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La pandemia della disinformazione. I casi Covid-19 e HIV tra storia e educazione digitale

La pandemia della disinformazione. I casi Covid-19 e HIV tra storia e educazione digitale
Abstract

L’articolo che segue ha la stessa struttura dell’attività didattica omonima presentata alla passata Summer School Emergenze e nuove normalità. L’obiettivo è un confronto tra due situazioni emergenziali legate dalla diffusione di virus: il Covid-19 e l’HIV. Differenti contesti storici, simili utilizzi distorti dell’informazione. Il parallelo proposto alle classi passa attraverso l’analisi di differenti tipologie di fonti mediatiche. L’attività è prevista per le classi terze della scuola secondaria di primo grado e per l’intero ciclo della secondaria di secondo grado. La durata è di due ore, se svolta in presenza, due incontri da 45 minuti ciascuno per la DDI.

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The article that follows has the same structure as the educational activity with the same name presented at the previous Emergency and New Normality Summer School. The objective is a comparison between two emergency situations linked by the spread of viruses: Covid-19 and HIV. Different historical contexts, similar distorted uses of information. The parallel proposed to the classes involves the analysis of different types of media sources. The activity is intended for third-year classes of lower secondary school and for the entire cycle of upper secondary school. The duration is two hours if conducted in person, or two sessions of 45 minutes each for remote learning (DDI).

Introduzione

La pandemia pone molteplici sfide alla didattica. Una di queste consiste nell’agganciare l’attenzione degli studenti in una fase in cui le modalità trasmissive e frontali dell’insegnamento stanno subendo una trasformazione che non ha ancora sedimentato alcuna pratica. Anche se le pandemie non sono nuove nella storia dell’uomo – così come la disinformazione – i processi innescati dalla diffusione del Covid-19 hanno acceso la luce nell’ambiente vitale contemporaneo facendoci comprendere quanto le Tecnologie dell’Informazione e della comunicazione (ICT) siano determinanti. Portare in un’attività didattica temi viventi è un primo passo per innovare, per cercare quell’aggancio al reale cui abbiamo accennato. Osservare tali temi attraverso la lente dei media ci permette di proporre un confronto tra due situazioni emergenziali legate alla diffusione di virus. Il parallelo proposto è tra il Covid-19 e l’HIV: differenti contesti storici – la stretta attualità e gli anni Ottanta del XX secolo – che hanno, però, in comune simili utilizzi distorti dell’informazione. L’attività si divide in due momenti, corrispondenti a due contesti in questione. Nella prima parte una teoria dei media, corredata da un esempio di comportamento di un prodotto mediale nell’Infosfera, e una seconda che ha per oggetto l’impatto sociale dell’HIV, la cui diffusione ha anch’essa scatenato una vera e propria «epidemia di significati».[1]

 

Parte prima. Il Covid- 19 come evento periodizzante

Punto di partenza per affrontare il caso Covid-19 in classe è una sua definizione come evento periodizzante, come turning point che coinvolge la salute pubblica e la sfera privata, calato, per di più, in una dimensione mediale.

Lo potremmo definire come un evento doppiamente periodizzante e, in questo senso, l’epidemia potrebbe rappresentare un presente che si fa storia. È del tutto evidente che la storiografia avrà bisogno di una sedimentazione degli avvenimenti in corso, ma è altrettanto intuibile come le possibili linee di ricerca ipotizzabili siano sin da ora innumerevoli. Un primo significativo mutamento è, però, già avvenuto.

L’emergenza ha portato all’utilizzo sistematico e davvero di massa della rete e delle tecnologie informatiche. In tal senso questa pandemia, al pari di altri eventi della storia che hanno richiesto una straordinaria mobilitazione di uomini e risorse (su tutti le due guerre mondiali, ma anche molte catastrofi naturali)[2], si sta dimostrando un perfetto acceleratore. Sembra si stia concretizzando una rottura del continuum cronologico e la nostra percezione è di essere schiacciati, come scriveva lo storico tedesco Rainart Koselleck, «tra lo spazio dell’esperienza e l’orizzonte dell’aspettativa»[3]. Esperienza e attesa che vengono strutturate anche dal discorso mediatico e dal fatto che questa pandemia si incastra perfettamente nell’era delle Tecnologie dell’Informazione. Così l’evento periodizzante è anche evento mediale[4]. Soggiacendo alla logica dell’immaginario mediale e del presente storico gli eventi della pandemia sono diventati “monumenti elettronici” che danno sostanza alla memoria e costituiscono uno strumento per l’organizzazione del tempo storico: sottolineano passaggi d’epoca, indicano possibilità di cambiamento e marcano segmenti temporali, segnando, talvolta, l’inizio e la fine di un’era: «spezzano i calendari esistenti […] e possono essere catalogati come […] un intervento decisivo e significativo nella storia»[5].

