Il divorzio. Quando la società italiana cambiò radicalmente
Abstract
Il percorso permette di affrontare il tema del divorzio e della sua introduzione in Italia (legge 898 del 1970) cui seguì una dura battaglia referendaria che il 12 maggio 1974 portò a un esito sorprendente, dimostrando il cambiamento profondo del paese rispetto alle ideologie e alle posizioni dei partiti tradizionali. La vittoria dei no non solo siglò l’affermazione del fronte divorzista ma rivelò un’Italia avviata sul cammino delle conquiste dei diritti civili e della parità di genere, come attesta anche la Riforma del Diritto di Famiglia del 1975 (L.151/1975). Un terremoto provocato dalla mobilitazione della società civile e dei movimenti delle donne ma che traeva la sua forza e origine dall’art.3 della nostra Costituzione.
Tempo di svolgimento: 4 ore
Elenco dei materiali
Doc. n. 1 – Manifesti a favore del divorzio Doc. n. 2 – Manifesti contro il divorzio Doc. n. 3 – I risultati del voto, le statistiche. Due referendum a confronto. Doc. n. 4 – Comizi d’amore – doc- film 1965 Pasolini, alcune interviste
Testo esperto per docenti
Dell’indissolubilità del matrimonio. Il dibattito nella Costituente
Nell’ottobre del 1946, quando il tema famiglia irrompe nella discussione dell’Assemblea Costituente, l’Italia è un paese costellato di macerie per le rovine morali e materiali del dopoguerra. Un paese ferito e umiliato da una guerra che non ha voluto, ma le cui conseguenze sono state per tutti immancabilmente fame, lutti, dolore, anche per quella guerra civile combattuta fra italiani dopo l’8 settembre che ha esasperato la spaccatura fra un Nord che ha vissuto la Resistenza militare e un Sud sfiorato solo in parte dalla guerra partigiana, benché teatro di tante prove generose e inconfutabili di opposizione alla guerra e al fascismo.
Per i democristiani diritti e doveri della famiglia sono «il problema fondamentale di tutta la Costituzione» perché, al di là di qualunque interesse politico o di partito, il nucleo familiare è una comunità naturale basata su principi etici e spirituali, che preesiste alle leggi del diritto positivo. Contro l’ingerenza dello stato fascista per i cattolici «la famiglia preesiste allo stato, il quale ne riconosce e regola i diritti innati e inalienabili». Dunque prima la famiglia, poi lo stato. Il matrimonio è il vincolo naturale e indissolubile che lega i suoi contraenti: la famiglia è un’alleanza sacra e inviolabile che dura tutta la vita (consortium omnis vitae).
Per i comunisti le famiglie italiane sono il vettore principale della ricostruzione materiale e morale del paese e soprattutto sono la base per definire nuovi orizzonti di conquiste politiche e nuovi diritti per sovvertire sostanzialmente i valori e le gerarchie maschiliste e razziste del Codice fascista. In questa prospettiva la possibilità di esercitare il diritto di voto, attivo e passivo, il diritto al lavoro e allo studio sottrae il matrimonio ad una logica secolare di scelta quasi obbligata per le donne per assicurarsi l’esistenza, un modo per sistemarsi ed essere socialmente accettate. E in quest’ ottica la Costituzione non detta legge, ma indica la strada.1
Nella Costituzione i diritti della famiglia, inviolabili e intangibili come quelli dell’uomo, sono trattati negli artt. 29-31 e sanciscono che :1) la famiglia è una società naturale fondata sul matrimonio. Questo si basa sulla libertà di scelta del proprio coniuge per il carattere volontario dell’atto costitutivo della comunità familiare.2) i coniugi hanno eguaglianza morale e giuridica 3) i genitori hanno il diritto-dovere di mantenere, istruire ed educare i figli 4) lo Stato ha il dovere di integrare, se necessario, l’azione dei genitori 5) i figli hanno uguaglianza di diritti sia nati in costanza del matrimonio che fuori dal matrimonio.
“Matrimonio all’Italiana”, Film di Vittorio De Sica, Italia, 1964. Tratto dal lavoro teatrale di Edoardo De Filippo “Filumena Marturano”. La storia racconta una lunga e tormentata storia di amore fra Domenico (Marcello Mastroianni) e Filumena (Sofia Loren) che dopo tre figli si conclude con il matrimonio.
Un’Italia che cambia: gli Anni Sessanta, il boom economico e i movimenti del ‘68
Alle spalle della battaglia per il divorzio c’è indubbiamente il contesto storico e sociale degli Anni Sessanta, l’Italia del boom economico e la rottura del ’68, col protagonismo dei movimenti collettivi e giovanili di protesta che riusciranno a condizionare il sistema politico e istituzionale, contribuendo non poco a cambiare la politica e la mentalità della gente, anche nel lungo periodo. Il quadro politico e la società italiana sono in questo periodo scossi profondamente dalla protesta dei movimenti collettivi che – nella scuola, nelle università e nelle piazze – si oppongono all’ordine esistente, all’autorità, ad una visione gerarchica e verticistica delle istituzioni. Al contrario di quanto succede in Francia, in Germania, in America, dove il movimento del ‘68 si andrà affievolendo, in Italia comincia il “maggio strisciante” o il “lungo sessantotto” cioè un lungo ciclo di proteste degli studenti che si salda alle proteste e alla sofferenza degli operai-massa. Infatti, il sistema industriale fordista impone proprio all’operaio comune, cioè a quello meno politicizzato e meno sindacalizzato, specie del Sud, i ritmi disumani della catena di montaggio.
Se la scuola di massa sforna studenti senza prospettive di lavoro, la fabbrica fordista trasforma l’operaio in un ingranaggio della catena di montaggio: stessa frustrazione, stessa precarietà, stessa alienazione di vita e prospettive.
