![Arte, immagini, tecnologie: il progetto GenerAction e l’educazione all’immagine nel terzo millennio](https://www.novecento.org/wp-content/uploads/2024/06/ai-generated-8327855_1280-150x150.jpg)
A Fossoli, vite che (non) sono le nostre. Una esperienza didattica nell’ambito del progetto europeo Rememchild
Particolare delle valigie utilizzate durante lo spettacolo teatrale a Carpi, MO (Crediti: R. Zampa
Abstract
Nell’ambito del progetto europeo Rememchild 2023-24: Remembering childhood in European Wartimes, una classe di scuola secondaria di I grado ha realizzato il Workshop Co-creative Drawn Story, con l’obiettivo di recuperare le esperienze e le memorie dei bambini durante le guerre europee, in particolare nella Seconda Guerra Mondiale e nel Dopoguerra. Esplorando la memoria – e la sua rappresentazione nel tempo – del campo di Fossoli (MO) e indagando e rappresentando la storia di sei bambini che lo hanno attraversato, è stato realizzato un percorso in cui il celebre luogo di memoria modenese è divenuto uno spazio in cui la “grande Storia” e le “piccole storie” hanno trovato un efficace punto d’incontro, tale da coinvolgere emotivamente e operativamente gli alunni. La classe, divisa in gruppi di lavoro, ha ricostruito la biografia di sei bambini che sono passati da Fossoli in diverse fasi della sua lunga storia (dal 1942 al 1970, prima campo di concentramento, poi orfanotrofio, infine villaggio per profughi istriani): Emilia Levi, Elena Colombo, Vittorino Modigliani, Oretta Montanari, Gabriella Carlini, Marino Piuca. Il percorso didattico ha seguito molteplici fasi: dal laboratorio storico con le fonti, alla visita al campo, alla realizzazione di biografie per parole e immagini, alla scrittura e messa in scena di un testo teatrale aperto alla cittadinanza.
_____________________
Within the framework of the European project Rememchild 2023-24: Remembering childhood in European Wartimes, a secondary school class realised the Co-creative Drawn Story Workshop, with the aim of recovering the experiences and memories of children during European wars, in particular in World War II and the post-war period. Exploring the memory – and its representation in time – of the Fossoli camp (MO) and investigating and representing the story of six children who passed through it, a path was created in which the famous Modenese place of memory became a space in which the ‘big story’ and the ‘little stories’ found an effective meeting point, such as to emotionally and operationally involve the pupils. The class, divided into work groups, reconstructed the biographies of six children who passed through Fossoli at different stages of its long history (from 1942 to 1970, first a concentration camp, then an orphanage, and finally a village for Istrian refugees): Emilia Levi, Elena Colombo, Vittorino Modigliani, Oretta Montanari, Gabriella Carlini, and Marino Piuca. The educational path followed multiple stages: from the historical workshop with the sources, to the visit to the camp, to the creation of biographies in words and images, to the writing and staging of a theatrical text open to the public.
Raramente ci chiediamo quale forma venga imposta alla realtà quando le diamo veste di racconto.
Jerome Bruner, La fabbrica delle storie
Premessa
Tra il Maggio e il Giugno del 2023 la Fondazione Fossoli (MO) ha promosso e co-progettato il progetto Rememchild 2023-2024: Remembering childhood in European Wartimes.[1] All’interno di questo percorso, uno specifico focus era intitolato We remember: pedagogical content for the next generations. Workshop Co-creative history drawing. Il progetto, che vedeva in veste di partners diverse istituzioni culturali europee (EUROM-European Observatory on Memories; Maison d’Izieu; Gernika Peace Museum; Fondazione Fossoli; IC-MEMO-International Committee of Memorial Museums in Remembrance of the Victims of Public Crimes; EuroClio), attraverso un serie di attività progettate per diversi target di interlocutori (studenti, giovani, ricercatori, persone migranti e rifugiate, artisti, organizzazioni umanitarie, memoriali, associazioni commemorative, ecc.), si proponeva di recuperare le esperienze e i ricordi dei bambini durante i conflitti bellici europei novecenteschi, in particolare nella Seconda guerra mondiale e nel successivo dopoguerra.
L’attività didattica che ne è scaturita (e che qui è descritta) era inizialmente indirizzata a dare voce a, più che a ricostruire storicamente, alcune storie di bambini che, passati da Fossoli, sono di qui ripartiti per poi entrare dritti nelle fauci spalancate di Auschwitz oppure, al contrario, si sono lasciati alle spalle le conseguenze della guerra, le discriminazioni e la povertà e sono arrivati nel campo modenese per ricostruire la loro vita nel secondo dopoguerra, quando il campo di concentramento era ormai divenuto l’orfanotrofio di Nomadelfia[2] o il villaggio San Marco per i profughi istriani.[3]
Riflessioni, interrogativi, difficoltà e strategie che hanno preceduto e accompagnato questa attività sono state descritte nella prima parte di questo contributo (Link).
