Lumière, 1895)
[7] J. L. Comolli, Il lavoro stanca, la lotta fa paura, in Medici A. (a cura di), Annali dell’Archivio Audiovisivo del movimento operaio e democratico n. 3, Filmare il lavoro, Roma 2000, pp. 27-43.
[8] Per il loro valore storico possiamo citare Tempi Moderni (C. Chaplin, 1936) o Metropolis (F. Lang, 1927) e naturalmente il cinema sovietico in cui i lavoratori sono protagonisti.
[9] M. Argentieri, I mille lavori del cinema italiano, in Medici (a cura di), 2000, pp. 69-87.
[10] La classe operaia va in Paradiso (E. Petri, 1971).
[11] A. Medici, F. Rancati (a cura di), Immagini dal lavoro. La fabbrica, la terra, la città, il mare, la miniera, la ferrovia, la frontiera in cento film, Ediesse, Roma 2001.
[12] Un’eccezione i due documentari: Apollon. Una fabbrica occupata (U. Gregoretti, 1969) e Essere donne (C. Mangini, 1965) in cui la macchina da presa entra nei luoghi di lavoro. Sul cinema in fabbrica: P. Manera, Oltre il cancello: appunti su cinema e fabbrica, in Medici, Rancati. (a cura di), 2001, pp. 59-66; E. Como, Paesaggi di fabbrica, in Medici (a cura di), 2000, pp. 118-129.
[13] La lotta dell’uomo per la sua sopravvivenza (R. e R. Rossellini,1970).
[14] I. Cipriani, Quando la Rai raccontava il lavoro, in Medici (a cura di), 2000, pp. 160-170. Rispetto all’uso didattico dei programmi e prodotti televisivi rimando a: V. Roghi, Analizzare e utilizzare i programmi televisivi nella didattica della storia, in Cortini L. (a cura di), Annali dell’Archivio Audiovisivo del movimento operaio e democratico n. 16, Le fonti audiovisive per la storia e la didattica, Edizioni Effigi, Roma 2013, pp. 61-76.
[15] In particolare, in relazione alla storia della Sardegna, occorre ricordare il film prodotto dal Centro Sperimentale di Cinematografia e dall’Istituto Luce: Noistottus (P. D’Onofrio, F. Vannini, 1987) che ripercorre la storia mineraria sarda attingendo a diversi generi: documentario, finzione, teatralizzazione, materiali d’archivio.
[16] Al genere documentario vanno ricondotti i lavori di Daniele Segre, recentemente scomparso, che ha dedicato buona parte della sua produzione al tema del lavoro e dei lavoratori: sulla sua opera rimando a A. Floris, Daniele Segre. Il cinema con la realtà, Cagliari 1997. Nella fiction italiana, a riprendere il tema con successo, è Paolo Virzì con La bella vita (1994).
[17] Ovosodo (P. Virzì, 1997), Il posto dell’anima (R. Milani, 2002), Signorina Effe (W. Labate, 2007).
[18] Tutto era fiat (M. Calopestri, 1999), Non mi basta mai (D. Vicari, 1999-2000).
[19] Asuba de su serbatoiu (sul serbatoio), (D. Segre, 2000-2001), Pugni chiusi (F. Infascelli, 2011); entrambi girati in Sardegna raccontano due esempi di lotte estreme in difesa del lavoro.
[20] Con l’espressione ‘cinema del reale’ si identifica il ritorno da parte di alcuni registi italiani come Francesco Rosi, Costanza Quatriglio e Roberto Minervini al documentario, che ‘pedina’ la realtà con soluzioni stilistiche innovative per il genere e dal forte impatto emotivo. A questo gruppo di registi appartiene anche la giovane regista, scomparsa alcuni anni fa, Valentina Pidicini, che ha realizzato nel 2013 il documentario Dal profondo girato nei cunicoli della miniera Carbosulcis a Nuraxi Figus.
[21] Palazzina Laf (M. Riondino, 2024)
[22] Cento domeniche (A. Albanese, 2024).
[23] Rimando ai contributi che su questo tema hanno dato alcuni registi tra quelli citati in Medici (a cura di), 2000, pp. 225-237.