La famiglia italiana di quel periodo è l’indicatore più attendibile delle trasformazioni della società nel passaggio dall’economia di guerra alla crescita impetuosa degli anni del boom economico. Molto meglio di qualunque altra istituzione il nucleo familiare riproduce i meccanismi e le contraddizioni del cambiamento economico-sociale. E sarà proprio nella famiglia che esploderanno le contraddizioni, le fratture, gli attriti anche generazionali del decennio Sessanta e Settanta.
In questo contesto di forti contestazioni e proteste la questione del divorzio diventa la cartina di tornasole della stabilità o instabilità del quadro politico.
Tensioni, frizioni e contrasti nel dibattito parlamentare denunciano ormai l’acuirsi di una frattura profonda fra società civile e istituzioni. Il fronte divorzista dunque raccoglie e amplifica le spinte al cambiamento che derivano anche dal sessantotto studentesco e dal sessantanove operaio.
“Comizi d’amore”, doc-film di Pasolini e Cerami, Italia, 1965
Il Progetto di Legge Fortuna-Baslini: l’iter parlamentare
Il deputato socialista Loris Fortuna presenta, nell’ottobre 1965, un progetto di Legge sui Casi di scioglimento del matrimonio. Egli tiene a precisare che l’Italia è l’unico paese fra quelli del MEC e fra i pochi al mondo a non riconoscere legalmente il divorzio; un paese insomma in cui lo scioglimento del matrimonio per cause diverse dalla morte del coniuge non è neppure contemplato. Persino lo Stato del Vaticano, oltre ai diversi casi di annullamento del matrimonio, ammette il “divorzio” in ben due casi: il matrimonio rato e non consumato e per il privilegio paolino accordato quando, fra due persone non battezzate, una, convertitasi alla fede cattolica, manifesti esplicita volontà di contrarre nuove nozze con persona di fede cattolica.“Non è vero che in Italia il matrimonio è indissolubile- sbottava Calamandrei- il divorzio c’è, ma si è trovato il modo di far servire la nullità a scopo di divorzio”.
Il progetto di Legge Fortuna prevede lo scioglimento del matrimonio in cinque casi specifici: 1) condanna con sentenza definitiva di uno dei due coniugi all’ergastolo o a pene detentive per reati sessuali o per sfruttamento della prostituzione; 2) totale infermità di mente; 3) abbandono dal tetto coniugale per un periodo ininterrotto non inferiore ai cinque anni o alla separazione legale o di fatto per non meno di cinque anni; 4) malattia mentale di uno dei coniugi; 5) quando un coniuge, cittadino straniero, ottiene all’estero lo scioglimento del matrimonio e chiede di regolarizzare la sua situazione anche nel nostro paese. Il progetto prevede l’obbligo dell’assegno alimentare a favore del coniuge più debole economicamente. In coerenza con quanto previsto dagli art.147 e 148 del Codice Civile permane l’obbligo di mantenere, educare, istruire i figli nati dal matrimonio sciolto. Nel marzo 1966 il progetto di Legge Fortuna viene rinviato alla Commissione Giustizia e Affari Costituzionali.
Come era avvenuto in Assemblea Costituente, anche in Commissione Giustizia si riproduce uno scontro sul principio di indissolubilità del matrimonio fra lo schieramento laico che appoggia il progetto Fortuna e i deputati cattolici che arrivano a denunciare il suo «contenuto rivoluzionario» e le drammatiche conseguenze che una legge sul divorzio avrebbe sulla coscienza dei cittadini italiani a causa della sua «eversività».
Il 7 ottobre 1968 il liberale Baslini presenta un nuovo progetto di Legge sul divorzio, più moderato e in sostanza peggiorativo rispetto alla proposta Fortuna per due aspetti: 1) la separazione di fatto da almeno cinque anni non è equiparata alla separazione legale dei coniugi, come invece accade nel progetto Fortuna; 2) si accorda al giudice la facoltà di rinviare di altri due anni la sentenza di divorzio in presenza di non meglio precisate “particolari situazioni familiari”.
La Legge Fortuna ottiene alla Camera, nella prima votazione del novembre 1969 a scrutinio segreto, 325 voti favorevoli e 283 contrari. La discussione passa al Senato che vota il 9 ottobre 1970 un testo emendato con l’obbligo del tentativo di conciliazione e l’innalzamento da cinque a sette anni del periodo di separazione approvandolo con 164 voti favorevoli e 150 contrari. Il testo emendato ritorna alla Camera che, nella seduta più lunga del parlamento – dal 24 novembre al 1 dicembre 1970 – approva in via definitiva la legge Fortuna-Baslini (319 sì e 286 no) a cinque anni dalla sua prima proposizione e dopo un iter parlamentare lungo, difficile e conflittuale.
Il dibattito pubblico: la stampa, i partiti, il movimento delle donne
Fin dall’inizio dell’iter parlamentare del Progetto di Legge si accende nel paese uno scontro incandescente fra il fronte antidivorzista e quello laico divorzista, un dibattito così aspro che si protrarrà per dieci anni, senza esclusione di colpi, di mezzi e forze in campo.
Per il divorzio parte subito la mobilitazione della stampa: il settimanale milanese “ABC” inizia una campagna di sostegno al progetto di Legge del socialista Fortuna. Sul giornale la rubrica dedicata ai comportamenti sessuali degli italiani, curata da Renata Pisu, che si firma con lo pseudonimo di Cristina Leed, è molto seguita e prontamente lancia una raccolta di apposite cartoline prestampate e allegate al giornale, da compilare e spedire all’onorevole Fortuna alla Camera dei Deputati. In poche settimane ne arrivano 30.000.2
Anche il Partito Radicale si mobilita e organizza a Roma un dibattito pubblico al quale partecipano, fra gli altri, la comunista Luciana Castellina, il democristiano Giovanni Migliori e Loris Fortuna. Si determina un confronto duro e serrato, in cui emergono nettamente le posizioni dei maggiori partiti: l’intransigenza della Dc (Migliori), il favore del PSI, il tatticismo del PCI (Castellina) che non assume ancora una posizione netta a favore del divorzio, ma sostiene una posizione più sfumata di riforma del Diritto di Famiglia.
