La grande pandemia del Novecento: una proposta didattica sull’influenza “spagnola”
Auditorium del municipio di Oakland temporaneamente adibito ad ospedale per assistere i malati di influenza spagnola.
Foto di Edward A. “Doc” Rogers, 1873-1960 – Photo by Edward A. “Doc” Rogers. From the Joseph R. Knowland collection at the Oakland History Room, Oakland Public Library. Digital copy via, Pubblico dominio, Collegamento
Abstract
Il contributo presenta e discute una proposta didattica sulla pandemia di influenza “spagnola” (1918-1920). L’attività offre un quadro globale dell’evento, per poi focalizzarsi sul caso italiano di cui ricostruisce, in particolare, le risposte delle autorità, il ruolo dell’informazione e le reazioni popolari. Viene adottato il metodo della lezione partecipata, alternata alla lettura di estratti dalle fonti coeve (giornali e testimonianze scritte) e a momenti in cui si propongono confronti con l’emergenza sanitaria provocata dal Covid-19. L’intervento si rivolge all’intero ciclo della scuola secondaria di secondo grado, ma con alcune modifiche progettuali può essere realizzata anche nelle classi terze della secondaria di primo grado. Ha durata di tre ore.
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The contribution presents and discusses a didactic proposal on the ‘Spanish’ influenza pandemic (1918-1920). The activity offers a global picture of the event, then focuses on the Italian case, reconstructing, in particular, the authorities’ responses, the role of information and popular reactions. The participatory lesson method is adopted, alternating with the reading of extracts from contemporary sources (newspapers and written testimonies) and with moments in which comparisons are proposed with the health emergency caused by Covid-19. The intervention is aimed at the entire secondary school cycle, but with some design modifications it can also be implemented in the third classes of the secondary school. It lasts three hours.
Premessa
L’emergenza sanitaria provocata dalla pandemia di Covid-19 ha stimolato nell’opinione pubblica uno spontaneo interesse per le epidemie del passato e l’attenzione si è volta in particolare verso l’influenza “spagnola” del 1918-20. La “grande pandemia” del Novecento, come l’hanno ribattezzata vari mezzi di informazione e storici, è stata spesso evocata sulla stampa, nel dibattito pubblico e, talora, nel discorso scientifico-divulgativo come «termine di confronto peggiore possibile, ritenuto […] non completamente irrealistico come sarebbe invece il caso della Peste Nera del Trecento»[1]. La pandemia del 1918-20 ha così acquisito una notorietà inedita, dopo essere stata per lungo tempo rimossa dalla memoria pubblica e confinata nel ricordo privato e familiare[2]. Al punto che, secondo Mario Panico, è in atto un processo di «ri-memorizzazione collettiva e culturale dell’influenza spagnola»[3].
L’attuale emergenza ha rappresentato uno spartiacque anche per gli studi storici, specialmente per quelli italiani. Se all’estero – principalmente in area anglosassone – si è registrata una maggiore attenzione per il tema già a partire dagli anni ’90, indagando gli aspetti sociali, economici e culturali della malattia, in Italia fino al 2020 è rimasto un argomento di nicchia, appannaggio quasi esclusivamente della storia della medicina e, talora, di ricerche di storia locale. Le ricostruzioni d’ampio respiro e i manuali, tanto universitari quanto scolastici, hanno solitamente omesso la pandemia influenzale oppure l’hanno considerata un evento marginale e collaterale al primo conflitto mondiale[4]. Talora è stata derubricata a un mero fatto aneddotico, il residuo di un passato che il mondo sviluppato, grazie alle scoperte medico-scientifiche, si stava ormai lasciando alle spalle. Neppure il centenario (1918-2018) è valso a riaccendere l’interesse per la “spagnola”, laddove in più parti del mondo sono state organizzate iniziative pubbliche in proposito[5]. Solo con la pandemia di Covid-19, la storiografia italiana ha “riscoperto” il tema, promuovendo ricerche, seminari e attività di divulgazione. Nei libri di testo per la scuola secondaria di primo e secondo grado sono stati inseriti paragrafi e schede sulla storia della malattia, che, nella loro concisione, hanno quantomeno cura di evidenziare le conseguenze demografiche del morbo[6].
Della “grande pandemia”, a dire il vero, si è cominciato a parlare nelle aule di scuola ben prima che i manuali venissero aggiornati (dopotutto, tali interventi, per motivi tecnici, difficilmente sono stati attuati prima del 2021). L’urgenza del presente, ossia l’inizio dell’emergenza (febbraio-aprile 2020), ha spinto a riflettere sulle crisi sanitarie del passato, ricercando agganci al reale e all’esperienza concreta dei discenti, al fine di stimolarne l’interesse e rendere la disciplina storica meno fredda e distante[7]. La scelta è sovente caduta sulla “spagnola”, non fosse altro perché costituisce l’ultima pandemia ad aver colpito con virulenza l’Italia e l’Europa nella storia contemporanea.
Nondimeno, costruire un percorso didattico su questa tematica può rivelarsi complesso. Intanto, documentarsi sulla “spagnola” non è agevole. Per la penuria di riferimenti nei manuali, è necessario rifarsi a saggi e articoli scientifici, il cui numero è però cresciuto considerevolmente dal 2020 e non sempre è facile districarsi tra questa mole di materiali. Secondariamente, la pandemia influenzale rappresenta un tema vasto, che abbraccia questioni riconducibili a diverse branche della disciplina storica (aspetti medici, culturali, politici, sociali, ecc.) e interessa un orizzonte geografico ampio. A partire dallo studio della “spagnola” si possono sviluppare approfondimenti sulla globalizzazione, sul diritto alla salute, sulla disinformazione, rispondendo anche alle esigenze dell’insegnamento dell’educazione civica. Tuttavia, questa ricchezza può risultare dispersiva: quindi, è preferibile incentrare l’intervento su alcuni aspetti specifici o su un’area circoscritta (come il caso italiano).
La struttura della lezione
In questo contributo sarà illustrata una proposta didattica sull’influenza “spagnola”, che ne delinea un quadro globale per poi focalizzarsi sulla vicenda italiana. L’attività si rivolge all’intero ciclo della scuola secondaria di secondo grado, ma con alcune modifiche progettuali può essere realizzata anche nelle classi terze della secondaria di primo grado. Ha una durata di tre ore e si divide in tre fasi:
- una prima, dal carattere introduttivo, in cui sono presentate le coordinate generali dell’evento, insistendo, in particolare, sulla dimensione globale della “grande pandemia” e sulla ricostruzione del contesto in cui venne a verificarsi;
- la fase successiva offre un quadro dell’influenza “spagnola” in Italia, osservando le risposte assistenziali e igienico-profilattiche delle autorità e l’impatto della malattia nel Paese;
- una terza, in cui sono ricostruite le misure decise dal governo per controllare le notizie sull’influenza spagnola, il diffondersi di false notizie e i loro impatto sui comportamenti popolari.