Al lavoro: il percorso didattico e le sue diverse fasi di realizzazione
‘Buchi’ da rammendare o da evidenziare? Il laboratorio di storia in classe e i Webquest
Il laboratorio ha preso forma con una metodologia consolidata, ovvero quella del lavoro sulle fonti, attivando in aula la ‘mente laboratoriale’ e le sue specifiche competenze.[4] Per presentare alla classe i sei bambini oggetto dell’indagine, sono state raccolte testimonianze di natura diversa: fonti documentarie, narrative, iconografiche e fotografiche, testimonianze letterarie o memorialistiche tramite il ricorso anche al riferito di parenti e vicini di casa, in qualche caso (per le ultime storie relative alla Fossoli post-bellica) anche di testimoni viventi, con tutte le difficoltà che questa operazione porta con sé, se condotta con rigore di metodo.[5]
I sei dossier predisposti sono stati poi interrogati dagli studenti, suddivisi in gruppi di lavoro, con il fine di scrivere la biografia di ogni bambino, comprensiva di genealogia familiare e di riferimenti spazio-temporali. Le singole biografie infatti non avrebbero dovuto trascurare i luoghi, gli itinerari di vita che si snodano, seppure in pochi anni, lungo queste brevi esistenze. Un sistema di georeferenziazione ha aiutato a tenerne memoria e a visualizzare la spazialità dei vissuti.[6]
Il racconto storico per sua natura doveva basarsi sull’interpretazione ordinata delle fonti e sull’uso corretto delle informazioni. Le attività propedeutiche condotte con la classe sin dall’anno scolastico precedente, per esempio, avevano costruito nel gruppo l’abitudine condivisa di riconoscere nei testi e utilizzare nella comunicazione scritta e orale gli ‘indicatori lessicali dell’incertezza’ (verbi modali, forme ipotetiche o avverbi di dubbio). L’attività di analisi vera e propria, all’interno della costellazione di fonti contenuta nei sei dossier di Fossoli, è stata portata avanti con un classico sistema di schedatura, che talvolta è stato guidato dagli assi crono-spaziali, talvolta da domande circostanziate (cause, conseguenze, rapporti fra persone, contesti, norme, conflitti sociali e culturali, ecc…) e ha lasciato traccia nei taccuini di lavoro degli alunni, in tabelle a più uscite, caratterizzate anche da marcatori grafici facilmente riconoscibili e identificabili, data la giovane età dei discenti e i diversi livelli di competenze storiche presenti nel gruppo-classe. L’operazione di schedatura ha preceduto e costituito la preparazione della fase dell’interpretazione dei dati e della formulazione delle ipotesi cosiddette intra fontes.
Nonostante la ricchezza (per la verità non sempre del tutto qualitativamente o tipologicamente omogenea) delle fonti dirette e indirette presenti nei sei dossier, spontaneamente la classe ha cominciato a segnalare dei ‘buchi’, dei passaggi mancanti, delle cause non chiare.
Nella seconda fase è stato avviato un Webquest[7] che li ha portati a consultare, sotto la guida della docente e con gli strumenti digitali in dotazione scolastica o tramite il BYOD[8] alcune banche dati e siti d’interesse storico-scientifico, fra i quali (prima di tutto) quelli della Fondazione Fossoli[9] e del Cedec – Centro di documentazione ebraica con la sua preziosa Digital library,[10] il sito dedicato a don Zeno Saltini e alla comunità di Nomadelfia[11] e infine la documentazione sito-bibliografica relativa al Villaggio San Marco.[12]
Compiuta la fase dell’indagine extra fontes, per forza di cose mai definitiva e sempre imperfetta, e solo dopo essere riusciti a risolvere alcuni enigmi ricorrendo al contesto storico, alla letteratura scientifica o ai suggerimenti degli operatori della Fondazione, gli alunni sono stati invitati a “fare pace” con i molti buchi rimasti, che non si possono rammendare ma solo rendere più preziosamente visibili, inserendoli in una prospettiva e in una rilevanza storica.
La scrittura e il racconto storico
Le biografie hanno assunto l’aspetto di un racconto storico vero e proprio: sia la struttura formale dei singoli testi sia gli apparati con un sistema semplificato di note e rimandi alla storiografia dovevano dare conto del sistema formalizzato della scrittura scientifica di storia. Poi, in un momento a seguire, collegato ma distinto, forte della provocatoria affermazione di George Duby che la storia non è altro che un genere letterario,[13] si è lavorato ad altri racconti sul passato che prendevano spunto da eventi reali e contesti, ma con una chiave maggiormente letteraria e di libertà interpretativa.[14]
A questo punto, infatti, i gruppi di lavoro sono stati pronti per cominciare a riflettere sulle modalità di narrare queste sei storie e sulle diverse possibilità che vedevamo aprirsi davanti a noi per una comunicazione più ampia e variegata dei contenuti. Per esplicita richiesta dei gruppi, a ogni storia è stato dedicato un genere di scrittura diversa, la cui scelta non è stata casuale: sono state identificate in classe alcune forme testuali e grafiche per ognuno dei bambini, in quanto suggerite dal tema prevalente di ogni singola biografia. La storia di Elena, l’unica bambina ebrea italiana ad affrontare da sola la deportazione, è stata raccontata a più voci (dal padre, dalla madre, da un’amica) con l’intenzione di non farla sentire mai sola. Per Emilia, la bimba più piccola, la cui figura minuta era stata evocata anche da Primo Levi nelle prime pagine di Se questo è un uomo,[15] è stata scritta, musicata e cantata una ninnananna, perché la notte della storia non le faccia più paura. Per Vittorino è stata inventata una dimensione parallela in cui la sorellina Letizia, unica sopravvissuta della famiglia e divenuta adulta, potesse riprendere il dialogo, al di là del tempo e della morte, con il fratello maggiore rimasto per sempre bambino. Per raccontare il tempo di Oretta, che appena settenne lasciò la sua casa e fece l’esperienza di vita e di rinascita a Nomadelfia, si è deciso di far parlare una delle madri di vocazione, quelle ragazze che avevano finalmente contribuito a trasformare in case le baracche di Fossoli. Infine, alla bambina emiliana Gabriella Carlini e al profugo istriano Marino Piuca, che al villaggio San Marco frequentarono la stessa scuola, sono stati dedicati rispettivamente un fumetto sulla vita scolastica (e sul loro straordinario maestro Olinto Lugli) e un componimento poetico sulla nostalgia del mare di Pirano.
