
“C’era una volta la scuola”. Esperienze di laboratorio storico nell’aula della memoria
Aula per la memoria, 1930-40, (Piccolo Museo “C’era una volta la scuola”). Crediti: Antonella Veronesi.
Abstract
L’articolo restituisce l’esperienza di un gruppo di docenti che da vent’anni propone una didattica della storia basata sull’emozione, sull’incontro con le fonti, sulla sperimentazione in prima persona, sulla riflessione e sul confronto fra ipotesi. Nello specifico, racconta di un piccolo museo dentro la scuola primaria di Guastalla (RE), un’aula per la memoria all’interno della quale sperimentare com’era la scuola di tanti anni fa, al tempo dei nonni. Uno spazio privilegiato che al contempo permette di vivere la didattica della storia in modo attivo e laboratoriale, in un contesto nel quale l’approccio allo studio della storia passa attraverso l’incontro con il passato vicino e con la vita del territorio.
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The article recounts the experience of a group of teachers who for twenty years have been proposing a didactic approach to history based on emotion, on encounters with sources, on experimentation in the first person, on reflection and on the comparison of hypotheses. Specifically, it tells of a small museum inside the primary school of Guastalla (RE), the ‘aula per la memoria’ (classroom for memory), in which students can experience what the school was like many years ago, at the time of their grandparents. A privileged space that at the same time allows the teaching of history to be experienced in an active and laboratory way, in a context in which the approach to the study of history passes through the encounter with the near past and with the life of the territory.
Le origini
Nel plesso di scuola primaria di Guastalla centro – Istituto Comprensivo”Ferrante Gonzaga”, in provincia di Reggio Emilia – è presente un piccolo museo, denominato “C’era una volta la scuola” all’interno del quale sperimentare, attraverso la simulazione e l’analisi delle fonti, la scuola al tempo dei nonni. (qui immagine 1)
Si tratta di una realtà quasi “artigianale” di approccio allo studio della storia locale e generale, con importanti opportunità per il coinvolgimento di altre aree disciplinari nell’ ambito sociale, geografico, linguistico. Il termine “artigianale”, semmai ci fosse bisogno di spiegarlo, ha qui un’accezione fortemente positiva, in grado di rendere l’idea di un gruppo di insegnanti che ha letteralmente costruito questo spazio, aprendolo alle classi dell’istituto e del territorio e creando percorsi di didattica della storia fondati sul coinvolgimento emotivo e sull’approccio diretto con le fonti.
Tutto è nato casualmente durante una riorganizzazione degli spazi del plesso scolastico, che ha fatto riemergere i preziosi documenti dell’archivio che affondava le sue radici nella Direzione Didattica formata da diversi plessi di scuola primaria. E’ stato presto chiaro che erano confluiti nel plesso centrale registri dall’anno scolastico 1843-44 al 1970-71, quaderni degli alunni, documenti e materiale di segreteria provenienti dalle scuole rurali del comune di Guastalla che erano stati riposti negli spazi disponibili, senza alcun intento di razionalizzare o catalogare di quel notevole patrimonio di storie, di storia, nel quale si fondevano le esistenze dei cittadini, la vita dell’istituzione scolastica, nonché le vicende nazionali e internazionali di oltre un secolo. Ci si trovava di fronte a un vero e proprio archivio scolastico mai riordinato[1]. Fortunatamente, la Direttrice Margherita Grassi – in carica per più di trent’anni, dal 1923 al 1956 – ha fatto sì che i singoli registri delle varie classi venissero quanto meno accorpati per annualità e ciò ha reso più semplice la consultazione dei documenti e la successiva ricerca di persone e date. Ed è sempre alla precisione, lungimiranza e passione educativa di Margherita Grassi, – donna volitiva, pedagogista attenta e all’avanguardia- che si deve gran parte del patrimonio oggi presente e consultabile nell’archivio scolastico dell’Istituto Ferrante Gonzaga.