L’intervento impiega prevalentemente la metodologia della lezione frontale, supportata dalla proiezione di foto, immagini, carte, grafici e dalla lettura di testimonianze scritte e di articoli di giornale coevi. Nel corso dell’attività, sono proposti brevi momenti di confronto con l’attuale crisi sanitaria, per favorire il coinvolgimento degli studenti. In conclusione, vengono fornite un’appendice documentaria, con una selezione di materiali che possono essere citati a lezione, e una bibliografia essenziale, da cui gli interessati potranno documentarsi sia per dare corso a questa proposta sia per progettare ulteriori interventi didattici sull’argomento.
I. La dimensione globale
Attività di lancio
La lezione può essere introdotta ponendo alla classe alcune domande, al fine di indagare le conoscenze pregresse degli alunni. Questa ricognizione è propedeutica ad evidenziare che la “spagnola” è stata a lungo esclusa dal dibattito pubblico e messa ai margini dell’analisi storiografica, fino alla pandemia di Covid-19 che, con il suo profondo impatto sulla società, ha portato a ripensare il nostro rapporto con i concetti di salute e malattia, con effetti sulla ricerca storica e sui modi di interfacciarsi con il passato. Per sottolineare l’interesse per l’argomento da parte del pubblico, possono essere mostrati i dati d’accesso alla voce Influenza spagnola su Wikipedia.it: il numero di visitatori della pagina ha conosciuto un aumento esponenziale in corrispondenza dell’inizio dell’emergenza sanitaria presente[8].
Le statistiche della pandemia
Si entra nel vivo della lezione presentando i numeri della malattia, che offrono uno spaccato delle dimensioni del fenomeno. Secondo la maggior parte delle stime, la “spagnola” uccise 50 milioni di persone (25 decessi ogni 1.000 abitanti), anche se alcuni studiosi portano il computo fino a 100 milioni. La pandemia avrebbe provocato, globalmente, più vittime del conflitto (10 milioni di morti). Stando a varie ipotesi, infettò un terzo della popolazione mondiale (500 milioni di persone). In confronto a morbi che avevano flagellato l’Europa nel XIX secolo, come il colera, i tassi di letalità della “spagnola”, ossia la percentuale di infettati che perirono, furono relativamente bassi (10% degli infettati). Nondimeno, l’altissima contagiosità determinò un sovrappiù di morti, concentrati in larga parte nell’autunno 1918, quando la seconda ondata pandemica investì il globo.
Tuttavia, queste statistiche devono essere lette anche in chiave qualitativa: chi erano le vittime della “spagnola”? Per lo più, uomini e donne tra i 20 e i 40 anni, ossia le generazioni su cui maggiormente erano ricaduti i costi umani del conflitto[9]. In varie zone, il virus ebbe un’incidenza maggiore tra le donne, motivo per cui la malattia fu anche ribattezzata la “riequilibratrice”, andando a compensare le perdite di maschi causate dalla guerra.
La distribuzione della mortalità a livello mondiale, inoltre, fu tutt’altro che omogenea. L’Europa e il Nord America, pur colpiti da una grave crisi sanitaria, ebbero tassi di letalità assoluta che solo nei peggiori casi – come l’Italia – si attestarono sull’1-1,5 %, mentre in Africa e Asia questo dato spesso raggiunse e superò il 10%. Il diverso impatto della pandemia influenzale rispecchiò il divario economico e sociale che divideva le aree sviluppate del pianeta dalle zone arretrate[10]. In queste regioni, le conseguenze della “spagnola” furono più gravi e durature.
Le cause: il contesto storico
Una volta discussi i dati, il passaggio successivo prevede di inquadrare le cause della pandemia influenzale. Dopo un rapido accenno alle ipotesi formulate dalla comunità scientifica per spiegare l’origine del morbo, è opportuno focalizzare l’attenzione degli studenti sulle strette correlazioni tra la “spagnola” e il suo contesto storico. La prima ondata pandemica cominciò a propagarsi nel marzo 1918 ed entro l’inizio dell’estate aveva infettato la gran parte del globo, avanzando incontrastata tra popolazioni fiaccate dalle privazioni belliche e veicolata dai traffici di persone imposti dal conflitto, dalle reti transcontinentali create dalla colonizzazione europea, dai moderni sistemi di trasporto[11]. Proprio la sua rapida ed estesa circolazione determinò, verosimilmente, la mutazione dell’agente virale verso la forma più letale, poi ripresentatasi nell’autunno 1918. Dalla prima metà del 1919, una terza ondata – assai meno contagiosa e mortale della precedente – investì il pianeta, seguendo le direttrici dei grandi movimenti del dopoguerra: il ritorno dei reduci, gli spostamenti dei profughi, la ripresa dei commerci. I grandi movimenti di persone e le interconnessioni globali, a distanza di cento anni, rimanevano fattori determinanti nella circolazione dei virus. A supporto di questa parte dell’intervento, possono essere proiettate alcune carte geografiche sulle direttrici di diffusione della malattia, riprendendole dall’articolo di David Patterson e Gerald F. Pyle[12].
A questo punto, si deve sottolineare che il contesto bellico condizionò anche e soprattutto le risposte all’emergenza sanitaria: i provvedimenti assistenziali, le disposizioni profilattiche e le narrazioni pubbliche della pandemia furono subordinati alle necessità del conflitto. È un punto di forte discontinuità tra ieri e oggi: nella crisi scatenata dal Covid-19, governi e popolazioni hanno tendenzialmente riconosciuto la priorità di tutelare la salute pubblica, a costo di limitare la socialità, ridurre le libertà individuali e danneggiare le attività economico-produttive[13]. Dal momento che le misure sanitarie sono affrontate nella trattazione del caso italiano, si può chiudere questa prima sezione illustrando la genesi del nomignolo “spagnola”, un aspetto che ben testimonia le conseguenze del clima bellico sulla gestione dell’emergenza. All’arrivo della prima ondata, nella primavera 1918, i giornali dei Paesi belligeranti diedero poco spazio alla malattia: la loro attenzione era fagocitata dalla guerra, nelle sue fasi salienti, e, inoltre, le restrizioni censorie non consentivano di parlare liberamente di problematiche interne che avrebbero potuto incrinare lo spirito pubblico. Al contrario in Spagna, nazione neutrale, la stampa, libera dalla censura, dedicò dettagliati resoconti al diffondersi del morbo. Nelle nazioni in guerra, i giornali quasi tacquero del contagio nei rispettivi Paesi, ma diedero conto del propagarsi del virus in terra iberica: la malattia sembrava, pertanto, confinata alla Spagna e da lì aver avuto origine[14].