Solo dopo l’approvazione della Legge, e già in piena campagna referendaria, il PCI cesserà di considerare il divorzio un tema borghese per il quale occorre fare battaglia politica solo nei paesi capitalistici e lo assumerà come obiettivo politico di libertà e uguaglianza. In questa fase è soprattutto il settimanale “Noi Donne” dell’UDI a sostenere apertamente la battaglia per il divorzio, prendendo le distanze dalla dirigenza del PCI, titubante o defilata sul tema.
È proprio la vasta eco che questo dibattito ha sulla stampa nazionale a dare il via alla battaglia culturale e politica pro o contro il divorzio, una battaglia virulenta che coinvolgerà la sfera privata di milioni di persone, irrompendo sulla scena politica e pubblica e assumendo per alcuni protagonisti i toni di una “crociata”.
Verso il referendum
Il 31 agosto 1968 il governo Leone si era fatto promotore di un disegno di Legge che, sulla base dell’art. 75 della Costituzione, consentiva di indire referendum abrogativi totali o parziali rispetto ad una Legge dello Stato. Proposta che diventerà legge dello stato il 25 maggio del 1970.
Subito dopo l’approvazione della Legge Fortuna- Baslini, si mette in moto contro il divorzio la macchina per il referendum abrogativo, infatti il quotidiano della CEI e della Curia milanese “Avvenire” pubblica già il 2 dicembre un appello per indire immediatamente quel referendum che deve spazzare via la legge sul divorzio3. L’obiettivo immediato è la raccolta delle 500.00 firme necessarie alla promozione del referendum abrogativo sul divorzio.
Raccolsero quasi un milione e mezzo di firme; una quantità enorme che li convinse che la cultura cattolica fosse così radicata e diffusa da respingere quella che, nei comizi e nei pubblici dibattiti, presentavano come una catastrofe assoluta della famiglia: il divorzio e la possibilità di cessazione degli effetti civili del matrimonio, considerato indissolubile nonché pilastro della società.
La campagna referendaria: gli schieramenti politici pro e contro il divorzio
La campagna referendaria è scandita da anni di durissima battaglia politica e culturale – contro o a favore del divorzio – col coinvolgimento di tutti i partiti di allora, di tutte le componenti della società civile e di quasi tutti gli organi di stampa, i principali quotidiani nazionali e locali e anche i periodici più differenti fra loro (dalle testate emblema del laicismo più intransigente come “l’Espresso” a quelle più inusuali a simili battaglie come “ABC”) sino alle riviste femminili più diffuse come “Amica”, “Annabella” e persino “Grand Hotel”, il più famoso dei fotoromanzi.
La crociata antidivorzista è lo specchio di un sistema sociale e politico stretto fra due fuochi: il fiume in piena della società moderna che avanza e il tentativo di sbarrargli la strada. «Non furono certo senza conseguenze i decisi pronunciamenti del pontefice e di vari settori del cattolicesimo tradizionale ma non era più prevalente l’Italia cui si era appellato il Comitato fondato da Gabrio Lombardi, per il quale il divorzio era «una variante dell’harem diluita negli anni». A quell’Italia cercarono di appellarsi i due partiti schierati per l’abrogazione, il MSI di Almirante e la Dc guidata da Amintore Fanfani.
Referendum #Divorzio #12maggio 1974:
MSI voleva abrogazione del divorzio che definiva “legge sbagliata voluta dai fautori del malcostume”. pic.twitter.com/ZHe5BHxt0t— Asiablog.it (@Asiablog_it) 12 maggio 2017
Italia 1970-74- Campagna referendaria- Manifesto contro il divorzio- Propaganda abrogazionista a cura del MSI
Voci di dissenso nei due schieramenti
Tuttavia il mondo cattolico non era tutto compatto e appiattito sul fronte del SI, cioè contro il divorzio: c’era l’impegno dei “Cattolici per il NO” con interventi di figure di rilievo e, nell’imminenza del referendum, compare persino un documento del Consiglio Nazionale dell’Azione Cattolica favorevole al divorzio, immediatamente censurato e ritirato a seguito di un’azione decisa dalla Conferenza Episcopale.
Nemmeno il fronte a sostegno del NO, cioè per il mantenimento della legge sul divorzio, era però monolitico e compatto. Il problema principale del PCI era evitare il referendum; ancora nel 1964 Togliatti esprimeva contrarietà all’assunzione del tema del divorzio come “battaglia politica” perché troppo avanzato per l’Italia. Il PCI, pur avendo votato la legge, tentennava parecchio e tentò, fino all’ultimo, di evitare il referendum, anche a rischio di modifiche, in senso restrittivo e dunque peggiorativo, della Legge approvata. La dirigenza del PCI fu costretta a prendere posizione per il No proprio dalle donne, dopo anni di discussioni e divisioni. Si potrebbe spiegare in parte questa iniziale reticenza del PCI con l’ideologia del partito, intrinsecamente diffidente verso i diritti individuali e di libertà, ma gran parte della dirigenza era convinta di dover scendere ad un compromesso con la Dc per poter scongiurare il referendum.
Così negli schieramenti a favore dell’abrogazione restavano alleati la DC e il MSI; mentre sul fronte opposto quasi tutti gli altri partiti laici, socialisti, comunisti, radicali e repubblicani, liberali e socialdemocratici che sostenevano la necessità di fondare il matrimonio non sulla costrizione o la fedeltà a un patto, ma sulla libertà reciproca dei coniugi e sulla possibilità di scelta e di scissione. Fondamentale però risultò l’apporto dei movimenti femministi con molte donne comuniste le quali, nel corso di quella battaglia, conquistarono anche un’autonomia culturale e politica dalle dirigenze e dagli apparati dei partiti, acquisendo forza ed indipendenza.
