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Storie ad arte per superare i muri

Storie ad arte per superare i muri

Dettaglio di una delle opere realizzate durante il laboratorio creativo sui muri

Abstract

Nel 2019 l’ISRT – Istituto Storico Toscano della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Firenze, in collaborazione con l’associazione culturale Laboratorio900, ha realizzato un percorso di storia e cittadinanza rivolto alle ultime classi della scuola primaria e alla scuola secondaria di primo grado.
La scelta del tema ha preso le mosse da un anniversario cruciale della storia contemporanea: i trent’anni dal 1989. La caduta del Muro di Berlino, a ventotto anni dalla sua costruzione, sembrò incarnare il definitivo abbattimento di ogni barriera e di ogni ostacolo alle libertà individuali e collettive. Da quel momento, tuttavia, abbiamo assistito al moltiplicarsi dei muri, delle barriere, dei limiti e degli ostacoli imposti in tutto il mondo. È questa la duplice chiave di lettura che il percorso vuole offrire: partire dalla conoscenza di un tassello fondamentale della storia d’Europa nel Novecento per spingere poi in avanti lo sguardo, in una dimensione di World History, fino ai nostri giorni. La lettura degli avvenimenti contemporanei viene proposta attraverso il linguaggio anticonvenzionale dell’arte: installazioni, murales e opere di street art che “abbattono” muri e stereotipi, in maniera semplice e diretta. Il percorso è caratterizzato da una metodologia didattica laboratoriale e partecipativa.

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In 2019, the ISRT – Tuscan Institute of Resistance and Contemporary Age in Florence, in collaboration with the cultural association Laboratorio900, created a history and citizenship program aimed at upper primary school classes and lower secondary school. The choice of theme was inspired by a crucial anniversary in contemporary history: the thirtieth anniversary of 1989. The fall of the Berlin Wall, twenty-eight years after its construction, seemed to embody the definitive breaking down of every barrier and obstacle to individual and collective freedoms. However, since then, we have witnessed the multiplication of walls, barriers, limits, and obstacles imposed worldwide. This is the dual perspective that the program aims to offer: starting from the knowledge of a fundamental piece of European history in the twentieth century and then pushing forward into a dimension of World History, up to the present day. The interpretation of contemporary events is proposed through the unconventional language of art: installations, murals, and street art that “break down” walls and stereotypes, in a simple and direct manner. The program is characterized by a participatory and workshop-based teaching methodology.

Perché un percorso sui muri e i confini fin dalla scuola primaria

Il 2019 ci ha messo di fronte a un anniversario importante: i trenta anni dalla caduta del muro di Berlino. In questi trent’anni l’Europa e l’intero mondo sono profondamente cambiati. Il crollo del blocco sovietico ha innescato una serie di processi ancora in parte da decodificare, ma la caduta del muro vi ha assunto da subito un fortissimo ruolo simbolico, in cui si sono voluti leggere la ritrovata libertà dopo la costrizione, la riunione dopo la separazione, la fine della repressione e del controllo totale sulla popolazione, l’inizio di una nuova Europa. A guardare gli eventi con gli occhi di oggi, forse la descrizione migliore di ciò che è successo può essere il famoso murale di Birgit Kinder, ora parte della East Side Gallery, che mostra una Trabant che sfonda il muro e irrompe a Ovest: inizialmente intitolato Test the best, (trad. assapora il meglio), il titolo dell’opera è stato poi significativamente cambiato, diventando Test the rest, ben più neutro e meno trionfalistico[1].

Immagine A: Birgit Kinder, Test the rest, East Side Gallery, Berlin

Al di là delle contraddizioni del mondo occidentale, il dato di confronto forte e ineludibile è che dal 1989 a oggi i muri nel mondo sono incredibilmente aumentati.

Almeno sessantacinque paesi, più di un terzo degli stati nazionali del mondo, hanno costruito barriere lungo i propri confini: metà di quelle erette a partire dalla seconda guerra mondiale è stata creata tra il 2000 e oggi.[2]

 La vicenda del muro di Berlino sembra così configurarsi come uno snodo cruciale della storia europea, che si specchia in una delle grandi questioni contemporanee: nel tempo in cui incessantemente e con grande rapidità merci, denaro, risorse, informazioni viaggiano su scala globale, lungo migliaia di chilometri si innalzano barriere che impediscono gli spostamenti delle persone. Da una prospettiva ancora più ampia, Carlo Greppi parla di “età dei muri” per identificare un periodo più lungo e certo non concluso, che parte dal ghetto di Varsavia e arriva a quelli di oggi[3].

Una nuova età dei muri?

Il biennio 1989-91 chiude quindi la parabola del Novecento, ma non chiude certo l’età dei muri, anzi le conferisce un nuovo inizio. E c’è una differenza importante tra i muri del Novecento e molti dei muri di oggi: nel nostro tempo sono soprattutto «i regimi democratici a ricorrere sistematicamente a barriere e dissuasori fisici di ogni tipo»[4]. Carlo Greppi ci ricorda come le barriere, che gli stati democratici sempre più erigono, sono elementi che organizzano la vita di milioni di persone che tentano di spostarsi e la cui morte è «messa in conto»[5], considerata alla stregua di un trascurabile effetto collaterale del perseguimento di una presunta sicurezza e non una tragedia che pesa sulla coscienza collettiva dei nostri paesi. Affrontare un percorso didattico sul muro di Berlino e i muri che oggi dividono il mondo è apparso quindi importante, sia per approfondire la conoscenza storica del Novecento, sia per affrontare una tematica cruciale di cittadinanza e storia del nostro tempo.