In questi testi-contenitore hanno trovato spazio le emozioni nascenti, i dubbi e gli interrogativi sui diversi ‘motori’ che hanno dato inizio alla storia, ma sono stati anche un gioco, quella sorta di “cassetta dei travestimenti”, tanto amata dai bambini più piccoli, che consente però anche ai preadolescenti di assumere un punto di vista interno alla storia, in una prospettiva di racconto personale che, con la storia-disciplina e con i suoi silenzi, troverà il modo di “fare pace”.[16]
E del resto, se grazie alle fonti è stato realizzato un semplice (semplice?) lavoro biografico, attraverso la cornice si poteva lasciare spazio, per così dire, all’indicibile, allo sgomento, al non detto, alle emozioni che comunque un luogo suscita e, con il luogo, le sue storie. All’età degli studenti di scuola secondaria di I grado i sentimenti sono fortemente polarizzati. Spesso i docenti vedono nascere nei ragazzi una volontà quasi ontologica di separazione fra il bene e il male, ma è necessario anche evitare che questa determinazione scada nella fin troppo facile identificazione nelle vittime e nell’accusa acritica ai carnefici.[17] Questo è un grande problema, forse “il” problema per ogni docente che sottoponga questi temi alla sua classe. Come decomprimere e al tempo stesso canalizzare, dunque, il loro sapere storico verso una consapevolezza del presente e una possibilità di agire nel futuro? Seguendo le indicazioni espresse in molte occasioni da Salvatore Adorno, non bisognava dimenticare che la rilevanza dell’insegnamento della storia consiste nel costruire un nesso di significato tra l’oggetto dello studio e la vita stessa dei discenti, aiutandoli a fabbricare scenari futuri a partire da ciò che stanno imparando dal passato e dal presente.[18] Proprio giocare tra la storia (e con lei l’indagine intenzionale e costruttiva) e la testimonianza (ovvero quella parziale e spontanea) avrebbe potuto consentire – nell’unione di competenze cognitive e narrative – di attivare negli alunni possibilità cognitive razionali all’interno dei multipli processi di orientamento individuali e collettivi.[19]
Raccontare la Storia e le storie: le valigie di oggetti
Insieme agli alunni sono state cercate fonti e informazioni per ricostruire la vita di sei bambini e immaginare le loro emozioni, sono stati seguiti nei loro itinerari, è stata data voce ai loro vissuti. Gli studenti sono insomma diventati i loro narratori. Per oltre due mesi quei sei bambini hanno accompagnato la classe nelle giornate scolastiche e grazie alle loro storie è stata fatta lezione di storia, geografia, italiano, educazione civica[20]. Si è cercato per loro un posto nei banchi, fino ad arrivare a elencare i loro nomi nell’appello della prima ora, tanto sono stati percepiti presenti, e vivi, nella quotidianità scolastica.
La domanda seguente è arrivata spontanea quanto fondamentale: come si può fare memoria di loro e raccontare al contempo storicamente le loro sei vite? Come si possano narrare questi sei bambini ad altri, senza che le loro vicende vengano bloccate e museificate, come farebbe un entomologo con una bella farfalla infilzata con uno spillo nella propria collezione?
A queste importanti questioni, nel caso specifico di questa attività se n’è aggiunta un’altra, estremamente specifica: in questa classe, un gruppo bello, vivace e coeso di ragazzini, è felicemente inserita A., una compagna non vedente. L’alunna non avrebbe potuto accostarsi al disegno puro e la sua voce sarebbe rimasta silenziosa. Con lei avrebbero trovato difficoltà anche diversi compagni e compagne non italofoni o il cui grado di competenza lessicale non era ancora in grado di sostenere narrazioni ampie.[21] Per questo è stato spontaneo il pensiero di raccontare per immagini, sì, ma di raccontare per immagini tridimensionali e multisensoriali queste storie. E poiché al centro delle vite di questi sei bambini c’è stato un luogo, Fossoli, da cui ognuno è partito o dove è arrivato, l’oggetto simbolo della narrazione è diventato una valigia, metafora concreta del loro viaggio.