[24] Viaggio dei Reali in Sardegna (Attualità Lumière presumibilmente realizzato da F. Felicetti, 1899).
[25] Cfr. la monografia di G. Olla, Dai Lumière a Sonetàula. 109 anni di film, documentari, fiction e inchieste televisive sulla Sardegna, Cagliari 2008, e il catalogo: Filmpraxis. Quaderni della Cineteca Sarda Società Umanitaria, La Sardegna nello schermo, n. 2 novembre 1995.
[26] M. Canzoneri, Il lavoro di miniera: cinema, fatica, solidarietà, in Medici, Rancati (a cura di), 2001, pp. 97-105.
[27] In particolare l’AAMOD (Archivio Audiovisivo Movimento Operaio e Democratico) e i centri di servizi della Società Umanitaria a Cagliari (Cineteca Sarda) e a Carbonia (Fabbrica del cinema).
[28] Questi ultimi sono confluiti nell’AAMOD. Unitelefilm è una casa di produzione sorta nel 1963 allo scopo di conservare il patrimonio audiovisivo del Partito comunista italiano, da subito promotrice di documentari e film d’inchiesta che attraversano l’intera nazione.
[29] Una panoramica di come il cinema sardo abbia raccontato la storia della miniera e delle lotte operaie la si può trovare nel film distribuito nell’ultimo anno Uomini in marcia (P. Marcias, 2023).
[30] Questo è il caso di Inchiesta a Carbonia (L. Micicché, 1961) e L’ultimo pugno di terra (F. Serra, 1965).
[31] Olla, 2008, pp. 33-47.
[32] Carbonia (Ferdinando Cerchio, 1941).
[33] Un tema simile è ripreso nel melodramma Oro Nero (E. Guazzoni, 1942) uno dei tre film di finzione dell’epoca fascista di ambientazione sarda benché girato altrove. Il film non avrà un grande successo ma testimonia il tentativo, già citato, di usare il cinema per imporre anche nell’Isola un modello nuovo, più conforme allo stile ‘italiano’.
[34] Il Piano di Rinascita approvato nel 1962 dal Parlamento italiano (legge 11 giugno 1962, n. 588), è un insieme di misure legislative speciali per il finanziamento dell’industrializzazione della Sardegna, da esso nacquero i due poli petrolchimici di Porto Torres e Sarroch.
[35] Per la INCOM: Risveglio di un’isola (S. Torchiani, 1956), prodotti per la Regione Autonoma della Sardegna e dagli enti e consorzi ad essa collegati: Sardegna nuova (A. Torrese pseud. di F. Serra, 1957), Storia di un’economia (L. Brizio, 1958); prodotti dalla RAI: Da Caprera a Serbariu (N. Saba, 1951), Viaggio in Italia (G. Piovene, 1953-56).
[36] L’ultimo pugno di terra (F. Serra, 1965).
[37] A questa categoria appartiene prodotto dal CIS: Un’isola si industrializza (L. Bizzari, 1964), e Sardegna mineraria (G. Costa, 1973) prodotto dall’Ente Minerario Sardo.
[38] M. Cardia, Dal Piano Levi al Piano Minerario Regionale (1949-1984). Trent’anni di dibattito al Consiglio Regionale, in Manconi F. (a cura di), Le miniere e i minatori della Sardegna, Silvana Editoriale, Milano 1986, pp. 207-232; S. Ruju, Società, economia, politica dal secondo dopoguerra a oggi (1944-98) in Berlinguer L., Mattone A. (a cura di), Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. La Sardegna, Einaudi, Torino, 1998, pp. 775-992.
[39] Sardegna il futuro si chiama Rinascita (I. Delogu, M. Carbone, 1965), Vivere qui, (Ignazio Delogu e Mario Carbone, 1965), Emigrazione ’68, (L. Pirelli, 1968).