Ispettrice, direttrice insegnanti, 1933 circa (Collezione fotografica di Margherita Grassi, Biblioteca Maldotti)
Maestre da museo: la missione
Dopo i primi ritrovamenti fortuiti, la ricerca è continuata. E’ apparso subito chiaro che fosse prioritaria la conservazione di quei documenti che raccontavano la storia della scuola e del territorio. Bisognava mettere ordine, leggere, trovare uno spazio in cui quel patrimonio potesse essere accolto e valorizzato.[2] Si è dunque formato un gruppo di insegnanti sensibili e interessate al tema. Individuato lo spazio idoneo nel plesso scolastico del centro di Guastalla, sentito il parere del dirigente scolastico e del Collegio docenti, il gruppo di colleghi che da allora collabora per mantenere vivo e attivo il piccolo museo di storia, ha recuperato banchi dell’epoca , arredi, materiali e sussidi didattici, .
Inizialmente i primi arredi per l’aula della memoria sono stati cercati e ritrovati nei depositi e nelle soffitte dei diversi plessi dell’Istituto, grazie al prezioso aiuto di alcuni collaboratori scolastici.
Successivamente sono stati interpellati gli Enti Locali (soprattutto comuni) vicini per conoscere l’eventuale presenza e disponibilità di arredi idonei. A mano a mano che il museo accoglieva visitatori, principalmente i genitori degli alunni che venivano a visitare la scuola, il museo ha cominciato a ricevere altre donazioni: una stufa, una macchina da cucire, cartelle, astucci, libri e quaderni. Molti cittadini che in questi anni hanno visitato l’aula del museo, donando materiali cartacei e piccoli elementi di arredo hanno espresso la loro soddisfazione nel pensare che gli oggetti regalati trovassero un’idonea collocazione e potessero concorrere all’educazione e alla formazione dei cittadini di domani.
Piano piano l’aula della memoria ha preso forma, rappresentando potenzialmente quello spazio fisico, ma ancor più concettuale e privilegiato assegnato alla storia locale, il cui approfondimento può essere sviluppato a partire dall’analisi delle tracce del passato che essa offre. È’ peraltro ciò che si evince dalle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione[3] nelle quali si sottolinea l’importanza di realizzare attività didattiche in forma di laboratorio per favorire allo stesso tempo il dialogo e la riflessione su quello che si fa. L’utilizzo delle fonti, infatti, può rivelarsi una scelta vincente per imparare a ragionare e ad acquisire conoscenze significative e ancorate ad un contesto.[4]
Un viaggio sul filo della storia
Nessuna delle docenti coinvolte aveva una specifica preparazione, né esperienze pregresse che potessero guidarci nella scelta e nell’organizzazione delle attività. Ma il fascino che ogni quaderno o registro riemerso da anni di oblio suscitava, hanno presto convinto tutte che utilizzare quei documenti in ambito didattico potesse rappresentare un’opportunità per rendere più significativo ed emotivamente coinvolgente l’approccio allo studio della storia.
Prima di tutto però, sembrava imprescindibile l’allestimento di una vera aula del passato, nella quale, attraverso i vari documenti rinvenuti, potesse prendere vita un approccio laboratoriale alla storia[5], un’esperienza nella quale i bambini potessero immergersi, entrando in uno spazio della memoria dove tutto parlava di un tempo lontano, ma contemporaneamente vicino e conosciuto perché legato a una vicenda viva e forse in parte nota grazie ai racconti dei nonni.
Abbiamo così pensato alla proposta di una vera e propria simulazione che desse ai bambini la possibilità di sperimentare la scuola che avevano frequentato i loro famigliari. Ecco allora i grembiulini da indossare, rigorosamente neri, i fiocchi azzurri e rosa, i quaderni piccoli e anonimi, la scrittura con il pennino, la maestra severa che avrebbe potuto mettere in punizione sui chicchi di mais nascosti dietro la lavagna di legno e ardesia.
Questo “far finta di…” ha aiutato i bambini che hanno vissuto quelle prime esperienze a cogliere le caratteristiche principali della scuola e della società al tempo dei nonni. La simulazione dentro il museo ha permesso quindi di completare un quadro di civiltà che dava agli alunni la possibilità di compiere un piccolo passo indietro nel tempo, mettendo a confronto le loro esperienze scolastiche con quelle di ottanta anni prima. Gli arredi e i documenti rinvenuti sono riconducibili a un intervallo di tempo piuttosto ampio, che comprende il Ventennio fascista e gli anni della Seconda Guerra Mondiale. Tuttavia, confrontando l’aula del museo con le fotografie della collezione di Margherita Grassi[6], e verificando l’enorme quantità di documenti ed elaborati di alunni ritrovati e facenti riferimento a quel periodo, si è ritenuto opportuno collocare l’aula per la memoria negli anni Trenta-Quaranta del secolo scorso.
