Select Page

Il calcio tra fascismo e Resistenza. La storia di Bruno Neri, da mediano a combattente antifascista.

Il calcio tra fascismo e Resistenza. La storia di Bruno Neri, da mediano a combattente antifascista.
Testo esperto

Sappiamo quanto lo sport in generale, compreso il calcio, abbia contribuito al successo dell’immagine del fascismo durante gli anni ’20 e ’30, attraverso l’accorta politica propagandistica del regime, il pieno controllo degli organi della Figc, del Coni, delle federazioni sportive, dei principali giornali sportivi quali la Gazzetta e il Corriere dello Sport. Gli stadi in particolare divennero veri e propri “teatri di massa”, dove si radunavano folle oceaniche cui poteva facilmente rivolgersi la propaganda del regime, che si esprimeva anche attraverso gesti simbolici come l’imposizione dell’obbligo del saluto romano prima dell’inizio delle partite. Ma lo sport ha combattuto anche la sua Resistenza e per averne delle prove occorre ricercare le fonti documentarie, anche attraverso la memorialistica, in grado di sottrarre dall’oblio atleti che hanno onorato lo sport senza rinunciare alla propria dignità di uomini, che hanno saputo compiere scelte coraggiose, pagandone fino in fondo le conseguenze.

Il primo episodio assai eloquente che vede protagonista il nostro calciatore è riassunto in una immagine fotografica. Era il 10 settembre del 1931, a Firenze si inaugurava l’avveniristico stadio progettato dall’ingegnere Pier Luigi Nervi, intitolato alla squadrista Giovanni Berta. In campo per una amichevole la squadra viola, in cui militava Bruno Neri, contro il Montevarchi.
Come si può vedere nell’istantanea, riportata nei documenti proposti, Neri è l’unico tra i giocatori allineati sul campo prima del fischio d’inizio a non fare il saluto fascista. Un bel coraggio, non c’è che dire.

Bruno Neri era passato due anni prima, per diecimila lire, dal Faenza (sua città natale) alla società gigliata del conte Ridolfi, che aveva finanziato la costruzione dello stadio di Campo di Marte, oggi Artemio Franchi. A Firenze sarebbe rimasto fino alla stagione 1935-36, collezionando circa duecento presenze e realizzando un solo gol. In maglia viola le sue pregevoli doti da mediano furono apprezzate anche da Vittorio Pozzo che lo volle prima nella nazionale B e poi lo fece esordire in quella maggiore il 25 ottobre del 1935, in uno scontro con la Svizzera, valido per la Coppa Internazionale e vinto dagli azzurri per 4-2. Nonostante fosse un ottimo mediano di interdizione, Nerì collezionò solo tre presenze in nazionale. Dopo la Fiorentina vestì per una sola stagione la casacca rossonera della Lucchese, allenata dal grande tecnico ungherese Ernest Erbstein, con il quale vivrà in seguito due esaltanti stagioni nel Torino, dove giocherà per complessivi tre campionati, fino al 1940, per poi far ritorno al suo Faenza. Andò molto peggio ad Erbstein, che all’undicesima giornata del campionato 1938/1939, quando il suo Torino era primo in classifica davanti ai campioni d’Italia dell’Ambrosiana (come era stata autarchicamente rinominata Internazionale), venne convocato in questura: era il 18 dicembre 1938, e le vergognose leggi razziali fasciste imponevano ad un cittadino straniero di origine ebraica l’abbandono del nostro Paese. Anche le sue figlie, pur battezzate, furono costrette a lasciare la scuola, come migliaia di altri studenti ebrei. Due mesi più tardi stessa sorte toccherà ad un altro grande allenatore, Árpád Weisz, che aveva guidato il Bologna alla vittoria di due scudetti consecutivi, tra il 1935 e il 1937. Due tecnici che avevano riportato grandi risultati calcistici e che, come nel caso di Weisz, avevano inventato gli “schemi”, rivoluzionando il modo di giocare in senso moderno, sparirono letteralmente senza che nessuno in Italia sentisse la necessità di difenderli o, almeno, ricordarli. Quando poche settimane dopo l’allontanamento di Erbstein dal Torino, Vittorio Pozzo, il commissario tecnico della Nazionale osservò che la squadra granata avrebbe dovuto lavorare ancora molto per tornare al gioco brillante che le aveva dato il tecnico magiaro, non fece alcun riferimento al motivo razziale che lo aveva costretto a lasciare la guida della squadra[1]. L’indifferenza, ancor più che l’antisemitismo, fu il sentimento prevalente con cui la maggior parte degli italiani, purtroppo, assistette all’applicazione delle leggi razziali.[2]

