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Montecchio Emilia: un sentiero verso la modernità (1880-1922)

Montecchio Emilia: un sentiero verso la modernità (1880-1922)

La fantasia delle mani: storia della Capolo di Montecchio Emilia e del distretto industriale in Val d’Enza – Parte 1a della ricerca-azione didattica- a.s.2013-14

Abstract

La storia lunga un secolo di un impianto industriale , la CAPOLO, da piccolo stabilimento oggi una multinazionale, diventa occasione didattica per indagare l’intreccio tra luoghi, economia, società e cultura che si sviluppa attraverso due anni scolastici.

Le coordinate geostoriche. Il luogo come evento, come rappresentazione, come archivio di memorie

A Montecchio Emilia, versante reggiano della Val d’Enza, in una Casa del popolo “bianca”, agli inizi del ‘900 nasce una fabbrica, la Capolo, specializzata nella lavorazione della latta. Questa fabbrica, già a partire dagli anni della Prima Guerra Mondiale e poi negli anni Venti e Trenta, in pieno regime fascista, ha un decollo insperato: cresce e si sviluppa, soprattutto dopo aver incontrato e “sposato” il pomodoro, tipica coltivazione del versante parmense della Val d’Enza, dando così impulso ad altre fabbriche dell’indotto e determinando il primo nucleo produttivo di un distretto industriale che si sarebbe sviluppato negli anni a venire.

La Capolo, infatti, attraversa gli anni del boom economico italiano diventando il baricentro di un vero e proprio distretto industriale che, pur avendo dimensioni e caratteristiche diverse rispetto ad altri distretti emiliani più noti, come Carpi e Sassuolo, tuttavia riesce a connotare, grazie anche al ricco tessuto produttivo e commerciale della zona, lo sviluppo socio-economico dell’intero territorio. Oggi La Capolo, dopo aver sperimentato la transizione dal fordismo al post-fordismo, è diventata una multinazionale, ma ha ancora la funzione di improntare la realtà industriale della Val D’Enza.

L’avvio della ricerca-azione – il percorso didattico e le metodologie

1912-1

Prima fase – una visita preliminare per produrre lo spaesamento

Un momento propedeutico all’avvio delle attività didattiche è stata una prima esplorazione dei luoghi stessi fatta insieme ai ragazzi con la guida di tutti gli esperti coinvolti nel progetto, poco più che una passeggiata informale sui luoghi oggetto di studio, richiesta dal prevalente approccio geostorico e memoriale della ricerca-azione, ma anche da una questione metodologica rilevante: partire da un dato noto, per poi decostruire questa “ovvietà”, portando i ragazzi a rivivere quei luoghi e quei fatti di un mondo all’ingresso della modernità industriale, incontrare i protagonisti di questo lungo processo di industrializzazione del territorio con l’ausilio delle conoscenze storiche via via acquisite.

Dunque era essenziale partire dal “già visto“, lasciarli liberi di osservare il già visto per farli riflettere sulla stratificazione storico-memoriale presente in quei luoghi oggetto di studio. Edifici, strade, ponti, il fiume Enza con le sue spiagge di sassi, la valle che lo racchiude con il cerchio dolce delle colline, luoghi che i ragazzi abitualmente frequentano nei loro spostamenti, che animano nella loro vita sociale, paesaggi che quotidianamente “vedono”, ma non “guardano” con lo sguardo consapevole di chi ha acquisito la profondità o l’ottica della complessità dei processi storici di industrializzazione e di modernizzazione che sono il nostro obiettivo di studio ed approfondimento.