 

L’ambiente digitale contemporaneo tra Infosfera e Spreadable media

Nell’attività didattica si focalizza il tema della disinformazione a partire da alcuni concetti chiave, in particolare le considerazioni di Henry Jenkins sulla Cultura convergente[6] e gli Spreadable media[7]. Centrali sono, inoltre, le definizioni e i legami tra Infosfera e Documedialità[8], e ancora il concetto di post-verità nella narrazione transmediale e nell’era onlife[9].

Mettere al centro della scena concetti apparentemente tanto complessi aiuta gli studenti a capire il linguaggio e il comportamento dei media, soprattutto quando sono veicolati attraverso la disinformazione, le fake news, e altri fenomeni che mettono in relazione media e psicologia della comunicazione. Aiuta ad intraprendere un dialogo proficuo in classe e pone un primo rimedio a quel problema che afferisce strettamente al rapporto tra didattica e media education. Come spiega Pier Cesare Rivoltella:

È come se, continuamente in ritardo sugli sviluppi delle mode e dei comportamenti, la società non avesse altra scelta che rincorrere [i media digitali] rimediando ai danni nel frattempo irrimediabilmente occorsi. Se si vuole rovesciare questa immagine, occorre sviluppare una sensibilità di segno diverso […][10].

Gli esempi riportati nell’attività sono un tentativo di rovesciamento per consentire di mettere a fuoco cosa intendiamo per infodemia: la pandemia da Covid -19 giunge in una fase storica della nostra società globalizzata, caratterizzata dall’intreccio tra Post – verità[11] e Documedialità.

La Documedialità, infatti, crea e prospetta l’autoaffermazione: nel momento in cui un utente agisce su un social network e trova altri dieci utenti che come lui stanno sostenendo una qualsivoglia teoria su qualsivoglia tema, interpreterà ogni cosa esistente in rete a partire dal suo punto di vista. Alla base della post-verità c’è proprio la frammentazione: milioni di persone convinte di aver ragione, raccontano il loro vero a prescindere dall’averlo verificato e cercano il riconoscimento attraverso un apparato tecnico – il Web – che consente e implica l’espressione delle idee dei singoli.

 

Il caso Avigan: storia di una scalata

Alla fine di questa parte più teorica, si propone agli studenti la visione di un video che esemplifica con chiarezza come interagiscono oggi i media tra loro. Si tratta di un prodotto mediale che monopolizza in pochissimi giorni il dibattito sui media e nelle istituzioni. Il video[12], della durata di cinque minuti, è girato con lo smartphone in Giappone, nella città di Tokyo da Cristiano Aresu, pubblicato su YouTube il 21 marzo 2020 e poi diventato virale su Facebook. Oggetto del video è la presunta efficacia del farmaco Avigan[13] contro il Covid-19.[14]

Le evidenze scientifiche di quanto affermato da Aresu non esistono. Si tratta di un tipico caso di fake news, nell’era della post-verità e nel flusso della narrazione transmediale, che si diffonde in un momento in cui la paura alimenta la speranza nell’opinione pubblica di una cura immediata al Covid-19. Questo è vero soprattutto in Italia, dove la pandemia è scoppiata da appena un mese. Il Paese si trova al secondo posto per casi al mondo e primo per morti accertate. La storia di questo prodotto mediale è, insomma, un esempio lampante dell’interazione tra media tradizionali e web nell’era della post-verità.

Il video diventa virale in poche ore e raggiunge milioni di visualizzazioni su Facebook. È a quel punto che anche i giornali iniziano a occuparsi del caso. Il 22 marzo 2020 un articolo del Corriere della Sera titola: L’esperienza da Tokyo: l’antinfluenzale per i casi lievi[15]. Aresu è descritto come «farmacista romano» (mentre lo stesso Aresu dichiarerà in diverse interviste di essere un informatore scientifico)[16]. Nella stessa giornata anche La Repubblica tratta la questione in un articolo firmato Irma D’Aria[17]. La giornalista richiama fin dal titolo «il video su Facebook» pubblicato da Aresu ed evidenzia come sulla questione vi sia anche l’interessamento dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), tanto che alcune regioni starebbero spingendo per la sperimentazione del farmaco contro il Covid – 19. Il video dell’Avigan, insomma, entra in quei giorni a pieno titolo nel dibattito politico: il presidente della Regione Veneto Luca Zaia e quello della Lombardia Attilio Fontana citano espressamente il farmaco nelle loro conferenze stampa.[18]