Storia, storie, arte

Il percorso didattico è frutto di una collaborazione tra l’Istituto Storico Toscano della Resistenza e dell’Età Contemporanea e l’associazione Laboratorio900.  In questa passeggiata lungo e attraverso i muri che hanno diviso e dividono il mondo dal secondo Novecento a oggi abbiamo scelto come guide da un lato le storie delle fughe, riuscite o meno, da Berlino Est a Berlino Ovest, dall’altro l’arte: street art e arte pubblica.

Il valore didattico e formativo delle storie in generale, e quindi anche per la comprensione degli eventi e processi storici in particolare, è noto[6]. Per quanto riguarda lo specifico della vicenda della divisione di Berlino, vale la pena citare quanto dice Gianluca Falanga nella sua introduzione a Non si può dividere il cielo:

Lo si diceva già al tempo. Quando un giorno tutta questa storia sarà finita, si farà fatica a credere che sia davvero accaduta: una città divisa in due metà dal muro, come in un’antica leggenda orientale. […] Perché – non c’è alcun dubbio – il ‘vallo antifascista’, come era chiamato dalla propaganda del regime filosovietico della Germania est, fu una delle costruzioni più assurde e paradossali che l’umanità abbia eretto nella sua intera storia. E altrettanto assurde e paradossali sono le storie, i destini dei tanti uomini e delle tante donne che, da un lato o dall’altro, si trovarono costretti a vivere all’ombra del muro più famoso e temuto del mondo.[7]

Quanto alla street art come chiave di lettura per affrontare questo percorso, rimandiamo agli ultimi paragrafi di questo contributo. Basti qui ricordare che nel 1986 Keith Haring viene invitato a lavorare su 107 m di muro: dipingerlo per distruggerlo.

Come recita il titolo che è stato scelto per l’attività didattica nel suo complesso, si tratta di Storie ad arte per superare i muri. L’attività viene svolta nelle classi attraverso l’intervento di personale esterno: una docente in distacco presso l’ISRT di Firenze e due operatrici dell’associazione Laboratorio900.

A chi è rivolto il percorso

Abbiamo scelto di parlare alle alunne e agli alunni degli ultimi anni della scuola primaria e della scuola secondaria di primo grado.

La scuola primaria, com’è noto, a partire dall’ultimo riordino dei cicli, concentra la propria attenzione sulla preistoria e la storia antica e, benché le Indicazioni nazionali lo prevedano, affronta raramente tematiche novecentesche, quasi esclusivamente con percorsi legati al Giorno della memoria. È invece possibile presentare già in quella fascia d’età alcune questioni nodali del Novecento. La scommessa è stata quella di offrire agli allievi e alle allieve della primaria uno spaccato della storia del secondo dopoguerra inusuale, certamente complesso, ma carico di significati anche nel presente.

Viceversa, nella secondaria di primo grado la storia del XX secolo viene affrontata al terzo anno. La vicenda del muro di Berlino può dunque essere inserita nella programmazione didattica dell’ultimo anno, ma spesso non si arriva a trattarla. La tematica dei muri del nostro tempo rischia di rimanere quindi esclusa dal percorso scolastico.

Il percorso è stato attuato con successo sia alla primaria sia alla secondaria di primo grado (dove ha riguardato spesso, ma non sempre, le classi terze), nonostante le differenze di età e di conoscenze. Lasciamo chiaramente a chi legge e vorrà provare a replicare l’esperienza didattica la valutazione sugli aggiustamenti necessari a ogni classe e a ogni età. Ci preme comunque sottolineare che i laboratori sono stati pensati e costruiti proprio in modo da essere accessibili ed esperibili indipendentemente dalle conoscenze storiche pregresse e dalla specifica conoscenza del Novecento.

I tempi

Il percorso è stato pensato per essere articolato in due incontri di due ore ciascuno: un primo incontro dedicato alla storia e alle storie del muro di Berlino e un secondo incontro rivolto invece ai muri nel mondo.

Entrambi gli appuntamenti hanno previsto una lezione di circa 30 minuti e un laboratorio di circa 90 minuti. Come si vedrà, l’attività è fortemente incentrata su pratiche laboratoriali ed è stata pensata per essere svolta in presenza. Riteniamo che continuare a pensare a una didattica di persone vive, di corpi che interagiscono in un’aula, di energie che si attivano nello spazio fisico, cognitivo, relazionale ed emotivo della classe, sia un buon esercizio e consenta di progettare con un respiro che ci traghetti fuori dalle strettoie dell’emergenza. Durante questo anno, abbiamo rivisto parte delle attività previste per adattarle ai protocolli in essere, con la possibilità di svolgere all’aperto l’intero percorso, o di svolgere le attività in gruppi più piccoli, dividendo la classe in due e svolgendo i due laboratori in contemporanea (naturalmente,  uno dei due gruppi si trova in questo caso a svolgere il percorso a ritroso, ma questo non nuoce, a nostro avviso, all’efficacia complessiva del percorso).

