Mussolini, l’autarchia, i libri e il mondo della carta
Il sogno dell’autosufficienza
Testo esperto
Mussolini, l’autarchia, i libri e il mondo della carta. Il sogno dell’autosufficienza.
La crisi del ’29, la Guerra d’Etiopia e l’autarchia: comincia a mancare la carta
Le vicende storiche della prima metà del Novecento si legano molto strettamente alla vita di un prodotto commerciale come quello della carta. Vari furono gli eventi politici, economici e sociali che influenzarono la vita delle industrie cartarie e la produzione libraria, tanto da condizionare la qualità e addirittura la possibilità di conservazione dei prodotti stessi.
Dopo la Prima guerra mondiale, fu con la crisi finanziaria del 1929 (il famoso Crollo di Wall Street), che i paesi occidentali iniziarono a risentire gravi problemi in ogni aspetto della vita economica, produttiva e sociale. Con il crollo della borsa americana si ridussero considerevolmente su scala mondiale la produzione, l’occupazione, i redditi, i salari, i consumi, gli investimenti e i risparmi, cioè tutti gli indicatori economici utili a misurare lo stato di benessere, di progresso o di regresso dell’economia degli stati.
L’industria cartaria e quella tessile, fra le più soggette agli scambi commerciali fra paesi importatori ed esportatori, risentirono gravemente della crisi, soprattutto per l’aumento dei prezzi. Ne è testimonianza il fatto che nei pochi e criticati interventi messi in atto dal presidente americano repubblicano Herbert Hoover, i soli che riguardassero specifici settori economici erano, oltre a quello vitale dei cereali, quelli del cotone e della cellulosa.
Difendersi dalla crisi
Ogni stato cercò autonomamente di provvedere ad arginare la dilagante disoccupazione e la forte crisi finanziaria; uno dei metodi più adottati fu il protezionismo economico, accompagnato da interventi sulle borse e sulle banche centrali e, spesso, da massicce partecipazioni statali nelle industrie. Per proteggere le produzioni interne, si inasprirono le tariffe doganali applicate ai prodotti d’importazione e furono avviate le prime produzioni autarchiche, realizzate esclusivamente con materie prime locali. La mancata adozione di strategie comuni sul piano internazionale spinse tutti i paesi a introdurre misure protezionistiche e a creare aree economiche chiuse. Fra gli stati del Commonwealth ad esempio, fu applicato dal 1931 un sistema di tariffe preferenziali per agevolare gli scambi fra i paesi aderenti e tariffe differenziali per penalizzare gli stati esterni all’organizzazione. In molti casi i governi furono indotti a sperimentare su vastissima scala forme di partecipazione diretta dello Stato alla vita economica nazionale. Gli stati svolsero in molti campi una funzione imprenditoriale, ricorrendo alla spesa pubblica come elemento strutturale e centrale della dinamica economica nazionale. In Italia, il governo attuò un protezionismo economico particolarmente severo sia nei controlli doganali, sia con l’adozione dei primi sistemi autarchici per incrementare la ripresa industriale interna.
L’espansione imperiale
A complicare la situazione di crisi avviatasi con il crollo della borsa americana, in Italia intervennero anche le conseguenze della dichiarazione di guerra all’Etiopia. Dopo il 1929, l’espansione imperiale era divenuta uno dei progetti più ambiziosi del governo fascista che aspirava alla ricostituzione di un impero che rinverdisse la memoria dell’antico impero romano. Se la Gran Bretagna, la Francia e altre nazioni europee possedevano vaste colonie in Africa, anche l’Italia, erede naturale della grandezza romana, avrebbe dovuto avere il proprio “posto al sole”. L’ Etiopia, insieme alla Liberia, era l’unico stato ancora indipendente e una sua eventuale invasione non avrebbe dovuto provocare, nelle previsioni del governo italiano, reazioni internazionali. Il 2 ottobre 1935, Mussolini annunciò la dichiarazione di guerra all’Etiopia dal balcone di Palazzo Venezia: nel proclama, rispolverando i temi della vittoria mutilata, egli ricordò ai popoli di Gran Bretagna e Francia i sacrifici, non adeguatamente ricompensati, sopportati dagli italiani durante la Grande Guerra. Attaccando però il paese africano, membro della Società della Nazioni, l’Italia violava l’articolo XVI dell’organizzazione internazionale e per questo motivo il 7 ottobre fu deliberata la sua condanna e il successivo18 novembre furono applicate le sanzioni economiche, approvate da 52 stati membri.
Sanzioni internazionali e svolta autarchica
La scelta dell’autarchia, che avrebbe caratterizzato l’economia fascista dal 1935 al 1940, poteva apparire come una reazione immediata alle sanzioni subite; in realtà, questo indirizzo di politica economica aveva avuto il suo embrione già negli interventi successivi alla crisi del 1929 attraverso la sostituzione delle importazioni di materie prime con prodotti nazionali al fine di conseguire un livello di autosufficienza che consentisse all’Italia l’autonomia alimentare e produttiva in caso di guerra. Per risolvere alcuni dei nodi organizzativi del sistema autarchico, Mussolini creò la Commissione Suprema dell’Autarchia, sostituita successivamente dal Comitato Interministeriale per l’Autarchia. Il regime, soprattutto per ragioni di propaganda, diede largo spazio, sia nei discorsi politici che nell’informazione, ai prodotti autarchici. Le città furono tappezzate di manifesti e le radio ripetevano continuamente i nomi dei nuovi prodotti tutti italiani. Guide e libri per un corretto consumo autarchico furono distribuiti gratuitamente nelle scuole, nelle fabbriche, nelle Opere Nazionali Dopolavoro e soprattutto forniti alle massaie italiane.