Nella stessa giornata un comunicato ufficiale dell’AIFA precisa come l’uso del Favipiravir per Covid-19 non sia stato autorizzato in Europa e USA a causa di scarse evidenze scientifiche. A colpire è, soprattutto l’incipit del comunicato e il riferimento alle «recenti informazioni circolate in rete (…)»[19]. Ma il clamore mediatico non si arresta; il 23 marzo un pezzo pubblicato sul Corriere della sera afferma: «Le aspettative, bene o mal riposte che siano, in questi ultimi giorni si chiamano Avigan. Ovvero il farmaco giapponese di cui tutti parlano dopo il video di un imprenditore romano diventato virale sui social»[20] . Anche in questo caso è interessante il richiamo alla rete e alla viralità, una viralità, o potremmo dire una spreadability di questo prodotto digitale, di cui gli stessi organi di stampa diventano vittima.

Eppure, a ben vedere, ancora in questo articolo non si sa bene chi sia Cristiano Aresu definito, genericamente, «imprenditore romano». Lo stesso 23 marzo AIFA comunica ufficialmente il cambio repentino di rotta che autorizza la sperimentazione[21]. Ormai il caso Avigan è sulle prime pagine di quasi tutti i quotidiani.[22] Ma la scalata del video virale non è ancora terminata: il video sull’Avigan compare in quei giorni in televisione trasmesso da diversi telegiornali nazionali[23].

 

Parte seconda. Covid-19 e HIV: natura e metodo di un confronto possibile

La seconda parte dell’attività agisce attraverso una comparazione per la quale è fondamentale una premessa. Il confronto tra Covid-19 e HIV è un espediente di metodo utile a storicizzare, non la proposta di un parallelo storico: ciò che si chiede alla classe è un vero e proprio salto all’indietro, in un periodo storico sì molto differente ma nel quale si respira un clima non troppo dissimile da quello del nostro presente.

La prima operazione da compiere è, non a caso, la contestualizzazione storica. Ricostruito brevemente il contesto proponiamo di sintetizzare il decennio Ottanta del Novecento a partire da quattro concetti-chiave: disimpegno giovanile (in contrapposizione all’attivismo politico e sociale dei venti anni precedenti), edonismo, individualismo, trionfo del neoliberismo economico su scala globale. L’inizio degli anni Ottanta, inoltre, se non soprattutto per quanto riguarda il tema trattato, è la fase storica in cui la medicina sembra aver debellato la maggior parte delle malattie infettive.[24] La malattia è ristretta a una dimensione individuale, è una questione privata, come nel caso del cancro. L’AIDS, dunque, irrompe in un contesto in cui il pericolo di una pandemia è ritenuto ormai improbabile.

Patologia nuova, infettiva e incontrollabile, riporta all’indietro le lancette del tempo e riconfigura la malattia come problema sociale,[25] con una sua precisa parabola mediatica (ciò che permette un preciso schema di comparazione con il caso Covid-19). Al centro di questa seconda parte di attività vi è, quindi, un’analisi guidata dei più significativi articoli sul tema, pubblicati sulla stampa nazionale ed estera. Sul piano metodologico, nonostante il percorso si possa prestare a essere impostato come laboratorio con le fonti, in questo primo anno sperimentale, e con le difficoltà della DDI, la nostra scelta è ricaduta sulla lezione partecipata.

 

Da “raro cancro” a AIDS: breve storia di un termine

La storia pubblica dell’AIDS inizia il 3 luglio 1981, quando il giornalista Lawrence Altman del New York Times riporta un incremento di casi di un «raro cancro osservato su 41 omosessuali»,[26] otto dei quali deceduti in meno di due anni. Sembra essere un cancro, ma i sintomi sono riconducibili a malattie che sono solite riscontarsi in persone molto anziane. I soggetti colpiti da quella strana e ignota malattia sono, però, giovani, senza patologie pregresse, ma hanno qualcosa che li accomuna: sono omosessuali. Una prima associazione tra AIDS e omosessualità è, quindi, opera della comunità scientifica che, in un’epoca in cui le informazioni sul virus sono limitate tanto quanto i mezzi per poterle raggiungere, deve cercare un nesso di causalità tra la malattia e la popolazione colpita. Tale nesso, tuttavia, si basa su considerazioni statistiche e non eziologiche: la correlazione tra le persone che sviluppano la malattia e l’omosessualità è considerata statisticamente significativa, ma il motivo di questa correlazione non è dimostrabile. Ciò che, invece, appare dimostrabile è come, attraverso l’azione dei media, questa considerazione ipotetica statistica sviluppata dalla comunità scientifica, si sia cristallizzata nell’immaginario collettivo.

