Le note tragiche del Jazz. Dalla censura fascista ai “Ghetto Swingers”
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Abstract
La musica jazz, nata negli Stati Uniti all’inizio del Novecento, investì l’Europa a partire dagli anni Venti, trovando un vasto successo nel pubblico. Fu però osteggiata dalla critica fascista e subì una pesante censura, in particolare dopo le leggi razziali del 1938, in quanto considerata dal regime musica “negroide e semitica”.
Seguendo il rapporto tra jazz e fascismo, è possibile comprendere i meccanismi della censura, esercitata dal Ministero della Cultura Popolare, e il suo fattivo fallimento: paradossalmente fu proprio nella fase della sua massima repressione, che il jazz raggiunse in Italia il culmine della sua popolarità. Esempio emblematico di questa situazione è la vicenda del Trio Lescano, costituito dalle tre sorelle olandesi naturalizzate italiane, ebree per parte di madre, protagoniste delle trasmissioni radiofoniche italiane tra il 1936 e il 1943.
Sorte peggiore ebbero i grandi jazzisti ebrei nei Paesi occupati dal Reich, molti dei quali furono catturati e uccisi nelle camere a gas, proprio dopo avere suonato nei lager le loro ultime tragiche note.
IL LABORATORIO
Il laboratorio è pensato per una classe di scuola superiore, ha la durata di circa due ore e prevede una spiegazione dell’argomento attraverso un PowerPoint e la visione di video musicali. Al termine la classe svolgerà un esercizio sulle fonti.
Conoscere il jazz
SLIDE 1-6
Prima di entrare nel vivo dell’argomento è bene conoscere per sommi capi di quale genere musicale stiamo parlando. Il jazz nacque agli inizi del Novecento negli Stati Uniti, come evoluzione delle forme musicali utilizzate dagli schiavi afroamericani. Ebbe origine in Louisiana, a New Orleans, dapprima con improvvisazioni collettive di suonatori che componevano “a orecchio”, poi con la creazione di jazz band. La linea melodica era prodotta dagli ottoni, accompagnati inizialmente da pochi altri strumenti (pianoforte, batteria, contrabbasso). Il jazz accolse da subito nel suo linguaggio i generi della musica popolare, del ragtime, del blues e li fuse in un nuovo stile travolgente e in continua evoluzione, le cui parole chiave sono ritmo e improvvisazione.
Quando Benny Goodman, direttore d’orchestra e clarinettista ebreo, applicò al jazz un tempo ballabile eseguito da un’orchestra, nacque lo swing. Negli anni Trenta l’orchestra diventò, insieme alla radio, ai dischi e ai film musicali, il principale veicolo di diffusione del jazz in Europa.
Attraverso l’ascolto di alcuni brani musicali e l’osservazione dei relativi video si arriva a comprendere quali fossero le caratteristiche della musica jazz degli anni Venti e Trenta.
I ragazzi vengono invitati a fare attenzione alla musica (ritmo, melodia…) e a osservare le immagini (quali strumenti, disposizione dell’orchestra, origine dei musicisti, movimenti dei ballerini…).
I video proposti sono tre:
1° VIDEO Louis Armstrong “When the saints go marching in”
(L’insegnante farà notare agli studenti l’origine del brano (spiritual schiavi d’America), quali strumenti compongono l’orchestra, l’internazionalismo degli strumentisti, l’improvvisazione della cantante e la sua gestualità, gli assolo degli strumenti, il grande mappamondo nella scenografia…).
2° VIDEO Duke Ellington “Take the A train”
(L’insegnante farà notare l’organizzazione degli strumentisti nello spazio, la presenza di assolo e la durata imprevedibile delle improvvisazioni, l’armonia pur nel disordine apparente…)
3° VIDEO Benny Goodman “Sing sing sing”, dal film “Swing kids” (1993)
Al termine della visione dei video, prima di passare alla slide 7, si distribuiscono ai ragazzi dei foglietti, uno a testa, sui quali ognuno deve scrivere le prime due parole che gli vengono in mente pensando ai video. Possono essere sostantivi, verbi, aggettivi, avverbi, ecc. Hanno due minuti per scrivere queste due parole.
L’insegnante raccoglie tutti i foglietti e legge ciò che hanno scritto gli studenti. Ne uscirà un elenco di parole, nato dalle sensazioni dei ragazzi, che costituisce una definizione “a caldo” di questo genere musicale. Il jazz, con la forza dirompente che lo caratterizza – e che sicuramente è emersa dalle parole sui foglietti – entrò in collisione con l’Europa dei totalitarismi negli anni Venti e Trenta.