II. L’Italia: il quadro nazionale
I numeri dell’emergenza in Italia e le sue cause profonde
La trattazione del caso italiano consente di osservare da vicino questioni anticipate nella fase introduttiva. Questa sezione, similmente alla precedente, prende il via analizzando le statistiche della “spagnola” in Italia, le quali danno un’idea dei drammatici effetti della malattia nella Penisola. L’Italia fu una delle nazioni europee più colpite in termini assoluti e relativi, con dati che oscillano tra le 490.000 e le 600.000 vittime (10-15 decessi ogni 1.000 abitanti), in larga parte concentrate nell’autunno 1918[15]. È opportuno precisare, a monte, che l’alta incidenza della “spagnola” aveva cause profonde e dipendeva dai ritardi dello sviluppo alimentare e sanitario nazionale, che la guerra aveva acuito. La contrazione dei consumi, la mancanza di tutele lavorative, la penuria di medici e lo stress psicofisico determinarono un peggioramento della qualità della vita, mentre lo sforzo bellico sottrasse risorse umane e materiali ad alcune iniziative chiave in campo sociale e sanitario. È utile ricordare che in Italia, come in gran parte d’Europa, ai poveri era fornita un’assistenza minimale e, spesso, la tutela delle classi subalterne era demandata ad istituzioni private a carattere filantropico.
Le contromisure sanitarie dello Stato italiano
Al di là dei problemi strutturali della nazione, però, molte vite furono sacrificate a causa della deficitaria azione delle autorità, che anteposero l’interesse militare ai bisogni della popolazione. L’intervento sanitario si concentrò sull’esercito, per tutelarne l’efficienza in un momento bellico decisivo, mentre nel fronte interno furono presi provvedimenti igienici blandi, allo scopo di non compromettere servizi e attività essenziali per il funzionamento della macchina statale e militare. In questa fase occorre una visione d’insieme delle risposte (o, meglio, delle mancate risposte) organizzate dal governo e dalle amministrazioni locali in campo assistenziale e in quello igienico-profilattico. Soffermarsi su quest’ultimo punto, in particolare, può favorire il coinvolgimento degli studenti. Possono essere poste alla classe domande-stimolo sulle misure adottate contro il Covid-19, mobilitando così la loro esperienza. Si va poi a spiegare che al tempo non furono applicati molti dei provvedimenti attuati durante il Covid-19, quali le chiusure selettive delle attività economico-produttive, le quarantene, le limitazioni della libertà di circolazione, e, soprattutto, l’uso obbligatorio di dispositivi di protezione individuale (le mascherine). In assenza di adeguati ammortizzatori sociali, inoltre, molti non poterono ridurre la frequentazione degli spazi pubblici: lavorare era necessario per la sussistenza di sé e dei familiari, ma circolare senza alcuna precauzione igienico-profilattica significava esporsi al virus. Possono essere fatti alcuni esempi. Le industrie e gli uffici pubblici non subirono riduzioni d’orario e sospensioni dell’attività, continuando a movimentare quotidianamente migliaia di lavoratori[16]. Né l’intervento sanitario interessò gli agglomerati all’ingresso dei negozi alimentari: nonostante i rischi che presentavano per la salute pubblica, contingentare l’accesso agli spacci avrebbe suscitato il panico tra la popolazione, più intimorita di rimanere senza viveri che di infettarsi[17]. Al contrario, l’apertura della scuola fu quasi ovunque posticipata di circa due mesi: il che fa comprendere come l’istruzione fosse considerata un qualcosa di “sacrificabile”.
Un bilancio del disastro
Senza alcuna misura di contenimento, la malattia avanzò incontrastata, provocando inevitabilmente interruzioni delle attività economiche-produttive e seminando strage. Nell’autunno 1918, a cavallo di poche settimane, la “spagnola” causò circa 400.000 vittime nella Penisola. Le categorie più colpite: operatori dei trasporti (ferrovieri, tramvieri, autisti), funzionari e impiegati, commercianti, operai, minatori, personale sanitario: medici, infermieri, farmacisti, militari. Dopo l’esaurirsi della seconda ondata (dicembre 1918), non furono prese ulteriori misure. Inoltre, il sovrappiù di decessi, in varie aree, mandò in crisi il sistema di pulizia mortuaria e diede luogo a scene raccapriccianti, che impressionarono la popolazione:
Morivano centinaia di persone al giorno. Il Comune aveva noleggiato carri trainati da buoi, con personale che trasportava rustiche casse da morto, prelevava i cadaveri dalle case e si occupava del seppellimento. Pareva di essere tornati al tempo della peste di Milano. Di tanto in tanto, urla raccapriccianti, provenienti dalla strada o dalle case vicine, annunziavano qualche altro lutto.[18]
La scena è cambiata: è noi combattiamo verso il camposanto. Che spettacolo vedere qui appunto come faceva spavento vedere trasportare nuovi cadaveri, uscivano da una porta uno dall’altra col carrettone, hanno fatti pieni la cappella del cimitero, li hanno poi caricati sui tram, si muore senza medici, senza preti, senza suono di campane, senza visita di parenti per paura di infettazione. Speriamo che cessi altrimenti quando vieni a casa non troverai più nessuno abitante.[19]
La spiegazione dovrebbe essere integrata con la lettura di brani – come quello appena citato – estrapolati da diari, lettere (anche censurate) e memorie di testimoni della “spagnola” (in questa parte, il docente può fare qualche accenno agli archivi della scrittura popolare presenti sul territorio italiano). Richiamarsi alle esperienze individuali aiuta a far immergere gli ascoltatori nella materia trattata, entrando in contatto con la quotidianità, i sentimenti e le vicende delle persone coinvolte nell’evento.
III. Tra silenzi e false notizie
Comunicare l’emergenza
La terza parte può essere introdotta chiarendo che ad aggravare il bilancio della pandemia contribuì la mancata promozione di una campagna di educazione alla salute tra la popolazione, al fine di incoraggiare l’adozione di condotte atte a limitare il rischio di infezione. Anzi, verso la fine di ottobre, via via che l’emergenza si aggravava, il governo ricorse a una strategia comunicativa volta a minimizzare, fino al punto di censurare, le criticità del momento, allo scopo di tutelare lo spirito pubblico in un tornante decisivo del conflitto e giustificare la propria inazione.
Documento 1: Articolo di giornale
Una circolare di Orlando sulle voci false ed esagerate sull’epidemia, «Corriere della Sera», 24 ottobre 1918.