12 maggio 1974, il referendum ha un esito sorprendente
È la notte del 12 maggio 1974 e si fa festa in tutta Italia. È un fatto tutto italiano, un fatto interno, di costume, ma che per il paese ha significato una vera svolta. È una data storica per l’Italia perché è la vittoria dei diritti civili ottenuta col diretto contributo dei cittadini e delle cittadine che hanno detto no col 59,26 per cento alla proposta di abrogare la Legge approvata dal Parlamento italiano (in vigore dal 3 dicembre 1970) che regola “i casi di scioglimento” del matrimonio, ribattezzata la Legge sul Divorzio. Perché una data storica? Perché quel risultato nettamente a favore del mantenimento del divorzio (19.383.0000 voti, pari appunto al 59,26 per cento dei votanti) fu una vittoria clamorosa che rivelò un’Italia divisa, anche se in maniera meno traumatica rispetto al referendum fra monarchia e repubblica del 2 giugno 1946: con il NO in vantaggio al Nord (ad eccezione del Veneto) e alle isole, Sicilia e Sardegna, e il SI vincente al Sud (le posizioni contrarie al divorzio prevalgono di poco in Campania, Puglia e Calabria) e la spaccatura dell’unità politica del mondo cattolico.
La vittoria del no al referendum sul divorzio nel 1974 fu segno di grande coraggio perché non avvenne che i “no” degli uomini fossero bilanciati dai “si“ delle donne. Anche se non si potevano distinguere i voti fra maschi e femmine, tuttavia dove i no toccarono punte elevate era evidente che la maggioranza delle donne avesse votato “no.” Le donne dunque scelsero di poter esercitare quel diritto, di rompere il legame coniugale, a prescindere dalle conseguenze sociali che potevano essere ipotizzate o temute. Al contrario, riaffermarono il diritto di scelta che nobilitava la sincerità della coscienza e dei sentimenti dimostrando l’immoralità della doppiezza e dell’ipocrisia familiare.
La mobilitazione della società civile e delle donne
La mobilitazione della cosiddetta società civile, proprio grazie al forte contributo delle donne, aveva di gran lunga superato e travalicato reticenze, steccati, riserve sia di mentalità che di appartenenza politica, e dunque trasversali, facendo alla fine prevalere principi e valori sostanziali, come il valore dei sentimenti contro l’ambiguità e il quieto vivere, ma soprattutto facendo registrare una vittoria della coscienza civile e dell’emancipazione femminile, anche a costo degli alti prezzi che le donne poi saranno costrette a pagare in termini di precarietà economica, sociale e lavorativa e in termini di disagio, difficoltà esistenziale e parentale, di pregiudizi e discriminazioni sociali quando affronteranno il divorzio da sole o insieme ai figli.
Il diritto di sciogliere il matrimonio mostrava poi un cambiamento profondo di mentalità e costumi che avrebbe determinato un forte impatto anche su tutte le forme di unione e associazione. Metteva in luce anche l’enorme divario esistente nella società italiana fra i diritti fondamentali dichiarati e le troppe leggi risalenti al periodo pre-fascista e fascista ancora in vigore. Infatti, nel nostro paese ancora nel 1970, nonostante la possibilità di divorziare, era legittimato il delitto d’onore per la cui abrogazione si dovrà attendere il 1981.Una norma arcaica, tipica di una società retriva e maschilista che proponeva pene attenuate per l’uomo che uccideva in flagrante adulterio la moglie o l’amante o entrambi, in quanto colpevoli di aver “disonorato” la famiglia e l’uomo stesso, legittimo consorte e tutore dell’onore.
Analisi dei risultati: il significato del referendum
A distanza di anni nella battaglia per il divorzio si può vedere una svolta epocale per tante ragioni, fra cui quella di essere stata l’incubazione e la prima forte manifestazione di cambiamenti profondi nelle culture, nelle mobilitazioni delle masse, nei comportamenti degli italiani. Cambiamenti e processi in atto, anche sotterranei, che sarebbero di lì a poco, soprattutto negli anni Ottanta e Novanta, diventati più evidenti e manifesti. Ad esempio, il fatto che sull’esito del referendum avevano influito maggiormente, nella scelta delle persone, delle forti ragioni etiche e civili piuttosto che quelle ideologiche o le indicazioni dei partiti.
Un dato poi era evidente: le trasformazioni del paese reale erano più avanzate e moderne, nelle pratiche quotidiane e nei quadri mentali, della capacità di lettura e di analisi della realtà espresse dai partiti tradizionali, dai loro apparati, dall’immaginario asfittico, bigotto e anodino che molti esponenti politici cullavano ancora come solide certezze di fronte ai rapidi e tumultuosi cambiamenti sociali impressi dall’industrializzazione e dalla modernità. Per la prima volta nell’Italia repubblicana i partiti avevano stretto alleanze non in funzione di una lotta politica, ma sulla base dei principi che orientavano le scelte individuali sul piano dei diritti civili ed era evidente che molti cattolici avevano votato come i partiti laici.
Tutto questo significava una trasformazione profonda della società italiana con una vistosa laicizzazione dei costumi e dei comportamenti, sia per l’evidente indebolirsi dell’influenza della Chiesa sui costumi degli italiani che per l’attenuarsi nelle loro scelte politiche dello scontro ideologico della guerra fredda e del bipolarismo post-bellico. L’indomani del referendum, possiamo affermare con Crainz: «Differenti processi vengono dunque alla luce, contribuendo ad erodere la credibilità della classe politica sin lì al governo: in questo quadro il referendum sul divorzio del 1974 – con la sconfitta di una vecchissima Dc, puntellata dal Msi di Almirante – sembrò aprire una stagione nuova. Non solo sul terreno che le era proprio: e su esso venne l’approvazione di un diritto di famiglia finalmente civile e poi la regolamentazione dell’aborto (che pose termine alla vergogna dell’aborto clandestino). Si innestò qui, anche, l’affermarsi e il dilagare del movimento femminista, la novità più feconda degli anni Settanta».4
Le sue conseguenze
L’esito del referendum venne subito interpretato come una dura sconfitta personale per Amintore Fanfani, dal momento che proprio lui era stato il protagonista principale del fronte del «sì». Il segretario della DC, infatti, aveva cercato di sfruttare la campagna referendaria anche a fini prettamente politici, convinto com’era che un’eventuale vittoria abrogazionista avrebbe potuto frenare l’ascesa del PCI di Enrico Berlinguer, fra i maggiori esponenti del fronte del «no». Famosa rimase la vignetta satirica di Giorgio Forattini, a commento dell’esito del voto referendario, pubblicata dal quotidiano politico di sinistra Paese Sera, in cui ironizzando sulla bassa statura del leader DC, si faceva saltare il “tappo” con il ritratto di Fanfani da una bottiglia di champagne etichettata «NO». La vittoria del «no» rappresentò anche una sconfitta per la Chiesa, che aveva sospeso a divinis l’abate Don Giovanni Franzoni, perché era favorevole al mantenimento della legge.
