
Alcune buone pratiche per la storia orale a scuola
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Abstract
Nell’ambito della Summer school Didattica della storia e del territorio: paesaggi, luoghi di memoria, musei diffusi, organizzata dall’Istituto Nazionale “Ferruccio Parri” presso il Museo Cervi nell’estate del 2023, le autrici hanno curato il workshop Paesaggi sconvolti: esplorare la storia con le fonti orali. Il laboratorio ha visto la partecipazione di ventisei persone. A partire da quell’incontro e soprattutto dalle questioni problematiche emerse, si propongono alcune riflessioni sull’uso didattico delle fonti orali.
Il titolo richiama le Buone pratiche per la storia orale dell’Associazione Italiana di Storia Orale (AISO), emanate nel 2015 e revisionate nel 2020, che sono consultabili sul sito di AISO a questo link: https://www.aisoitalia.org/buone-pratiche/ (ultima visita 4 dicembre 2024). Si veda anche Alessandro Casellato (a cura di), Buone pratiche per la storia orale: guida all’uso, Firenze, Editpress, 2021. Le buone pratiche per la storia orale a scuola, redatte dalle autrici e qui presentate, sono state discusse dal Tavolo AISO Scuole e Formazione. Le autrici ringraziano coloro che hanno letto, discusso e proposto integrazioni.
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As part of the Summer school Didactics of history and the territory: landscapes, places of memory, diffuse museums, organised by the “Ferruccio Parri” National Institute at the Cervi Museum in the summer of 2023, the authors curated the workshop Upset landscapes: exploring history with oral sources. Twenty-six people took part in the workshop. Starting from that meeting and especially from the problematic issues that emerged, some reflections on the educational use of oral sources are proposed.
The title recalls the Good Practices for Oral History of the Italian Association of Oral History (AISO), issued in 2015 and revised in 2020, which can be consulted on the AISO website at this link: https://www.aisoitalia.org/buone-pratiche/ (last visited 4 December 2024). See also Alessandro Casellato (ed.), Good practices for oral history: a guide to use, Florence, Editpress, 2021. The good practices for oral history at school, compiled by the authors and presented here, were discussed by the AISO Schools and Education Table. The authors thank those who read, discussed and proposed additions.
Oggi, in ambito didattico, si conosce un’attenzione rinnovata verso l’uso di fonti orali. Sin dall’istituzione del POF, oggi PTOF,[1] passando per il Patto Educativo di Corresponsabilità,[2] per arrivare ai più recenti PCTO[3] e all’introduzione, nell’ambito delle riforme previste dal PNRR, di figure come il tutor e il docente orientatore, si stanno ponendo tasselli di un percorso che intende portare l’istituzione scolastica ad aprirsi gradualmente al territorio in cui vive e opera: territorio fisico (quartiere, città, paese) e virtuale (che arriva sino al globale, esplorabile attraverso gli strumenti che la tecnologia mette a disposizione). Le fonti orali sono perfettamente in linea con questo orizzonte aperto in cui la scuola vuole navigare: le scienze umane si aprono al mondo, e la storia viene declinata al plurale facendo uso anche delle memorie, le quali possono contribuire a interpretare la complessità[4] del passato e del presente. Fare storia orale a scuola consente di esplorare temi che spesso il libro di testo non affronta, mette in dialogo generazioni diverse, dà l’opportunità di entrare nel laboratorio dello storico costruendo e interrogando documenti, e accorcia la distanza tra didattica e ricerca portando giovamento a entrambe.
Didattica con le fonti e didattica del testimone
L’uso di voci della memoria nelle scuole di ogni ordine e grado è oggetto di interesse della storia orale italiana fin dagli anni Settanta.[5] Due gli approcci più largamente utilizzati. Il primo coniuga didattica e ricerca, e prevede la raccolta di interviste effettuate in prima persona dagli studenti. Il secondo consiste nell’intervento in aula, una tantum, di testimoni di un determinato periodo/evento storico, spesso in concomitanza con le ricorrenze del calendario civile. Come ha argomentato Bianca Pastori, si tratta di pratiche molto diverse: «l’una dovrebbe essere più orientata all’imparare facendo, alla valorizzazione del percorso più che al risultato; la seconda, invece, risulta incentrata sulla trasmissione di una conoscenza emotivamente ricca e coinvolgente».[6] A questi due approcci, se ne aggiunge anche un terzo, più raro: l’utilizzo di fonti orali d’archivio in progetti didattici che ne prevedono una qualche forma di riuso.