Ma torniamo al nostro calciatore faentino. Amante dell’arte e della poesia, Bruno Neri quando non era in campo si dedicava a promuovere incontri culturali, oppure se ne andava con gli amici poeti per mostre e musei. Durante gli anni in riva all’Arno frequentò lo storico caffè letterario delle Giubbe Rosse in piazza della Repubblica dove poteva incontrare Mario Luzi, Piero Bigongiari, Alessandro Parronchi, Eugenio Montale. Dopo l’armistizio del 1943 e mentre disputava il campionato dell’Alta Italia col Faenza, Neri scelse la militanza antifascista arruolandosi nella Brigata Ravenna con il nome di battaglia Berni.
Così riassume la sua adesione alla lotta partigiana lo storico Sergio Giuntini:

Tramite il cugino Virgilio Neri, aderì all’«Organizzazione Resistenza Italiana» (ORI): un movimento che, sotto la spinta precipua dell’«azionista» Raimondo Craveri, si era costuito il 15 novembre 1943. In stretta connessione con l’OSS (Office of Strategic Service) americano e il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), l’ORI si poneva il compito di raccogliere informazioni e svolgere azioni di sabotaggio a favore dei resistenti e, in questo contesto, sorse per l’appunto il Battaglione «Ravenna», la formazione partigiana di Neri. Il «Ravenna» doveva posizionarsi e agire nella zona compresa tra il campo d’azione del gruppo comandato dal leggendario – anch’egli a suo tempo calciatore del Faenza – Silvio Corbari (Tradozio-Modigliana-San Valentino) e la trentaseiesima Brigata «Bianconcini» (Vallata della Sintria e Monte Faggiola); insomma assolvere a un ruolo strategico e combattente oltremodo significativo a ridosso della Linea Gotica. Del Battaglione «Ravenna» Neri, che per nome di battaglia assunse quello di «Berni», divenne il vicecapo lasciandone il comando al più militarmente esperto Vittorio Bellenghi («Nico»), un ex ufficiale del Regio esercito nato a Faenza il 7 marzo 1916. Due compagni inseparabili, accomunati anche nel sacrificio estremo. In particolare, il «Ravenna» si segnalò nel recupero di vari aviolanci alleati. Una prima volta, il 10 giugno 1944, sul Monte Castellaccio, quindi in un’analoga operazione il 23 giugno successivo e, infine, preparandosi per un lancio previsto tra il 16 e il 20 luglio ’44 sul Monte Lavane. Giusto in vista di quest’azione, il 10 luglio 1944, all’Eremo di Gamogna in prossimità di Marradi, perderà eroicamente la vita il partigiano-calciatore.

Nel 1946 il consiglio comunale di Faenza gli intitolò lo stadio, ma negli anni la memoria del calciatore-partigiano non è andata perduta. Così recita la lapide, dedicatagli nel 1955 dalla sua città natale, Faenza:

Bruno Neri comandante partigiano caduto in combattimento a Gamogna
il 10 luglio 1944, dopo aver primeggiato come atleta nelle sportive
competizioni rivelò nell’azione clandestina prima, nella guerra guerreggiata poi,
magnifiche virtù di combattente e di grande esempio e monito per le future generazioni

Di seguito, un’indicazione di documenti, canzoni, spettacoli teatrali che ricordano il comandante Berni e che possono essere utili per un percorso laboratoriale su calcio e Resistenza.

  • Massimo Novelli “Il calciatore partigiano” (Graphon, 2002)
  • la band-rock Totozingaro Contromugno ha dedicato a Bruno Neri il brano “L’ultimo tackle”,
  • un testo di Lisandro Michelini ha ispirato il lavoro teatrale di Beppe Turletti che poi è stato portato in scena dalla compagnia Faber di Chivasso per la regia di Aldo Pasquero e Giuseppe Morrone.
  • La famosa canzone di Ligabue, “Vita da mediano”, può essere utile per lavorare con gli studenti sull’importanza del gioco collettivo nel calcio, della funzione necessaria di ciascun giocatore, compresi i mediani, in una società che inneggia solo i campioni, i “palloni d’oro”. E per trasposizione, si potrebbe ragionare sull’importanza dei cosiddetti “gregari” in generale, nello sport come nelle bande partigiane, pensiamo solo all’importantissimo ruolo delle staffette.
Bibliografia e sitografia
  1. Canella – S. Giuntini (a cura di), Sport e fascismo, Franco Angeli, Milano 2009
  2. Giuntini, Sport e Resistenza, Sedizioni, 2014

Massimo Novelli Il calciatore partigiano, Graphon, 2002.