Il jazz nell’Europa dei totalitarismi
SLIDE 7-11
Il jazz travolse l’Europa negli anni Venti e Trenta. Le caratteristiche di questo genere musicale erano l’opposto delle parole chiave dei totalitarismi.
La slide 8 riassume questo contrasto: da una parte c’è il jazz, che è libertà, armonia nell’apparente disordine, improvvisazione, internazionalismo, apertura culturale e dall’altra parte ci sono i sistemi totalitari, dove vigono il controllo delle regole, l’ordine, il nazionalismo, l’autarchia e, soprattutto, la censura.
Fino al 1935 tuttavia non si arrivò a censurare direttamente il jazz: era troppo il successo presso il pubblico, in particolare tra le nuove generazioni; si crearono numerose band e orchestre; la musica jazz riempiva il palinsesto della radio. Fu comunque osteggiato dalla critica musicale fascista, in quanto ritenuto un genere fuorviante proprio per i giovani, che si volevano inquadrati e disciplinati.
Dal 1936 in Italia l’atteggiamento nei confronti del jazz peggiorò in seguito ad alcuni eventi: dopo la conquista dell’Etiopia vennero emanate le leggi razziali contro le popolazioni nere; nel 1938 entrarono in vigore le leggi razziali contro gli ebrei. Ebrei e neri erano ritenuti inferiori e nemici. Nel 1940 l’Italia entrò in guerra a fianco di Hitler. Dopo che, nel dicembre del 1941, gli Americani entrarono nel conflitto, fu guerra aperta anche al jazz, perché era nato negli Stati Uniti e aveva, oltre tutto, tra i suoi più famosi rappresentanti, musicisti neri o ebrei. Dal 1942-43 il jazz fu definitivamente censurato sia in Italia che in Germania.
Il jazz non muore
SLIDE 12-14
Il jazz venne quindi vietato sia alla radio che nelle esecuzioni dal vivo; ci fu anche il divieto di vendere dischi provenienti dagli Stati Uniti. Invece di sparire, tuttavia, il jazz continuò ad essere eseguito, ballato e ascoltato in modo clandestino.
In Italia, in particolare, venne adottato un sistema dai conduttori radiofonici – grandi jazzisti a loro volta, come Gorni Kramer, o direttori d’orchestra come Pippo Barzizza – per mandare comunque in onda il jazz americano: bastava italianizzare i nomi dei musicisti e dei titoli dei brani musicali. Fu così che venivano annunciati ed eseguiti i pezzi di Luigi Braccioforte, italianizzazione di Louis Armstrong, o di Benito Buonuomo, ovvero Benny Goodman; “She’s a latin from Manhattan” diventava “Una spagnola di Nola” e tutto andava bene.
Emblematica del rapporto ambivalente tra jazz e fascismo negli anni della guerra fu la vicenda del famosissimo Trio Lescano. Costituito da tre sorelle olandesi di madre ebrea, rappresentò il più popolare gruppo vocale femminile negli anni tra il 1936 e il 1943. Le tre sorelle, i cui nomi Catharine, Alexandra e Judith Leschan furono italianizzati in Caterina, Alessandra e Giuditta Lescano, già ballerine, arrivarono in Italia a Torino nel 1935, dove furono scoperte dal maestro Carlo Alberto Prato, uno dei curatori dei programmi radiofonici della sede torinese dell’EIAR (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche), che diede loro lezioni di canto fino ad armonizzare le loro voci. Debuttarono nel 1936 nell’ambito delle trasmissioni radiofoniche di musica leggera programmate da Radio Torino e rimasero sulla cresta dell’onda fino a quando, nel settembre del 1943. Le canzoni del Trio Lescano avevano ritmi swing di ispirazione americana, ma erano composte da musicisti italiani e avevano testi assolutamente innocui. Nonostante questo alcune di esse furono censurate.
Video proposti:
“Maramao perché sei morto”
La canzone, scritta nel 1939, venne ritenuta antiregime perché sembrava prendere in giro Costanzo Ciano, consuocero di Mussolini, morto quell’anno. In realtà la canzone era stata composta prima della morte del gerarca.
“Pippo non lo sa”
La censura colpì anche questa canzonetta, quando si ipotizzò che Pippo, di cui parlava il testo, fosse in realtà Achille Starace, capo di stato maggiore della milizia fascista, che usava avere un modo di camminare “saltellante come un pollo”, mentre sfilava orgogliosamente con la camicia nera.