Sseconda fase – de-costruire per ri-costruire

Accentuare l’approccio geostorico in questa ricerca-azione ha significato, subito dopo la prima visita informale ai luoghi oggetto del percorso, studiare il quadro storico e le diverse fasi di modernizzazione e di trasformazioni geofisiche, ma, soprattutto, socio-culturali che si sono determinate nell’intera zona e nelle comunità di appartenenza anche con lo studio di cartografie che riproducono profili diversi della configurazione geografica, idrologica e demografica della Val D’Enza. La periodizzazione prescelta per il primo anno di lavoro – vale a dire dalla fine dell’800 agli Anni Trenta del 1900 – ha permesso di inserire l’evento della nascita della fabbrica in una prospettiva di lungo periodo, grazie alla quale i fenomeni storici a livello locale sono diventati un prisma da cui osservare gli stessi su scala nazionale. Fenomeni quali la transizione dell’Italia da un’economia prevalentemente agricola ad un’economia industriale che ha improntato l’intera area di tratti specifici, la persistenza della mezzadria come sistema prevalente di produzione agricola, lo sfruttamento dei braccianti nella conduzione delle terre, le condizioni di vita fortemente disagiate delle masse contadine ed operaie, l’analfabetismo diffuso e il fenomeno migratorio caratteristico di queste zone pedemontane del nostro Appennino, arretrato e povero, che alimenta flussi imponenti verso la Francia e il Belgio.

Metodologie didattiche: visite guidate ai luoghi interessati con uso di fotografie e video per ricostruire i diversi contesti storici di ieri e di oggi; confronto delle immagini di ieri con le immagini dell’oggi per il ri-conoscimento dei tratti caratteristici, delle differenze e delle analogie. I luoghi come testimoni danno modo agli studenti di gettare un ponte fra il presente e il passato che si vuole indagare, di mettere a confronto gli attuali tratti geofisici e antropologici del territorio, le abitudini e le dinamiche della popolazione che lo abita con quelle di un passato certo non remoto, ma sicuramente lontano dagli sguardi degli studenti e dall’abitudinaria consuetudine che impronta la loro conoscenza di questo territorio.

L’esperienza del “distanziamento osservativo”, che ha fatto seguito allo “spaesamento”, per quanto imperfetta e soggettiva, tuttavia ha permesso ai ragazzi di rivestire di significati un territorio e una realtà di comunità altrimenti opachi o carichi di non-senso.

Terza fase – La ri-costruzione della storia della Capolo – la preparazione delle visite ai luoghi – l’uso dei documenti e dei testimoni

Altro passaggio fondamentale è stata la ricostruzione preliminare del contesto degli eventi che avevano segnato quei luoghi, mentre il racconto vero e proprio di quegli eventi è stato riservato al momento della visita guidata in sito.

I laboratori storici dedicati a delineare il quadro storico generale e il contesto locale di riferimento sono stati strutturati in modo da lasciare spazio a lavori di gruppo, a lezioni interattive incentrate prevalentemente sull’analisi sincronica e diacronica dei segni più rilevanti e dei mutamenti più significativi rintracciabili nei luoghi studiati e visitati, anche con l’ausilio di strumenti multimediali e di documenti iconografici (foto di archivi familiari e pubblici, mappe, contratti e commesse di lavori appaltati, atti notarili e registri comunali).

Gli studenti hanno approfondito il faticoso ma esaltante processo di modernizzazione e di industrializzazione incardinato sulla fabbrica – simbolo del passaggio nel mondo industriale dell’intero territorio. Hanno saputo ri-conoscerne le principali trasformazioni geosifiche, urbanistiche ed infrastrutturali. Un esempio: l’edificio che ospitava la Casa del Popolo in cui nacque la Capolo, riconosciuto in una vecchia via del centro storico e ora adibito ad abitazione privata. La nuova sede della fabbrica, ora una multinazionale, collocata in una posizione strategica per fruire di servizi e infrastrutture. Per quanto riguarda le principali vie di comunicazione, una diretta conseguenza della crescita, a tratti tumultuosa, del distretto industriale attorno alla Capolo, gli studenti hanno saputo identificarne le principali direttrici, gli sviluppi e le modifiche nel tempo e nello spazio, rendendosi conto della funzionalità strategica dei grandi ponti sul fiume Enza che uniscono due province di Reggio Emilia e Parma e che i ragazzi stessi hanno scelto come luogo simbolo per l’avvio di tutto il loro lavoro. Hanno saputo ri-orientarsi nella dimensione spaziale dell’area della Val D’Enza, un’area complessa, stratificata, multiforme eppure così viva e palpitante nella gente che la abita.