Paul Dietschy “Lo sport fascista nell’Europa degli anni Trenta”, Pagina Uno, rivista di critica del mondo contemporaneo, n.43 giugno-settembre 2015, disponibile sul sito http://www.rivistapaginauno.it/Paginauno43pdfsito.pdf (l’articolo riporta l’incontro-dibattito tenuto da Dietschy al Liceo Candiani Bausch di Busto Arsizio).

Emanuele Santi http://www.left.it/2015/04/26/comandante-bruno-neri-presente/

Spettacolo http://www.faberteater.com/bruno_neri.htm

Testo per gli studenti

Sappiamo quanto lo sport in generale, compreso il calcio, abbia contribuito al successo dell’immagine del fascismo durante gli anni ’20 e ’30, attraverso l’accorta politica propagandistica del regime, il pieno controllo degli organi della Figc, del Coni, delle federazioni sportive, dei principali giornali sportivi quali la Gazzetta e il Corriere dello Sport. Gli stadi in particolare divennero veri e propri “teatri di massa”, dove si radunavano folle oceaniche cui poteva facilmente rivolgersi la propaganda del regime, che si esprimeva anche attraverso gesti simbolici come l’imposizione dell’obbligo del saluto romano prima dell’inizio delle partite. Ma lo sport ha combattuto anche la sua Resistenza, come dimostra la vicenda del calciatore Bruno Neri.

Il primo episodio assai eloquente che lo vede protagonista è riassunto in una immagine fotografica. Era il 10 settembre del 1931, a Firenze si inaugurava l’avveniristico stadio progettato dall’ingegnere Pier Luigi Nervi, intitolato alla squadrista Giovanni Berta. In campo per una amichevole la squadra viola, in cui militava Bruno Neri, contro il Montevarchi. Come si può vedere nell’istantanea, riportata nei documenti proposti, Neri è l’unico tra i giocatori allineati sul campo prima del fischio d’inizio a non fare il saluto fascista. Un bel coraggio, non c’è che dire, in anni in cui il consenso al fascismo era molto alto e qualsiasi forma di insubordinazione al regime era punita con la galera o il confino. Inoltre, quando non era in campo, Bruno Neri si dedicava a promuovere incontri culturali, oppure se ne andava con gli amici poeti per mostre e musei. Durante gli anni in riva all’Arno frequentò lo storico caffè letterario delle Giubbe Rosse in piazza della Repubblica, dove poteva incontrare scrittori e poeti quali Mario Luzi, Eugenio Montale, Dino Campana.

Ma la decisiva svolta antifascista sarà quella messa in atto dopo l’8settembre 1943, quando si formarono le prime bande partigiane. Tramite il cugino Virgilio Neri, aderì all’«Organizzazione Resistenza Italiana» , un movimento che si era costituito il 15 novembre 1943 e che si poneva il compito di raccogliere informazioni e svolgere azioni di sabotaggio a favore dei resistenti nella zona a ridosso della Linea Gotica. In questo contesto, sorse il Battaglione «Ravenna», la formazione partigiana di cui Neri, che per nome di battaglia assunse quello di «Berni», divenne il vicecapo lasciandone il comando al più militarmente esperto Vittorio Bellenghi («Nico»), un ex ufficiale del Regio esercito nato a Faenza il 7 marzo 1916. Due compagni inseparabili, accomunati anche nel sacrificio estremo. In particolare, il «Ravenna» si segnalò nel recupero di vari aviolanci alleati[3] Una prima volta, il 10 giugno 1944, sul Monte Castellaccio, quindi in un’analoga operazione il 23 giugno successivo e, infine, preparandosi per un lancio previsto tra il 16 e il 20 luglio ’44 sul Monte Lavane. Giusto in vista di quest’azione, il 10 luglio 1944, all’Eremo di Gamogna in prossimità di Marradi, perderà eroicamente la vita il partigiano Berni.