All’interno di sei valigie di cartone, i ragazzi della classe avrebbero raccolto degli oggetti che sarebbero stati di supporto al racconto biografico. Si è deciso che le valigie, seguendo gli spunti anche della didattica per oggetti,[22] andassero riempite di cose in grado di evocare le biografie dei sei bambini. Aprire e chiudere quelle valigie, raccontando, è stato per i miei studenti un gesto forte, già quasi istintivamente teatrale, come sfogliare il libro delle vite dei sei protagonisti. Ma è stato anche in qualche modo prendervi parte: ogni oggetto è stato infatti raccolto dai ragazzi nelle proprie case e in questo modo è avvenuto un passaggio intergenerazionale, una sorta di raccolta del testimone, tra le memorie personali e familiari e quelle pubbliche.[23] In seguito, le sei valigie sono state portate a Fossoli dalla classe, nella giornata dedicata all’esperienza diretta del luogo, in cui si è inseguito con gli occhi le tracce sovrapposte delle sue diverse fasi, immaginato gli spazi e i volti di chi vi era passato, ma anche annusato l’aria e sentito l’odore umido di fossi e cavedagne. Qui si è nuovamente raccontato e dato voce ai pensieri. Si sono cercati suoni, rumori, echi e canzoni (il rumore di un treno, il suono di una campanella, le canzoni istriane, l’abbaiare di cani…), che potessero fare da colonna sonora alle storie, rendendo sonore le valigie.[24]
Nel frattempo ci si è chiesti che cosa fare di fronte alle prime tre storie, quelle di quei bambini che da Fossoli arrivarono direttamente al campo di sterminio di Auschwitz in tenerissima età e di fronte al cui destino terribile gli studenti rimanevano ammutoliti. Questa consapevolezza raggiunta, insieme ai sentimenti che ne scaturivano, rischiava di appiattire le vite dei sei bambini nella loro fase finale, cioè quella della morte senza motivo. E cosa fare, poi, dei molti elementi di tristezza, dolore, mancanza e abbandono che emergevano nelle tre storie seguenti?
Ogni biografia è così stata ripensata individuando un ‘dentro’ e un ‘fuori’, ovvero cercando per ciascun bambino i fattori di protezione e di pericolo. Si è anche costruito un grande orologio visivo e tattile, con cui misurare le emozioni prevalenti nei diversi momenti del racconto (terrore, pace, nostalgia, speranza).[25]
Illustrare le storie: gli albi, i leporelli, i rifugi
Due sono state le letture-stimolo che sono state utilizzate come punto di partenza. Si tratta di due albi illustrati, in apparenza estranei al tema oggetto d’indagine, ma in realtà funzionali all’’innesco’ di un sentire profondo e personale.[26]
Il primo a essere utilizzato è stato l’albo dell’artista newyorkese Remy Charlip, Fortunatamente, che uscì negli Stati Uniti a metà degli anni Sessanta e che recentemente la casa editrice Orecchio Acerbo ha portato in Italia.[27] Si tratta di una storia semplice e arguta, in grado di accostare con perfetta sintonia, leggerezza e profondità, divertimento e riflessione, alternando in ogni pagina un avverbio e il suo contrario. Sfogliare l’albo induce a pensare che in ogni storia, anche quella dall’esito più tragico, si possano ritrovare elementi di positività, e che i nostri sei bambini. nonostante le tragedie che li hanno travolti, possano essere ricordati anche soltanto in quanto bambini, con i loro giochi, i loro affetti, le loro speranze. Per ognuno di loro c’è stato l’abbraccio di una madre, un bagnetto caldo, la voce di un amico di là da un muro, la campanella di scuola o una merenda riscaldata su una stufa di mattoni rossi. Elementi biografici come questi ci hanno consentito di raccontare i nostri protagonisti come protagonisti bambini e la loro stessa infanzia, in netto contrasto con la guerra, la discriminazione e lo sterminio, è stata comunque il segno positivo di queste vite.
È stato dato corpo alle parole costruendo sei libretti, nella forma antica del leporello, in cui le biografie sono state riscritte con l’anafora ripetuta e alternata, usata anche da Charlip, di due avverbi, “fortunatamente” e “s-fortunatamente”. Ciascuna vita così si sarebbe potuta sfogliare nelle sue pagine chiare e scure, ma sarebbe stato possibile guardarla anche nel suo insieme, aprendo completamente il leporello e facendolo diventare un’unica linea del tempo, una forma grafica e tattile della biografia.[28]
Il secondo albo utilizzato è stato Rifugi, edito in Italia da Logos edizioni. L’autrice e illustratrice svizzera Emmanuelle Houdart[29] dipana in questo libro una sorta di celebrazione visiva di tutto ciò che può darci protezione e conforto. Ognuno di noi ha bisogno di un luogo – reale o immaginario – in cui sentirsi al sicuro o di braccia accoglienti dove trovare quiete, conforto, amore. Dove calmare le paure, nascondere le lacrime, curare le ferite. Sono rifugi la pancia della mamma, la casetta dei giochi, la biblioteca, il giardino, così come i nostri ideali, la nostra fede, i personaggi storici o di fantasia, che riconosciamo come modelli o motivi di ispirazione. Su questa traccia gli studenti hanno ideato, disegnato, talvolta letteralmente costruito, i rifugi per i bambini di Fossoli, di cui abbiamo ricostruito le storie e accudito le memorie. Ne è uscita una galleria di disegni simbolici e allegorici[30] in cui la guerra e i suoi postumi accerchiano e sconfiggono, ma non possono annullare ciò che ogni bambino è stato, i suoi sogni, i suoi desideri, i suoi affetti.
Sfogliando a posteriori la galleria, ci si rende conto di come i rifugi disegnati e costruiti siano zattere che hanno portato in salvo sei vite.
Invitare all’ascolto pubblico: tante voci, una piazza e un gesto teatrale
Ma ancora nei ragazzi non si era calmata, non si era appagata la sete di raccontare.