Dopo l’8 settembre del ’43 le sorelle Lescano lasciarono il mondo dello spettacolo e della radio per nascondersi insieme alla madre ebrea, ricercata dai nazifascisti. Dopo la fine della guerra, caddero in disgrazia, forse perché in loro si vedeva la voce più popolare degli anni del regime, e la loro carriera finì.
Jazz nella Germania nazista
SLIDE 15-20
Nella Germania nazista nell’agosto del 1941 venne avviata la “soluzione finale”: la deportazione e lo sterminio degli ebrei.
Tra gli ebrei deportati vi furono anche molti musicisti e tra loro i più grandi musicisti jazz tedeschi, olandesi e di tutti gli Stati via via annessi al Reich. Alcuni di essi continuarono a suonare nei campi di concentramento, costretti dai nazisti, fino alla morte.
Terezìn è una città-fortezza nella Repubblica Ceca, trasformata in campo di concentramento dai nazisti (Theresienstadt). Più di 140.000 ebrei furono qui rinchiusi e ne morirono 33.000. Da qui la maggior parte fu deportata e uccisa ad Auschwitz.
“Quando arrivammo a Theresienstadt, fummo fatti uscire per l’appello. Stemmo impalati senza cibo per ore sotto una tormenta di neve. Quelli deboli morivano o venivano portati via. Poi uno delle SS ordinò: “Musicisti un passo avanti”. I nazisti stavano trasformando Theresienstadt in un campo “modello” messo in scena da Goebbels per dimostrare alla Croce Rossa Internazionale che nelle prigioni naziste si viveva in condizioni umane e per smentire le voci dell’esistenza di lavoro da schiavi e camere a gas”.
(Testimonianza di Erich Vogel, musicista, 1963)
In quel campo c’erano alcuni dei migliori musicisti europei. Vogel ebbe l’incarico di creare un’orchestra che prese il nome di “Ghetto Swingers”. Quando la commissione della Croce Rossa giunse, l’orchestra suonava in un Caffè che era stato allestito in fretta e furia. Tutto venne documentato in un film propaganda. Appena la Croce Rossa e gli operatori cinematografici lasciarono il campo, i musicisti furono caricati sui carri bestiame e portati alle camere a gas di Auschwitz.
Tra di essi c’era Fritz Weiss, uno dei più grandi clarinettisti europei. Venne ucciso con il padre ad Auschwitz il giorno dopo le riprese del film di propaganda. Aveva 25 anni.
Il batterista e chitarrista Coco Schumann invece sopravvisse. Fu però costretto, ad Auschwitz, a suonare con altri musicisti mentre le SS accompagnavano le colonne dei detenuti verso le camere a gas. “Le cose che vedevo erano insopportabili. Facevamo musica dall’inferno!”. (Intervista a Coco Schumann).
CONCLUSIONE
Nell’Italia occupata dai nazifascisti la censura non riuscì a cancellare la musica “degenerata”, basti pensare che uno dei più grandi jazzisti italiani fu proprio il figlio del Duce, Romano Mussolini, che crebbe e si formò come musicista jazz durante la guerra, proprio quando il genere era vietato.
Nei campi di sterminio nazisti, i musicisti continuarono a comporre musiche struggenti, che l’atrocità nazista non riuscì a distruggere e che oggi contribuiscono a ricordarci, con la forza della musica, uno dei momenti più drammatici della nostra storia. Per non dimenticare.
ESERCITAZIONE FINALE SULLE FONTI SCRITTE/ORALI
Viene distribuito ai ragazzi un foglio nel quale sono presenti otto citazioni numerate, prese dal libro di Luca Cerchiari Jazz e fascismo, senza che siano indicati i nomi dei testimoni.
Questi ultimi sono riportati dopo i testi, in un elenco alla rinfusa, con accanto le lettere dell’alfabeto. Gli studenti dovranno assegnare alla citazione il nome esatto dell’autore, facendo corrispondere una lettera al numero giusto.
In allegato i due documenti: quello per l’insegnante, con le soluzioni, e quello per i ragazzi, senza.
Bibliografia:
- Luca Cerchiari, Jazz e fascismo. Dalla nascita della radio a Gorni Kramer, L’Epos, 2003
- Camilla Poesio, Tutto è ritmo, tutto è swing. Il jazz, il fascismo e la società italiana, Le Monnier, 2018
- Gabriele Eschenazi, Le regine dello swing, Einaudi, 2010