DOSSIER

Documento 1

Dalle Terme di Caracalla allo stadio Littoriale di Bologna

“L’idea di costruire un grande stadio a Bologna mi venne visitando le Terme di Caracalla e dalla convinzione profonda, radicata in me da molti anni, che lo sport sia il migliore dei mezzi per dare alla nostra gioventù una sana educazione morale e nazionale oltre che fisica. E’ quindi il Littoriale non un circo atto solo a spettacoli, ma un centro di vitalità, una scuola, una palestra. Necessità di vita del complesso organismo obbligano a farlo servire, nei giorni festivi, da teatro per i grandi spettacoli; ma la miglior vita al Littoriale si svolge nei giorni feriali, poiché la sua vera funzione, quella per la quale è stato costruito, è l’ospitalità larga e completa, l’offerta di tutti i mezzi necessari ai giovani che vogliono e debbono crescere alla scuola virile del Fascismo. Così, più spesso che per assistere a grandi partite, io sono al Littoriale per vedere i ragazzi delle scuole di Bologna che a migliaia già si alternano sul prato verde nelle loro sane e proficue esercitazioni, per seguire gli allenamenti nell’atletica, nel nuoto, nella scherma, nel calcio, in tutti gli sport insomma, dei neofiti, i quali stanno già avviandosi a costruire anche a Bologna una delle falangi dalle quali non solo balzeranno i campioni destinati ai trionfi nelle Olimpiadi, ma anche i forti soldati temprati a tutte le battaglie della vita nazionale”

(Leandro Arpinati racconta la nascita dello stadio Littoriale di Bologna, ora “Stadio Renato Dall’Ara”, inaugurato il 31 ottobre 1926, in Lo sport fascista, 1928, fascicolo 1)


Documento 2

Un mediano è obbligato a correre a perdifiato, a conquistare palloni, cerniera tra la difesa e l’attacco: un mediano deve coprire il suo terzino, ma deve essere pronto a rilanciare l’azione, a far partire l’ala. Deve tenere la testa alta. Essere vigile. Pronto. Forse per questo Bruno Neri fuori dal campo si dedicava alla poesia, agli incontri culturali con scrittori, poeti, attori. Per cercare l’ispirazione da mettere poi in campo. La sua vita, trascorsa lungo le sponde di quattro fiumi: il Lamone, l’Arno, il Serchio, il Po, porta lui, calciatore, ad incontrare i sentieri della poesia di Dino Campana, Montale, Pavese. Ma la partita più importante deve ancora venire. Una volta lasciata la maglia di mediano percorre i sentieri aspri della montagna della Toscana romagnola, per affrontare l’avversario più difficile, l’invasore nazista, per l’ultima, infinita, partita.

(Faber Teater, compagnia teatrale che ha messo in scena lo spettacolo “Bruno Neri Calciatore partigiano, disponibile su http://www.faberteater.com/bruno_neri.htm).


Documento 3

Comandante partigiano, nome di battaglia Berni

«Interrogammo la popolazione del luogo e da un colono che disse di essersi trovato presente al fatto apprendemmo quanto segue: Vittorio Bellenghi e Bruno Neri si dirigevano verso Gamogna, quando nei pressi del cimitero della parrocchia suddetta, nel luogo dove il sentiero che vi conduce forma una svolta che impedisce di vedere la strada che divide Gamogna dalla valle, s’imbattevano in un gruppo di una quindicina di tedeschi che salivano il monte. Vittorio e Bruno, imbracciato il mitraglione, imponevano ai tedeschi di allontanarsi: questi, fatti pochi passi indietro, trovano riparo dietro a un terrapieno situato sul lato destro della strada ed aprono immediatamente il fuoco. Il testimone dice che Bruno e Vittoriosi gettarono a terra e risposero con le loro armi ma ebbe l’impressione che fossero stati colpiti fin dai primi spari. Il combattimento non durò a lungo e, data la breve distanza ed il posto scoperto dei nostri, fu impossibile una lunga difesa. Ricorda solo di aver visto che uno di essi, forse Bruno Neri, colpito alla testa, si rivoltava su se stesso, sparava ancora due colpi e rimaneva immobile. Bellenghi e Neri si erano allontanati dal nostro reparto per accertarsi personal mente della possibilità di farci attraversare la strada che i tedeschi stavano costruendo da Marradi a San Benedetto in Alpe, per poterci recare a Monte Lavane per recuperare un aviolancio».