La preparazione e la lezione di storia

Per preparare le classi al primo incontro, abbiamo suggerito alle/ai docenti la lettura preventiva di un libro. La letteratura per ragazzi, sempre molto ricca, offre diverse pubblicazioni sul tema, di cui alcune edite proprio nel 2019.  Due sono i testi che sono sembrati fare al caso nostro: uno è Al di qua del muro. Berlino Est 1989 di Vanna Vannuccini, edito da Feltrinelli Kids nel 2010 e l’altro è Rock oltre il muro di Valeria Conti, apparso per i tipi di Notes nel 2019. Il primo, forse più adatto alla primaria, presenta anche delle schede sui ‘segni particolari’ della Germania Est: il marco della DDR, l’autostrada di transito, i checkpoint, la Stasi… Il secondo, che guarda più a un pubblico di adolescenti/preadolescenti, inserisce come elemento centrale della narrazione la famosa canzone Heroes di David Bowie e Brian Eno. In entrambi i casi, le narrazioni si sviluppano a partire dalle scoperte derivanti dall’incontro tra i due mondi, quelli  di qua e di là del muro, visti attraverso lo sguardo di ragazze e ragazzi.

Degni di segnalazione sono tuttavia anche il romanzo Fuorigioco a Berlino di Christian Antonini, pubblicato da Giunti nel 2016, e la raccolta di racconti, curata da Michael Reynolds, 1989, 10 storie per attraversare i muri, uscito nel 2009 per Orecchio Acerbo (pubblicata in contemporanea anche in Francia, Spagna, Germania) che allarga lo sguardo oltre il muro di Berlino per restituirci un efficace spaccato dell’età dei muri attraverso le voci di scrittrici e scrittori europei, come Heinrich Böll, Andrea Camilleri, Max Frisch. Da non perdere il racconto della premio Nobel Olga Tokarczuk.

L’incontro in classe

La prima parte del percorso prevede una lezione di storia della Germania tra la fine della Seconda guerra mondiale e la costruzione del muro. L’ispirazione è stata tratta dal seminario “Es war einmal eine Mauer in Berlin…“- eine aktive Reise in die deutsch-deutsche Geschichte di Daniele Dami e Sabrina Bertini[8], tradotto in italiano e riadattato per alunni della quinta primaria. Le bambine e i bambini sono stati guidati in modo esperienziale a comprendere i principali passaggi storici della vicenda del muro di Berlino. La classe è stata divisa in quattro zone per simulare i settori in cui fu divisa la Germania nel 1945 e, dopo aver guardato alla cartografia della città di quel periodo, abbiamo affrontato in modo colloquiale e dialogico numerosi temi complessi come: le differenze fra comunismo e capitalismo; il ponte aereo del 1948 e la divisione del paese nel 1949; la nascita della “cortina di ferro” e il differente sviluppo delle due Germanie. Come fa notare Falanga[9], la Repubblica Democratica Tedesca si trova in condizioni di svantaggio economico già ai blocchi di partenza della sua vita da separata: negli ultimi mesi di guerra ha subito danni maggiori alle infrastrutture rispetto alla parte Ovest del paese. Inoltre non ha il sostegno del Piano Marshall per fare fronte alle pesantissime spese di riparazione richieste da Mosca, e perde intere fabbriche e attività di produzione. Su questo svantaggio si innestano le differenze fra i due modelli economici e di sviluppo: la Germania Ovest conoscerà fin dagli anni Cinquanta il miracolo economico, la DDR farà invece i conti negli stessi anni con la scarsezza anche dei generi di prima necessità e con un regime che mostra sempre più chiaramente il suo volto illiberale[10].

In questa situazione la parte orientale della Germania si trova ad affrontare una vera e propria emorragia di cittadine e cittadini che, per sfuggire alle difficoltà economiche ma anche per godere di maggiori libertà, si trasferiscono ad Ovest, e tra questi moltissimi sono giovani, qualificati, professionisti. In una decina d’anni la DDR perderà quasi tre milioni di abitanti e lo Stato si troverà sull’orlo del collasso. La risposta sarà la costruzione di un confine fortificato e, poi, il muro di Berlino. A questo punto del racconto può essere utile riflettere con le/gli studenti sulla strategia scelta dalla Germania dell’Est per contrastare il fenomeno della fuga delle cittadine e dei cittadini. Nelle classi in cui abbiamo posto la questione, forse perché influenzati dall’evoluzione storica della vicenda, alle ragazze e ai ragazzi la costruzione del muro è sembrata logica e inevitabile. Ma il dato potrebbe essere letto come un segno dei tempi: di quell’età dei muri di cui già abbiamo detto e del fatto che la costrizione e la costruzione di un ostacolo fisico possano sembrare oggi l’unica possibilità. Se così fosse è certo la conferma del bisogno di organizzare percorsi come questo nelle nostre scuole.

La narrazione procede con la descrizione di ciò che avviene nella notte fra il 12 e il 13 agosto del 1961: Berlino si trova divisa da un muro che separa parenti, fidanzati, genitori e figli. Ed ecco la prima storia: quella del palazzo di Bernauer Strasse.