Una società in trasformazione
Ma la portata di quel referendum nel lungo periodo assume connotati più ampi e profondi: era la prima volta che in Italia la libertà di scelta si imponeva su una concezione della vita diffidente e ostile verso la libertà individuale e della donna, a torto ritenuta tutelata da matrimoni indissolubili. Una visione punitiva della condizione femminile che nella fine del matrimonio temeva l’esaurirsi dell’obbligo morale verso la famiglia e i figli e paventava l’annullarsi del senso di sacrificio che l’equilibrio familiare comportava. Di colpo faceva apparire arretrata e bigotta quell’Italia che aveva tollerato e alimentato il silenzio pubblico e l’ipocrisia privata verso fenomeni di costume assai diffusi come le relazioni extraconiugali approdate a seconde famiglie di fatto, con conseguente mancato riconoscimento di tanti figli “illegittimi”. Quell’Italia che aveva “dimenticato”, per malcelato pudore e colpevole omertà, i numerosi viaggi nella Repubblica di San Marino fatti – fin dall’inizio degli Anni Cinquanta – per divorziare da parte di tanti personaggi pubblici, fra cui anche molti politici famosi.
C’è infatti tutto un movimento femminile che sale dal basso, c’è un mondo dolente che vuole gli venga prestato ascolto, che chiede soluzioni per diritti e pari dignità fra i sessi e riconoscimento del numero esorbitante dei figli “illegittimi” frutto di tante nuove famiglie di fatto, che non potevano né essere legittimati né garantiti nei diritti fondamentali. Sul campo di battaglia si erano fronteggiati diversi contendenti, accanto ai maggiori partiti politici e alla Chiesa, intenzionati, ognuno a modo loro, a consolidare e riaffermare la propria egemonia. Ma soprattutto erano scese in campo per la prima volta le persone, con una forza inaspettata e una volontà dirompente rispetto agli schemi ideologici e alle gabbie del costume imperante.
L’eredità politica e culturale del divorzio
Divorziare dal proprio coniuge in realtà preludeva ad altri divorzi perché il diritto di sciogliere il matrimonio mostrava poi un cambiamento profondo di mentalità e costumi che avrebbe determinato un forte impatto anche su altre forme di unione e associazione, ad esempio l’adesione ai partiti.
Metteva in luce anche l’enorme divario esistente nella società italiana fra i diritti fondamentali dichiarati e le troppe leggi risalenti al periodo pre-fascista e fascista ancora in vigore. Infatti, nel nostro paese ancora nel 1970, nonostante ci fosse la possibilità di divorziare, era legittimato il delitto d’onore per la cui abrogazione si dovrà attendere il 1981. Era una norma arcaica, tipica di una società retriva e maschilista che proponeva pene attenuate per l’uomo che uccideva in flagrante adulterio la moglie o l’amante o entrambi, colpevoli di aver “disonorato” la famiglia e l’uomo stesso, legittimo consorte e tutore dell’onore. Anche il reato di violenza sessuale dovrà attendere parecchio prima di essere considerato reato contro la persona (Legge n. 66 del 15/II/1996) e non contro la moralità pubblica e il buon costume, di fatto perseguibile con pene irrisorie, come altri delitti similari ad esempio il ratto a fine di matrimonio e il ratto a fine di libidine, difficilmente punibili e perseguibili secondo il Codice Penale Rocco. Anche in questo caso l’esemplare vicenda di Franca Viola dimostrò a tutta l’Italia la frattura fra un paese democratico civile ed egualitario, quello delineato dalla nostra Costituzione, specie nell’articolo 3 fortemente voluto dall’Assemblea Costituente e dalle 21 donne che ne facevano parte, e le persistenze razziste e maschiliste di un altro paese voluto dal regime fascista.5
E se allora, fra le conseguenze future di questa vittoria del NO, un Fanfani arroccato su posizioni retrive e quasi oscurantiste tuonava minaccioso per evocare paure ataviche “Volete il divorzio? Allora dovete sapere che dopo verrà l’aborto. E dopo ancora il matrimonio fra omosessuali. E magari vostra moglie vi lascerà per scappare con la serva!” quasi a prefigurare un incubo opprimente e paradossale, a più di quarant’anni queste conseguenze hanno, dopo altre lotte e battaglie, riscritto l’orizzonte di nuovi diritti per le persone e per nuovi nuclei familiari, coniugandosi con conquiste di democrazia, di uguaglianza, di dignità.