(da una relazione stesa da Vincenzo Lega, Commissario di Stato Maggiore del battaglione «Ravenna», cit. in Sergio Giuntini, Sport e Resistenza, in Patria indipendente, 23 giugno 2002, pag.30-31

http://www.anpi.it/media/uploads/patria/2002/6/30-31%20.%20Giuntini.pdf )


Documento 4

Bruno Neri e le maglie della Nazionale in uso fra 1934 e 1938 con i simboli di Casa Savoia e il fascio littorio       

fotografia scattata in Italia (o in territorio italiano) ed è ora nel pubblico dominio poiché il copyright è scaduto" href="//it.wikipedia.org/wiki/File:BrunoNeri.jpg">Pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=3049678

Pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=3049678

10 settembre 1931 allo stadio “Berta” di Firenze, squadra della Fiorentina, Bruno Neri è l’unico calciatore a non alzare il braccio nel saluto fascista.

              

Vittoria ai mondiali del 1934

Vittoria ai mondiali del 1938

 


Documento 5

Prima di tutto, la politica sportiva del regime significa la fine della società civile dello sport, ossia dello sport come è stato concepito dall’inizio del Novecento sul modello inglese: un’armata di volontari, di persone che si riuniscono in associazioni e non chiedono nulla allo Stato, volendo essere indipendenti. In secondo luogo, con la prima politica sportiva statale il regime fascista

dà l’avvio all’entrata dello Stato nello sport. Terzo punto, questa politica significa anche un cambiamento del concetto di internazionalismo sportivo, nato con de Coubertin e l’organizzazione dei primi Giochi olimpici dell’era moderna nel 1896 ad Atene. Fino a quel momento l’internazionalismo sportivo ha come scopo la fratellanza tra i popoli, la pace – anche se

c’è un aspetto meno idilliaco, che è l’idea di voler costruire una gerarchia tra i popoli –; il fascismo lo trasforma in ambizione di vittoria, vincere è tutto, e in più mescola i simboli nazionali con quelli dell’ideologia fascista.

(Paul Dietschy, Lo sport fascista nell’Europa degli anni Trenta. Modello, sfida, mezzo di controllo e cultura del consumo, Paginauno, n.43 – giugno/settembre 2015, pp. 30-31)


Documento 6

“Assai maggiore fu il battage fascista in occasione della Coppa del Mondo del 1938. Tanto più che tra il pubblico delle partite erano numerosi i fuoriusciti politici italiani, che a Marsiglia, in occasione dell’incontro che ci oppose alla Norvegia, attuarono una clamorosa protesta contro il regime, mentre nell’opinione pubblica transalpina era ancora vivo il risentimento per le dichiarazioni antifrancesi pronunciate da Mussolini il 14 maggio 1938. Fu allora che la presenza della squadra italiana in terra d’oltralpe assunse una accentuata valenza politica eche la vittoria finale della Coppa fu esaltata, al di là del merito sportivo, come espressione di una superiorità non solo morale, ma anche etnica degli italiani, alla vigilia del Manifesto della razza”

Spiegazione dei materiali per lo studio di caso

I testi sono stati selezionati da fonti giornalistiche d’epoca, da volumi specialistici e da articoli pubblicati e disponibili on line.

Il documento 1 propone uno scritto di Leandro Arpinati in cui il leader del fascismo bolognese e massima autorità calcistica in quanto presidente della Fgci all’epoca in cui scrive riconnette l’architettura dello stadio Littoriale alla romanità, motivo che ritorna nelle parole e nei simboli del fascismo applicati al calcio. Il testo evidenzia la doppia natura della struttura, teatro attivo e passivo di sport, sottolineandone la vocazione “circense” e spettacolare accanto alla dimensione dell’educazione fisica della gioventù, che si riflette anche nella distinzione fra “campioni” e “soldati”. E’ il testo in cui si conferma che il fascismo non privilegiava il calcio tra gli sport, ma ne assecondava il successo popolare cercando di appropriarsene.

Il documento 2 è tratto dal lavoro su Bruno Neri della compagnia Faber Teater che, come si può leggere sul loro sito, affianca all’attività artistica e a quella organizzativa, l’attività pedagogica. La compagnia teatrale, nata nel 1995 a Chivasso, ha tra l’altro allestito spettacoli dedicati alla figura di Giacomo Matteotti e alle bambine della città-ghetto di Terezin.

Il documento 3 propone un breve ritratto delle ultime ore del partigiano “Berni”, tratto dalla ricostruzione dello storico Sergio Giuntini.