Grazie a una sinergia tra la scuola e la stessa Fondazione Fossoli con la Compagnia del Teatro dell’Argine di San Lazzaro (BO), si è pensato di aggiungere al percorso un momento conclusivo, in cui portare in scena le molte voci che raccontavano queste diverse storie.[31] A Maggio 2024 è stato realizzato uno spettacolo aperto alla cittadinanza, nella piazza di Carpi (MO), antistante il Museo del Deportato, anche detta cortile delle stele.[32]
Qui i ragazzi si sono presentati con le loro valigie per dare vita a un’azione scenica corale in cui hanno raccontato i loro pensieri sulla guerra e i loro pensieri sull’infanzia, attraverso dei giochi di strada che possono evocare la guerra, perché – furono proprio loro a dirmelo durante una delle molte conversazioni a margine delle attività- , «per noi la guerra è soltanto giocare alla guerra, ma andando indietro nel passato, o di fianco nel mondo, c’è chi la guerra l’ha vissuta davvero e noi non sappiamo bene cos’è stata per loro». Questa idea compare all’improvviso anche durante lo spettacolo, proprio all’aperto, nel bel mezzo di un rubabandiera o di un nascondino, paralizzando i corpi dei ventiquattro alunni in pose di protezione. Da quel momento ognuno, camminando fra gli spettatori e scegliendo fra le tante valigie allestite sul proscenio, si conquista un angolo della piazza, una sorta di Speakers’ Corner. Qui, aprendo la valigia, si apre anche la storia di uno dei sei bambini di Fossoli. Il pubblico, sciamando dalla piazza verso questi diversi angoli, ha così potuto ascoltare appieno il racconto dei ragazzi, un racconto drammatizzato, con parole e gesti, che si è fatto lezione all’aria aperta, esposizione pubblica di quello che avevano imparato, ma anche compreso in modo profondo.
La relazione tra il testo storico e la recitazione implica proprio il fatto che accada qualcosa al testo. Il teatro di narrazione mescola le immagini di vicende alle immagini di pensieri; i pensieri si possono rappresentare sia tramite l’interpretazione diretta (impersonando il protagonista o i co-protagonisti) sia tramite sintesi, nelle quali il pensiero stesso è oggettivato e mediato dal soggetto narrante, che a sua volta può essere plurale e collettivo: corpi e voci adolescenti sulla piazza hanno restituito l’idea di prospettive singole e insieme generazionali.
Connettere il teatro ai processi educativi e al concetto di cittadinanza significa dare vita ad un’esperienza insostituibile per la crescita e la formazione dell’individuo nel complesso percorso di sviluppo che intreccia la percezione di sé con la relazione con l’altro, lo spazio privato con lo spazio sociale, i saperi con le emozioni.[33]
La dimensione del pubblico e l’esperienza teatrale ci ha riportato poi a riflettere, tornati in aula, in modo ancora più approfondito sulle differenze e sul legame tra storia e memoria e su come la storia studiata a scuola possa divenire pensiero, gesto, azione nel presente.
Schizzo su uno dei taccuini per gli appunti con, alcuni disegni dei rifugi, attività di narrazione con le valigie di oggetti, momenti della visita al campo (Crerditi: E. Garimberti)
Ringraziamenti
Questo lavoro deve molto al confronto e alla collaborazione con tante persone. Mi limiterò qui a citare soltanto i nomi di coloro senza i quali nulla sarebbe stato fatto.
Gianluca Gabrielli, storico e docente, per avermi parlato del progetto Rememchild, aver fatto il mio nome alla Fondazione Fossoli e poi per non avermi più ‘perso di vista’. Marzia Luppi e Francesca Schintu, nei loro rispettivi ruoli di direttrice e referente delle attività culturali della Fondazione Fossoli, per avermi coinvolto, aiutato nella selezione di fonti e materiali, offerto continuo supporto scientifico, organizzativo e materiale (a Diana, la bimba di Francesca, che è arrivata mentre rivedevo questo testo, dedico il buono che eventualmente ne verrà). Aldo Gianluigi Salassa e Igor Pizzirusso, rispettivamente direttore e caporedattore dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri, per l’invito a scrivere di questa esperienza e per lo spazio concesso alle mie parole su questa rivista. Andrea Paolucci e Caterina Bartoletti della Compagnia Teatro dell’Argine per aver trasformato le nostre parole in azione. Marinella Gattei, educatrice sapiente e amica preziosa, ha reso concretamente possibile tradurre le mie proposte nella chiave multisensoriale e inclusiva, che credo ogni percorso didattico dovrebbe porsi come metodo e come obiettivo. Al gruppo dei colleghi e alla scuola dove insegno da più di un decennio, la secondaria “Guido Guinizelli” di Bologna, va la mia riconoscenza per essere ancora, e ostinatamente, uno spazio libero di sperimentazione del pensiero educativo e didattico. Infine, ma non alla fine, il pensiero va agli alunni e alle alunne della mia classe, con i loro pensieri verdi, e ai loro sei nuovi compagni di banco, con le loro pesanti valigie.