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- Crainz G., Il Paese reale. Dall’assassinio di Moro all’Italia di oggi, Roma, Donzelli, 2013
- Crainz G., Autobiografia di una repubblica. Le radici dell’Italia attuale, Roma, Donzelli, 2009
- Crainz G., Il Paese mancato. Dal miracolo economico agli anni Ottanta, Roma, Donzelli, 2005
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- Lussana F., Il movimento femminista in Italia. Esperienze, storie, memorie,1965-1980, Roma, Carocci, 2012
- Negrini A., Niente resterà pulito. Il racconto della nostra storia in quarant’anni di scritte e manifesti politici, BUR, Rizzoli, 2007
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- Portelli A., Calendario Civile. Per una memoria laica, popolare e democratica degli italiani, Roma, Donzelli, 2017
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- Ungari P., Storia del diritto di famiglia in Italia (1796-1975), Bologna, Il Mulino, 2002
Sitografia
- it.wikipedia.org/wiki/Referendum_abrogativo_del_1974_in_Italia
- www.raistoria.rai.it/articoli/il-referendum-sul-divorzio/12995/default.aspx
Filmografia d’autore
- “Divorzio all’italiana” – Pietro Germi, Italia 1961
- “Sedotta e abbandonata” – Pietro Germi, Italia1964
- “Matrimonio all’Italiana” – Vittorio De Sica, Italia1964
- “Comizi d’amore” – Pierpaolo Pasolini e Vincenzo Cerami, Italia 1965
Testo per Allievi
Nell’ottobre del 1946, quando il tema famiglia irrompe nella discussione dell’Assemblea Costituente, l’Italia è un paese costellato di macerie per le rovine morali e materiali del dopoguerra. Un paese ferito e umiliato da una guerra che non ha voluto, ma le cui conseguenze sono state per tutti immancabilmente fame, lutti, dolore. Quella guerra civile combattuta fra italiani dopo l’armistizio dell’8 settembre ha esasperato la spaccatura fra un Nord che ha vissuto la Resistenza militare, che ha combattuto in armi per la libertà e la democrazia, e un Sud sfiorato solo in parte dalla guerra partigiana, ma che pure aveva offerto tante prove generose e inconfutabili di opposizione alla guerra e al fascismo.
In base al lungo, travagliato e complesso dibattito sulla famiglia che si era svolto alla Costituente si erano venuti consolidando due modi di intendere la famiglia, collegati ad altrettante potenti ideologie. La famiglia cristiana intesa come nucleo morale preesistente a qualunque forma di aggregazione sociale propria dell’ideologia cattolica. Un modello di famiglia come luogo privilegiato della ricostruzione morale e materiale del paese, basata sull’interscambio, sull’educazione e sull’uguaglianza, espressione del pensiero laico e social-comunista.
Alle spalle di questa battaglia per il divorzio ritroviamo anche il contesto storico e sociale degli Anni Sessanta, l’Italia del boom economico e la rottura del ’68, col protagonismo dei movimenti collettivi e giovanili di protesta che condizionarono il sistema politico e istituzionale, contribuendo non poco a cambiare la politica e la mentalità della gente, anche nel lungo periodo.
Sono proprio quegli studenti-massa e quegli operai-massa i ceti che più patiscono le forti contraddizioni della modernizzazione e dell’industrializzazione basate sullo sfruttamento del lavoro umano assoggettato al ritmo delle macchine. Se la scuola di massa sfornava studenti senza prospettive di lavoro, la fabbrica fordista trasformava l’operaio in un ingranaggio della catena di montaggio: stessa frustrazione, stessa precarietà, stessa alienazione di vita e prospettive.
La famiglia italiana di quel periodo è l’indicatore più attendibile delle trasformazioni della società nel passaggio dall’economia di guerra alla crescita impetuosa degli anni del boom economico, quando il nostro paese da prevalentemente agricolo diventa una delle maggiori potenze industriali. Molto meglio di qualunque altra istituzione il nucleo familiare riproduce i meccanismi e le contraddizioni del profondo cambiamento economico-sociale. In questo contesto di forti contestazioni e proteste la questione del divorzio diventa la cartina di tornasole della stabilità o instabilità del quadro politico.
Il progetto di Legge Fortuna, presentato nell’ottobre del 1965 dal deputato socialista Loris Fortuna, prevede lo scioglimento del matrimonio in cinque casi specifici e contempla l’obbligo dell’assegno alimentare a favore del coniuge più debole economicamente e l’obbligo di mantenere, educare, istruire i figli nati dal matrimonio sciolto. In parallelo all’iter parlamentare del Progetto di Legge, si accende nel paese uno scontro incandescente fra il fronte antidivorzista e quello laico divorzista, un dibattito così aspro che si protrarrà per dieci anni, senza esclusione di colpi e di mezzi e forze in campo.
Si mette in moto la mobilitazione della stampa: il settimanale milanese ABC inizia una campagna di sostegno del divorzio a cui si aggiunge un altro contributo fondamentale: nel 1965 esce sul grande schermo il film documentario di Pasolini Comizi d’amore che mette a nudo l’arretratezza e il bigottismo dell’Italia post miracolo. Presentava infatti molte interviste anche a giovani per un’inchiesta su morale, sesso, amore e divorzio, realizzato in giro per l’Italia nel 1964 insieme a Vincenzo Cerami.
Ma è soprattutto il settimanale “ Noi Donne” dell’ UDI a sostenere apertamente la battaglia per il divorzio, prendendo le distanze dalla dirigenza del PCI, titubante o defilata sul tema.
La Camera il 1 dicembre 1970, dopo una seduta-fiume, approva in via definitiva, con 319 sì e 286 no, la legge Fortuna-Baslini, il secondo parlamentare che l’aveva integrata, a cinque anni dalla sua presentazione e dopo un iter parlamentare lungo, difficile, e conflittuale. Ma all’indomani dell’approvazione della legge fu presa la decisione da parte della Democrazia Cristiana di Amintore Fanfani e dal Movimento Sociale Italiano di Giorgio Almirante di promuovere un Comitato per l’Abrogazione della stessa Legge tramite referendum.
Può risultare sorprendente, a distanza di tanti anni, questo scontro per dei diritti civili e anche per una conquista sociale e culturale importante; ma allora fu combattuta una battaglia durissima, innanzitutto sul piano politico e poi anche sociale e culturale, perché la DC e gli ambienti cattolici più restii ad un accordo coi comunisti videro nel referendum un’occasione di rivincita, spalleggiati dall’intervento della Chiesa fermissima nella difesa dell’indissolubilità del matrimonio.