Il documento 4 presenta alcuni simboli del fascismo imposti al calcio. Le maglie della Nazionale hanno come primo colore l’azzurro di Casa Savoia e come secondo colore il nero del fascismo; si fregiano della croce sabauda sormontata dalla corona ma anche del fascio littorio. Prima di ogni partita è obbligatorio il saluto romano, raffigurato anche nei manifesti e nei francobolli commemorativi degli eventi calcistici, come il campionato mondiale del 1934. L’investimento propagandistico del regime riguarda tutti gli strumenti di comunicazione di messaggi sportivi legati al calcio; si noti nel francobollo delle poste coloniali anche il riferimento all’architettura classica e la presenza del fascio littorio.

Il documento 5 propone un estratto da un recente articolo dello storico francese Paul Dietschy, specializzato nella storia dello sport, in particolare del calcio (tra le sue pubblicazioni: Histoire du football, Paris, Éditions Perrin, 2010). L’articolo è la trascrizione di un incontro-dibattito cui ha partecipato Dietschy, presso il Liceo Candiani Bausch di Busto Arsizio il 15 febbraio 2015, quindi con un taglio preminentemente didattico-divulgativo.

Il documento 6 riporta un estratto da un saggio di Antonio Papa Football e littorio, in Maria Canella e Sergio Giuntini (a cura di), Sport e fascismo, Milano, Franco Angeli, 2009

Attività didattica
  1. Contestualizzazione

– Ricava dal manuale gli eventi più importanti dall’avvento del fascismo alla Resistenza e costruisci una retta cronologica. Affiancala ad un’altra retta, nella quale inserirai, al posto giusto, i documenti qui citati. Cerca i possibili collegamenti fra eventi storici e documenti.

  1. Rapporto fra testo e documenti

– Sia nel testo sia in alcuni dei documenti proposti si evince l’importanza del calcio e dello sport in generale da parte delle gerarchie fasciste: rintraccia nella documentazione gli elementi a sostegno di questa affermazione.

– Prova a descrivere, sulla base del testo e dei documenti, la figura di Bruno Neri.

  1. Lavoro sui documenti

– Partendo dall’affermazione in base a cui il fascismo si è appropriato del calcio e prendendo in considerazione i materiali proposti, scrivi un breve paragrafo di illustrazione del rapporto fra il calcio e il regime fascista. Ci sono altri documenti che hai trovato che forniscono informazioni su questo argomento?

– Nel documento 6 si fa riferimento ad un discorso pubblico che Mussolini tenne a Genova il 14 maggio 1938. Approfondisci e cerca anche on line riferimenti ai contenuti di quel discorso.

  1. Integrazione del testo

– Nel documento 5 si dice che già nel periodo prefascista (caratterizzato dall’affermazione dei nazionalismi) le olimpiadi venivano viste come uno strumento per costruire una gerarchia tra i popoli. Prova a spiegare se ai giorni nostri le grandi manifestazioni sportive nelle varie discipline (dagli europei e mondiali di calcio alle olimpiadi) ti sembrano ancora connotate da elementi simili.

– Nel documento 6 si fa riferimento all’imminenza della pubblicazione del Manifesto della Razza. Indica quando fu pubblicato e spiega quali conseguenze pratiche ebbe sulla sorte della popolazione ebraica italiana.


Note

[1] Per la vicenda che riguarda Erbstein, Weisz, ma anche la toccante vicenda del calciatore Matthias Sindelar nell’Austria annessa alla Germania hitleriana, si veda G. Cerutti, La svastica allo stadio, storie di persecuzioni e di resistenza nel mondo del calcio sotto il nazismo”, A, rivista anarchica mensile, nn. 374,375,376,377 ottobre 20012-febbraio 2013.

[2] Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz, ha scritto: “Vivevamo immersi nella zona grigia dell’indifferenza. L’ho sofferta, l’indifferenza. Li ho visti, quelli che voltavano la faccia dall’altra parte. Anche oggi ci sono persone che preferiscono non guardare”.

[3] Dopo l’8 settembre 1943, uno dei principali problemi dei partigiani erano i rifornimenti di armi e di munizioni indispensabili per gli attacchi ai nazifascisti e per la difesa dai rastrellamenti che gli stessi nazifascisti organizzavano periodicamente. Dalla primavera del 1944, gli Alleati rifornivano, tramite i servizi segreti americani Oss(Office of strategic service) ed inglesi MI5 (Military Intelligence Service 5), le forze partigiane mediante aviolanci.