Il racconto della liberazione nel dopoguerra. Italo Calvino e la letteratura italiana sulla Resistenza nel 1949
Nel numero 1 della rivista «Il movimento di Liberazione in Italia. Rassegna bimestrale di studi e di documenti», datato 1949 (e disponibile interamente qui), Italo Calvino rifletteva a proposito de La letteratura italiana sulla Resistenza.
Perché riproporre questo articolo a quasi 70 anni dalla sua pubblicazione e in concomitanza con il 25 aprile?
Intanto per l’eccezionalità dell’autore, il non ancora 26enne Italo Calvino che interverrà sulla rivista dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di Liberazione in Italia solo in questo primo numero.
Poi per la scelta redazionale per nulla scontata di prestare subito attenzione alla “narrazione” della Resistenza, affiancando un articolo sul suo stato dell’arte ad altri di precisa ricostruzione storica e di comparazione europea[1]. I promotori della Rassegna hanno ben chiaro che per testimoniare i valori della lotta di Liberazione è necessario un approccio articolato e complesso che preveda uno spazio importante per l’elaborazione personale e creativa dell’esperienza.
Infine il primo numero della Rassegna esce nel luglio del 1949, tre mesi dopo la costituzione dell’Istituto nazionale fondato il 19 aprile 1949. La Rassegna vuole realizzare non «celebrazioni generiche», ma «una completa ricostruzione storica… [unico] modo serio…. di acquisire stabilmente ed incontestabilmente i motivi profondi e perennemente validi della liberazione, nel quadro del moto universale della civiltà umana, alla coscienza storica del nostro paese[2]». Si inaugura così una fondamentale stagione di ricerca storica che mette al centro il “tempo immediatamente passato”, tralasciando la diffusa opinione che sia «…ancor insufficiente quella distanza nel tempo che può permettere serenità e ampiezza di prospettive, necessarie per dare obiettività e durevole valore storico alla nostra opera[3]». Un approccio singolarmente moderno e di stringente attualità.
Tornando a Calvino, nell’estate del 1949 egli ha ormai alle spalle un’intensa partecipazione alla Resistenza nell’imperiese[4] e sta vivendo una crescente esperienza letteraria e intellettuale: ha già pubblicato il suo romanzo partigiano I sentieri dei nidi di ragno (Einaudi, 1947) e si accinge a pubblicare proprio a fine luglio 1949 sempre per Einaudi Ultimo viene il corvo, trenta racconti di cui molti riconducibili alla lotta contro il nazifascismo e nella gran maggioranza dei casi già usciti su giornali o riviste. Inoltre, finita la guerra, Calvino era entrato in contatto con Cesare Pavese ed Elio Vittorini e aveva iniziato a collaborare dal dicembre 1945 con la rivista il «Politecnico» diretta da quest’ultimo. Per l’edizione torinese de «l’Unità» era diventato il responsabile della pagina culturale, mantenendo questo incarico fino all’estate del 1949, mentre aveva cominciato a lavorare per la casa editrice Einaudi, prima come venditore a rate, poi come redattore e responsabile dell’ufficio stampa.
Tutte queste esperienze e la sua partecipazione diretta al dibattito culturale che animava l’immediato dopoguerra fanno sì che questo primo bilancio della letteratura resistenziale rispecchi bene le aspettative che all’epoca vi erano nei confronti della letteratura, della sua rinnovata funzione sociale e l’attesa di un’opera capace di rappresentare in pieno «tutta la Resistenza… come spirito».
Se poi si passa a esaminare l’elenco degli autori e delle opere recensite con sintetica precisione, un aspetto che balza agli occhi è l’omissione verso se stesso come romanziere della Resistenza. Non c’è cenno né a I sentieri dei nidi di ragno né a Ultimo viene il corvo: un’omissione spiegabile come ritrosia a parlare di sé ma che comunque non passa inosservata. Un altro assente “illustre” è Beppe Fenoglio e non potrebbe essere diversamente: Fenoglio pubblicò la sua prima opera, I ventitré giorni della città di Alba solo nel 1952, sempre per Einaudi nella collana sperimentale I Gettoni, diretta da Elio Vittorini, che tra 1949 e 1950 aveva ricevuto dall’autore albese la prima stesura de La paga del sabato e non l’aveva particolarmente apprezzata. Sempre riguardo a situazioni editoriali complesse e al ruolo svolto dall’editore Einaudi, Calvino cita come il più interessante e significativo fra «i diari dai lager tedeschi, innumerevoli,» Se questo è un uomo di Primo Levi, pubblicato da De Silva nel 1948. Il fatto è che Levi aveva presentato nel 1947 a Einaudi il suo libro e la casa editrice torinese lo rifiutò[5]. Solo grazie all’intervento di Franco Antonicelli l’opera fu pubblicata da De Silva in 2.500 copie.