Dopo soli sette mesi, la Società delle Nazioni cancellò le sanzioni, ma gli effetti politici ed economici della scelta autarchica in Italia proseguirono, alimentati dell’abile propaganda fascista; i programmi autarchici durarono infatti fino alla fine della Seconda guerra mondiale.
Uno dei pochi risultati positivi dell’autarchia fu lo sviluppo della ricerca scientifica, soprattutto nell’ambito della chimica industriale, nella produzione dei cosiddetti carburanti autarchici Littoria, Victoria e Petrolina e nell’industria cartaria, con la creazione dell’Ente Nazionale Cellulosa e Carta, fondato nel 1935. Quello della cellulosa e della carta fu forse, dopo quello dei carburanti, l’obiettivo maggiormente perseguito e quello per il quale venne profuso il maggiore impegno. Un monitoraggio del 1938 sulla percentuale di cellulosa – sia nazionale che importata – utilizzata nella fabbricazione della carta, relativa agli anni 1926-1936, dimostrava che l’industria cartaria in Italia aveva scarsamente risentito della crisi del ’29 poiché i consumi e la produzione erano restati invariati. La percentuale era invece vertiginosamente crollata, quasi del 12%, dopo l’emanazione delle sanzioni e l’attuazione della politica autarchica. In questo settore, la strada verso l’autosufficienza risultava davvero lunga e tortuosa
Alla ricerca della cellulosa autarchica
Dopo il 1935 Mussolini, in rapporti sempre più stretti con la Germania di Hitler, aveva ormai intuito che una guerra di grandi proporzioni, europea se non mondiale, avrebbe presto coinvolto anche l’Italia. Le risorse economiche per fronteggiare un nuovo conflitto erano praticamente inesistenti e il governo, spinto anche dalla nuova politica autarchica cui tanta propaganda era stata dedicata, cercò di ridurre il più possibile le importazioni estere non indispensabili e più facilmente sostituibili con risorse interne.
L’industria del rayon e quella della carta erano viste dalle alte gerarchie fasciste come un vanto nazionale e una futura occasione di sviluppo e occupazione.
Il 13 giugno del 1935, con la creazione dell’Ente Nazionale per la Cellulosa e per la Carta veniva per la prima volta affermata la necessità di assicurare all’Italia, secondo i piani autarchici, un approvvigionamento autonomo di cellulosa affidando all’ente stesso il compito di promuoverne la produzione con materie prime nazionali. Tutte le ricerche condotte dall’istituto, le campagne pubblicitarie sui rimboschimenti e ogni nuovo dato scientifico a cui giungevano i numerosi chimici italiani impiegati nella ricerca di novelle fibre cellulosiche, venivano divulgate tramite un apposito bollettino. I principali problemi posti dagli studiosi riguardavano soprattutto la scelta delle colture da incentivare per la produzione di cellulosa nazionale, la scelta tra piante annuali o boschive, l’individuazione delle zone rurali da sfruttare, la costruzione di nuovi centri di lavorazione. Il pioppo venne subito individuato come specie privilegiata, essendo già impiegato abbondantemente nella produzione di pasta meccanica; se ne incentivavano l’impianto e la divulgazione in tutte le zone non alberate e nelle future pianure risultanti dall’opera di bonifica appena avviata. In questi anni si fece strada tra gli studiosi anche l’idea dello sfruttamento delle immense pinete della Sila calabrese, in gran parte inutilizzate perché prive di collegamenti stradali e ferroviari. Tale progetto si rivelerà ben presto fallimentare oltre che per la scarsa resa e qualità della cellulosa ottenuta, per l’enorme costo che un progetto di infrastrutturazione del territorio avrebbe richiesto.
La carta di paglia
Altra importante risorsa vegetale a cui venne data particolare attenzione come possibile fornitrice di cellulosa nazionale, fu la paglia. Il regime promosse nelle campagne del vercellese e del novarese, oltre che nella provincia foggiana, la raccolta obbligatoria della paglia dopo la mietitura e favorì anche la costruzione di due nuove cartiere, una a Foggia ed una nella periferia di Napoli, per l’estrazione della cellulosa dalla paglia e la lavorazione della carta. Questa iniziativa fu forse l’unica, fra i progetti volti alla promozione della cellulosa nazionale, che diede discreti risultati. Infatti la carta di paglia prodotta in Italia, seppure in quantità davvero irrisorie a fronte del fabbisogno del paese, fu l’unica reale innovazione che nel decennio 1925-1935 venne introdotta nell’economia nazionale della cellulosa. Negli stessi anni, anche la Germania si era dedicata alla ricerca spasmodica di materie prime utili ai fini autarchici, suscitando un confronto continuo con le ricerche condotte in Italia. Nel 1939, con particolare strepito propagandistico, venne pubblicizzata la presentazione, durante la festa di compleanno del Führer, di un giornale e di un plico di carta da lettere interamente fatto con carta prodotta da cellulosa estratta dalla pianta di patata, risultato delle ricerche dei laboratori del Reich.