Nei percorsi di studio le visite ai luoghi, ripetute in momenti diversi, sono state per gli studenti una attività complementare al lavoro sulle fonti e sui documenti di corredo alla ricerca e dunque fondamentali. I ragazzi sono diventati consapevoli di un dato fondamentale: gli eventi si trasmettono, ma vengono anche dimenticati dalla comunità. L’oblìo svolge un ruolo essenziale, perché spesso i luoghi oggetto di avvenimenti particolari vengono dimenticati, abbandonati o riutilizzati e dunque la conservazione o la distruzione di un luogo diventa la cartina al tornasole di scelte politiche, culturali, valoriali delle comunità che nel tempo in quei luoghi abitano. Misurarsi con questo processo significa saper riconoscere oggi i segni della memoria e i segni dell’oblìo. Il luogo di nascita della fabbrica è così diventato il testimone muto sia del processo di industrializzazione ri-costruito con l’aiuto dello storico nelle componenti più significative, sia delle politiche della memoria di una comunità.

I ragazzi hanno saputo interpellare questo testimone perché gli eventi passati potessero di nuovo essere raccontati come parte di una grande narrazione collettiva. Hanno voluto riscrivere in un film storico questa narrazione collettiva come una vera e propria biografia di Comunità. Hanno ripercorso le strade, i ponti, le vie che collegano le due sponde del fiume Enza, che scorre ancora fra le due province limitrofe, le unisce e le divide, creando comunque un’uniformità di connotazione territoriale, un profilo specifico che nel tempo ha assunto una sua identità uniforme, quasi una matrice socio-culturale di appartenenza che travalica i confini politico-amministrativi per la gente di questa zona.

Un’identità secondaria o primaria in base all’ottica in cui si studiano i processi storici e che insiste sull’area del distretto industriale cresciuto attorno alla Capolo, rendendo evidente quanto possano incidere – nel processo di industrializzazione di un territorio – la sua particolare conformazione geofisica, la cultura e le tradizioni della sua gente, le capacità imprenditoriali e i saperi che di quella cultura sono espressione. La raccolta, poi, di racconti orali e di testimonianze intergenerazionali ha vivificato, rendendolo più coinvolgente e partecipato, un percorso di studio che poteva restare una ricostruzione asettica e fredda sul piano umano e motivazionale, rendendolo un osservatorio storico-politico di straordinario interesse, un vero prisma della storia dell’industria e del lavoro – operaio e tecnologico – del lungo Novecento.

Quarta fase – La scrittura di una biografia di comunita’ – Montecchio Emilia e una fabbrica-simbolo della modernita’ industriale

immagine1Gli studenti, preparati e guidati per l’intero percorso di sperimentazione didattica da insegnanti ed esperti dal prof. Fabrizio Azzali, con l’accompagnamento costante e la consulenza degli esperti coinvolti nel progetto, Antonio Canovi e Lorena Mussini, intervenuti in tutte le fasi di avanzamento dei lavori, hanno alla fine prodotto un elaborato multimediale di cui hanno curato la sceneggiatura, ricostruendo scene e set cinematografici per l’ambientazione di particolari episodi che hanno animato ed interpretato col metodo dell’intervista impossibile. Questa metodologia, molto interessante e didatticamente efficace, perché di carattere euristico e creativo, consiste nell’applicare i criteri di un’intervista reale ad un personaggio storico con il quale non si può pensare di avere un incontro diretto. Può essere anche un personaggio di attualità, ad esempio: il presidente USA, un Premio Nobel o qualcuno che è stato testimone di un evento. Il presupposto fondamentale è, anche in questo caso, quello di ogni intervista, cioè una conoscenza adeguata dell’intervistatore dei fatti e del periodo storico di cui si parla. La predisposizione della griglia delle domande, (aperte o chiuse), deve pertanto essere opportunamente calibrata sul personaggio stesso e sul contesto che si vuole indagare e far emergere. Nel caso specifico della nascita/fondazione della Capolo, i ragazzi oltre ad interpretare il protagonista, recitando il dialogo, hanno allestito una vera e propria scena teatrale. Per il prodotto filmico finale hanno selezionato, con il regista, la grafica, le musiche di sottofondo, le sequenze più importanti, i titoli di testa e di coda, i ringraziamenti e il messaggio agli altri giovani, loro compagni di studi, quasi a voler lasciare un Brand come loro testimonianza del percorso formativo compiuto.