Biblio-sitografia minima di riferimento
- S. Adorno, L. Ambrosi, M. Angelini (a cura di), Pensare storicamente, FrancoAngeli, Milano 2020;
- A. Assmann, Ricordare. Forme e mutamenti della memoria culturale, Il Mulino, Bologna 2002;
- A. Brusa, Il laboratorio storico, La Nuova Italia, Firenze 1991;
- L. Cajani, La storia fuori e dentro l’aula scolastica, in Il Bollettino di Clio. giugno 2021, anno XXI, n.s., n. 15, pp. 66-73;
- M. Demantowsky M. (a cura di), Public History and School. International Perspectives, de Gruyter Oldenbourg, Berlin-Boston 2018;
- H. Girardet, Vedere, toccare, ascoltare. L’insegnamento della storia attraverso le fonti, Carocci, Roma 2004;
- C. Greppi, storie che non fanno la Storia, Laterza, Roma-Bari 2024;
- M. Luppi (a cura di), La lezione di Fossoli, Il filo di Arianna, Bergamo 2023;
- I. Mattozzi, G. Di Tonto, Insegnare storia. Corso ipertestuale per l’aggiornamento in didattica della storia, Miur, Università degli studi di Bologna, Dipartimento di discipline storiche, Bologna-Roma 2000;
- F. Monducci, A. Portincasa (a cura di), Insegnare storia nella scuola secondaria. Il laboratorio e altre pratiche attive, Utet-De Agostini Scuola, Milano 2023;
- F. Monducci, A. Portincasa (a cura di), Insegnare storia nella scuola primaria. Il laboratorio e altre pratiche attive, Utet-De Agostini Scuola, Milano 2023;
- W. Panciera, A. Zannini, Didattica della storia. Manuale per la formazione degli insegnanti, Mondadori Milano 2013;
- E. Valseriati, Prospettive per la didattica della storia in Italia e in Europa, New Digital frontiers, Palermo 2019;
- S. Wineburg, Historical Thinking and Other Unnatural Acts. Charting the future of Teaching the Past, Temple University Press, Philadelphia 2001;
Principali associazioni disciplinari italiane e internazionali, portali e riviste
- Clio’92 Associazione di insegnanti e ricercatori sulla didattica della storia https://www.clio92.org/
- EuroClio https://euroclio.eu/
- Movimento di Cooperazione Educativa MCE https://www.mce-fimem.it/
- Società italiana di Didattica della Storia SiDidaSt https://www.sididast.it/
- Istituto nazionale Parri https://www.reteparri.it/
- Insegnare/apprendere la Storia (irreer ) https://www.storiairreer.it/
- Historialudens https://www.historialudens.it/
- Novecento.org Didattica della storia in rete https://www.novecento.org/
- Storicamente Laboratorio di Storia https://storicamente.org/
Materiali foto-audio-video delle fasi del progetto
- Per il progetto europeo nella sua interezza si rimanda al sito deputato Remembering Childhood in European Wartimes: https://rememchild.remigraid.org/en/
- Per la descrizione del workshop condotto nell’a.s. 2023-24 con la classe 2E della scuola secondaria di I grado “Guido Guinizelli” (Istituto Comprensivo 8 – Ca’ selvatica di Bologna) si rimanda alla apposita pagina sul sito della Fondazione Fossoli: https://www.fondazionefossoli.org/attivita/progetti/rememchild-workshop-co-creative-drawn-story-con-la-2e-della-scuola-guido-guinizelli-di-bologna/
- Relativamente alla descrizione e documentazione foto-audio-video delle fasi del lavoro svolto, si invia direttamente ai seguenti link:
- A Fossoli, vite che non sono le nostre_full video – YouTube
- Foto di scena_A Fossoli, vite che non sono le nostre – YouTube
- Interviste_A Fossoli, vite che non sono le nostre – YouTube
- Valigie_A Fossoli, vite che non sono le nostre – YouTube
- Rifugi_A Fossoli, vite che non sono le nostre – YouTube
- Leporelli_A Fossoli, vite che non sono le nostre – YouTube
- Restituzione teatrale con la regia del Teatro dell’Argine – YouTube
Note:
[1] Fondazione Fossoli (Carpi, Mo) https://www.fondazionefossoli.org/ Per il progetto europeo Rememchild nelle sue diverse azioni e obiettivi si rimanda a https://rememchild.remigraid.org/en/ e https://www.fondazionefossoli.org/attivita/progetti/rememchild-2023-24-remembering-childhood-in-european-wartimes-progetto-europeo/.
[2] La comunità di Nomadelfia nasce negli anni Trenta per volontà di don Zeno Saltini, figlio di agricoltori benestanti di Carpi e ordinato sacerdote nel 1931; il sacerdote raccoglie i primi bambini senza famiglia o comunque abbandonati a San Giacomo Roncole (frazione del comune di Mirandola, in provincia di Modena), parrocchia formata per il 50 per cento da braccianti che hanno un lavoro solo otto mesi l’anno: nel 1941 fu fondata l’Opera Piccoli Apostoli della Parrocchia dei SS. Filippo e Giacomo in San Giacomo Roncole, che ebbe come prima sede un immobile antistante la chiesa denominato “Il casinone”. Nel 1947 don Zeno occupa con il gruppo dei suoi bambini e delle madri d’adozione l’ex campo di concentramento di Fossoli, frazione di Carpi, per costruire la loro nuova città. Lo scopo principale è dare una accoglienza ai tanti orfani di guerra.