Nuove ricerche e sperimentazioni in Italia e nelle colonie d’Africa
In Italia, dopo la creazione di vivai di pioppi e gli esperimenti sull’adattabilità di alcune conifere al clima italiano dalle quali si era certi di ricavare ottima cellulosa (come il pino odoroso), l’Ente Cellulosa e Carta si dedicò a ricerche ancora più specifiche sia nel territorio italiano, sia nelle colonie. Furono prese in esame molte specie vegetali e varie tipologie di cascami industriali, ma i risultati furono in massima parte negativi. Vennero considerate le proprietà del sorgo zuccherino, dell’Ampelodesma tenax, del papiro, del tabacco, degli steli di fava, dei tralci della vite e delle vinacce residue dopo la pigiatura dell’uva, dell’asfodelo, della stoppa di tifa, della pianta di patata, del canapulo e della ginestra. Tra queste piante molte vennero solo indicate come possibili fornitrici di cellulosa, ma dopo i primi esperimenti, risultarono totalmente inadeguate oppure richiedevano un processo chimico troppo costoso prima che la sostanza cellulosica ricavata potesse essere utilizzata dall’industria cartaria. È il caso degli steli di fava, del tabacco, della pianta di patata, dei tralci e delle vinacce di vite: erano piante che contenevano un certo quantitativo di cellulosa, come d’altronde ogni vegetale, ma i processi richiesti per estrarla erano talmente lunghi e dispendiosi che subito vi si rinunciò.
Cellulosa dalle ginestre
La ginestra, comunissima in tutto il territorio italiano e nel bacino del Mediterraneo, fu studiata e tenuta in particolare considerazione da tutto l’ambiente scientifico sin dall’avvio delle politiche autarchiche. Tale attenzione era soprattutto dovuta al fatto che nelle campagne e nelle zone rurali, soprattutto del Sud Italia, la fibra di ginestra veniva comunemente usata per il confezionamento di tessuti e tovagliati che andavano a costituire un cospicuo numero di capi di corredo per le spose. Di conseguenza, l’attenzione degli studiosi fu posta soprattutto alla meccanizzazione del processo produttivo, ancora svolto interamente a mano, e al recupero degli scarti legnosi della lavorazione per produrne eventualmente cellulosa adatta alla fabbricazione della carta. La ginestra fu, tra le varie materie prime, quella che maggiormente attirò l’attenzione del Duce, il quale coniò l’altisonante denominazione di fibra autarchica nazionale. Sulla ginestra si concentrò l’enfasi propagandistica dopo il 1940, negli anni della guerra, quando il blocco delle importazioni e le difficoltà di scambio con le colonie africane ne fecero l’unica fonte nazionale di materia prima per cellulosa, oltre che fibra tessile.
Nel 1941, allo scopo di creare veri e propri ginestreti, l’Ente Nazionale Cellulosa e Carta, per volere dello stesso Duce, organizzò la raccolta del seme, indisse un concorso per finanziare totalmente una fabbrica per la lavorazione della ginestra e istituì un corso di specializzazione, all’interno dell’Ente, per futuri produttori di fibra di ginestra. Dagli esperimenti condotti dal servizio chimico dell’Ente risultò però che la resa in cellulosa di un quintale di ginestra era eccessivamente basso e l’utilizzo della pianta per i soli fini dell’industria cartaria fu quindi in seguito abbandonato, né ebbero buon esito i concorsi e le lezioni che l’Ente e il Duce, nonostante gli impegni di guerra, si ostinavano a promuovere. Solo nel campo tessile e nella fabbricazione dei cordami la ginestra trovò qualche applicazione: nacque così il ginefiocco, nome autarchico per una fibra tutta italiana.
Prodotti africani tradizionali: l’alfa e lo sparto
Molta attenzione era contemporaneamente rivolta alle materie prime provenienti dai nuovi territori dell’Impero. Già nel novembre del 1936, l’Ente Nazionale per la Cellulosa e per la Carta aveva firmato a Tripoli una convenzione con la quale gli veniva concessa l’esclusiva della raccolta, dell’incetta e della distribuzione dello sparto e dell’alfa, due materie preziose e molto adatte all’estrazione della cellulosa provenienti dalle colonie di Tripolitania e Cirenaica. Successivamente, tra il 1937 e il 1938, venne istituito presso l’Ente Nazionale per la Cellulosa e per la Carta il Comitato per le piante tropicali da cellulosa, con la speranza di trovare, almeno sul suolo dei nuovi territori dell’Impero, la tanto desiderata materia prima per incrementare l’industria nazionale della cellulosa. Il Comitato organizzò una campagna di esplorazioni nelle Colonie dell’Africa Orientale (Somalia, Etiopia ed Eritrea) finalizzata ad individuare tutte le specie adatte alla fabbricazione di tessuti, cordami e carta. In tutto il territorio, suddiviso in zone, vennero intrapresi dei censimenti delle possibili piante sfruttabili. Si arrivò a quasi 20 specie, considerando sia le arboree che le erbacee, ma poche risultarono adatte all’estrazione della cellulosa; fra queste alcune specie della famiglia del papiro e il bambù. L’elevato costo del trasporto tuttavia incideva negativamente sull’utilizzo di quest’ultimo nell’industria cartaria. Nonostante anche l’Italia stesse precipitando nel baratro della Seconda guerra mondiale, ci si augurava che si potessero presto costruire delle fabbriche sul luogo di produzione per avviarne la trasformazione. Nelle colonie dell’Africa mediterranea s’intravidero, almeno per breve tempo, le condizioni necessarie per lo sfruttamento di materie prime coloniali nell’industria della cellulosa. Furono infatti, come già accennato, soltanto l’alfa tripolina (Stipa tenacissima L.) e lo sparto (Ligeum Spartum L.) ad essere individuate come possibili piante da cellulosa sfruttabili nelle colonie della Tripolitania e della Cirenaica, entrate già da mezzo secolo nel mercato della carta in maniera imponente grazie all’Inghilterra.