In tutti i casi, le fonti orali possono legare in maniera trasversale diverse discipline, potenziando le competenze di cittadinanza attiva e digitale degli studenti, e intervenendo nel curriculum formativo come metodologia di ricerca, ma anche come approccio partecipativo e interattivo a diverse tematiche inerenti al corso di studi.
Disporsi all’ascolto
Prendendo le mosse dalle due strade indicate da Pastori e dalle diverse e complementari ricadute positive sul processo di insegnamento-apprendimento, si fornirà qualche indicazione per condurre progetti didattici con le fonti orali; premettendo che, come accade nella ricerca scientifica, non si intende proporre degli standard o dei modelli, ma condividere degli strumenti da adattare necessariamente ai diversi contesti di formazione.
In entrambe le circostanze, che si tratti di progetti articolati o di singoli appuntamenti con testimoni, è opportuno costruire un percorso che non inizia e non termina con l’incontro in se stesso, ma che lo precede e lo segue. Come noto, nella pratica della storia orale le interviste sono generalmente ampie: bisogna prendersi del tempo per raccogliere la testimonianza, e ugualmente occorre prendersi del tempo (prima) per predisporsi all’ascolto e (dopo) per elaborare l’incontro, anche sul piano emotivo. Così la raccolta della fonte sarà articolata e maturata in tempi lunghi, necessariamente distesi, anche a scuola.
Una bussola per l’attività didattica
Per prima cosa, è fondamentale che gli studenti elaborino un apparato di questioni che li interessano, a mo’ di “segnavia”,[7] per la conduzione dell’intervista. Non si tratta di formulare un questionario, che irrigidirebbe la conversazione e limiterebbe l’ascolto attivo incatenando il dialogo alle domande predisposte “a freddo”, ma di individuare dei temi che possano nutrire la conversazione, e fornire agli studenti una bussola per muoversi con le voci della memoria nel momento della raccolta. Nel caso in cui sia possibile strutturare un percorso, si vedrà che facendo esperienza, con il procedere del progetto, gli studenti pian piano si distanzieranno dal “segnavia” e acquisiranno sicurezza, aprendo la possibilità di un dialogo che approdi su terreni non individuati in precedenza. D’altronde, la capacità di aprire nuove piste di ricerca e ribaltare i temi dell’indagine è una caratteristica intrinseca della storia orale. Le domande formulate dagli alunni ci parlano di loro, dei loro interessi, dei loro dubbi,[8] delle loro attese verso l’incontro con il testimone.
La figura del docente è chiaramente molto importante in ogni fase: in questo momento preparatorio è indispensabile anche per fornire elementi di conoscenza sulla materia storica, sull’evento, sul periodo per il quale si andrà a sollecitare la memoria dell’intervistato. In seguito la sua presenza sarà piuttosto di carattere orientativo, capace di indirizzare lo studente verso la risoluzione di problemi che nascono nel corso della ricerca[9].
La preparazione dell’incontro riguarda anche l’intervistato, che deve essere informato su come verrà raccolta, trattata e conservata l’intervista. A tal fine, andrà anche predisposta una liberatoria (sul modello di quella proposta nella sezione finale di questo contributo, denominata Strumenti di lavoro) che è opportuno leggere e discutere in classe, come parte formativo-metodologica.