Alle SS.LL. Non può sfuggire l’importanza di questo ordine del giorno. Con esso il nostro supremo Consesso tecnico in materia d’igiene e sanità ha voluto sopra tutto, e in linea principale, riassumere e tradurre in un’affermazione recisa e solenne, che alla sua forza sostanziale aggiunge quella che deriva dall’autorità del corpo da cui proviene il responso unanime e le dichiarazioni che tutti i competenti non hanno esitato a fare circa la nota epidemia che attualmente ci travaglia come tutti gli altri Paesi d’Europa, e non della sola Europa. Con questa affermazione il Consiglio Superiore ha esplicitamente inteso di opporsi alle voci sorte e diffuse fin dal primo accenno intorno a una più larga e intensa manifestazione della forma morbosa epidemia, apparsa da noi fin dalla primavera decorsa. Si parlò infatti fin da allora di una malattia terribile, misteriosa, ignota nella sua causa e invincibile nei suoi effetti, e di fronte a qualche caso eccezionale di complicanze polmonari particolarmente gravi, riuscito rapidamente ad esito letale con sintomi improvvisi di asfissia. […] Si tratta da noi, come si è trattato presso gli altri Paesi, di voci arbitrarie, assurde, frutto di incompetenza e di fantastica sovreccitazione. […] Questo hanno concluso gli scienziati più illustri, questo hanno riconosciuto e proclamato i corpi scientifici e tecnici più accreditati dei Paesi alleati, neutrali e nemici nei quali prima e con ancora maggiore gravità che da noi il perturbamento delle condizioni della pubblica salute impose il problema della ricerca delle sue cause e dei mezzi per reprimerlo. […] Il voto di questo Consesso dia occasione alle SS. LL. per un’efficace azione intesa a mettere finalmente termine alle voci da esso discorsi che ancora si sussurrano, voci che impressionano sinistramente le popolazioni, ne scuotono la resistenza morale, ne disorientano l’attitudine, rendono infine impossibili o meno efficaci i provvedimenti e i suggerimenti delle autorità competenti nelle quali si sminuisce ingiustamente la fiducia con critiche sterili quanto infondate. […] E a questa azione vogliano le SS. LL. invocare il concorso volenteroso della stampa politica e professionale, del corpo sanitario della provincia, anche a mezzo degli organi dei sanitari, dei comitati d’organizzazione civile e degli altri enti di propaganda sociale e patriottica, del clero e di tutti quanti insomma, per ragioni di ufficio e di professione, come per dovere civico liberamente e volenterosamente assunto, hanno occasione, modo e opportunità di esplicare un’opera pratica di persuasione.
La gran parte della stampa si era già allineata alle scelte del governo, pubblicando reportage rassicuranti, anziché informare sui pericoli del contagio. Le testate patriottiche accusarono gli oppositori interni, i socialisti e i disfattisti, di creare allarmismo sulla pandemia per fiaccare la tenuta della nazione.
Documento 2: Articolo di giornale
Nuovi provvedimenti contro l’influenza, «Corriere della Sera», 16 ottobre 1918.
Gli stessi bollettini dimostrano che la mortalità è sempre limitata e che la forma si mantiene benigna. Su 100 ammalati, 98 almeno hanno la certezza di guarire. Il senso di allarme che ha invaso la cittadinanza non è dunque affatto giustificato e contro di esso bisogna reagire energicamente. […] C’è poi una forma di disfattismo che si compiace di seminare notizie fantastiche, che esagera e generalizza casi particolari e di carattere affatto accidentale, alimentando il terrore delle classi meno colte. Contro questo disfattismo bisogna pure reagire ed essere senza pietà.
Documento 3: Articolo di giornale
La febbre spagnuola e le storie dei disfattisti, «Guerra alla Guerra!», 3 novembre 1918.
I disfattisti non ne lasciano andare a male una pur di nuocere alla solidarietà del Paese. Se non piove e i raccolti vanno male si dà ad intendere ai contadini che la colpa è della guerra, perché ha spaventato le… nubi; […] se c’è la febbre spagnuola la causa è della guerra! Imbroglioni! La febbre spagnuola, ossia la grippe, non ha proprio nulla a che fare con la guerra. La grippe è una malattia vecchia quanto la barba di Noè. […] Ma c’è di più: la grippe nel 1918 si è sviluppata prima di tutto nella Spagna (ecco perché si chiama febbre spagnuola) e voi tutti sapete che la Spagna non è in guerra e che quindi la malattia non ha nessuna attinenza con la guerra stessa. Ecco sventate le falsità di quei martufi [sic] dei neutralisti…
Pochi giornali, come «L’Avanti» (organo del Partito socialista italiano) e alcuni fogli locali, cercarono di sottrarsi a queste imposizioni e direttive, ma finirono inevitabilmente sotto la scure della censura.
Documento 4: Articolo di giornale
La febbre spagnuola in Italia, «L’Avanti», 26 settembre 1918.
È inutile nascondere la verità perché tutti, le verità, in un modo o in un altro vengono a conoscere e conoscono. Noi crediamo, del resto, che il sistema di trafugare alla coscienza del pubblico i casi di epidemia, mentirne l’importanza e la diffusione, non corrisponda nemmeno all’interesse pubblico perché impedisce che il pubblico, per ragioni di conservazione, attui quelle precauzioni di difesa contro il morbo, assuma quelle pratiche igieniche che l’avvertimento e l’allarme lo spingono ad assumere a difesa della propria incolumità. Dire, dunque, ai cittadini la verità e dirla in tempo, senza attendere di esservi obbligati dalla ineluttabilità dei fatti. E assieme alla esatta notizia della verità, diano le competenti autorità sanitarie disposizioni di provvedimenti congrui.
Per rafforzare l’immagine rassicurante che traspariva dai giornali, le autorità locali tentarono persino di limitare l’esposizione del lutto, vietando le processioni funebri, chiudendo i cimiteri e permettendo solo ai parenti più prossimi di partecipare ai funerali[20]. L’eccesso di mortalità, nondimeno, diede spesso luogo a scene orrorifiche, come quella citata nel paragrafo precedente.
Le conseguenze: la disinformazione, la paura, la solitudine
La strategia comunicativa imposta dal governo riuscì a “nascondere” la pandemia sui mezzi d’informazione, ma erose la trasparenza delle notizie sull’emergenza, con inevitabili conseguenze sulla condotta della popolazione. Deve essere chiarito alla classe che la disinformazione è un fenomeno ricorrente nei momenti di forte turbamento emotivo, come quelli ingenerati dalle guerre e dalle epidemie[21]. La stessa pandemia di Covid-19 rientra in questa casistica, anche se ha avuto una copertura mediatica ampia e quasi ininterrotta, al contrario della “spagnola”. Questa ricchezza di informazioni ha rappresentato una risorsa per rendere più efficaci le misure di contenimento, quando ben gestita, ma purtroppo si è spesso tramutata in sovrabbondanza di notizie, non sempre attendibili[22]. Specie sui social network e sui siti internet, hanno iniziato a circolare le più disparate teorie cospirazioniste sulle origini della malattia e sulle cure. Nel turbamento del momento, molti lettori hanno riscontrato difficoltà a orientarsi tra le notizie proposte loro. L’infodemia ha indotto a comportamenti dannosi e controproducenti per la salute, per il contrasto del virus e per la tenuta dell’ordine pubblico[23].