Le attività che vengono proposte all’inizio dell’esperienza attraverso il museo, spesso alle classi seconde di scuola primaria, prevedono solitamente due momenti, durante i quali gli alunni vengono suddivisi in due gruppi. Mentre il primo gruppo partecipa alla simulazione scrivendo il dettato con il pennino e sperimenta la diversità di un approccio educativo severo e distaccato, grazie all’insegnante che guida la simulazione, nella seconda aula della memoria, di recente allestimento e riconducibile agli anni Sessanta, il secondo gruppo di alunni osserva e riflette su alcune tipologie di documenti e oggetti scolastici del passato, incluse le fotografie delle classi di quel periodo[7], molto utili per stimolare domande e confronti con il presente. Le cose che i bambini di solito,notano immediatamente sono la divisione in classi solo maschili o femminili, il numero molto alto di allievi, gli abiti molto diversi dai loro e piuttosto dimessi che indossavano i bambini e le bambine e le loro espressioni serie, quasi tristi. Queste riflessioni, guidate dalle insegnanti di classe e dai colleghi che organizzano le attività al museo, portano a un confronto con la vita scolastica odierna e inducono le prime riflessioni che trovano successiva conferma nelle interviste che i bambini effettuano in seguito ai nonni. In questo modo si è potuto costruire un primo nucleo di conoscenza del passato, incentrato sulla scuola e sulle sue regole: a quei tempi le bambine e i bambini non avevano molte opportunità per lavorare insieme, le attività potevano essere diverse per maschi e femmine. Di conseguenza gli alunni cominciano a scoprire che i ruoli maschili e femminili erano ben distinti a scuola, nel gioco, nelle attività domestiche eche negli anni Trenta la natalità era molto più alta (è facile il confronto con le classi di oggi). D’altro canto però e, scorrendo i registri di classe, gli alunni possono notare che nella stessa annata erano iscritti bambini di età molto diverse, anche di tre, quattro anni più grandi rispetto alla maggioranza. E che la scuola di allora era selettiva, visto che tanti bambini venivano bocciati, anche più volte mentre molti altri abbandonavano gli studi. Anche la situazione sanitaria è un dato rilevante, con la diffusione di malattie che obbligavano gli alunni a lunghe assenze. I bambini che sperimentano contemporaneamente la simulazione, riferiscono la difficoltà di scrivere col pennino, ma l’estremo piacere nel provare a farlo. Anche gli alunni più vivaci riescono di solito a stare fermi nonostante la rigidità dei banchi di legno e si registra, senza bisogno di richiederlo, un silenzio irreale, un’attenzione profonda e duratura. I registri scolastici offrono molti spunti di riflessione: ogni insegnante, organizzando la visita al museo, chiede di approfondire un particolare argomento per guidare la riflessione all’analisi di alcuni aspetti: il confronto fra le discipline di un tempo e quelle che si insegnano oggi, il mestiere dei padri che si scopre molto legato alla natura agricola e rivierasca dei territori posti lungo il fiume Po. Questo porta gli alunni a cercare i significati di parole nuove quali barcaiolo, mezzadro, affittuario, commerciante, oggi in disuso. Nella seconda parte della mattina, i gruppi si scambiano, in modo che ciascuno dei bambini possa sperimentare entrambe le simulazioni e iniziare a interrogare le fonti. Prima di rientrare nelle loro classi, i gruppi riuniti riflettono sulle scoperte fatte durante le diverse attività. I ragionamenti dei bambini di fronte ai documenti e alla simulazione portano a ragionamenti e a ipotesi che nel lavoro in classe devono essere verificate. Ciò avviene generalmente mediante interviste, letture, o ulteriori ricerche al museo.