Così gli schieramenti che si affrontarono vedevano impegnati a favore dell’abrogazione la DC e il MSI; mentre sul fronte opposto erano quasi tutti gli altri partiti laici, socialisti, comunisti, radicali e repubblicani, liberali e socialdemocratici che sostenevano la necessità di fondare il vincolo matrimoniale non sulla costrizione o la fedeltà a un patto, ma sulla libertà reciproca dei coniugi e sulla possibilità di scelta e di scissione. Fondamentale risultò l’apporto dei movimenti femministi che raccoglievano anche molte donne comuniste le quali, nel corso di quella battaglia, conquistarono anche un’autonomia culturale e politica dalle dirigenze e dagli apparati dei partiti, acquisendo forza ed indipendenza.
La notte del 12 maggio 1974, data del referendum, si fa festa in tutta Italia. E’ una data storica per l’Italia perché è la vittoria dei diritti civili ottenuta col diretto contributo dei cittadini e delle cittadine che hanno detto no col 59,26 % alla proposta di abrogare la Legge approvata dal Parlamento italiano nel 1970 che regola “ i casi di scioglimento” del matrimonio, ribattezzata la Legge sul Divorzio. Perché é una data storica? Perché il risultato nettamente a favore di quanti volevano il mantenimento del divorzio ( 19.383.0000 voti pari appunto al 59,26% dei votanti) rivelò ancora un’Italia divisa, a distanza di anni dal referendum del 2 giugno 1946, la scelta fra monarchia o repubblica, anche se in maniera meno traumatica Il NO risultava in vantaggio al Nord ( ad eccezione del Veneto) e alle isole, Sicilia e Sardegna, e il SI vincente al Sud ( le posizioni contrarie al divorzio prevalgono di poco in Campania, Puglia e Calabria) con la spaccatura dell’unità politica del mondo cattolico. La vittoria del no fu segno di grande coraggio. E non accadde che i “no” degli uomini fossero bilanciati dai “ si “ delle donne perché, anche se non si potevano distinguere i voti maschili da quelli femminili, tuttavia dove i no toccarono punte elevate era evidente che la maggioranza delle donne avesse votato “ no.” Le donne dunque scelsero di poter esercitare quel diritto, di rompere il legame coniugale, a prescindere dalle conseguenze sociali che potevano essere ipotizzate o temute.
Al contrario, il diritto di scelta ribadiva la sincerità della coscienza e dei sentimenti e rifiutava l’immoralità della doppiezza.
Il diritto di sciogliere il matrimonio mostrava anche un cambiamento profondo di mentalità e costumi con un forte impatto anche su tutte le forme di unione e associazione. Era anche evidente che sull’esito del referendum avevano influito maggiormente delle forti ragioni morale e civili piuttosto che ideologiche e spesso contrarie alle indicazioni dei partiti. Dunque le trasformazioni del paese reale erano più avanzate e moderne, nelle pratiche quotidiane e nei quadri mentali, della capacità di lettura e di analisi della realtà dei partiti tradizionali, dai loro apparati, in evidente affanno a comprendere i rapidi e tumultuosi cambiamenti sociali impressi dall’industrializzazione e dalla modernità.
Era chiaro anche che la mobilitazione della cosiddetta società civile, proprio grazie al forte contributo delle donne, aveva di gran lunga superato e travalicato reticenze, steccati, pregiudizi sia di mentalità che di appartenenza politica, e dunque trasversali, facendo alla fine prevalere principi e valori sostanziali, come il valore dei sentimenti contro l’ipocrisia e il quieto vivere, e soprattutto facendo registrare una vittoria della coscienza civile e dell’emancipazione femminile, anche a costo degli alti prezzi che le donne poi saranno costrette a pagare in termini di precarietà economica, sociale e lavorativa. La donne quando affrontano il divorzio da sole o insieme ai figli sanno di dover affrontare anche dei disagi a livello esistenziale e familiare e dei pregiudizi e delle discriminazioni sociali nella nel lavoro, ma lo scelgono lo stesso.
L’esito del referendum fu subito interpretato come una dura sconfitta personale per Amintore Fanfani, perchè era stato il principale antagonista del divorzio.. Il segretario della DC, infatti, aveva cercato di sfruttare la campagna referendaria anche a fini prettamente politici], convinto che un’eventuale vittoria abrogazionista avrebbe frenato l’ascesa del PCI di Enrico Berlinguer, fra i maggiori esponenti del fronte del «no». Famosa rimase la vignetta satirica di Giorgio Forattini a commento dell’esito del voto referendario, pubblicata dal quotidiano politico di sinistra Paese Sera, nella quale, ironizzando sulla bassa statura del leader DC, l’autore faceva saltare il “tappo” con il ritratto di Fanfani da una bottiglia di champagne etichettata «NO». (vedi immagine)
Ma il significato di quel referendum a distanza di tempo si delinea di una portata ancora più ampia: per la prima volta in Italia la libertà di scelta si imponeva a scapito di una visione della vita diffidente della libertà individuale e delle donne, a torto ritenute al riparo di matrimoni indissolubili.
Il risultato sorprendente di questa battaglia faceva ipotizzare che non sarebbe durata a lungo anche quell’Italia che ubbidiva ciecamente ai diktat dei partiti. La libertà di uscire dai vincoli matrimoniali faceva intravvedere infatti una società più “laica” e più aperta ai diritti civili e sociali. Pochi decenni di democrazia avevano provocato questo terremoto, il cui epicentro è rintracciabile nell’articolo 3 della nostra Costituzione, fortemente voluto dall’Assemblea Costituente e dalle 21 donne che ne facevano parte, allo scopo di delineare una società paritaria in cui l’indissolubilità del matrimonio era contraria al principio della libertà e della scelta individuale e coniugale. E se allora, fra le conseguenza future di questa vittoria del NO, un Fanfani arroccato su posizioni conservatrici tuonava minaccioso quasi a evocare un incubo “ Volete il divorzio? Allora dovete sapere che dopo verrà l’aborto. E dopo ancora il matrimonio fra omosessuali. E magari vostra moglie vi lascerà per scappare con la serva!” oggi, a più di quarant’anni, quelle conseguenze minacciose hanno di fatto riscritto l’orizzonte di nuovi diritti delle persone e di tanti nuclei familiari, dopo altre battaglie e mobilitazioni per nuove conquiste di democrazia, di uguaglianza, di dignità.