Purtroppo le condizioni politiche ed economiche si rivelarono ancora una volta ostili alla causa della cellulosa. L’instabile situazione nelle colonie libiche e l’approssimarsi del secondo conflitto mondiale ridussero il traffico economico di alfa e sparto dall’Impero al breve arco temporale degli anni 1936-1939. In quel periodo, raramente la carta prodotta in Italia venne approntata utilizzando esclusivamente pura cellulosa di alfa, ma vennero aggiunte, in quantità maggiore, paste di legno sempre meno raffinate, o comunque prodotte con sistemi chimici sempre più economici che finivano col produrre carta di pessima qualità, quasi totalmente inadatta alla conservazione.
La cattiva salute del materiale librario del Ventennio fascista
La grande attenzione che in generale venne data al problema della cellulosa nazionale portò ad alcuni risultati positivi per la cultura nazionale: nacque il già citato Ente Nazionale per la Cellulosa e per la Carta, si istituì la Corporazione dei Poligrafici e delle Arti Grafiche e, per volere diretto del Duce, si diede notevole impulso alla produzione libraria e grafica in generale. Mussolini riorganizzò l’Istituto di Belle Arti per la decorazione e l’illustrazione del libro di Urbino e istituì nuovamente la Scuola romana di xilografia. Parallelamente a queste nuove istituzioni, vennero incentivati concorsi e fiere per librai, incisori ed editori, ed organizzata a Roma la Festa del libro a cadenza annuale.
Le politiche autarchiche e le ristrettezze economiche spinsero tuttavia ben presto il governo fascista a rendere obbligatorio per le industrie cartarie l’utilizzo sempre più diffuso della carta riciclata. È del 1937 l’ordine del Governo sullo «sfollamento degli archivi» che prevedeva di recuperare dalla documentazione scartata dagli Archivi dello Stato circa 325.000 quintali di carta da macero. A peggiorare la situazione vi furono nel 1941 e nel 1942, in piena guerra, due decreti che restrinsero ulteriormente la produzione e i consumi di carta. Il primo, emanato dal Ministro delle Corporazioni e dal Ministro della Cultura Popolare il 16 luglio 1941, disponeva la chiusura di tutte le industrie cartarie per almeno una settimana al mese, mentre il secondo, dell’anno successivo, imponeva regole più restrittive sulla produzione: vennero vietate tutte le carte di qualità extra per qualunque uso, anche nei Ministeri, negli uffici pubblici e negli Archivi di Stato, vennero vietate le cartoline illustrate, i bigliettini da visita, da lutto e le partecipazioni matrimoniali, le guide, gli almanacchi e i calendari di grande formato.
La carta del decennio 1935-1945 è dunque, senz’ombra di dubbio un prodotto di pessima qualità nella maggior parte dei casi, a causa soprattutto delle paste ottenute con materiali molto diversi.
I problemi derivanti dall’uso di una cellulosa di cattiva qualità, di processi chimici troppo aggressivi, di sostanze di carica poco opportune erano già stati studiati prima degli anni Trenta del Novecento, ma gli allarmi sulla difficoltà di conservazione nel tempo di prodotti cartacei così ottenuti, lanciati dai ricercatori, passavano in sordina rispetto agli ampollosi proclami propagandistici sulla necessità di produrre cellulosa nazionale. Tutti gli sforzi degli studiosi messi all’opera dal governo si concentravano prevalentemente sulla individuazione di piante utili alla nuova Italia autarchica piuttosto che sul perfezionamento dei processi chimici per ottenere cellulosa di qualità e per produrre carta raffinata. In fase di produzione industriale, quando la cellulosa non bastava si aumentava la dose di pasta meccanica di legno, utilizzata come mero riempitivo, oppure s’inserivano nelle paste materie prime nazionali, non sempre perfettamente raffinate, che avrebbero accresciuto nel tempo la fragilità e l’attaccabilità della carta da parte di agenti patogeni.
Conservare la carta autarchica
I numerosi tentativi di ricerca di nuove materie prime adatte alla produzione di cellulosa hanno fatto della carta una fonte materiale utilizzabile nell’attività didattica. A causa delle particolari condizioni politiche, economiche e sociali, la carta, il libro e tutti i prodotti a stampa si ridussero in qualità, generando una serie di conseguenze nel deterioramento e nella illeggibilità di numerose fonti scritte e portando in taluni casi alla perdita o alla precarietà conservativa dei prodotti cartacei e alla difficoltà del loro utilizzo, con danni evidenti per le discipline storiche, artistiche e culturali in genere. Diventerà infatti sempre più difficile fruire in originale ed esporre fonti del periodo fascista, come organizzare mostre di opere d’arte su carta, ormai troppo fragili per resistere al trasporto e alla esposizione a fonti luminose.