Una prima questione da affrontare sul piano mediatico quella più immediata e banale legata al nome della malattia. Il “raro cancro” assume sui giornali americani una particolare denominazione: GRID, acronimo di “Gay Related Immunodeficiency, tradotto “immunodeficienza gay-correlata”.[27]

Per quanto riguarda la stampa italiana possiamo osservare come due quotidiani assai distanti nella linea editoriale come La Stampa e L’Unità, siano concordi nell’indicare l’AIDS come “morbo dei gay”.[28] La stampa britannica, invece, utilizza principalmente la denominazione “gay plague”, rievocando la pandemia più nota della storia, la peste.[29] Il richiamo alla peste è presente anche sulla Stampa, in riferimento ad un’altra “categoria” colpita dalla malattia: i tossicodipendenti. Sul quotidiano torinese la “pesta gay” diventa “la peste dei drogati”.[30] Le denominazioni assegnate dai media a questa ancora poco conosciuta sindrome contengono un dato nuovo: abbinano alla questione medica una precisa connotazione morale. La malattia si lega, indissolubilmente, al comportamento e alle abitudini di vita.

 

Peccato e responsabilità: l’AIDS come male del tempo

Sebbene nel corso del 1982 alla malattia sia assegnato l’acronimo tutt’oggi in uso, AIDS – Acquired Immune Deficiency Syndrom –, non si verifica una sua neutralizzazione sul piano simbolico e sociale: la “sessualità perversa” e la droga come “male sociale” diventano le due culture immaginarie del virus.[31] La malattia è rivelatrice di una crisi morale e sociale imputabile a specifici gruppi marginali. L’identificazione è, quindi, tra malattia e devianza: l’AIDS tocca i temi della libera sessualità e delle dipendenze e, in alcuni ambienti religiosi, diviene «metafora del peccato, della punizione per la trasgressione delle regole di comportamento socialmente accettate».[32] Dell’allora Ministro della salute Carlo Donat Cattin è, invece, l’equazione normalità come sinonimo di prevenzione, tema espresso nella famosa lettera inviata alle famiglie italiane il 1° dicembre 1988. Il passaggio più significativo della missiva è il punto 4: «la prima regola alla quale è consigliabile attenersi è quella di un’esistenza normale nei rapporti affettivi e sessuali». Centrale, quindi, resta il concetto di “normalità”, anche se la difficoltà sta nel fornirne una definizione che sia priva di quella stigmatizzazione che l’AIDS, e la narrazione pandemica dei media, hanno prodotto sin dall’emergere della sindrome.

Un ulteriore elemento che finisce per avere conseguenze di una moralizzaazione innescata dalla diffusione della malattia si focalizza sul tema della responsabilità. La formula anche in questo caso, è sempre di Donat-Cattin: l’AIDS l’avrà chi se lo va a cercare[33]: chi si infetta ha avuto comportamenti sessuali promiscui, o ha scelto di fare uso di sostanze stupefacenti. Se non avesse scelto la droga o non avesse avuto inclinazioni sessuali interpretati come “immorali”, probabilmente, non avrebbe contratto il virus. L’AIDS, così come si può notare anche per il Covid-19, chiama in causa direttamente il comportamento delle persone. Per il caso-AIDS, però, isola solo determinate categorie.

 

Paralleli: il paziente-zero e il problema scuola

La categorizzazione si esprime, appieno, anche in una figura dell’immaginario che dall’AIDS in poi sarà legata intrinsecamente alla narrazione virale: il paziente zero.[34] Nel negli anni Ottanta si tratta di uno steward canadese di nome Gaetan Dugas, deceduto nel marzo 1984. Per capire meglio il meccanismo di identificazione e di stigmatizzazione si propone alla classe la lettura di un articolo pubblicato sulla Stampa, l’8 ottobre 1987 che richiama a un libro pubblicato in quello stesso anno e che indica in Dugas il potenziale paziente zero. La descrizione coincide con le caratteristiche comportamentali della vittima-tipo dell’AIDS: “un gay biondo, giovane, molto attraente, con un’attività sessuale intensa, quasi frenetica.[35]

Con l’aumentare dei contagiati, e delle vittime, oltre alla caccia all’untore si diffonde, al tempo stesso, il timore del contatto con l’altro. La paura diffusa e incontrollabile è di contrarre il virus attraverso la saliva, il sudore, persino il semplice stare a contatto con persone infette. Un problema che, ineluttabilmente, coinvolge anche la scuola. Negli Stati Uniti uno dei casi più noti ha come protagonista Ryan White, tredicenne emofiliaco che a seguito di una trasfusione di sangue contrae il virus nel 1984. La sua storia è emblematica: nonostante i medici escludano categoricamente la contagiosità prevale il timore diffuso e irrazionale. Per questo motivo al giovane non viene consentito di seguire in presenza le lezioni alla Western Middle School, nella città di Kokomo, nell’Indiana. La soluzione adottata in quella circostanza rimanda a una sorta di DaD ante litteram, priva delle tecnologie dei nostri giorni. Interessante richiamare l’incipit di un articolo pubblicato sul New York Times il 27 agosto 1985:

Ryan White, che è stato escluso dalla scuola da dicembre perché ha sviluppato la sindrome da immunodeficienza, o AIDS, oggi ha frequentato il primo giorno di lezione da una linea telefonica speciale che collega la sua casa alla sua classe di seconda media. Il ragazzo di 13 anni è stato escluso dalla scuola per ordine di Jo Smith, sovrintendente della Western School Corporation, il quale afferma che il sistema scolastico non è attrezzato per gestire gli studenti affetti dalla malattia mortale. La qualità del suono per il primo giorno di scuola era buona a scuola, ma scarsa nella camera da letto di Ryan, che usa come classe (…).[36]

 

Prevenzione e lotta alla disinformazione: il bacio di Aiuti, le campagne del Ministero della Salute e il Movimento LGBT

Il caso della scuola permette di riassumere quanto l’informazione possa risultare non solo determinante nella narrazione pandemica ma possa innescare, in maniera quasi irreversibile, dinamiche sociali che conducono alla stigmatizzazione prima e all’esclusione poi, come diretta conseguenza. L’AIDS, dunque, costringe la comunità medico-scientifica a farsi carico non solo degli studi per debellarla o limitarne al minimo la diffusione, ma anche delle questioni comunicative e linguistiche innescate dal rischio pandemico. Investe, in breve, il settore di quella che viene definita Health Communication che si occupa di sensibilizzare le persone – attraverso mirati interventi comunicativi – a prendere consapevolezza delle reali cause di trasmissione del virus, superare razionalmente la fase del terrore pandemico (e, di conseguenza, cambiare comportamento e a prendere decisioni adeguate nella vita di tutti i giorni), applicare strategie di prevenzione.

La lotta per la prevenzione va di pari passo con la lotta alla disinformazione e alla stigmatizzazione, ma non sempre le due strade coincidono. Per capire quanto le strategie possono essere diversificate si propone alla classe tre diverse tipologie di interventi nella logica della lotta per la prevenzione e contro la disinformazione, analizzati attraverso altrettante tipologie di fonti.

La prima fonte è un’immagine: la fotografia divenuta simbolo della lotta alle false notizie legate alla trasmissibilità del virus: il bacio di Ferdinando Aiuti a Rosaria Giardino. Alla classe viene mostrata la fotografia e, una volta descritta l’immagine vengono descritti protagonisti, contesto e significato, anche simbolico, dell’azione. L’immunologo Fernando Aiuti bacia Rosaria Iardino, giovane romana sieropositiva, nel corso del V Congresso sull’AIDS che si tenne alla Fiera di Cagliari il 1° dicembre 1991.

Da anni era diffuso il timore di trasmettere il virus attraverso il bacio. Il noto immunologo decide, d’accordo con la giovane, di compiere un gesto eclatante ma dall’alto valore simbolico. L’analisi del “bacio di Aiuti” consente non solo di far lavorare gli studenti, sebbene in una dimensione dialogica e non laboratoriale, con fonti visive ma anche di richiamare loro l’attenzione sulla potenza dell’immagine nella comunicazione.

Il gesto di Aiuti, d’altra parte, permette di prendere coscienza di come ancora nel 1991 una completa conoscenza delle modalità di trasmissione del virus fosse tutt’altro che di pubblico dominio. Eppure, nella seconda metà degli anni Ottanta si realizzano diverse campagne di prevenzione e di lotta all’AIDS. È del 1988 il primo spot televisivo, trasmesso a reti unificate RAI, commissionato dal Ministero della salute che abbiamo visto presieduto da Carlo Donat-Cattin.

Ed è proprio uno di questi spot la seconda tipologia di fonte audiovisiva proposta.[37] Entriamo, quindi, nel campo della Media Literacy e della Media Education. Il video può essere analizzato destrutturandolo in tre parti. Nella prima, di matrice allarmista, una voce fuori campo segnala che per l’Aids non esiste ancora cura. Tuttavia, continua la voce fuori campo, non è facile ammalarsi di Aids, e comunque dipende dai nostri comportamenti. La seconda parte, dunque, propone la corretta informazione come strategia di tutela. Nell’ottica della prevenzione e della rassicurazione vengono elencati i comportamenti considerati non a rischio: baciarsi, darsi la mano, bere dallo stesso bicchiere e mangiare con le stesse posate. Successivamente appare il tema più delicato, quello della trasmissione sessuale. È la terza parte che definisce la “normalità come prevenzione”. L’Aids non si trasmette conducendo una normale vita di coppia ma si trasmette attraverso rapporti sessuali con persone già infette. È di nuovo, quindi, la definizione del concetto di normalità.