Dopo aver auspicato il prossimo arrivo di un romanzo che sappia racchiudere l’intera essenza della Resistenza, Calvino passa in rassegna la diaristica, ispirata dalla necessità di testimoniare l’esperienza partigiana e la guerra, e cita titoli oggi non molto frequentati; tra i tanti ricordiamo Banditi di Pietro Chiodi che ci riporta all’ambiente fenogliano, essendo stato Chiodi suo insegnante di storia e filosofia nel liceo albese e diventato il personaggio Monti ne Il partigiano Jonny. La Resistenza viene rappresentata da Calvino come «un denominatore comune tra lo scrittore e la sua società… l’innesto tra i problematismi suoi e il sentimento collettivo», insomma l’occasione per lo scrittore di abbandonare la torre d’avorio dell’ermetismo per diventare «specchio della coscienza morale e civile della nazione», secondo quei dettami di letteratura e arte impegnata e popolare, neorealista, che animavano il dibattito del dopoguerra.
In questo senso anche Uomini e no di Elio Vittorini e, in misura diversa, Prima che il gallo canti di Cesare Pavese rischiano, nella rassegna di Calvino, di essere romanzi troppo intellettualisticamente ripiegati su se stessi, con il secondo che si riscatta attraverso la condanna di quella non partecipazione alla lotta partigiana che racconta.
Dopo una veloce ma precisa analisi dei romanzi che parlano della «lotta antifascista durante il ventennio», Calvino conclude la sua rassegna con l’opera che egli considera «il più grande libro della Resistenza» a quel momento, ovvero Le lettere dal carcere di Antonio Gramsci, pubblicate sempre da Einaudi nel 1947. La scoperta di Gramsci è un autentico tornado per l’ambiente culturale post-resistenziale italiano e le sue lettere, rivolte ai famigliari, appaiono la testimonianza di una dignità umana e di una coerenza politica che sono simbolo dell’opposizione al fascismo e della fiducia nel rinnovamento della società italiana.
Nell’introduzione al suo romanzo I sentieri dei nidi di ragno nell’edizione 1964 per Einaudi, lo stesso Calvino scriverà:
«L’esplosione letteraria di quegli anni [nell’immediato dopoguerra] in Italia fu, prima che un fatto d’arte, un fatto fisiologico, esistenziale, collettivo. Avevamo vissuto la guerra, e noi più giovani – che avevamo fatto appena in tempo a fare il partigiano — non ce ne sentivamo schiacciati, vinti, «bruciati», ma vincitori, spinti dalla carica propulsiva della battaglia appena conclusa, depositari esclusivi d’una sua eredità. Non era facile ottimismo, però, o gratuita euforia; tutt’altro: quello di cui ci sentivamo depositari era un senso della vita come qualcosa che può ricominciare da zero, un rovello problematico generale, anche una nostra capacità di vivere lo strazio e lo sbaraglio; ma l’accento che vi mettevamo era quello d’una spavalda allegria. Molte cose nacquero da quel clima, e anche il piglio dei miei primi racconti e del primo romanzo.
Questo ci tocca oggi, soprattutto: la voce anonima dell’epoca, più forte delle nostre inflessioni individuali ancora incerte. L’essere usciti da un’esperienza – guerra, guerra civile – che non aveva risparmiato nessuno, stabiliva un’immediatezza di comunicazione tra lo scrittore e il suo pubblico: si era faccia a faccia, alla pari, carichi di storie da raccontare, ognuno aveva avuto la sua, ognuno aveva vissuto vite irregolari drammatiche avventurose, ci si strappava la parola di bocca».
Anche questa rassegna di Letteratura italiana sulla Resistenza mi pare restituisca quel clima e partecipi della stessa tensione morale.
Note:
[1] A questo proposito si veda l’indice del primo numero: http://www.italia-resistenza.it/pubblicazioni/italia-contemporanea/indici-prova/?numero=1
[2] Si veda Presentazione, in «Il movimento di Liberazione in Italia. Rassegna bimestrale di studi e di documenti», Luglio 1949, n. 1, pag. 4. http://www.italia-resistenza.it/wp-content/uploads/ic/RAV0068570_1949_1-3_01.pdf
[3] Si veda Presentazione, cit.
[4] Riguardo alla militanza partigiana di Italo Calvino, si veda: Claudio Milanini, Calvino e la Resistenza, in Da Porta a Calvino, Edizioni Universitarie di Lettere, Economia e Diritto, Milano, 2014, pp. 327-346. Francesco Biga, Italo Calvino, il partigiano chiamato “Santiago” anpi.it/media/uploads/patria/2006/1/29-31_BIGA.pdf
[5] Per una ricostruzione degli eventi, si veda, per esempio, Riccardo Chiaberge, Chi Bocciò Primo Levi, www.treccani.it/magazine/cultura/chi_boccio_primo_levi.html