Bernauer Strasse e la “casa sul muro”

Al momento della costruzione del muro Bernauer Strasse si trova a essere inclusa nel quartiere di Berlino Est di Prenzlauer Berg-Mitte, ma dà su una strada e un marciapiede che passano per il quartiere di Wedding, a Ovest. Chi vi abita vive a Est, ma se esce di casa si ritrova a Ovest. La polizia dell’Est provvede allora a murare le porte del palazzo, ma nei giorni immediatamente successivi alla separazione delle due Berlino sono molte e molti le/i residenti che cercano ugualmente di raggiungere la strada che passa sotto la propria casa e che fa ormai parte di un altro mondo. È qui che il muro fa le sue prime vittime fra le persone che si buttano dalle finestre. Nonostante gli abitanti del lato di Berlino Ovest cerchino di aiutare chi si cala con coperte, teli, materassi addossati sotto le finestre, Rudolf Urban (47 anni), Ida Siekmann (di 59), Olga Segler (80 anni) e Bernd Lunser (appena ventiduenne) muoiono per le cadute. Una sorte migliore accompagna la fuga di Frida Schulze, di 77 anni, che, mentre si sta calando dalla finestra del primo piano di Bernauer Strasse 29, viene raggiunta dai VoPos[11] e afferrata per un braccio, mentre i pompieri la tirano per le gambe dalla strada. Riuscirà per fortuna ad arrivare a terra sana e salva[12]. Oggi Bernauer Strasse ospita il Memoriale del muro di Berlino.

Immagine B: persine che si calano dalle case di Bernauer Strasse, nel 1961. Fotogramma del filmato sul sito dedicato al Muro di Berlino

La fuga messa in scena: il laboratorio

Il muro eretto attraverso Berlino nel 1961 col tempo sarà sempre più controllato, fortificato, tecnologizzato, ma questo non fermerà le aspirazioni delle berlinesi e dei berlinesi. Fino a qui le/gli studenti hanno seguito la lezione e partecipato ai momenti più interattivi e dialogici, ma sono rimaste/i in gran parte passive/i. È opportuno, a questo punto, trovare una modalità che li renda il più possibile partecipi delle vicende che hanno conosciuto, e che possa al tempo stesso attivare il pensiero creativo, permettendo loro di appropriarsi di quanto ascoltato e di rielaborarlo attraverso le proprie scelte. Per questo si è progettato un laboratorio che possa coinvolgere l’acquisizione delle competenze di cittadinanza e attivare i gradi più elevati dell’apprendimento.

È quindi il momento di trasformare la classe nei due settori di Berlino, divisi da un muro-nastro bianco e rosso da lavori in corso che attraversa diagonalmente l’aula. E, soprattutto, è il momento di trasformare le ragazze e i ragazzi in cittadine e cittadini di Berlino che elaborano piani per superare il muro che divide la loro città.

La classe viene divisa in gruppi eterogenei di circa quattro studenti (serviranno cinque gruppi). Ogni gruppo riceve una diversa storia di fuga dal muro. Insieme dovranno leggerla e decidere come drammatizzarla (anche solo un’azione drammatica per ogni storia), per metterla in scena di fronte al resto della classe. Avranno a disposizione 40 minuti. Attraverso questo laboratorio le/gli studenti hanno la possibilità di immedesimarsi nelle vicende storiche appena conosciute e di scegliere come rappresentarle, quali aspetti mettere più in evidenza, come far agire i personaggi sulla scena. Le fughe, che sono state loro affidate, diventano materiale storico nelle loro mani con cui costruire la loro narrazione.

Cinque storie

Nations and peoples are largely the stories they feed themselves.If they tell themselves stories that are lies, they will suffer the future consequences of those lies. If they tell themselves stories that face their own truths, they will free their histories for future flowerings.

B. Okri, A way of being free[13]

Le storie di fuga dal muro di Berlino sono veramente tante, e non è stato facile sceglierne cinque. Si sono selezionati anzitutto alcuni attraversamenti spettacolari, che potessero colpire e attivare l’immaginazione delle/degli studenti. Tre dei racconti che i gruppi hanno messo in scena sono stati attinti dal già citato libro di Falanga, mentre per le ultime due storie il materiale è stato reperito sul web. Quattro delle vicende prescelte sono a lieto fine e invitano alla riflessione sul coraggio, l’inventiva, la determinazione, la collaborazione come risorse indispensabili per superare gli ostacoli apparentemente insormontabili di quella situazione. Ci è piaciuto dare attraverso queste storie un messaggio di speranza: i muri si possono anche superare, per quanto possa essere difficile o difficilissimo, per quanto si debba rischiare la vita. E tuttavia la vicenda del muro di Berlino è stata purtroppo costellata anche da tante vittime, da fallimenti tragici e irreparabili: per questo si è deciso di inserire anche la storia di una fuga fallita. La scelta è caduta sulla vicenda terribile e famosissima di Peter Fechter, il diciottenne caduto nel 1962 sotto i colpi di arma da fuoco mentre scavalcava il muro all’altezza del Checkpoint Charlie e la cui lunga agonia, nella “striscia della morte”, sconvolge profondamente la città[14].

Immagine C: memoriale di Peter Fechter, Berlino. The original uploader was Jensen at German Wikipedia. – Transferred from de.wikipedia to Commons. to Commons., CC BY-SA 3.0, Link

Quattro storie a lieto fine

La prima delle storie a lieto fine è anche la prima dal punto di vista cronologico e ci è parsa una vicenda molto interessante ai fini didattici. Harry Deterling è un macchinista che crede nella DDR e che la critica perché la vorrebbe cambiare, migliorare. Solo quando capisce di non avere alcuna possibilità e, anzi, di essere considerato un nemico dal suo Paese, organizza la fuga per la sua famiglia e per alcuni amici a bordo di una locomotiva[15].