La qualità della registrazione non va sottovalutata: se possibile, è preferibile dotarsi di un buon registratore vocale o – nel caso di videointerviste – di una buona telecamera. A proposito della scelta tra audio e video, bisogna prendere in considerazione una serie di elementi, tra i quali assumono significativa importanza la disponibilità dell’intervistato e il fine della raccolta.[10]
L’attenzione alla qualità della registrazione non è “solo” questione tecnica, ma investe anche la cura del documento che, in effetti, prima dell’incontro, non era neanche ontologicamente fondato: la registrazione che sta necessariamente alla base dell’intervista, di fatto, costruisce la fonte orale: è questa una delle specificità delle fonti orali, nascono nel momento in cui due o più soggettività si incontrano e inter-vistano, in un vero e proprio scambio di sguardi[11].
In linea generale, per valorizzare il carattere soggettivo della fonte orale, sarebbe preferibile raccogliere interviste vis a vis o a piccoli gruppi.
L’accoglienza
Il momento della realizzazione dell’intervista è molto delicato: quando si va a costruire un’intervista si accoglie tutto. Accoglienza è proprio una parola fondamentale della metodologia della storia orale: dal nostro testimone prendiamo ogni parola, anche ciò che non ci piace, anche ciò che non ci interessa specificamente, senza interromperlo o contraddirlo, piuttosto circumnavigando il racconto qualora si renda opportuno.
Di un’intervista non ci interessa solo cosa ci viene raccontato, ma anche come ci viene raccontato: le pause, le omissioni, gli errori, i silenzi, i diversi registri narrativi, gli slittamenti in un’altra lingua o in una diversa varietà linguistica: sono tutti elementi che connaturano la fonte e consentono di interpretarne le sfumature. Per questo l’ascolto attivo, l’osservazione rispettosa e attenta, sono ingredienti fondamentali per una buona intervista: non è lo strumento tecnico a fare la qualità dell’incontro – per quanto occorra prestare attenzione anche a questo fattore, soprattutto a fini conservativi e di riuso della fonte sonora – ma l’empatia dimostrata nelle pratiche ripetute di questa metodologia così delicata, che spesso si apprende solo facendo, sbagliando, ripetendo… in una parola, “sul campo”.[12]
Dopo l’intervista
Un buon lavoro didattico con le fonti orali non si esaurisce, lo si è già anticipato, con l’incontro in sé, ma prevede una fase successiva alla raccolta che è cruciale e che consiste nel riascoltare la registrazione in aula, eventualmente trascriverla,[13] e analizzarla. Sarà qui nuovamente fondamentale l’apporto del docente, in grado di suggerire ipotesi di interpretazione, in un confronto attivo con gli studenti stessi, comparando, possibilmente, quanto emerso dall’intervista con altre tipologie documentarie. L’intenzione auspicata non è di mantenere le voci della memoria distinte dalla storia degli eventi di cui parlano, ma farle dialogare con la storia degli eventi di cui parlano, ricostruita facendo uso anche di altre letture e documenti, al fine di coglierne il valore specifico e collocarlo all’interno di una ricostruzione attenta a non far coincidere storia e memoria, ma a porre queste ultime in relazione. Questo aspetto, affrontato anche durante il workshop al Museo Cervi, ricorda la necessità di usare con cautela le memorie ed evitare che il testimone diventi portatore di “verità storica”. Ciò può avvenire solo con la guida del docente, dal momento che «una testimonianza non rielaborata con l’insegnante, specie se è stata emotivamente forte, può essere controproducente e risultare più “autoritaria” di un manuale di storia tradizionale»[14].
La restituzione
Le interviste si prestano anche a usi creativi: podcast, audiovisivi, mostre, webdoc, solo per citare alcune possibilità. Qualora si scelga di lavorare creativamente sulle fonti orali occorre strutturare il modulo di autorizzazione alla raccolta, all’uso e alla conservazione dell’intervista (la liberatoria) in modo che siano chiaramente contemplati i vari usi previsti.