Lo spot è oggetto di aspre polemiche, condotte principalmente dalla comunità LGBT e, in particolare, dalla LILA-Lega italiana per la lotta all’AIDS, fondata dall’Arcigay nel 1987.[38] Questo spunto critico permette di presentare la terza ed ultima tipologia d’intervento per la lotta al virus e alla discriminazione: l’associazionismo. Nel decennio del disimpegno, quindi, la malattia porta a un rinnovato associazionismo, coinvolgendo proprio le vittime di quella stigmatizzazione. A Denver, in Colorado, nel 1983 si riuniscono una dozzina di uomini malati di AIDS e scrivono un manifesto, noto come il Manifesto di Denver (1983) che ha l’obiettivo di delineare una serie di diritti e responsabilità diretto agli operatori sanitari, alle persone malate di AIDS e anche a tutti coloro che sono preoccupati della pandemia.[39] Alla classe ne viene presentato un estratto:

Le persone con AIDS chiedono di essere coinvolte nelle decisioni a ogni livello, di partecipare a convegni con un ruolo attivo, per condividere esperienze e conoscenze; rivendicano il diritto ad avere una vita emotiva e sessuale soddisfacente, senza discriminazioni di alcun tipo (…). Rivendicano il diritto ad una scelta informata, alla spiegazione di tutte le procedure mediche e dei rischi, di accettare o rifiutare trattamenti, a morire e vivere con dignità.[40]

Per la prima volta nella storia persone che condividono una malattia si organizzano per affermare il diritto alla partecipazione politica nel processo decisionale che, di fatto, influenza le loro vite, sia biologiche con le cure, sia sociali, causa stigmatizzazione.

Ed è questa la conclusione lasciata alla classe: l’emergenza ha una stretta connessione con i processi di ricostruzione. È la stessa conclusione che richiama la coppia di parole chiave della passata Summer School Emergenze e nuove normalità e che ha ispirato la progettazione di questo approfondimento didattico.

 

Bibliografia parte prima
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  • L. Floridi, La rivoluzione dell’Informazione, Torino, Codice, 2012.
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Note:

[1] P. A. Treichler, How to Have Theory in an Epidemic. Cultural Chronicles of AIDS, Duke University Press, 1999.

[2] Matteo Pasetti, Non solo le guerre. Sulla rilevanza storica delle “altre” catastrofi, in “Novecento.org”, n. 15, febbraio 2021

[3]  R. Koselleck, Futuro passato. Per una semantica dei tempi storici, Genova, Marietti, 1987.

[4] L’evento mediale contribuisce alla definizione del presente: transizione tra il futuro e quello che è passato. Lo studio dell’evento mediale con una prospettiva storica aiuta la riflessione sul presente, anticipando il futuro, con la consapevolezza del monopolio detenuto dai media nella gestione dell’evento che «ci colpisce e non può evitarci»F. Bédarida, Le temps présent et l’historiographie contemporaine, in «Vingtième Siècle. Revue d’histoire», n. 69, 2001/1, p. 157. Sulla «storia del tempo presente», a cui appartiene la categoria del «presente storico», consultare il sito dell’Institut d’histoire du temps présent, http://www.ihtp.cnrs.fr/ e della rivista «Vingtième Siècle», https://www.cairn.info/revue-vingtieme-siecle-revue-d-histoire.htm.

[5] D. Dayan, E. Katz, Le grandi cerimonie dei media, Bologna, Baskerville, 1995, p. 239.

[6] Jenkins inizia a parlare dell’impatto del web sui media tradizionali a partire dal 2001 in alcuni articoli (https://www.technologyreview.com/2001/06/01/235791/convergence-i-diverge/) e teorizza in seguito un modello nel libro Convergence culture. Where old and new media collide, New York, New York University Press, 2006.

[7] H. Jenkins, S. Ford, J. Green, Spreadable media. I media tra condivisione, circolazione, partecipazione, Sant’Arcangelo di Romagna- Milano, Apogeo- Maggioli, 2013.

[8] Sul concetto di Documedialità si veda M. Ferraris, Postverità e altri enigmi, Bologna, Il Mulino, 2017.

[9] Su questi concetti di veda L. Floridi, La quarta rivoluzione. Come l’Infosfera sta cambiando il mondo, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2017.