La seconda storia di fuga riuscita riguarda uno dei tunnel scavati sotto il muro per mettere in comunicazione le due parti della città e che prendono il nome dal numero di persone che sono riuscite a fuggire per il loro tramite. Si tratta del ‘tunnel 29’[16], uno dei più famosi, scavato nella già nota Bernauer Strasse, che ha visto fra i protagonisti due studenti italiani a Berlino, Domenico Sesta e Luigi Spina, insieme alla fidanzata berlinese di Domenico, Ellen Sesta[17]. Ci è sembrato interessante raccontare, per questa via, seppure indirettamente, il clima internazionale di Berlino Ovest e la solidarietà che nasce fra un gruppo di giovani studenti.

La terza vicenda è più recente e articolata. Riguarda i fratelli Bethke e si snoda dal 1975 fino al 1989, quando anche l’ultimo dei fratelli Bethke riuscirà a fuggire, a pochi mesi dalla caduta del muro[18].

Infine l’ultima, del 1979, è forse la più spettacolare e probabilmente una delle più note: la fuga in mongolfiera di Hans Peter Strelczyk insieme all’amico Gunther Wetzel e alle loro famiglie[19].

Alle ragazze e ai ragazzi è stata data una sintesi delle storie selezionate e uno schema di azioni drammatiche che è possibile rappresentare. Ogni gruppo ha scelto almeno un’azione e ha lavorato sulla sua resa teatrale. Alla fine, le storie sono state messe in scena dai diversi gruppi. Dopo ogni esibizione, il pubblico delle altre e degli altri studenti ha riflettuto insieme al gruppo in scena su cosa ha funzionato e cosa no e su altre modalità possibili di rappresentazione. Infine, per ogni storia si sono offerte alla classe alcune puntualizzazioni: la data, qualche elemento di contestualizzazione, la sorte dei protagonisti dopo la fuga.

Di seguito ecco il materiale didattico consegnato ai gruppi per la drammatizzazione.

Harry Deterling
Peter Fechter ed Helmut K.
Domenico Sesta, Luigi Spina, Ellen Sesta
I fratelli Bethke
Hans Peter Strelczyk
Dal muro di Berlino ai muri nel mondo, viaggiando con l’arte

L’arte non organizza feste, né è serva o collega del potere.
È un atto politico creare un’immagine del sé o del collettivo.
Purché dica la verità, ogni qualvolta il governo sta mentendo o ha tradito il popolo, che lo voglia o meno, l’artista diventa una forza politica.

Lewis Hyde, Gift, 1979 [20]

 

Le ragazze e i ragazzi hanno messo in scena le storie, si sono immedesimati, hanno attraversato il confine e applaudito a ogni fuga: è il momento di arrivare al 1989 e di buttare definitivamente giù quel muro.

Dalle vicende legate a Berlino, giungiamo così a parlare del nostro tempo, che ci vede abitare un pianeta costellato di barriere, filo spinato, ostacoli fortificati[21]. La caduta del muro di Berlino sembrava aver sancito la fine di ogni confine, di ogni segregazione. E invece, dai quindici confini armati del 1989, i muri di frontiera sono diventati settanta: «I muri si possono scavalcare, aggirare e oltrepassare scavando tunnel sotterranei. Eppure molti paesi del mondo continuano a costruirne di nuovi»[22]; muri che separano Stati o comunità, talvolta nati anche nella stessa città per separare i quartieri poveri da quelli ricchi. Per parlare di questioni geopolitiche molto complesse, e magari anche sensibili per le loro implicazioni nella quotidianità, abbiamo scelto di cambiare registro e di lasciarci guidare da un linguaggio diretto e suggestivo: quello dell’arte contemporanea.

La conoscenza delle opere, delle azioni e del pensiero degli artisti e delle artiste ci aiuta ad avere uno sguardo non convenzionale sul mondo: pensiamo al Novecento, dove se per Picasso l’arte consente di moltiplicare i punti di vista, con Duchamp inizia a creare dei corto-circuiti cognitivi, mentre Warhol riconosce tratti di grandiosità nella banalità del quotidiano[23]. Lo storico e critico d’arte Michele Dantini afferma che le «competenze di ordine visuale hanno immediate utilità linguistiche e cognitive, oltreché civili. Ci aiutano a ordinare esperienze articolate e a muoverci in modo meno impacciato tra ambiti sensoriali diversi»[24].

Oggi le azioni pubbliche di artisti celebri e mediatici come Banksy, JR o Ai Wei Wei contribuiscono, in effetti, ad abbattere gli stereotipi e i pregiudizi delle nostre società, soprattutto presso la popolazione più giovane e legata ai social media, dove le immagini delle opere/azioni di questi grandi artisti hanno grande diffusione (il francese JR, per fare un esempio, ha 1,5 milioni di follower su Instagram). L’arte, del resto, ha questo ruolo da sempre: fornisce nuove possibilità di interpretazione della realtà e inedite letture delle complessità sociali, politiche, storiche e religiose. L’opera d’arte è un atto politico, scrive il critico Lewis Hyde, non nei termini più usuali, forse, ma «l’arte non organizza feste, né è serva o collega del potere. L’opera d’arte diventa forza politica semplicemente attraverso la fedele rappresentazione dello spirito. È un atto politico creare un’immagine del sé o del collettivo. […] Purché dica la verità, ogni qualvolta il governo sta mentendo o ha tradito il popolo, che lo voglia o meno, l’artista diventa una forza politica»[25].