Dopo questa parentesi sugli eventi a noi vicini, possiamo proporre agli studenti diversi esempi di false notizie circolanti al tempo. Anzitutto, in assenza di terapie specifiche, molte voci riguardarono le presunte cure miracolose, che, in genere, avevano effetti nulli, se non controproducenti e dannosi. Non furono rari i casi di avvelenamento per l’ingestione di disinfettanti, assunti come “rimedio preventivo”. In secondo luogo, tante dicerie erano concernenti le responsabilità e le cause del morbo. Le opinioni pubbliche delle nazioni dell’Intesa accusarono la Germania di aver realizzato il virus in laboratorio per usarlo come arma batteriologica. Tra i ceti popolari italiani si propagò, invece, la voce, figlia della persistente sfiducia verso lo Stato, che la malattia era stata diffusa deliberatamente dalle autorità per eliminare i poveri[24]. In alcune parti del Paese, la popolazione respinse con violenza i medici e le forze di pubblica sicurezza.
Documento 5: Articolo di giornale
La credenza del veleno di Stato, «Il Tempo», 25 ottobre 1918
Anche la febbre spagnuola è diventata veleno di Stato. Constatiamo per ora le identiche condizioni di un secolo fa nella coscienza popolare [in occasione dell’epidemia di colera, si erano diffuse dicerie analoghe], che in simili evenienze, quando cioè un malanno qualsiasi viene ad espandersi con ogni sua trista conseguenza, non sa sfogare il suo risentimento che contro le povere autorità, le quali avranno tutti i torti principali, ma non sono certamente responsabili, almeno della invenzione dei microbi più micidiali. […] Nel paese di [Adami]138 hanno assunto una tragicità del tutto raccapricciante: un carabiniere è stato ucciso barbaramente; è pure perito, vittima della superstizione, un povero soldato, venuto dal fronte a passare la licenza in famiglia. L’uno e l’altro, questi due bravi militari non facevano che cooperare all’assistenza pubblica, perché fosse impedita la propagazione del male. Adunque, la coscienza popolare sotto l’incubo di una fata credenza, s’annebbia a tal punto, da non intendere nemmeno la necessità dei rimedi e l’assoluto bisogno di evitare per quanto sia possibile la propagazione dell’epidemia. Nel 1918 […] il popolo non ha ancora raggiunto quello sviluppo morale e sociale di cui si è creduto di avere delle prove, e, qual che più, dimostra di non essersi affatto liberato di tutti quei pregiudizi che costituivano la base della sua deplorata inferiorità. […] La spiegazione sta, secondo il nostro modesto avviso, nella persistente ignoranza delle popolazioni meridionali.
Al pari di altri fenomeni epidemici di vasta portata, la “spagnola” innescò intricate relazioni sociali e culturali, che avrebbero necessitato di una gestione più accorta da parte delle autorità. In questa fase, sovviene spontaneo un confronto con alcune fake news diffusesi in corrispondenza del Covid-19: il docente può citarne alcune, selezionandole dall’elenco pubblicato dal Ministero della Salute[25].
La disinformazione ebbe soprattutto l’effetto di acuire lo smarrimento della popolazione, complice anche la stretta censoria sulle corrispondenze private.
Documento 6: Testimonianza
Archivio diaristico nazionale: Tommaso Bordonaro, Memoria, pp. 9-10.
Finita la guerra, mio padre ritornava grazie a Dio vivo e sano, ma nella nostra casa regnava la miseria, più guaio ancora finita la guerra, vi è stata una malattia infettiva chiamata la spagnola, anche mio padre e quasi tutto il popolo erava infettato e l’agente moriva accatastrofi nel nostro piccolo paese. Al giorno morivano tante volte due o tre in una famiglia, anche mio padre appreso quel male, ed è arrivato impunto di morire fino a portarle il viativo e lestremensione il nostro parroco. […] All’ora eravamo 4 fratellini forse Dio l’avuto pietà e lo à fatto campare.
In particolare, le donne sole, con il marito al fronte o rimaste vedove, sperimentarono un profondo senso di abbandono: alcune si suicidarono, soverchiate dalla paura per il virus contratto, angosciate dal pensiero di andare incontro a una morte atroce e timorose di contagiare i propri familiari. I diari e le memorie, orali e scritte, sono le fonti che più restituiscono descrizioni vivide dell’esperienza della “spagnola”, lasciando trasparire il disorientamento per un evento che si faticava a comprendere. In varie storie intime, l’influenza assurse a tragedia conclusiva di anni di attesa e sofferenza per affetti familiari separati dal conflitto.
Documento 7: Testimonianza
Archivio diaristico nazionale: Antonio Rotunno, Memorie, 20 dicembre 1918.
Da ottobre fin qui, nel popolo padulese si son fatti molti vuoti per le morti avvenute in seguito alle febbri spagnole e a fulminei casi di polmonite. Alla famiglia domando: «Che fa il tale? Come sta la tale?». Con meraviglia mi sento rispondere: «Son morti! Son morti!». La febbre spagnola ha mietuto parecchie vittime, la maggior parte, giovanissimi. Il buon negoziante in generi alimentari Giuseppe Cinelli, che in ottobre lasciai sano ed in florida salute, è anch’esso scomparso dal numero dei viventi per polmonite sopravvenutagli nei giorni scorsi. […] A coronare l’opera della guerra, ci mancava anche questo! Nelle litanie maggiori, si legge: «A peste, fame et bello, libera nos Domine! Da peste, da fame, e da guerra, liberaci, o Signore!». Dunque, delle tre cose, che costituiscono tre flagelli uniti ed inseparabili, finora, due se ne erano verificati: la guerra e la fame. Mancava il terzo, ed ecco che quasi a guerra finita, la spagnola, ha dato piena ragione alle sacre scritture. Meno male, anzi, grazie a Dio che il suo periodo è stato brevissimo, altrimenti nei paesi colpiti vi si avrebbe potuto benissimo come si dice, giocar il tacchero! Senza pericolo di disturbare alcuno!..