Dalle colonne della rivista «La Chimica nell’industria, nell’agricoltura, nella biologia e nelle altre realizzazioni corporative», molto vicina alla classe dirigente fascista, si levarono sin da subito grida d’allarme per quanto riguardava la qualità della carta che si andava producendo. Si denunciava la scarsa attenzione che il problema suscitava tra gli studiosi, tutti intenti a salvaguardare il materiale più antico mentre il vero problema era la produzione contemporanea per l’eccessiva eterogeneità delle materie che componevano la carta autarchica. Così oggi appare ben evidente come i problemi prefigurati dalle pagine della rivista sono divenuti realtà con lo sbriciolamento dei fogli, che inizia intorno ai margini, dei libri di epoca fascista e che fa di questi oggetti, nati per essere utilizzati nella vita quotidiana, degli oggetti fragili, da conservare con particolari attenzioni alle condizioni ambientali e climatiche, sottraendoli all’uso e alla consultazione diretta.
Bibliografia
Acerbo Giacomo, Il problema della produzione nazionale della cellulosa, in «Giornale di Chimica Industriale ed Applicata», XVI (1934), n.10, pp. 474-483;
Cannistraro Philip, La fabbrica del consenso: fascismo e mass media, Roma-Bari, Laterza, 1975;
Conservare il Novecento, a cura di Messina Maurizio e Zagra Giuliana, Roma, Associazione Italiana Biblioteche, 2001;
Conservare il Novecento: i vestiti del libro, a cura di Zagra Giuliana, Roma, Associazione Italiana Biblioteche, 2005;
Dallari Gioacchino, Colonie ed autarchia, in Autarchia, Istituto Nazionale di Cultura Fascista, Torino, G. B. Paravia, 1938, pp. 19-37;
Isnenghi Mario, L’educazione dell’italiano. Il fascismo e l’organizzazione della cultura, Bologna, Cappelli Editore, 1979;
Palazzo Francesco Carlo, L’Autarchia della Cellulosa nel settore Carta, in «Cellulosa., Bollettino Ufficiale dell’Ente Nazionale per la Cellulosa e per la Carta», I (1937), n.6, p. 11-23;
Por Odon, Materie prime ed autarchia, Quaderni dell’Istituto Nazionale di Cultura Fascista, Roma, Edizioni dell’Istituto Nazionale di Cultura Fascista, 1937;
Santoro Marco, Storia del libro italiano. Libro e società in Italia dal Quattrocento al Novecento, Milano, Edizioni Bibliografica, 1995;
«L’Azione Coloniale», Numero speciale autarchico fuori serie, a. X, n. 3 bis, 18 gennaio 1940.
Materiali per lo studio di caso
I materiali proposti per lo studio di caso sono costituiti da stralci di articoli pubblicati fra il 1935 e il 1940, da fotografie dell’epoca relative alla raccolta di vegetali per la produzione di cellulosa e dall’immagine di un libro del periodo fascista oggi in precarie condizioni di conservazione.
Con la volontà di reagire al morso della crisi e di sostenere la scelta di una politica economica sempre più fondata sull’autarchia, il documento 1 (1935) sottolinea come i momenti di forte difficoltà siano occasione per mettere alla prova la creatività e il desiderio di riscatto di un popolo che cerca nuovi mezzi di produzione per affrancarsi dalla “pericolosa” dipendenza dalle importazioni.
Nella medesima scia, il documento 2 (1940) definisce l’autarchia non solo una politica di difesa, ma anche di valorizzazione della produzione nazionale ed il mezzo per raggiungere un livello di autosufficienza indispensabile in periodi di guerra. Focalizza in particolare l’attenzione sulla necessità di produzione della cellulosa per alimentare varie industrie.
Il documento 3 (1938) traccia un rapido parallelismo fra l’unità dell’impero romano costituito da province e l’unità dell’Impero fascista cui tutte le parti devono collaborare, comprese le province africane.
Il documento 4 (1937) enuncia il compito educativo e formativo, non solo informativo, della stampa nel nuovo contesto imperiale dell’Italia fascista.
Il documento 5 (1935) alza una voce critica nei confronti della produzione di carta autarchica elencandone i difetti e mettendo in guardia dalle difficoltà di conservazione delle pubblicazioni, realizzate con questo materiale, cui sono affidati importanti studi che meriterebbero invece di avere lunga vita.
Il documento 6 è l’immagine fotografica della raccolta del seme di ginestra imposta dal regime per estenderne la coltivazione poiché l’arbusto era ritenuto idoneo alla produzione di cellulosa.
I documenti 7 e 8 rappresentano due momenti della raccolta dello sparto nelle colonie libiche
I documenti 9 e 10 rappresentano il capo di un centro di ammasso e una distesa di alfa nelle colonie libiche
Il documento 11 è una carta delle zone di produzione dell’alfa nell’Africa mediterranea con evidenziati i porti dai quali la fibra vegetale viene esportata
I documenti 12, 13, 14, 15, 16 sono immagini che illustrano l’organizzazione del trasporto dello sparto e dell’alfa dalla Libia italiana
Il documento 17 mostra il frontespizio del numero speciale del settimanale «L’Azione Coloniale»del 18 gennaio 1940 interamente dedicato alla produzione, all’esportazione e alla trasformazione dello sparto e dell’alfa dalle colonie italiane in Libia.