I documenti prodotti nel corso di progetti didattici centrati sulla raccolta di interviste dovrebbero essere sempre archiviati, auspicabilmente nell’archivio scolastico e, magari, in copia presso uno dei molti istituti diffusi sul territorio nazionale che conservano fonti sonore. La questione non è banale: occorre avere spazi, fisici e/o digitali, per accogliere le fonti (la registrazione e i diversi documenti di corredo prodotti attorno ad essa dunque liberatorie, eventuali schede di corredo, trascrizioni e/o indicizzazioni ecc). Si tratta di fonti particolarmente sensibili che è necessario maneggiare con cura, sempre in accordo con le condizioni di conservazione ed uso stabilite dall’intervistato attraverso la liberatoria.
Rimane almeno un’ultima importante questione: la restituzione. Questo momento rappresenta l’occasione di tornare dagli intervistati e discutere i risultati del lavoro fatto in aula: è qualcosa di più della disseminazione, perché prevede un nuovo coinvolgimento delle persone che hanno donato il loro tempo e i loro ricordi. La restituzione, chiaramente e auspicabilmente, può essere anche pubblica e riguardare dunque altre classi, persone che abitano il territorio sul quale insiste la scuola e pubblici più ampi e variegati. Può dunque diventare un momento di dibattito e condivisione all’interno della comunità scolastica tutta, e un ponte per portare la scuola fuori dai suoi cancelli e connettere ciò che c’è “fuori” e ciò che c’è “dentro” l’istituto.
Suggerimenti per la valutazione
Nelle fasi di preparazione, lavorazione e chiusura dell’UD/Uda sviluppata attorno alla raccolta di fonti orali, sarà utile predisporre una griglia per la valutazione (o meglio, autovalutazione con discussione individuale o collettiva) per gli studenti. Dal momento che l’attività potrebbe inserirsi in un percorso di PCTO oppure in un ambito più strettamente didattico e capace di intersecare discipline diverse, non è possibile stabilire delle griglie uniche o indicative per tutti i casi.
In generale, si tratterà di indicatori formativi, finalizzati a fornire un feedback ai discenti per potenziare i punti di forza e lavorare su quelli di debolezza. I parametri potrebbero essere quelli classici, divisi per conoscenze, competenze ed abilità acquisite. Si suggerisce di evitare l’utilizzo di giudizi numerici e preferire indicatori più ampi, che vadano da una scala da scarso a ottimo, lasciando sempre un largo spazio di discussione per commentare assieme la valutazione attribuita o auto-attribuita dallo studente a sé stesso. Ciò che importa, infatti, più che la valutazione in sé, è la motivazione, il ragionamento che ha portato l’alunno a quella data opinione sul lavoro svolto, ed è su questo punto che potrebbe risultare più incisivo il dialogo con l’insegnante.
Strumenti di lavoro
- Modulo di autorizzazione alla raccolta, conservazione e utilizzo dell’intervista (liberatoria) e Informativa sul trattamento dei dati personali [scarica il pdf]
- Scheda di lavoro per la predisposizione di unità didattiche/unità di apprendimento [scarica il pdf]
Note:
[1] Piano dell’Offerta Formativa, introdotto con il DPR 275/99, art. 3, e oggi PTOF, Piano Triennale dell’Offerta Formativa, diretta evoluzione della Legge 107 del 2015: si tratta del documento costitutivo dell’identità scolastica, in cui si mettono nero su bianco descrizione del contesto in cui si opera, bisogni formativi, progetti, curricula attivati, e anche programmazioni in accordo con il territorio, in un’ottica di scuola aperta e integrata con i servizi, le associazioni, gli enti e realtà esistenti al di fuori e in prossimità dell’istituto stesso.
[2] Documento, firmato da genitori e studenti contestualmente all’iscrizione a scuola, in cui si evidenziano valori e comportamenti che scuola e famiglia intendono promuovere. Le due principali agenzie formative collaborano e operano in sinergia per i traguardi formativi e di competenze dell’alunno. Il riferimento normativo è il DPR 235/2007.