Tutti al museo
Ci è sembrato di percorrere la strada tracciata negli studi che qualcuna di noi, nel frattempo, aveva cominciato a portare avanti per acquisire uno sguardo più scientifico sull’esperienza del museo della scuola, dentro la scuola. Abbiamo compreso ogni giorno di più che approcciarsi allo studio della storia attraverso i documenti richiede una progettazione precisa e una definizione scrupolosa degli obiettivi disciplinari. Questo presuppone una conoscenza approfondita dei documenti da parte dell’insegnante e la disponibilità a “sacrificare” un tempo congruo per dare la precedenza al metodo e non solo finalizzare la lezione all’acquisizione di contenuti. L’esperienza al museo per essere significativa doveva passare attraverso una scelta rigorosa dei documenti e un’organizzazione precisa delle attività: quali documenti analizzare? Per quale scopo? Come guidare le riflessioni dei bambini? Dove cercare le risposte alle loro ipotesi? Contemporaneamente ci siamo rese conto che non era possibile con le nostre sole forze dare una struttura organizzata a quella parte di archivio scolastico che era stato rinvenuto e che avevamo solo in parte ordinato attraverso la sistemazione cronologica dei registri delle varie annualità. Eravamo consapevoli che, nonostante la buona volontà e la ricchezza di cui potevamo disporre, la proposta didattica del museo rimaneva molto artigianale, forse un po’ naïf, e avrebbe probabilmente avuto bisogno di persone più preparate di noi. Tuttavia, nonostante le difficoltà e le nostre perplessità, gradualmente l’esperienza al museo ha iniziato a diffondersi richiamando classi degli istituti e dai Comuni vicini che quasi sempre chiedevano di proporre la simulazione fra la fine della classe seconda e l’inizio della classe terza, prima dell’approccio allo studio della storia generale. L’esperienza nell’aula della memoria e l’analisi delle fonti che si andava pian piano delineando, hanno destato un grande interesse fra gli alunni e gli insegnanti che venivano a vedere il piccolo museo del nostro Istituto.
La positività dei primi riscontri e la successiva scoperta di ulteriori documenti di vario genere, ci ha indotto ad ampliare le nostre proposte didattiche introducendo la lettura di altre fonti da affiancare all’esperienza di simulazione per completarne le conoscenze, mostrando al tempo stesso quanti potessero essere gli interrogativi a cui dare risposta e i contenuti da esplorare attraverso lo studio dei documenti rinvenuti. La ricchezza delle fonti presenti all’interno del museo consente davvero di documentare numerosi e diversi aspetti della vita scolastica e sociale del periodo storico individuato, offrendo tra l’altro la possibilità di una viva interdisciplinarità, non solo per la scuola primaria e non solo per le prime classi. Il ritrovamento del “Quaderno dei vocaboli” di un’alunna di classe terza, ha indotto, ad esempio, a proporre una lettura comparata dei vocaboli ritenuti difficili negli anni Trenta, vocaboli che la bambina disegnava e spiegava con la guida dell’insegnante, con quelli che compaiono oggi nei nostri dizionari. Le riflessioni che scaturiscono da queste attività mostrano i cambiamenti della lingua italiana nel tempo evidenziando i legami che la scuola aveva allora con la vita politica del Paese.
Registri scolastici, pagelle, quaderni, monografie sulle frazioni del Comune, libri di lettura, sussidiari, dizionari, circolari e appunti di segreteria, fotografie, cartelle, astucci, accessori di vario genere, riviste, poster… Siamo di fronte a un potenziale laboratorio storico nel quale trova spazio un’idea o modalità complessiva e fortemente innovativa dell’approccio alla disciplina e della mediazione didattica come tensione alla scoperta, alla ricerca di risposte che rendono gli alunni protagonisti del loro apprendimento. Nel museo i bambini si avvicinano allo studio della storia lavorando in piccoli gruppi e interrogando direttamente le fonti. Vengono predisposte domande guida che sostengono gli alunni nella lettura dei documenti e li spingono a capire e ad agire in prima persona. L’insegnante accoglie i loro dubbi, li riformula, sollecita ipotesi, propone la ricerca di conferme. La conoscenza si costruisce insieme, ripercorrendo in modo del tutto semplificato, ma significativo l’azione dello storico.
Negli anni il gruppo di lavoro, attraverso Progetti approvati dal Collegio Docenti, ha elaborato percorsi didattici e unità di apprendimento che potessero coinvolgere più discipline e più classi. L’educazione civica, l’educazione al patrimonio ambientale, il cambiamento della lingua italiana, l’evoluzione nell’insegnamento dell’ aritmetica, sono solo alcuni degli ambiti della conoscenza che è possibile approfondire interrogando le fonti presenti al museo.