I documenti 18 e 19 focalizzano l’attenzione su due trafiletti propagandistici inseriti nelle pagine de «L’Azione Coloniale» del 18 gennaio 1940.
Il documento 20 costituisce l’esempio di un libro “malato” di epoca fascista
Testo per lo studente
Gli oggetti di uso quotidiano raccontano molto della cultura e delle abitudini di chi li possiede, del luogo dal quale provengono e delle abitudini dell’epoca che li ha prodotti. Inoltre, i materiali di cui sono fatti e le tecniche di produzione ci fanno capire da quali paesaggi geografici provengono le materie prime, quali rotte commerciali hanno seguito per giungere nei paesi di trasformazione, quali progressi tecnologici sono alla base della loro realizzazione. Nella maggior parte dei casi, gli stessi oggetti ci raccontano delle scelte politiche ed economiche del governo e della classe dirigente che ne ha dettato le regole di produzione, di commercializzazione, di importazione e di esportazione.
In questo caso parleremo dei libri prodotti in Italia nel decennio 1935-1945. Anzi, parleremo della particolarissima carta di cui erano fatti. Questo materiale, apparentemente muto, ci guiderà alla scoperta di fatti storici importantissimi per il nostro paese, come le politiche economiche, le relazioni internazionali, le politiche coloniali dell’Italia fascista fra il 1929 e la fine della Seconda guerra mondiale.
Dopo la crisi economica del 1929, molti stati, fra i quali l’Italia, per difendere la propria produzione e l’industria nazionale misero in atto delle politiche protezionistiche: inasprirono le tariffe doganali per i prodotti di importazione o ne vietarono l’ingresso. Questo portò al crollo delle esportazioni e quindi all’enorme aumento del costo di quelli provenienti dall’estero. Questo accadde anche per le materie prime, di cui l’Italia era particolarmente carente. Per ovviare all’inconveniente, si diede grande impulso alla ricerca, soprattutto chimica, nel tentativo di mettere a punto la produzione di nuovi materiali che sostituissero quelli di importazione. Le industrie cominciarono a utilizzare materie prime alternative, nazionali o provenienti dalle colonie italiane in Africa. Vennero così prodotti oggetti, tessuti, sostanze di vario tipo definiti “autarchici”, spesso di scarsa qualità e breve durata.
Uno dei materiali che vennero ben presto a scarseggiare fu la cellulosa, indispensabile per la produzione della carta e di numerosi altri prodotti industriali. Particolarmente accanita fu la ricerca di altre piante (come il pioppo) e arbusti nazionali o delle colonie africane che fossero in grado di fornire cellulosa in sostituzione del cotone. Si fecero tentativi con le ginestre, lussureggianti arbusti spontanei dai bei fiori gialli che crescono abbondanti nell’Italia centrale e meridionale, dei quali si incentivò la diffusione e la coltivazione con la raccolta dei semi, e con lo sparto, un arbusto autoctono delle zone aride dell’Africa settentrionale, che richiedeva tuttavia costi di trasporto piuttosto elevati. I risultati furono piuttosto scarsi. Così fu dato grande impulso alla lavorazione di carta riciclata, spesso ricavata da grandi scarti di documenti depositati negli archivi, e si cominciò a produrre una pasta di carta nella quale la percentuale di cellulosa diminuiva sempre più, sostituita da macinatura di legno e sostanze diverse come “riempitivo”. Per questo motivo oggi è difficile conservare libri e carte autarchiche del periodo fascista per i problemi di degrado dovuti alla scarsa qualità dei materiali che le compongono e che ne provocano lo scurimento e lo sbriciolamento.
Dossier
Documento 1 – La crisi economica come stimolo
Come le malattie rendono in moltissimi casi, gli organismi viventi più resistenti ai successivi attacchi, e talvolta refrattari, così le crisi economiche, vere e proprie malattie anch’esse, con lo spronare gli uomini alla ricerca, nel loro territorio nazionale od in quello posto sotto il loro controllo, dei mezzi per emanciparsi dalle interessate o pericolose prestazioni, contribuiscono a far creare nuovi mezzi di produzione che, risolta la crisi, si convertono in insospettata fonte di ricchezza e di benessere sociale”.
(Francesco Paoloni, La cellulosa nazionale, in “La Chimica nell’industria, nell’agricoltura, nella biologia e nelle altre sue applicazioni”, XIII (1935), n.3, pp. 90-91)
Documento 2 – Il bisogno della cellulosa autarchica: uno sprone per l’industria italiana
La produzione autarchica di cellulosa è necessaria in Italia, forse più che altrove, non solo perché noi abbiamo assoluta necessità di risparmiare la maggiore quantità possibile di valuta, che ci deve servire per l’acquisto di altre materie prime di cui siamo assolutamente deficitarii, come il carbone, ma perché la cellulosa costituisce il punto di partenza di industrie importantissime, quali la cartaria e il rayon che occupano decine di migliaia di operai, circa 30.000 ciascuna […] L’autarchia non solo è una politica economica di difesa, ma è anche una politica di valorizzazione industriale, che aumenterà la nostra capacità produttiva, l’occupazione operaia, e renderà assoluta la nostra capacità di resistenza in tempo di guerra.[…] Il fabbisogno italiano di cellulosa si aggira oggi sui tre milioni di quintali all’anno. Di questi 1.200.000 quintali sono utilizzati dall’industria del rayon, mentre il resto è assorbito dall’industria della carta.[…] Fra non molto i due quantitativi, anche tenendo conto del progressivo aumento della produzione cartaria, si equivarranno. Inoltre si deve tenere presente che per la fabbricazione degli altri prodotti che si ricavano dalla cellulosa (esplosivi, masse plastiche, vernici, film) si parte, fino ad ora dal cotone, ma si stanno facendo studi per utilizzare anche in questi casi la cellulosa depurata e nobilitata. […]La forte diminuzione della percentuale di cellulosa adoprata negli impasti nel 1936 e nel 1937 è dovuta all’effetto delle sanzioni e alla politica autarchica che i cartai cercano di realizzare al più presto possibile e nel modo migliore.