[3] Il Villaggio San Marco, allestito nel 1954 all’interno del campo di Fossoli di Carpi, ospita famiglie italiane provenienti da Istria e Dalmazia; alcune di queste vi rimangono per 16 anni. Furono quasi 1.500 i profughi, appartenenti alla comunità italiana, ospitati nel Villaggio San Marco a Carpi, dopo aver abbandonato le proprie case e tutti i propri beni in Istria e Dalmazia a seguito degli accordi internazionali che, ridefinendo il confine orientale italiano, assegnarono quei territori alla Jugoslavia. Le famiglie arrivate nel modenese furono una parte delle circa 250 mila persone, il 90 per cento degli italiani che vivevano in Istria e Dalmazia, che partirono tra il 1944 e la fine degli anni Cinquanta, dirette in 130 luoghi in Italia tra caserme, scuole (come quella in via Caselle a Modena che ospitò diverse famiglie), conventi, ex campi di concentramento (come appunto quello di Fossoli o la risiera di San Saba a Trieste), ma anche oltreoceano, dal Canada al Venezuela. Un esodo di massa per sfuggire a persecuzioni e alla tragedia delle foibe. Il Villaggio San Marco fu aperto il 7 giugno del 1954 e chiuso dopo 16 anni, il 7 marzo del 1970. All’interno della struttura furono aperti spazi commerciali, centri di aggregazione, uno studio medico, attività artigianali come la falegnameria e la tipografia gestiti dagli esuli stessi, poi la scuola, l’asilo e la chiesa. Gli esuli, insomma, anche se sostenuti dallo Stato con apposite leggi, si organizzano in modo indipendente, allacciando stretti rapporti con la comunità di Fossoli e di Carpi, nonostante l’iniziale clima di diffidenza e le tensioni politiche del dopoguerra.
[4]A. Brusa, Il laboratorio storico, La nuova Italia, Firenze 1991; A. Delmonaco, Il laboratorio di Storia, e L. Boschetti, Pensare storicamente: sei capacità su cui lavorare in classe, entrambi in F. Monducci, A. Portincasa (a cura di), Insegnare storia nella secondaria. Il laboratorio e altre pratiche attive, Utet-De Agostini Scuola, Milano 2023, pp. 19-30 e 31-48.
[5] Per l’approccio metodologico e le cautele (anche didattiche) per l’uso della fonte orale si rimanda ai seguenti contributi: B. Bonomo, Voci della memoria: l’uso di fonti orali nella ricerca storica, Carocci editore, Roma 2013; Testimonianze e testimoni nella storia del tempo presente, a cura di G. Gribaudi, Editpress, Firenze 2020; C. Marcellini, Testimoni a scuola. Una riflessione sull’uso delle fonti orali per la didattica della storia, in “Novecento.org”, n. 3, 2014, DOI: 10.12977/nov42; in generale molto utili le buone pratiche sottolineate dall’AISO-Associazione Italiana di Storia Orale https://www.aisoitalia.org/
[6] Per rappresentare una biografia collocata nel tempo e nello spazio, multimediale e interattiva, abbiamo sperimentato applicativi open source come StoryMap o webware come TimelineJs.
[7] Per un approfondimento sulla metodologia si veda A. G. Salassa, WebQuest e New WebQuest: per una didattica della storia in ambiente digitale, in “Novecento.org”, n. 16, agosto 2021, DOI: 10.52056/9788833139883/10; C. Massari, I. Pizzirusso, Insegnare storia con il web e F. Monducci, Lo studio di caso con documenti di varia tipologia (con una coda sul Webquest), entrambi in Monducci, Portincasa, 2023 (1), pp. 185 -210 e pp. 407-428.
[8] Bring your own device (BYOD) – chiamato anche bring your own technology (BYOT), bring your own phone (BYOP), e bring your own PC (BYOPC), in italiano: porta il tuo dispositivo, porta la tua tecnologia, porta il tuo telefono e porta il tuo pc – è un’espressione usata per riferirsi alle politiche aziendali che permettono di portare i propri dispositivi personali nel posto di lavoro, e usarli per avere gli accessi privilegiati alle informazioni aziendali e alle loro applicazioni. In questo caso si fa riferimento naturalmente alla possibilità concessa agli studenti di utilizzare dispositivi personali in contesto scolastico.
[9] Fondazione Fossoli: https://www.fondazionefossoli.org/.
[10] Cedec – Centro di documentazione ebraica: https://digital-library.cdec.it/cdec-web/.
[11] Don Zeno Saltini: https://www.donzeno.it/.
[12] M. L. Molinari, Villaggio San Marco – via Remesina 32 Fossoli di Carpi – Storia di un villaggio per profughi istriani, “Quaderni di Fossoli” Ega editore, Torino 2005, ora disponibile in pdf : https://www.fondazionefossoli.org/assets/Uploads/Villaggio-San-Marco.-Via-Remesina-32-Fossoli-di-Carpi.-Storia-di-un-villaggio-per-profughi-giuliani.pdf.
[13] G. Duby, Scrivere la storia, in A. Asor Rosa (a cura di), La scrittura e la storia. Problemi di storiografia letteraria, La nuova Italia, Firenze 1995, p. 44.
[14] Sulla distinzione didattica tra ‘racconto storico’ e ‘racconto sul passato’: L. Boschetti, Pensare storicamente, in Monducci, Portincasa, 2023 (1), p. 36 e sgg. Per l’educazione linguistica e la scrittura di testi storici: S. Lotti (a cura di), Formazione storica ed educazione linguistica nell’età della multimedialità digitale. 2. Insegnare a scrivere testi in storia, Cenacchi editrice, Modena 2015; E. Perillo, L’argomentazione in storia: sapere esperto e sapere didattico, in La Didattica, 3(3) 1997, pp. 94-104.
[15] P. Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, Torino 1958, p.21: «Così morì Emilia, che aveva tre anni; poiché ai tedeschi appariva palese la necessità storica di mettere a morte i bambini degli ebrei. Emilia, figlia dell’ingegner Aldo Levi di milano, che era una bambina curiosa, ambiziosa, allegra, intelligente; alla quale, durante il viaggio nel vagone gremito, il padre e la madre erano riusciti a fare un bagno in un mastello di zinco, in acqua tiepida che il degenere macchinista tedesco aveva acconsentito a spillare dalla locomotiva che ci trascinava tutti alla morte».