Le vicende citabili sono svariate, ma la seguente può risultare particolarmente esemplificativa:
Poi la guerra è finita, sono tornato a piedi in Italia. […] A Valloriate incontro una donna che mi chiede di che borgata sono. «Sono di Chiotti», le dico. «Ne sono morti due stamattina di Chiotti, sono morti di spagnola». «E chi sono?» «Tita Ciot e sua figlia». Mi sono messo a piangere disperato, sono entrato nell’osteria a bere qualcosa… Poi mi sono incamminato verso casa. Mio padre aveva sessantadue anni e mia sorella ventidue, erano lì morti. Mia madre era a letto malata, anche mio fratello era a letto malato. Soltanto la moglie di mio fratello era in piedi, con i tre bambini. Dopo due giorni, anche mio fratello è morto. Mia cognata è tornata a casa sua portandosi via i bambini. Io sono rimasto solo con mia madre[26].
Conclusioni: quel che resta della pandemia
Queste storie tragiche sono rimaste confinate nel ricordo privato e familiare. Come accennato in apertura, la “spagnola” non lasciò tracce nella memoria pubblica e il lutto individuale non venne ricompreso in una cornice collettiva: non esistono, infatti, monumenti alla spagnola[27]. Eppure, l’emergenza non fu priva di ricadute politiche. La crisi evidenziò l’importanza dell’intervento pubblico, portando alcuni Stati ad avviare riforme sanitarie strutturali. Gli effetti demografici della “spagnola”, sommandosi ai grandi sconvolgimenti provocati dal conflitto, spinsero vari governi – compresa l’Italia – a implementare politiche per favorire la natalità e timidi programmi di welfare.
In chiusura, è utile accennare ad alcune possibili cause dell’oblio a cui andò soggetta la pandemia influenzale. Tra esse si possono citare la censura imposta sull’emergenza, l’egemonia della memoria eroicizzante dei caduti in guerra sul ricordo dei morti per la “spagnola”, il diverso modo di vivere la morte per malattia a inizio Novecento, i problemi politico-sociali del dopoguerra, il desiderio di lasciarsi alle spalle un evento drammatico. A questa assenza non ha posto per lungo tempo rimedio la storiografia, in genere poco interessata agli eventi catastrofici di origine naturale. Questo almeno prima del Covid-19: l’esperienza presente ha mostrato una volta di più che sebbene la disciplina storica studi gli eventi passati, è il presente a stimolare nuovi interrogativi da porre al passato e a fornire nuove chiavi di lettura per analizzare la storia.
Ulteriori documenti
Testimonianze
- Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano: Filippina Mincio, Così ricordo la mia vita, memoria, pp. 16-17.
Di quell’epoca ricordo con lucidità incredibile un altro periodo triste e penoso. L’epidemia della “spagnola”. Fu anch’essa un’immane tragedia. Si trattava di una influenza maligna che colpiva grandi e piccini, ma infieriva con maggiore violenza sui giovani, che mieteva senza pietà. Intere famiglie furono decimate. Le campane suonavano a morto da mane a sera. Questo, aggiunto alle ferali notizie che giungevano dal fronte, aveva creato un’atmosfera lugubre. A casa mia la prendemmo tutti. Ricordo che eravamo a letto tutti nella camera dei miei genitori: la mamma e noi cinque figli, compreso il piccolo Biagio di pochi mesi. Papà, con la febbre altissima, era costretto a stare in piedi, per curarci. Allo scoppiare dell’epidemia, erano stati distribuiti alle famiglie dei medicinali e una grande quantità di limoni. Ognuno si curava da sé. Nessuno usciva di casa, neanche i medici, che d’altronde non sarebbero stati in numero sufficiente al fabbisogno. Ricordo, a casa mia, lenzuola bagnate di disinfettante appese ai balconi al posto delle tende. Erano misure precauzionali; ma tutto si dimostrava inutile. Morivano centinaia di persone al giorno. Il Comune aveva noleggiato carri trainati da buoi, con personale che trasportava rustiche casse da morto, prelevava i cadaveri dalle case e si occupava del seppellimento. Pareva di essere tornati al tempo della peste di Milano. Di tanto in tanto, urla raccapriccianti, provenienti dalla strada o dalle case vicine, annunziavano qualche altro lutto. Noi, per grazia di Dio, la superammo tutti quanti. Quando, più tardi, venni a sapere che entrambe le figliole del Direttore Didattico, le amichette della mia maestra, erano morte di spagnola, rimasi sconvolta. Non volevo crederci; mi rifiutavo di accettare la realtà dei fatti. Mi pareva impossibile che quelle due belle ragazze, cosi sane, floride, gaie e piene di vita, fossero sparite sotto terra. Le ricordo tuttora con le loro camicette chiare, i nastri di velluto sui capelli, affacciate al balcone, mandare baci con la Punta delle dita ai loro ufficialetti che passavano per la strada. Tutta la colonia palermitana fu in lutto per loro. La mia maestra si vesti di nero. Io, non volli più andare in quella casa. Poi, finalmente, un bel giorno, calò il sipario sulla duplice, immane tragedia. L’epidemia cessò. Ci fu l’Armistizio; la guerra finì e i superstiti tornarono a casa, dove moltissimi trovarono lutto e dolore. Cosi, lasciammo Corleone. Se, alla partenza del treno, la mamma avesse voluto ancora lanciare dei sassi, per lasciarsi indietro il ricordo di quei quattro lunghissimi e tristi anni, non le sarebbe bastata un’intera pietraia.
- Giuseppe Bruno, detto Bep ‘di Tita Ciot, nato a Chiotti di Valloriate, classe 1893, contadino. Testimonianza in N. Revelli, Il mondo dei vinti, Torino, Einaudi, 1997, pp. 360-361.
Poi la guerra è finita, sono tornato a piedi in Italia. […] A Valloriate incontro una donna che mi chiede di che borgata sono. «Sono di Chiotti», le dico. «Ne sono morti due stamattina di Chiotti, sono morti di spagnola». «E chi sono?» «Tita Ciot e sua figlia». Mi sono messo a piangere disperato, sono entrato nell’osteria a bere qualcosa… Poi mi sono incamminato verso casa. Mio padre aveva sessantadue anni e mia sorella ventidue, erano lì morti. Mia madre era a letto malata, anche mio fratello era a letto malato. Soltanto la moglie di mio fratello era in piedi, con i tre bambini. Dopo due giorni, anche mio fratello è morto. Mia cognata è tornata a casa sua portandosi via i bambini. Io sono rimasto solo con mia madre[28].
- Lettera al soldato Giovanni D’Onofrio da parte dello zio, residente a Colletorto (Campobasso) (Citata in F. Cutolo, L’influenza spagnola del 1918-1919, 213).