[10] P.C. Rivoltella, Le virtù del digitale. Per un’etica dei media, Brescia, Morcelliana, 2015, p.7.

[11] La Post – verità ha diverse definizioni sintetizzabili in questo modo: un’argomentazione che si caratterizza per un forte appello all’emotività che basandosi su credenze diffuse e non su fatti verificati tende ad essere accettata come vera influenzando l’opinione pubblica. Il termine è attestato per la prima volta negli anni Novanta, ma acquisisce significato e diffusione a partire dal 2016 in corrispondenza di due eventi chiave: la Brexit e le presidenziali americane, entrambi caratterizzati da una grande quantità di fake news.

[12] Avigan, presunto farmaco contro il coronavirus. Burioni: “Scemenze”, Zaia: “Sperimentiamo in Veneto” – YouTube (URL consultato il 4/3/2021).

[13] Il Favipiravir, conosciuto anche con il nome commerciale Avigan è un farmaco antivirale.

[14] La notizia della presunta efficacia di questo farmaco si diffonde a livello internazionale pochi giorni prima dell’uscita del video di Aresu, come testimonia questo articolo del “The Guardian” uscito il  18/3/2020 Japanese flu drug ‘clearly effective’ in treating coronavirus, says China | Coronavirus | The Guardian. Tra i primi a riprendere la notizia in Italia è “Il Manifesto” con un articolo del 20/3/2020 dal titolo “La storia della Fujifim” https://ilmanifesto.it/la-storia-della-fujifilm/  (URL consultati il 5/3/2021).

[15] R. Frignani, 22/3/2020, L’esperienza da Tokyo: l’antiinfluenzale per i casi lievi, «Corriere della Sera».

[16] https://www.la7.it/nonelarena/video/avigan-sileri-contro-cristiano-aresu-nessuno-deve-permettersi-di-dire-che-litalia-sta-nascondendo-29-03-2020-316337 (URL consultato il 5/3/2021).

[17] https://www.repubblica.it/salute/medicina-e-ricerca/2020/03/22/news/coronavirus_a_tokio_la_speranza_di_un_anti-virale_che_funziona_da_domani_sperimentazione_anche_in_italia-251983590/ (URL consultato il 5/3/2021).

[18] Conferenza stampa di Zaia del 22 marzo 2020 è disponibile a questo link  https://www.facebook.com/watch/live/?v=1275583355980596&ref=watch_permalink&t=14; conferenza stampa di Attilio Fontana disponibile a questo link Lombardia Notizie Online – #Coronavirus, ultime notizie da Palazzo Lombardia – www.lombardianotizie.online – CONDIVIDETE PER INFORMARE IL MAGGIOR NUMERO DI PERSONE POSSIBILE #FERMIAMOLOINSIEME | Facebook (URL consultato il 5/3/2021)

[19] https://www.aifa.gov.it/-/aifa-precisa-uso-favipiravir-per-covid-19-non-autorizzato-in-europa-e-usa-scarse-evidenze-scientifiche-sull-efficacia (URL consultati il 6/3/2021)

[20] https://www.corriere.it/salute/malattie_infettive/20_marzo_23/avigan-via-sperimentazione-17ada1f4-6d19-11ea-ba71-0c6303b9bf2d.shtml (URL consultato il 6/3/2021)

[21] https://www.aifa.gov.it/-/favipiravir-aggiornamento-della-valutazione-della-cts (URL consultato il 6/3/2021)

[22]https://torino.repubblica.it/cronaca/2020/03/23/news/coronavirus_piemonte_attende_decisione_dell_aifa_per_partire_con_la_sperimentazione_dell_avigan-252051796/ ; https://www.repubblica.it/salute/medicina-e-ricerca/2020/03/23/news/covid-19_speranza_aifa_procede_su_sperimentazione_avigan_-252090636/ ; https://www.ilgiornale.it/news/politica/veneto-testa-lavigan-lultima-speranza-solo-casi-lievi-1844666.html

[23] Tg3 del 23/3/2020 (URL consultati il 6/3/2021)  Tg3 – Avigan, in sperimentazione ma con cautela | Facebook

[24] L’8 maggio 1980 l’OMS dichiara “solennemente che il mondo e i suoi popoli hanno ottenuto la libertà dal vaiolo”

[25] Per una definizione dell’impatto sociale dell’AIDS si rimanda a A. Giacchetta, A. Caputo, V. Langher (a cura di), La “peste del secolo” nella stampa italiana: le rappresentazioni dell’AIDS negli anni ’80 e 2000 a confronto, in Psicologia della salute, Franco Angeli 2016, pp. 91-92.