Si è infatti aumentato il consumo degli stracci e della carta da macero in seguito ad una serie di provvedimenti per incrementare la raccolta di quest’ultima da parte della Croce Rossa e della G.I.L.(n.d.rGioventù Italiana del Littorio), e ridare nuova vita all’industria degli stracci (raccolta e cernita) riattivando impianti e restringendo l’esportazione.
(Mario Lensi, La cellulosa: applicazioni industriali e realizzazioni autarchiche, Firenze, Cya Editore, 1940)
Documento 3 – L’apporto delle terre d’Africa alla battaglia economica
Quale può essere l’apporto delle nostre terre d’Africa a questa grande battaglia che con inflessibile tenacia combattiamo? […] E’ una compagine economica venuta ad aggiungersi ed a completare quella della Madrepatria. La sera del 9 maggio 1936 Mussolini ha proclamato l’Impero Fascista, e l’Impero, da quando Cesare lo concepì venti secoli or sono, è un’unità inscindibile. L’Impero, Romano e Fascista, si compone di province, tra le quali sono comprese quelle della Quarta Sponda mediterranea e dell’Africa Orientale. Se questo è vero politicamente, deve, a più forte ragione, esser vero economicamente.
(Mario Lensi, Colonie ed autarchia, in Autarchia, Istituto Nazionale di Cultura Fascista, Torino, Casa Editrice G. B. Paravia, 1938, p. 21)
Documento 4 – L’editoria al servizio dell’Impero
Con la creazione dell’Impero, i giornali e i libri, hanno un compito specifico, che è quello non solo di informare della vita quotidiana della grande creatura mussoliniana, ma di permeare le vecchie e le nuove generazioni di quelli che sono i bisogni presenti e futuri dell’Impero, di far vivere tutto il popolo italiano su di un piano interamente imperiale, non solo coi servizi informativi di cronaca, ma in modo particolare con studi sulle possibilità economiche, industriali e commerciali dell’Impero. E questo non può essere fatto con pubblicazioni saltuarie, ma con una serie di servizi giornalistici costanti: servizi che debbono occupare uno spazio cospicuo in ogni giornale italiano. […]
La stampa italiana rispecchia fedelmente la prodigiosa passione di un popolo che, sotto il comando di un Capo, ha saputo disciplinare la propria fede entro i comandamenti dell’Idea, guardando in faccia, con orgogliosa decisione, il pericolo di vivere e il privilegio di morire. Ma il compito della stampa italiana e fascista è anche universale, perché essendo incitamento e monito, interessa le «genti umane affaticate», nella medesima luce e nella medesima grandezza di un Verbo.
(Mario Crespi, Alcuni problemi vitali del giornalismo fascista, Roma, Tipografia del Senato, 1937, pp. 1-20)
Documento 5 – La carta “malata”
Con l’andar del tempo la carta odierna annerisce, rizza il pelo, fa la polvere e senza quasi toccarla, si rompe in frantumi. Igroscopica e sensibile in massimo grado agli agenti atmosferici, essa, per un processo di ossidazione si restringe sconnettendo la feltratura del foglio e provocandone, dopo un giro di poche decine di anni, la distruzione. Ebbene forse più del 90% delle pubblicazioni odierne, sono stampate su carta contenente pasta di legno e si tratta principalmente di pubblicazioni scientifiche e storiche di grande importanza, che dovrebbero avere lunga durata.
(Gino Testi, Appunti tecnici sulla carta e sugli inchiostri, in «La Chimica nell’industria, nell’agricoltura, nella biologia e nelle altre applicazioni», XIII (1935), n.2)
Documento 6 – La raccolta del seme di ginestra
Documento 7 – Trasporto dello sparto nelle colonie libiche
Documento 8 – Tripoli, portatore di sparto
Documento 9 – Fotografia del capo di un centro di ammasso di alfa in Libia
Documento 10 – Distesa di alfa in territorio libico
Documento 11 – Carta delle zone di produzione dell’alfa in Africa settentrionale. In evidenza i porti dai quali la fibra vegetale viene esportata in Europa
Documento 12 – Il governatore delle colonie libiche, Italo Balbo, accanto ad una balla di alfa sollevata per il caricamento
Documento 13 – Trasporto con autocarri dell’alfa libica ai porti d’imbarco
Documento 14 – L’imbarco dell’alfa dalla banchina del porto di Tripoli
Documento 15 – Operazioni di carico di una partita di alfa nel porto di Tripoli
Documento 16 – La sistemazione delle balle di alfa nella stiva dei piroscafi
Documento 17 – Frontespizio de Trasporto dell’alfa libica ai porti d’imbarco
Documento 18 – Trafiletto propagandistico inserito nella prima pagina de «L’Azione Coloniale», Numero Speciale Autarchico Fuori Serie, Giovedì 18 Gennaio 1940, Anno X numero 3 bis, p.1
Documento 19 – Trafiletto propagandistico inserito al piede del testo in «L’Azione Coloniale»
Documento 20 – Un esempio di libro “ammalato” di epoca fascista
Attività didattica
La proposta didattica prevede un modulo di due ore al quale possono essere collegate, a piacere, attività di approfondimento.