Dossier di documenti
DOCUMENTO N. 1- Manifesti a favore del divorzio
DOCUMENTO N. 2- Manifesti contro il divorzio
DOCUMENTO N. 3- Il Referendum: espressione di democrazia. I Risultati. Comparazione con il referendum del 2 giugno 1946, scelta fra monarchia e repubblica
DOCUMENTO N. 4- Testo Letterario-Comizi d’amore- Pier Paolo Pasolini-!965- ( tratto da Portelli A., Calendario Civile. Per una memoria laica, popolare e democratica degli italiani, Roma, Donzelli, 2017, pp-117-121)
Focus: la figura femminile e i movimenti delle donne
Contestualizzazione
a) La battaglia sul divorzio vede in campo un nuovo protagonismo femminile per i diritti civili e una mobilitazione massiccia dei movimenti delle donne. Servendoti del manuale ricostruisci le fasi più significative delle conquiste che segnarono delle tappe importanti per l’emancipazione della donna e per la parità di genere.
b) Servendoti del manuale ricostruisci i diversi contesti storici in cui si collocano i due referendum quello del 1946 fra monarchia e repubblica e quello sul divorzio del 1974. L’espressione del voto al referendum vede un significativo contributo delle donne, la prima volta al voto nel 1946 e nel 1974 chiamate ad esprimersi su questioni cruciali a livello personale e familiare. Il paese è cambiato o i due esiti si somigliano?
Lavoro sui documenti
4-1- Doc. 4 –Comizi d’amore- si possono rintracciare opinioni diverse a sostegno del mantenimento
o dell’abrogazione del divorzio, con quali argomentazioni? Si può riscontrare una differenza di
genere? Cioè una modalità diversa di risposta e di approccio al problema fra maschi e femmine?
Si possono fare delle deduzioni di carattere generale sulla mentalità corrente?
4-2- Doc.2- nel testo si dice che “per la Chiesa l’indissolubilità del matrimonio è il sigillo del vincolo fra l’uomo e Dio” nei manifesti contro il divorzio dove si riscontra questa tesi? che tipo di famiglia viene ipotizzata? Quanto ha inciso sul referendum?
4-3-Doc. 1- nel testo si dice che alle spalle del divorzio c’è la stagione delle proteste del ’68 coi giovani protagonisti di movimenti di lotta per l’affermazione di maggiori diritti civili e sociali e per una società più democratica e più egualitaria. Riesci ad individuare nei documenti proposti questo fenomeno così intenso e rivoluzionario per il nostro paese?
Rapporto testo/documento
1) Nel testo si dice: “È una data storica per l’Italia perché è la vittoria dei diritti civili ottenuta col diretto contributo dei cittadini e delle cittadine…” Perché è una data storica? Qual è il contributo della società civile? E il contributo del movimento delle donne? Cerca nei documenti le informazioni che possono spiegare questa affermazione.
2) Fra le conseguenze del referendum si dice che c’è un “affievolirsi dell’influenza della Chiesa sui costumi degli italiani” componi un breve testo in cui spieghi questo fenomeno in base anche ad elementi che puoi ritrovare nei documenti
3) Nel testo si dice che l’esito del referendum evidenzia una “una maggiore laicizzazione dei costumi” ricerca nei manifesti a favore del divorzio e in altri documenti gli elementi che avvalorano questa tesi
Integrazione del testo
a) Dall’analisi dei documenti ricavi delle informazioni che non sono presenti nel testo o che vi sono solo accennate. In particolare dai documenti prodotti al n. 1 e 2 puoi trarre ulteriori informazioni sul grado di emancipazione femminile, sulla figura della donna e l’idea della famiglia proposte dalle forze politiche schierate nell’uno o nell’altro fronte. Riscrivi la battaglia referendaria attraverso un’analisi dei manifesti in cui questi elementi siano spiegati e interpretati
b) Nella sequenza delle testimonianze riportate nel documento n. 4 Comizi d’amore- si fa riferimento alla struttura patriarcale e ancora arcaica dell’Italia repubblicana dove la parità di genere e l’emancipazione femminile faticano ad affermarsi. Che tipo di società era quella italiana? Perché l’esito del referendum fu sorprendente per certi aspetti?
Note:
1 Mentre i democristiani insistono sulla indissolubilità del matrimonio garantita dalla Carta Costituzionale perché il divorzio è un «germe velenoso» che rappresenta «la dissoluzione della famiglia». i comunisti insistono perché tale principio non sia inserito nella Costituzione (Togliatti dice: “il divorzio non è stato evocato da nessuno”). E mentre Dossetti conia la formula democristiana: “Lo stato riconosce i diritti della famiglia quale unità naturale della società fondata sul matrimonio indissolubile e destinata all’educazione dei figli” Togliatti ribatte “la famiglia è riconosciuta come naturale associazione umana ed è tutelata allo scopo di accrescere la prosperità materiale e la solidità morale della nazione”.
2 Un altro sostegno fondamentale viene nel 1965 dall’uscita del film di Pasolini Comizi d’amore che mette a nudo l’arretratezza e il bigottismo dell’Italia post miracolo. Si tratta di un documentario-inchiesta girato nel 1964 in forma di interviste su morale, sesso, amore e divorzio, realizzato da Pasolini in giro per l’Italia insieme a Vincenzo Cerami.
3 Lo firmano 25 personalità della cultura e della scienza, fra cui Antonio Ciampi, Augusto Del Noce, Giorgio La Pira, Alberto Trabucchi. Viene fondato celermente un Comitato nazionale per il referendum sul divorzio (CNRD) presieduto dal giurista cattolico Gabrio Lombardi e da Lina Merlin, come vicepresidente.
4 G. Crainz, Autobriogafia di una Repubblica, Roma, Donzelli, 2009, p.114.
5 B. Montesi, Franca Viola. Persistenze e mutamenti del diritto di famiglia nell’Italia repubblicana, Novecento.org, n. 8, agosto 2017.