[16] C. Greppi, storie che non fanno la Storia, op. Cit., p. 26: «Umanizzare la storia – e i suoi “oggetti” e noi soggetti – significa innanzitutto, credo, riconoscere questa persistente, inarginabile ed entusiasmante sensazione di incompletezza»; p. 40: «nel proliferare dell’accesso libero a un sapere storico di base, la qualità della narrazione storica si può misurare anche, forse soprattutto, dalla scoperta delle sue incertezze, dall’ammissione dei suoi limiti».
[17] Sull’identificazione vittima/carnefice e sulla responsabilità personale: M.L. Marescalchi, Didattica con i luoghi di memoria, in Monducci, Portincasa, 2023 (1), p. 403.
[18] S. Adorno, Pensare la didattica della storia, in S. Adorno, L. Lambrosi, M. Angelini (a cura di), Pensare storicamente. Didattica, laboratori, manuali, Franco Angeli, Milano 2020.
[19] C. Villani, Insegnamento della storia e usi del passato: come educare la coscienza storica degli studenti, in Monducci, Portincasa, 2023 (1), p. 152.
[20] C. Villani, La storia come Powerful Knowledge. Per uscire dal dibattito tra competenze e conoscenze, in Historialudens, maggio 2021: https://www.historialudens.it/didattica-della-storia/436-la-storia-come-powerful-knowledge-per-uscire-dal-dibattito-fra-competenze-e-conoscenze.html.
[21] A. Olivieri, Insegnamento della storia e inclusione, in F. Monducci, A. Portincasa (a cura di), Insegnare storia nella scuola secondaria, op. cit., pp.49-70; M. Tibaldini, Una storia interculturale per una didattica inclusiva, in F. Monducci, A. Portincasa (a cura di), Insegnare storia nella scuola primaria, op. cit., pp. 333-357; Il riferimento teorico al momento più significativo è l’Universal Design for Learning (UDL) Progettazione Universale per l’Apprendimento (PUA), che insiste su proporre molteplici mezzi di coinvolgimento, di rappresentazione, di espressione. Per le linee guida si veda il sito di aiditalia: https://www.aiditalia.org/news/udl-la-progettazione-universale-per-lapprendimento.
[22] O. Mandelli, Didattica con gli oggetti, in F. Monducci, A. Portincasa (a cura di), Insegnare storia nella scuola primaria. Il laboratorio e altre pratiche attive, Utet-De Agostini Scuola, Milano 2023, pp. 225-262.
[23] I. Mattozzi, Far vedere la storia, In E. Perillo, C. Santini (a cura di), Il fare e il vedere nella storia insegnata, Polaris, Faenza 2004, p. 139: «Far vedere la storia implica la responsabilità della mediazione didattica dell’insegnante, perché non significa ‘mostrare’, ‘indicare’ ma portare a costruire un comportamento visivo (…) si tratta di far acquisire la padronanza di un processo, quello interpretativo, che può essere utilizzato in contesti diversi».
[24] La documentazione e la sintesi delle attività https://www.youtube.com/watch?v=C-f_koQt9nM La foto-gallery del percorso https://www.youtube.com/watch?v=f0THOdgsims.
[25] Sulla scrittura della storia: J. Topolski, Narrare la storia. Nuovi principi di metodologia storica, Bruno Mondadori Milano 1997 e P. Fazzi, Narrare la storia: la lezione di Jerzy Topolski, in Diacronie n. 22,2, 2015
[26] Per l’uso dei silent book o degli albi illustrati come attivatori di riflessione A. Capetti, A scuola con gli albi, Topipittori, Milano 2018 e Leggere l’albo illustrato, a cura di Hamelin, Donzelli, Roma 2012, S. Lotti, Equilibri di storie. Albi illustrati per il calendario civile, in “Novecento.org”, n. 21, giugno 2024, DOI: 10.52056/9791254696965/16. Per una pratica della lettura e scrittura in classe A. Chambers, Il lettore infinito, Equilibri, Modena 2015.
[27] Remy Charlip, Heureusement, édition MeMo, Paris 2010, in trad. it. Fortunatamente, Orecchio acerbo, Roma 2010. Una video-lettura: https://youtu.be/AwHCojH_b94?si=HKCeO4NismcphW8X.
[28] Materiale audio-video dell’attività Leporelli https://www.youtube.com/watch?v=yofPXwymymk.
[29] Emmanuelle Houdart, Rifugi, Logos Edizioni, Modena 2015. Una video-lettura: https://youtu.be/UkeifosmFUI?si=1HHmHu8txvGXUs5l.
[30] Materiale audio-video dell’attività Rifugi https://www.youtube.com/watch?v=kwaelweY60Q.
[31] M. Guerri, Insegnare la storia a teatro. Dialogo con l’attore, drammaturgo e regista Marco Gobetti, in “Novecento.org”, n. 17, giugno 2022, DOI: 10.52056/9791254691090/17.
[32] Docu-film della restituzione teatrale A Fossoli, vite che non sono le nostre, Carpi (MO) Maggio 2024: https://www.youtube.com/watch?v=9huJBR0TkFE.
[33] F. Zanetti, Adolescenti e teatro: un altro modo per immaginare il mondo, in Roots Routes Magazine: https://shorturl.at/cnRVZ.