Amnon Barzel, primo direttore del Museo Pecci di Prato, grande storico dell’arte, israeliano e residente a Roma, invita da sempre a riflettere sul carattere politico dell’arte nei luoghi di conflitto; un’arte che lui definisce come “di sinistra”, in quanto animata da una visione internazionalista, laica e pacifista. Potremmo aggiungere: «L’arte è critica, o non è arte»[26].

I linguaggi dell’arte contemporanea e le azioni laboratoriali collettive sono potenti mezzi di emancipazione critica e sociale, permettono di riflettere su noi stessi, sono medium la cui efficacia è riconosciuta anche dalle maggiori organizzazioni internazionali dedicate all’infanzia; si veda, ad esempio, il progetto di “Save the Children” dedicato ai laboratori artistici nei luoghi di conflitto ma aperti, dal 2016, anche in Italia, nei centri di aggregazione denominati “Punti Luce”, diffusi in tutta la penisola[27].

Nell’Immagine, scrive il fotografo brasiliano Tuca Vieira, «prevale il potere simbolico e didattico, con la sua grammatica visiva semplice e diretta»[28]. Scatti come quelli che raffigurano barriere che arrivano a centinaia di metri dalla costa, separando perfino le acque del mare (fig. 1), oppure le immagini di intere famiglie separate da un filo spinato o da altissime cancellate, appaiono inconcepibili e inequivocabilmente ingiuste e impongono quindi una riflessione. Di fronte a esse, al senso di sconfitta che avvertiamo guardandole, sorge spontanea la domanda “come siamo arrivati a questo punto?”, ed è in quel momento che nascono riflessioni e confronti collettivi. L’attitudine a interpretare – scrive sempre Dantini – e, dunque, «a interrogarsi e interrogare, distinguere, connettere, articolare – è la conditio sine qua non di una cittadinanza desta e qualificata. Il declino di questa stessa attitudine è invece un pericolo per le sorti delle democrazie»[29].

Il racconto per immagini

Il nostro percorso inizia riallacciandosi al muro di Berlino, con l’intervento nel 1986 del già affermato statunitense Keith Haring, invitato a lavorare su ben 107 metri del lato ovest della città (fig. 2). Keith Haring è nato nelle metropolitane newyorkesi ed è cresciuto nella Factory di Andy Warhol, rappresenta il volto più libertario e amato dell’America, e i suoi radiant boys ottengono subito un’ampia e immediata risonanza mediatica. I celebri omini stilizzati si allungano sul muro con le mani dell’uno che tengono stretti i piedi dell’altro, come a formare una catena umana in grado di superare la barriera. I colori richiamano quelli della Germania, alludendo ad un popolo tedesco finalmente unito: il giallo dello sfondo, il nero e il rosso delle silhouette. Obiettivo dichiarato dall’artista: «distruggere il muro, dipingendolo», consegnando allo stesso tempo un messaggio di pace e concordia universale [alcune immagini di quel 23 ottobre 1986: https://www.youtube.com/watch?v=sXw-j9emPFU&feature=emb_logo].

Quando effettivamente il muro cade, nel 1989, le parti rimaste in piedi (non del dipinto di Haring, che andò perduto già a pochi giorni dalla sua inaugurazione) diventeranno una galleria d’arte a cielo aperto, coperte da centinaia di graffiti e disegni dedicati alla libertà: perenne monito contro i muri, le segregazioni, i confini invalicabili.