Contestualizzazione:
- Come hai letto nel testo, il crollo della borsa americana del 1929 ha trascinato in una profonda crisi economica tutti i paesi industrializzati, compresa l’Italia, che ha reagito mettendo in atto una severa politica protezionistica per difendere la produzione industriale interna. Ad aggravare la situazione economica del nostro Paese sono intervenuti altri fatti accaduti nell’autunno del 1935. Utilizzando il tuo manuale o collegandoti a internet, cerca cosa è successo
– il 2 ottobre 1935
– il 7 ottobre 1935
– il 18 novembre 1935
Prendi appunti sui fatti, sulle loro cause e sulle conseguenze che subì l’Italia nel rapporto con gli altri stati della Società delle Nazioni.
- Sempre utilizzando internet o un atlante storico, cerca dove si trovano le regioni della Tripolitania, della Cirenaica e del Fezzan, riunite a formare la Libia. Cerca inoltre i paesi della cosiddetta Africa Orientale: la Somalia, l’Etiopia e l’Eritra. Avrai così trovato la scena sulla quale si muove l’Italia con la sua politica coloniale e i principali luoghi che furono teatro della storia che stiamo raccontando.
- Osserva la carta del documento 11, redatta nel 1940, e mettila a confronto con una carta politica attuale del Nord Africa: verifica se i porti indicati sono gli stessi di oggi e se sulla costa riconosci i nomi di antiche città romane o conquistate dai romani ed incluse nel loro vasto impero.
Rapporto con il testo:
- Leggi il testo e i documenti n. 1, 2 e 3 e sottolinea con i colori, sia nel testo, sia nei documenti le parti che riguardano i seguenti temi:
– rosso: le parti che riguardano la politica autarchica dell’Italia
– verde: le parti che sottolineano il bisogno di cellulosa
– giallo: le strategie e i materiali utilizzati per produrre carta in assenza di cotone
– viola: ciò che l’Italia si aspetta dalla colonie d’Africa
- Rileggi ora le parti sottolineate per ciascun colore e verifica se i documenti confermano o smentiscono quanto dice il testo.
Lavoro sui documenti
- Leggi con attenzione il documento n. 4 e sintetizza con le tue parole il motivo per cui erano tanto importanti per l’impero fascista la carta e la produzione di libri e giornali. Ti sembra che gli scopi principali fossero l’accrescimento della cultura e della possibilità di espressione degli italiani? Da cosa lo capisci?
- Leggi ora il frontespizio de «L’Azione coloniale» (doc.17), il documento 18, il documento 19 e la didascalia che compare sotto la fotografia di Balbo nel documento 12. Ti sembra che questo numero speciale del settimanale si limitasse a informare i lettori sulla produzione dell’alfa e dello sparto nelle colonie libiche, sul loro trasporto e sul loro utilizzo per la produzione della carta? Scrivi un breve commento.
- Leggi ora il documento n. 5. Quali erano i difetti della carta autarchica che già nel 1935 venivano rilevati? Quali pericoli si intravvedevano all’orizzonte?
- Osserva l’immagine n. 9. Facendo riferimento a quanto hai letto nel testo e nel documento n. 5, quali sono i problemi di conservazione che puoi rilevare nel libro fotografato?
- Osserva la fotografia n. 6. Si tratta della raccolta del seme di ginestra. Dove inseriresti questa immagine nel testo?
- Osserva le fotografie n.7, 8, 9 e 10. Si tratta di due trasportatori di sparto, del capo di un centro di ammasso e di una veduta del territorio libico: quali osservazioni puoi fare sull’ambiente e sui personaggi ritratti? L’immagine n. 8 è una cartolina, destinata quindi alla spedizione: perché secondo te era stato scelto un simile soggetto?
- Confronta ora l’immagine della Libia e del tradizionale sfruttamento delle risorse naturali dello sparto e dell’alfa che ti offrono le immagini 7, 8 e 9 con le immagini 12, 13, 14, 15 e16: che cosa è cambiato? Che impressione hai?
Integrazione del testo
- Se hai l’impressione, dopo la lettura dei documenti e l’osservazione delle immagini, che nel testo siano state omesse delle informazioni importanti, riscrivilo integrandolo con le nuove informazioni e illustralo con le immagini che hai a disposizione e con la cartografia che hai trovato. Per ottenere un buon testo storico, non potrai limitarti a inserire qua e là delle frasi, che risulterebbero slegate, ma dovrai intervenire sul testo stesso rielaborando le parti che intendi arricchire con informazioni, citazioni, esempi, considerazioni.