Riguardo ad esempio al Giorno della Memoria, l’archivio scolastico consente l’accesso a documenti sulla situazione di alunni e docenti ebrei che furono espulsi in seguito alle leggi razziali[8]. La grande storia pervade le vicende e costituisce lo sfondo della quotidianità di quei bambini che hanno calpestato ieri i corridoi della nostra scuola, gli stessi che li vedono correre oggi. Le circolari del Provveditorato agli Studi documentano il censimento e la successiva espulsione dei docenti e dei bambini ebrei dalle scuole. I registri scolastici riportano i nomi di alunni ebrei che, nati nel nostro paese, Guastalla, hanno vissuto e sfidato la follia del regime fascista per finire deportati ad Auschwitz e morire nelle camere a gas. Queste vite reali che, pian piano, negli anni, le insegnanti del museo hanno imparato a conoscere, ci ricordano che la storia siamo noi[9] e questo ci conduce immediatamente allo stretto rapporto che intercorre fra lo studio della storia e l’educazione civica, intesa come costruzione del senso di sé dentro una comunità che si forma e vive grazie alle scelte dei singoli e al confronto con l’altro da sé.
Conclusioni
Il museo “C’era una volta la scuola” rappresenta un piccolo baluardo che valorizza l’importanza della memoria e pone l’accento sulla storia di una comunità. Svolge questo suo umile servizio cercando di favorire l’incontro fra il passato del territorio e le nuove generazioni, ma anche organizzando, in occasioni particolari, momenti di apertura alla cittadinanza in cui ritrovare luoghi della memoria e ricordi. Proviamo a portare avanti importanti obiettivi didattico educativi fra dubbi e incertezze, costruendo le nostre proposte con grande passione, traendo forza dall’affetto che i bambini e gli adulti hanno dimostrato in tutti questi anni per le aule della memoria e continuando a credere nella possibilità di costruire insieme ai bambini un sapere condiviso e denso di significati .
Note:
[1] Per approfondire il tema degli archivi scolastici si veda sempre su questa rivista E. Serafini, Gli archivi scolastici tra conservazione, ricerca e didattica, in “Novecento.org”, n. 19, giugno 2023. DOI: 10.52056/9791254693872/09.
[2] Si veda ancora E. Serafini, Gli archivi scolastici tra conservazione, ricerca e didattica, in “Novecento.org”, n. 19, giugno 2023. DOI: 10.52056/9791254693872/09.
[3] Miur, Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione Firenze, 2012.
[4] Un’esperienza interessante di didattica con le fonti su un archivio scolastico è stata raccontata da Danilo Corradi in D. Corradi, Gli archivi scolastici tra didattica e ricerca. Un esperimento di PCTO al Liceo Amaldi di Roma, in “Novecento.org”, n. 19, giugno 2023. DOI: 10.52056/9791254693872/15 e da Gianluca Gabrielli e Carla Carpigiani in C. Carpigiani e G. Gabrielli, Storia della (propria) scuola tra didattica, public history e citizen history, in “Novecento.org”, n. 21, giugno 2024. DOI: 10.52056/9791254696965/15.
[5] A. Delmonaco, Il laboratorio di storia, in F. Monducci, A. Portincasa, Insegnare storia nella scuola primaria, Il laboratorio storico e altre pratiche attive, Milano 2023.
[6] Collezione fotografica di Margherita Grassi, Biblioteca Maldotti, Guastalla.
[7] Alcuni possibili esiti di un’attività didattica sulle foto, anche di un archivio scolastico, è raccontata in I. Zoppi, La seconda vita delle immagini dall’archivio al web. Una proposta didattica, in “Novecento.org”, n. 15, febbraio 2021. DOI: 10.12977/nov376.
[8] Alcune attività didattiche molto interessanti sono delineate in A. Marchiori e C. Brusco, Storie e luoghi della presenza ebraica a Verona, in “Novecento.org”, n. 17, giugno 2022. DOI: 10.52056/9791254691090/23 e in N. Quarenghi, Vietato studiare, vietato insegnare, in Novecento.org, n. 15, febbraio 2021. DOI: 10.12977/nov388.
[9] Il riferimento è ovviamente al testo del celebre brano di Francesco De Gregori, La storia, traccia n. 1 dell’album Scacchi e Tarocchi pubblicato nel 1985.