Ma ci sono molti muri anche nel nostro tempo. Ne vediamo qualcuno partendo proprio da quegli Stati Uniti che si erano proposti come simbolo di libertà, in quella Germania ancora divisa. Nel 1990 il governo USA ha iniziato a erigere una barriera di ferro, alta 4 metri, contro le/i migranti messicani. Nel 2019, a muro ultimato sotto la presidenza Trump, la coppia di docenti californiani Ronald Rael (architetto) e Virginia San Fratello (designer) ha creato un’altalena rosa fucsia, dal titolo “Teeter totter wall” (muro altalena), che – fissata a cavallo della barriera – mette in comunicazione Juàrez (in Messico) con El Paso, negli USA. L’intento dei due artisti è quello di proporre un’idea giocosa di riunificazione, e dimostrare come le azioni che accadono da un lato abbiano conseguenze dirette sull’altro (figg. 3A e 3B)[30]. Restando in Messico, ci possiamo imbattere anche nell’artista JR, francese partito dalle periferie parigine, ormai star del web e non solo. Jean René, alias JR, ha iniziato la sua attività di graffitista immortalando gli abitanti anonimi delle banlieue in gigantesche fotografie, poi affisse abusivamente durante la notte. Di giorno i grandi faccioni in bianco e nero raccontavano agli abitanti del quartiere la storia popolare della loro città. JR, anche se ormai è seguito da una potente galleria, continua a lavorare nelle situazioni di conflitto: «Vorrei portare l’arte nei luoghi più improbabili – dichiara – creare con le comunità locali progetti così grandi che forzeranno le persone a interrogarsi. Tentare, nelle zone di tensione come il Medio Oriente o il Brasile, di creare immagini che offrono altri punti di vista che quelli riduttivi dei media globali»[31].  In Messico, JR lascia parlare il volto paffuto e tenero di Kikito, di appena un anno, che abita in una delle case a ridosso del muro. Kikito si erge, così, per oltre 20 metri sopra la barriera statunitense, guardando sornione, dall’alto in basso, i militari americani che la sorvegliano (fig. 4). Restando nelle Americhe ci spostiamo verso il Brasile, dove il muro che stiamo per raccontare non divide popoli e stati ma addirittura i poveri e i ricchi di una medesima comunità. La fotografia aerea scattata dal brasiliano Tuca Vieira (fig. 5), mostra la barriera che sbarra la strada nella favela Paraisòpolis di Sâo Paulo: un’immagine quasi surreale per quanto è chiara ed evidente l’ingiusta segregazione. Le baracche e le piscine quasi si toccano, ma è solo l’effetto della visione dall’alto… i loro proprietari non si incontreranno mai. Uno dei muri più noti del mondo è quello che separa la Palestina da Israele, dove quest’ultima ha circondato la Cisgiordania con una barriera iniziata nel 2002 e lunga oggi più di 700 chilometri. Per il potente messaggio, anche simbolico, che da sempre ha assunto questo muro, molti artisti si sono misurati con il suo ‘superamento’. Il muro palestinese ci permette di parlare della street art e dei suoi iconici artisti, molto seguiti dai giovani: da Banksy, ormai una vera e propria celebrità, alle opere di Ericailcane e Blu, street artist italiani, spesso in collaborazione tra loro, tra i più amati al mondo (fig. 6 e fig. 7). Blu è molto conosciuto anche in Italia, per tutte le opere che ha lasciato nel nostro territorio, come il grande murales messinese del 2013 sulla facciata dell’ex Casa del Portuale, e ormai semidistrutto, dedicato ai morti del Mediterraneo. Migranti che cercano di arrivare sulle nostre coste, varcando i confini invisibili e temibili del mare ai quali ha dedicato un’opera suggestiva e dal grande impatto simbolico anche il fiorentino Giovanni De Gara. In collaborazione con l’abate Bernardo di San Miniato al Monte, una delle basiliche più belle del territorio fiorentino, De Gara ha utilizzato le coperte isotermiche che avvolgono i corpi dei migranti strappati al naufragio, assiderati e stremati dalla fatica, per rivestire le porte di San Miniato. “Eldorato” è il titolo di quest’opera che richiama l’ambiguità di un mondo ideale, il mitico Eldorado, stravolto dalla ricerca della sopravvivenza (fig. 8).

Con questa immagine si chiude il percorso dedicato ai confini e ai muri contemporanei, e si apre il momento del laboratorio creativo.

 

Disegnare i muri per abbatterli: il laboratorio artistico

L’importanza dell’attività creativa manipolatoria ha un ruolo fondamentale in questa proposta didattica. Creare mette in gioco altre competenze oltre a quelle cognitive, stimola la definizione di sé, nell’esercizio ludico di personalizzazione dell’oggetto da realizzare, e valorizza o rivela competenze inattese. Il più che diffuso leitmotiv «se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco», resta una pur sempre valida ‘fotografia’ dell’importanza di un’attività laboratoriale e pratica, a conclusione di un percorso di apprendimento. La richiesta ‘artistica’ deve mettere in moto la creatività e non le competenze pregresse, per far sì che ogni partecipante sia posto sullo stesso piano, a prescindere dal background scolastico e familiare. Anche i materiali usati nella nostra pratica metodologica seguono questo obiettivo: sono pensati per essere ‘democratici’ (ad esempio raramente si utilizza il disegno a mano libera, e comunque mai nel lavoro individuale) e possibilmente insoliti, per stimolare fantasia e creatività. Le attività laboratoriali sono, inoltre, a prova di piramide, hanno cioè un effetto benefico sulla gerarchia delle classi, spesso difficile da scardinare: «Tutti gli usi della parola a tutti mi sembra un buon motto, dal bel suono democratico. Non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo», scriveva Gianni Rodari[32].

 

Modalità

Il laboratorio di questo percorso può essere svolto a gruppi o individualmente a seconda delle esigenze del contesto e della classe.

Dopo aver scoperto assieme le tante azioni artistiche che ci hanno fatto superare e distruggere muri e confini, proviamo a esprimere la nostra azione libertaria con un linguaggio visivo, ispirato agli street artist: una cartina geografica, che evidenzia il muro di confine da superare, e tanta creatività: navi, razzi, aeroplani, mongolfiere, oggetti strani e animali volanti si metteranno in moto per liberare la nostra fantasia e superare ogni barriera. Il lavoro di composizione grafica viene realizzato tramite un collage di immagini selezionate e messe a disposizione dei partecipanti con delle stampe, dei fogli di acetato colorati e trasparenti, stampe in bianco e nero, colle e pennarelli indelebili e a vernice acrilica. Il tutto viene poi montato su di un supporto in cartoncino che funge da cornice e che riporta il titolo del progetto, della classe e del gruppo o del/la singolo/a coinvolto/a. (figura qui sotto)

Conclusioni

Il percorso, seppur dedicato principalmente a un momento storico specifico quale è la costruzione e la caduta del Muro di Berlino, permette di affrontare una riflessione ampia e attuale: quella dei flussi migratori e delle barriere presenti oggi nel mondo. L’efficacia di questa attività risulta soprattutto dall’impostazione laboratoriale e partecipativa alle tematiche proposte. Una partecipazione stimolata attraverso svariate pratiche didattiche, associate sia al percorso storico che a quello più contemporaneo, e messe in atto attraverso lavori di gruppo con attività di drammatizzazione, teatralizzazione, manipolazione artistica e creativa. Le storie sono il nucleo centrale del primo laboratorio e favoriscono l’analisi, la valutazione, la rielaborazione autonoma e l’immedesimazione. L’utilizzo del linguaggio visivo dell’arte contemporanea veicola in maniera efficace e coinvolgente alcune delle tematiche più attuali e complesse. In una prospettiva pienamente transdiciplinare, storia, arte e cittadinanza si intrecciano e si sostengono a vicenda, allo scopo di insegnare a pensare un mondo senza muri.