 

Quinta fase – Il prodotto multimediale elaborato dagli studenti alla fine del percorso 2013-14

immagine2I ragazzi delle classi 5A e 5B Indirizzo Tecnico Industriale dell’IS Silvio d’Arzo di Montecchio Emilia, hanno elaborato un docufilm dal titolo “LA FANTASIA DELLE MANI. Parte Prima”. Si tratta di un filmato, della durata di 50′, prodotto interamente dagli studenti con l’assistenza di un regista professionista, Nico Guidetti, che si è occupato soprattutto del girato su luoghi e protagonisti, del montaggio filmico, delle musiche e dell’editing finale. Gli studenti hanno curato in particolare la sceneggiatura, la ricostruzione e l’ambientazione di fatti e protagonisti (re-interpretati da loro stessi), specie della fase iniziale della fondazione della Capolo, seguendone poi l’evoluzione fino agli anni Venti e Trenta del Novecento.

Metodologiche didattiche: Il film “LA FANTASIA DELLE MANI. Parte prima” è un prodotto corale per l’originalità della tessitura narrativa che riesce a tener unite narrazioni individuali e collettive. Il territorio non solo rappresenta lo sfondo e l’oggetto di studio, condensato nella fabbrica-simbolo del distretto Industriale, ma diventa anche una comunità mnestica, vale a dire una comunità che non si limita a trasmettere memoria, ma che produce memoria.

Le metodologie didattiche, prevalentemente interattive ed euristiche, utilizzate per studiare luoghi e protagonisti, ricostruirne il senso e produrre l’elaborato finale, cioè il film storico, sono state essenzialmente tre:

  1. la ri-attualizzazione dell’ evento e di alcuni episodi cruciali, con un’attenta e scrupolosa ricostruzione dell’ambiente e dei protagonisti tramite l’Intervista ìmpossibile;
  2. la scrittura creativa, usata sia per l’Intervista Impossibile fatta al fondatore della Capolo sia per la sceneggiatura del film che ricompone, in un unico testo narrativo, la storia e le memorie, dando vita ad una vera e propria biografia della comunità di Montecchio Emilia nella prima metà del XX secolo. Una collettività nata, cresciuta e vissuta “all’ombra” della Capolo e che in quella fabbrica si ri-specchia e si ri-conosce;
  3. la scoperta o disvelamento di qualcosa, (luogo, paesaggio, segno), che anche prima si vedeva, ma non si guardava. Si osservava, ma non si riconosceva.

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Qualcosa che ora, invece, si guarda anche – e soprattutto – col senso ed il significato di quegli eventi, dei protagonisti e dei testimoni ritrovati che, in questo “gioco di sguardi” incrociati e asimmetrici sul piano temporale e spaziale, servono a rendere visibili e comprensibili quei fatti, quegli eventi che sono stati ri-costruiti, ri-appresi e ri-conosciuti adesso anche come propri. Come Se fossero stati vissuti in prima persona, ma ri-prodotti con la consapevolezza dell’oggi. Ed è appunto in questo Come Se che è racchiuso il valore aggiunto, fortemente interattivo e motivazionale, di queste metodologie didattiche.

(continua…)