La scena è cambiata: è noi combattiamo verso il camposanto. Che spettacolo vedere qui appunto come faceva spavento vedere trasportare nuovi cadaveri, uscivano da una porta uno dall’altra col carrettone, hanno fatti pieni la cappella del cimitero, li hanno poi caricati sui tram, si muore senza medici, senza preti, senza suono di campane, senza visita di parenti per paura di infettazione. Speriamo che cessi altrimenti quando vieni a casa non troverai più nessuno abitante.
Bibliografia essenziale
Saggi riguardanti aspetti generali, la dimensione globale o specifici casi di studio nazionali o regionali (Italia esclusa)
- Alfani G., D. Bidussa e A.M. Chiesi, Contagio globale, impatto diseguale. Influenza spagnola e Covid-19 a confronto, Feltrinelli, Milano 2020 (alla pagina web: https://fondazionefeltrinelli.it/app/uploads/2021/02/Contagio-globale-impatto-disegeguale_.pdf )
- Bianchi R., La “spagnola”. Appunti sulla pandemia del Novecento, 31 marzo 2020, sul blog dell’associazione “Amici di Passato e presente”, alla pagina web: https://amicidipassatoepresente.wordpress.com/2020/03/31/la-spagnola-appunti-sulla-pandemia-del-novecento-roberto-bianchi/.
- Collier R., L’influenza che sconvolse il mondo, Mursia, Milano 1980.
- Johnson N. – J. Mueller, Updating the Accounts: Global Mortality of the 1918-1920 “Spanish” Influenza Pandemic, in «Bulletin of the History of Medicine», 76/2002.
- Patterson D. – G.F. Pyle, The Geography and Mortality of the 1918 Influenza Pandemic, in «Bulletin of the History of Medicine», Johns Hopkins University Press, Baltimore 1/1991.
- Phillips H., Influenza Pandemic, in 1914-1918-online. International Encyclopedia of the First World War, 2014-10-08 (alla pagina web: https://encyclopedia.1914-1918-online.net/article/influenza_pandemic)
- Spinney L., L’influenza spagnola, Marsilio, Venezia 2018.
- Winter J., L’influenza spagnola, in S. Audoin-Rouzeau, J. Becker (a cura di), La prima guerra mondiale, Einaudi, Torino 2010.
Saggi su specifici casi nazionali
- R. Davis, The Spanish flu: Narrative and Cultural Identity in Spain 1918, Palgrave Macmillan, New York, 2013.
- N. Johnson, Britain and the 1918-19 Influenza Pandemic: A Dark Epilogue, Routledge, New York 2006.
- H. Phillips, Influenza Pandemic (Africa), in 1914-1918-online. International Encyclopedia of the First World War, 2014-10-08 (alla pagina web: https://encyclopedia.1914-1918-online.net/article/influenza_pandemic_africa).
- H. Phillips, In a Time of Plague: Memories of the “Spanish” Flu Epidemic of 1918 in South Africa, Van Riebeeck Society, Cape Town 2018.
- H. Phillips e D. Killingray (a cura di), The Spanish Influenza Pandemic of 1918-19. New perspectives, Routledge, New York 2008 [saggio collettaneo su diversi casi nazionali e regionali, in varie aree del globo].
Saggi sull’Italia
- F. Cutolo, L’influenza spagnola del 1918-1919: la dimensione globale, il quadro nazionale e un caso locale, con prefazione di R. Bianchi, ISRPt Editore, Pistoia 2020.
- A. Fornasin, M. Breschi e M. Manfredini, Spanish flu in Italy: new data, new questions, in «Le Infezioni in Medicina», 1/2018, pp. 97-106.
- P. Giovannini, L’influenza spagnola: controllo istituzionale e reazioni popolari (1918-1919), in A. Pastore e P. Sorcinelli (a cura di), Sanità e società, II. Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Umbria, Lazio. Secoli XVI-XX, Casa massima, Udine 1987.
- E. Tognotti, La spagnola in Italia. Storia dell’influenza che fece temere la fine del mondo, Franco Angeli Editore, Milano (1ª ed. 2002) 2015.
Saggi su specifici casi locali e aree geografiche dell’Italia
- E. Brunetta, La “spagnola” a Treviso nel 1918, in Grando E. (a cura di), Malattie e medicine durante la Grande Guerra, Gaspari, Udine 2009.
- G. Cerasoli, L’epidemia di spagnola in Romagna. Una guerra nella guerra, in A. Luparini (a cura di), La Grande Guerra nel Ravennate, Longo Editore, Ravenna 2010.
- R. Ghirardi, La febbre cattiva. Storia di una epidemia e del suo passaggio per Mantova, Bruno Mondadori, Milano 2013.
- D. Maraffino, Quel terribile autunno del 1918: progresso civile-sanitario e pandemia di spagnola nel Lazio meridionale, Priverno, Latina 2003.
- F. Ratti, «Qui sono diventati ‘spagnoli’ in molti». Storia sociale comparata della pandemia influenzale 1918-1919 nella provincia di Modena e nel Land Salisburgo, in F. Montella, F. Paolella e F. Ratti (a cura di), Una regione ospedale. Medicina e sanità in Emilia-Romagna durante la prima guerra mondiale, CLUEB, Bologna 2010.
- S. Soldani, La Grande Guerra lontano dal fronte, in Storia d’Italia. La Toscana, Einaudi, Torino 1986.
Saggi su aspetti specifici della pandemia
- R. Bianchi, A. Casellato e G. Contini, Memorie della ‘spagnola’, in «Farestoria. Malattie e società», III, 2/2021, pp. 81-104.
- F. Cutolo, L’influenza spagnola nel Regio esercito (1918-1919), in «Annali. Museo Storico Italiano della guerra», n. 27, 2019, pp. 33-62.
- F. Cutolo, The manipulation of the news about Spanish Influenza pandemic in Italy and the consequences on the Italian population (1918-19), in G. Delogu e A. Maranesi (a cura di), Perspectives on political communication / Prospettive sulla comunicazione politica, Ibis, Como-Pavia 2021.
- F. Cutolo, “Al tempo della peste”. Mentalità e comportamenti popolari durante la “spagnola” in Italia, 4 maggio 2020, in blog dell’associazione Amici di “Passato e Presente”
- F. Cutolo, La quotidianità in tempo di pandemia. L’esperienza della “spagnola” in Italia (1918-1919), in storialavoro.it, Al presente, aprile 2020
- S. Galletta, T. Giommoni, The Effect of the 1918 Influenza Pandemic on Income Inequality: Evidence from Italy, in CEPR discussion papers 3791, https://doi.org/10.2139/ssrn.3634793
- I. Gorini, B. Pezzoni, Spanish flu ended a century ago: references in historiography and art, in «Medicina Historica», v. 2, 2/2019.