[26] L. Altman, Rare Cancer seen in 41 homosexuals, The New York Times, July 3, 1981. https://www.nytimes.com/1981/07/03/us/rare-cancer-seen-in-41-homosexuals.html

[27] L. Altman, New homosexual disorder worries health officials, The New York Times, May 11, 1982. https://www.nytimes.com/1982/05/11/science/new-homosexual-disorder-worries-health-officials.html

[28] Si richiamano a titolo esemplificativo due articoli pubblicati su “La Stampa” e “L’Unità” nel 1983:

Fa paura il morbo dei gay, La Stampa, 18 maggio 1983. http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,7/articleid,1027_01_1983_0116_0007_14351435/

“Morbo gay” anche a Roma: due giovani colpiti. Indagini su 80 omosessuali, L’Unità, 5 giugno 1983 https://archivio.unita.news/assets/main/1983/06/05/page_019.pdf

[29] Non essendo di libero accesso gli archivi storici digitali si rimanda a questa immagine che mette insieme prime pagine di tre quotidiani britannici, “The Sun”, “The Mail on Sunday” e “News of the World”, tutti del 1983. https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcR4qdBsfnR-Orrts5zq96FrMwBtmpe2OMV8dA&usqp=CAU

[30] Male misterioso fa strage. È la “peste dei drogati”, La Stampa, 10 novembre 1982 http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,2/articleid,1423_02_1982_0285_0002_20365799/

[31] Giacchetta, Caputo, Langher, 2016, p. 94

[32] Giacchetta, Caputo, Langher, 2016, p. 93. Una fonte interessante da mostrare in classe, che abbiamo escluso per il fattore tempo, è un’intervista rilasciata da Rocco Buttiglione ad Ezio Mauro, pubblicato su “La Stampa” il 5 febbraio 1987. “L’AIDS dà ragione alla Chiesa”, La Stampa, 5 febbraio 1987, http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,1/articleid,0970_01_1987_0030_0001_23495831/

[33] Avrà l’AIDS chi lo vorrà, La Stampa, 5 febbraio 1987. http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,7/articleid,0970_01_1987_0030_0007_13308115/. Per un approfondimento sul dibattito relativo alla formula di Donat Cattin, letta come giudizio morale e non come campagna di prevenzione, si rimanda alla seduta pomeridiana di mercoledì 24 febbraio 1988 della XII Commissione permanente (Igiene e sanità”: indagine conoscitiva sull’AIDS. https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/255909.pdf

[34] Il termine “paziente zero” viene utilizzato dai media la prima volta proprio in questo contesto. La storia della denominazione stessa “paziente zero” può risultare un’occasione per esplicitare il ruolo dei media. Il termine “paziente zero” è figlio di un errore: i medici statunitensi che stavano lavorando ai dati statistici per individuare il primo focolaio del virus e la potenziale prima persona ad infettarsi utilizzano la terminologia “Patient O”, abbreviazione di “Patient Out of California”. Una buona ricostruzione della vicenda si può trovare in Mithology of Patient Zero and how AIDS virus traveled to te US is all wrong, The Washington Post, october 26, 2016. https://www.washingtonpost.com/news/to-your-health/wp/2016/10/26/mythology-of-patient-zero-and-how-aids-virus-traveled-to-the-united-states-is-all-wrong/

[35] Uno steward portò l’AIDS in USA, La Stampa, 8 ottobre 1987. http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,4/articleid,0983_01_1987_0236_0006_13615925/

[36] Aids victims starts school over telephone, The New York Times, august 27, 1985 https://www.nytimes.com/1985/08/27/us/aids-victim-starts-school-over-telephone.html
Vedi anche: https://www.nytimes.com/1986/08/26/us/14-year-old-boy-with-aids-attends-school-after-2-years.html

[37] Di seguito lo spot del Ministero della salute, 1988  https://www.youtube.com/watch?v=9EbzSFjJoRc (URL consultato il 2 marzo 2021)

[38] Obiettivo dell’associazione è “promuovere il protagonismo, la diretta responsabilità e la piena partecipazione alla vita sociale e civile delle persone HIV sieropositive e con AIDS”.

[39]  https://actupny.org/documents/denver_principles.pdf

[40] https://actupny.org/documents/denver_principles.pdf

Dati articolo

Autore: and
Titolo: La pandemia della disinformazione. I casi Covid-19 e HIV tra storia e educazione digitale
DOI: 10.52056/9788833139883/21
Parole chiave: , ,
Numero della rivista: n.16, agosto 2021
ISSN: ISSN 2283-6837

Come citarlo:
and , La pandemia della disinformazione. I casi Covid-19 e HIV tra storia e educazione digitale, in Novecento.org, n. 16, agosto 2021. DOI: 10.52056/9788833139883/21

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