[3] Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento, così come nominati nel 2019, eredi dell’ex Alternanza Scuola-Lavoro (sempre frutto della cosiddetta “Buona Scuola”, L. 107/2015) e attuati nelle scuole secondarie di secondo grado: l’intento è quello di integrare la formazione tradizionale degli studenti con periodi formativi in aziende/enti/associazioni del territorio, o attraverso attività laboratoriali in aula in presenza di esperti o di docenti formati a tal proposito. Per un esempio di PCTO che fa uso anche di storia orale, si veda: Danilo Corradi, Gli archivi scolastici tra didattica e ricerca. Un esperimento di PCTO al Liceo Amaldi di Roma, in Novecento.org, n. 19, giugno 2023. DOI: 10.52056/9791254693872/15.
[4] Cfr. Edgar Morin, La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Milano, ed. Cortina, 1999.
[5] L’AISO e l’Istituto Nazionale “Ferruccio Parri” stanno lavorando su una storicizzazione di queste esperienze, specialmente – ma non esclusivamente – promosse dalla rete degli istituti per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea. I risultati di questa ricognizione saranno presentati durante il convegno Voci liberate. Fonti orali e storia della Resistenza, che avrà luogo presso l’Università di Padova nei giorni 8-10 maggio 2025.
[6] Bianca Pastori, La storia orale a scuola, relazione dell’autrice al seminario Manifesto della Public History of Education: la voce dell’Associazione Italiana di Storia Orale (Bologna, 22 febbraio 2020) pubblicata e consultabile a questo link: https://www.aisoitalia.org/la-storia-orale-a-scuola-la-relazione-di-bianca-pastori/ (ultima visita 1° novembre 2024).
[7] Prendiamo in prestito l’immagine del “segnavia” da Antonio Canovi.
[8] Interessante, in questo senso, un esperimento di peer interviews che ha recentemente coinvolto una classe del liceo classico “Morgagni” di Forlì; si veda: Barbara Bertoncin, La buona pratica dell’intervista, in «Una Città», 304, 2024, https://unacitta.it/it/articolo/2067-la-buona-pratica-dellintervista (ultima visita 7 dicembre 2024).
[9] Freinet utilizza un termine evocativo e noto in pedagogia per designare questo apprendimento “guidato” dal docente: il tâtonnement, procedere a tentoni dell’alunno (nel suo caso, prevalentemente bambini), proprio come fa l’acqua che scorre libera e che necessita di essere incanalata per non disperdersi: così è l’insegnante per la didattica attiva e popolare freinetiana, e così ci sembra sia la postura del docente nei progetti di storia orale nelle classi.
[10] Giovanni Contini ha molto riflettuto sulle specificità dell’uso del video. Si veda, a titolo esemplificativo quanto riportato in: Giulia Nataloni e Giorgia Venerucci, Lo sguardo della storia orale: il percorso delle fonti orali nella narrazione storica, in «Storia e Futuro», 28, febbraio 2012, https://storiaefuturo.eu/lo-sguardo-della-storia-orale-il-percorso-delle-fonti-orali-nella-narrazione-storica/ (ultima visita 7 dicembre 2024).
[11] Si legga a questo proposito Alessandro Portelli, Un lavoro di relazione. Osservazioni sulla storia orale, consultabile a questo link: https://www.aisoitalia.org/un-lavoro-di-relazione/ (ultima visita 6 dicembre 2024).
[12] Nell’ottobre del 2022 il Dipartimento di Studi Umanistici di Ca’ Foscari Università di Venezia, l’AISO, l’Istituto Nazionale “Ferruccio Parri” e l’Istituto per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea della Marca Trevigiana hanno organizzato un convegno su questo tema intitolato Imparare dagli errori. Difficoltà, complicazioni, ripensamenti nella storia orale. Gli Atti del convegno sono stati pubblicati dalla rivista «Acta Histriae», 31-3, 2023,
[13] Sulla trascrizione rimandiamo a: Francesca Di Meo, Roberta Garruccio e Francesca Socrate (a cura di), Scrivere (quasi) la stessa cosa. La trascrizione come atto interpretativo nella pratica della storia orale, Firenze, Editpress, 2022.
[14] Intervista ad Alessandro Casellato a cura di Luisa Bordin, in Quaderno Sulla storia orale della Rete di Geostorie a scala locale, 1, 2020, pp. 14-22, p. 22.