Note:
[1] G. Alfani, D. Bidussa e A.M. Chiesi, Contagio globale, impatto diseguale. Influenza spagnola e Covid-19 a confronto, Milano, Feltrinelli, 2020, p. 38.
[2] E. Tognotti, La “spagnola” in Italia. Storia dell’influenza che fece temere la fine del mondo (1918-1919), Milano, FrancoAngeli, (1ª ed. 2002) 2015, pp. 28-29; F. Cutolo, L’influenza spagnola del 1918-1919. La dimensione globale, il quadro nazionale e un caso locale, Pistoia, ISRPt Editore, 2020, pp. 25-26.
[3] M. Panico, Una pandemia ‘dimenticata’. Strategie di testualizzazione dell’influenza spagnola durante l’emergenza di Covid-19, in «EC. Rivista dell’Associazione Italiana di Studi Semiotici», n. 32, 2021 p. 86.
[4] R. Bianchi, La “spagnola”. Appunti sulla pandemia del Novecento, 31 marzo 2020, sul blog dell’associazione “Amici di Passato e presente”, alla pagina web: https://amicidipassatoepresente.wordpress.com/2020/03/31/la-spagnola-appunti-sulla-pandemia-del-novecento-roberto-bianchi/ (ultima cons. 29 ottobre 2022).
[5] M.L. Lima e J.M. Sobral, Threat and Oblivion: Interpreting the Silence Over the Spanish Flu (1918–19), in D. Jodelet, J. Vala, E. Drozda-Senkowska (a cura di), Societies under threat: a pluri-disciplinary approach, Basel, Springer, 2020, pp. 187-199.
[6] A titolo di esempio, si vedano i seguenti manuali per la scuola secondaria di primo grado: F. Bertini, Crescere con la storia, v. III, Dal Novecento ai nostri giorni, Milano, Mursia Scuola, 2021, p. 92; V. Calvani, Dove inizia il futuro. 3. Dal Novecento a oggi, Milano, Mondadori Scuola, 2021, p. 178.
[7] G. Ferraro, Didattica e storia del Risorgimento. Pratiche, metodi e suggerimenti per le scuole secondarie di secondo grado, in «Didattica della storia», v. III, 1S/2021
[8] R. Bianchi, Saggio introduttivo. Spagnola. La grande pandemia tra storia, oblio e memoria, in Cutolo, 2020, p. 7.
[9] D. Patterson e G.F. Pyle, The Geography and Mortality of the 1918 Influenza Pandemic, in «Bulletin of the History of Medicine», Baltimore, Johns Hopkins University Press, 1/1991; N. Johnson e J. Mueller, Updating the Accounts: Global Mortality of the 1918-1920 “Spanish” Influenza Pandemic, in «Bulletin of the History of Medicine», 76/2002, p. 113.
[10] M. Harrison, Disease and world history from 1750, in J. R. McNeill e K. Pomeranz (a cura di), The Cambridge World History. Vol. VII: Production, Destruction and Connection, 1750-Present. Part I: Structures, Spaces and Boundary Making, Cambridge, Cambridge University Press, 2015, pp. 237-257.
[11] H. Phillips, Influenza Pandemic, in 1914-1918-online. International Encyclopedia of the First World War, 2014-10-08, doi: 10.15463/ie1418.10148, pp. 11-14, alla pagina web: https://encyclopedia.1914-1918-online.net/article/influenza_pandemic.
[12] Patterson e Pyle, 1991.
[13] Alfani, Bidussa e Chiesi, 2020, p. 52.
[14] Phillips, Influenza Pandemic, 2014, p. 3.
[15] G. Mortara, La salute pubblica in Italia durante e dopo la guerra, Bari, Laterza, 1925, p. 261; A. Fornasin, M. Breschi, M. Manfredini, Spanish flu in Italy: new data, new questions, «Le Infezioni in medicina», XXVI, 1/2018, pp. 97-106.
[16] Cutolo, 2020, pp. 166-172.
[17] F. Ratti, «Qui sono diventati ‘spagnoli’ in molti». Storia sociale comparata della pandemia influenzale 1918-1919 nella provincia di Modena e nel Land Salisburgo, in F. Montella, F. Paolella e F. Ratti (a cura di), Una regione ospedale. Medicina e sanità in Emilia-Romagna durante la prima guerra mondiale, Bologna, CLUEB, 2010, p. 181.
[18] Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano: Filippina Mincio, Così ricordo la mia vita, memoria, pp. 16-17. Nell’appendice documentaria, è disponibile la forma estesa della testimonianza.
[19] Lettera al soldato Giovanni D’Onofrio da parte dello zio, residente a Colletorto (Campobasso), citata in F. Cutolo, L’influenza spagnola del 1918-1919, p. 213.
[20] F. Cutolo, The manipulation of the news about Spanish Influenza pandemic in Italy and the consequences on the Italian population (1918-19), in Perspectives on political communication / Prospettive sulla comunicazione politica, a cura di G. Delogu e A. Maranesi, Como-Pavia, Ibis, 2021.
[21] M. Bloch, La guerra e le false notizie. Ricordi (1914-1915) e riflessioni (1921), Roma, Donzelli, (1ª ed. 1921) 2004.
[22] R. Vacca, Usare bene parole e numeri. Intervista a Roberto Vacca, in A. Guigoni e R. Ferrari (a cura di), Pandemia 2020. La vita quotidiana in Italia con il Covid-19, Danyang, M&J Publishing House, 2020, pp. 103-106.
[23] World Health Organization, The COVID-19 Infodemic. Editorial, in «The Lancet Infectious Diseases», n. 20, 2020.
[24] P. Giovannini, L’influenza spagnola. Controllo istituzionale e reazioni popolari (1918-1919), in A. Pastore – P. Sorcinelli (a cura di), Sanità e società, vol. II, Udine, Casamassima, 1987, pp. 373-397
[25] https://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/archivioFakeNewsNuovoCoronavirus.jsp?lingua=italiano&tagId=1285 [Url consultato il 10 novembre 2022].
[26] Giuseppe Bruno, detto Bep ‘di Tita Ciot, nato a Chiotti di Valloriate, classe 1893, contadino. Testimonianza in Revelli, Il mondo dei vinti, Torino, Einaudi, 1997, pp. 360-361.
[27] R. Bianchi, A. Casellato e G. Contini, Memorie della ‘spagnola’, in «Farestoria. Malattie e società», III, 2/2021, p. 88.
[28] Giuseppe Bruno, detto Bep ‘di Tita Ciot, nato a Chiotti di Valloriate, classe 1893, contadino. Testimonianza in Revelli, Il mondo dei vinti, Torino, Einaudi, 1997, pp. 360-361.