Note:

[1] Per una storia del murale, si veda il sito dell’artista: https://www.birgit-kinder.de/galerie/east-side-gallery-berliner-mauer-geschichte-mauerbild-trabant/.

[2] T. Marshall, I muri che dividono il mondo, Garzanti, Milano 2018.

[3] C. Greppi, L’età dei muri, Feltrinelli, Milano 2019.

[4] Greppi, 2019, p. 258.

[5] Greppi, 2019, p. 259.

[6] Si veda, e.g., il modello formativo dell’Orientamento Narrativo: https://laricerca.loescher.it/lorientamento-narrativo/ e il lavoro dell’associazione Pratika: http://pratika.net/wp/risorse/orientamento-narrativo/. Utile anche il materiale presente sul sito Le storie siamo noi, che documenta i convegni biennali sull’Orientamento Narrativo.

[7] G. Falanga, Non si può dividere il cielo. Storie dal muro di Berlino, Carocci, Roma 2009.

[8] Ebbi l’occasione di conoscere Daniele Dami e Sabrina Bertini al convegno Reden statt Mauern (si può vederne il programma al link: http//www.si-po.org/images/pdf200/260Programma_Convegno_Pecci.pdf), tenutosi l’8 novembre 2019 presso il centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato. Entrambi insegnanti di lingua tedesca nella scuola secondaria di primo grado, Dami e Bertini sono anche i referenti per l’associazione LEND (Lingua E Nuova Didattica) di Prato e Pistoia.

[9] Falanga, 2009, pp. 18-20.

[10] Falanga, 2009, pp. 19-20.

[11] VoPos è l’acronimo con cui, nella Repubblica Federale Tedesca, si indicava la polizia della Germania dell’Est (ovvero la Deustche Volkspolizei, una sorta di corpo militare con funzioni di polizia civile), disciolta al momento della riunificazione delle due Germanie.

[12] Falanga, 2009, pp. 35-36.

[13] B. Okri, A way of being free, London Phoenix 1998, cap. The joy of storytelling III, aphorism and fragment, n. 15.

[14] Falanga, 2009, pp. 54-57.

[15] Falanga, 2009, pp. 123-126.

[16] Il tunnel permise la fuga di ben 29 persone, ma il tunnel più fruttuoso fu il “tunnel 57”.

[17] Falanga, 2009, pp. 179-191

[18] Si trovano diversi articoli sulle fughe dei fratelli Bethke, ne riportiamo qui due: https://www.huffingtonpost.it/2014/11/08/muro-berlino-fughe_n_6125612.html e https://www.history.co.uk/article/the-brilliant-bethke-brothers-and-their-daring-escapes-across-the-berlin-wall.

[19] Anche in questo caso, molti sono gli articoli reperibili online su questa nota vicenda. Si possono vedere, e.g., i seguenti siti:http://content.time.com/time/subscriber/article/0,33009,947451,00.html e https://www.internazionale.it/opinione/annalisa-camilli/2015/06/22/migranti-muro-berlino.

[20] L. Hyde, The Gift. Creativity and the Artist in the Modern World, Vintage Books, New York, 1979, p. 258.

[21] O. Razac, Philosophie du fil de fer barbelé, in «Le Monde diplomatique», agosto 2013, p. 3.

[22] Cfr. R. Jones, Perché nel mondo si costruiscono sempre più muri, in «Internazionale.it»,  28 novembre 2016, https://www.internazionale.it/video/2016/11/28/si-costruiscono-sempre-piu-muri.

[23] Cfr. S. Giordano, Disimparare l’arte, Il Mulino, Bologna 2012.

[24] M. Dantini, Arte e sfera pubblica. Il ruolo critico delle discipline umanistiche, Donzelli, Roma 2016, p. 3.

[25] Hyde, 1979, p. 258.

[26] F. Chezzi, Arte di identità, in «Art e Dossier», 256, giugno 2009, pp. 16-19.

[27] Per la strategia di recupero scolastico e sociale dedicato all’infanzia in Italia da parte dell’associazione Save the Childre, si veda: https://www.savethechildren.it/blog-notizie/i-benefici-dell%E2%80%99arte-e-della-cultura-lo-sviluppo-dei-bambini.

[28] L’artista ha un proprio sito; si veda https://www.tucavieira.com.br/.

[29] Cfr. Dantini, 2016, p. 4 e sgg.

[30] Per vederla in azione: https://www.instagram.com/p/B4xfWPchb12/?utm_source=ig_web_copy_link.

[31] F. Bousteau, Entretien avec JR, in «Beaux Arts Magazine», ottobre 2019.

[32] G. Rodari, Grammatica della fantasia, Einaudi, Torino 1973, p. 6.