[40] Ignazio Delogu oltre ad essere autore di diversi film d’inchiesta è autore del libro Carbonia. Utopia e progetto, Valerio Levi, Roma 1988, (ristampato in un’edizione riveduta e arricchita con il titolo Carbonia. Storia di una città, Tema, Cagliari 2003). Sulla sua vita e impegno politico e intellettuale è stato realizzato il documentario Ignazio. Storia di lotta, d’amore e di lavoro (M. A. Pani, 2022).
[41] Si tratta di Inchiesta a Carbonia (L. Micciché, 1961), il film è stato restaurato dalla Cineteca Sarda, al momento non è reperibile liberamente in rete, può però essere preso in prestito dal servizio della videoteca della Cineteca sarda.
[42] Per la Sardegna occorre citare il lavoro della Sardegna DigitalLibrary un grande un archivio della Regione, nel quale sono catalogati migliaia di contenuti digitali proveniente anche dagli altri archivi italiani, già citati, e da quelli sardi come Isre (Istituto Etnografico della Sardegna), Esit (Ente sardo industrie turistiche) ed Ersat (Ente regionale di sviluppo e assistenza tecnica in agricoltura).
[43] In realtà sono davvero pochi i film di finzione che hanno affrontato il tema della miniera: il più noto è Il figlio di Bakunin (G. Cabiddu, 1997). Con inferiore distribuzione negli ultimi anni sono stati prodotti altri film di finzione, uno dei quali ripercorre la vita di Pietro Cocco che fu sindaco di Carbonia e protagonista di importanti lotte in difesa dei lavoratori e della miniera, come La terra dentro (S. Obino, 2010).
[44] Per la completezza di questo modello ho ritenuto inutile fare una proposta alternativa: https://letiziacortini2.files.wordpress.com/2013/05/schedaanalisiberkeleyfontiprimarieaudiovisive.pdf (url consultata il 30 settembre 2024).
[45] Sulla storia di Carbonia per un approccio didattico suggerisco il lavoro di sintesi di https://lastoriasarda.com il volume dedicato alla storia contemporanea (url consultata il 30 settembre 2024). Per approfondire: Delogu, 1988; G.G. Ortu, Carbonia dalle origini agli anni Settanta, in Manconi (a cura di), 1986, pp. 103-114. Altri materiali utili si trovano nel dossier che ospita questo articolo, W. Falgio, L. Stochino, N. Olivieri, E. Mastretta e C. Di Sante (a cura di), Luoghi del lavoro in Sardegna. Miniere, industrie e colonie penali, Novecento.org, n.22, dicembre 2024.
[46] Ruju, in Berlinguer, Mattone (a cura di), 1998, pp. 775-992.; L. Marroccu, V. Deplano, F. Bachis (a cura di), La Sardegna contemporanea. Idee, luoghi, processi culturali, Donzelli, Roma 2015.
[47] S. Ruju, I mondi minerari della Sardegna (1860-1960), Cuec, Cagliari 2008, pp. 155-186, 218-240, consultabile anche in https://www.sandroruju.it/campi-di-ricerca/le-miniere/ (url consultata il 30 settembre 2024).
[48] M. Cardia, Dal Piano Levi al Piano Minerario Regionale (1949-1984). Trent’anni di dibattito al Consiglio Regionale, in Manconi 1986, pp. 207-232.
[49] Il laboratorio può essere modulato in base al tempo disponbile, se si hanno due ore gli studenti possono vedere tutti i film e lavorare su tutti, in caso contrario è possibile dividere e assegnare massimo due film a gruppo riducendo, in parte, i tempi per lo svolgimento.
[50] Micciché, 1961
[51] Luisi, 1965
[52] Serra, 1965
[53] Delogu, Carbone, 1965
[54] Lino Micciché (1934-2004) è stato critico cinematografico e docente di storia del cinema, nella sua carriera ha realizzato alcuni documentari il più noto All’armi, siam fascisti! (L. Dal Fra, L. Micciché, C. Mangini, 1962).
[55] Per la travagliata storia delle edizioni del film e sul suo restauro rimando a P. Pilleri, P. Ugo (a cura di), L’ultimo pugno di terra. Il film di Fiorenzo Serra sulla Rinascita, Filmpraxis, Quaderni della cineteca sarda, n° 6, Il Maestrale, Nuoro 2014.