Modelli pedagogici, potenzialità e limiti dei prodotti multimediali a supporto dei testi didattici
Un’analisi dell’offerta digitale dell’editoria scolastica – PARTE 3
Sintesi a cura di Gigi Garelli
Abstract
L’intervento intende evidenziare potenzialità e limiti dei prodotti multimediali realizzati a supporto dei testi didattici, analizzare i modelli pedagogici loro sottesi, e offrire a insegnanti e studenti alcuni suggerimenti circa il loro utilizzo. Pur senza addentrarsi nell’analisi dettagliata di singole risorse digitali, Maria Beatrice Ligorio mette a confronto i modelli pedagogici dichiarati e quelli realmente adottati nella realizzazione dei nuovi prodotti multimediali, proponendo idee e suggerimenti circa il loro uso didattico anche in termini innovativi rispetto all’immaginario delle case editrici.
Premessa
A una prima impressione può sembrare che in Italia la ricerca si sia occupata poco del ruolo delle tecnologie nei processi di apprendimento, anche perché quest’ultima tende ad avere come suoi destinatari esclusivi i ricercatori, senza oltrepassare i confini del mondo accademico.
In realtà negli ultimi 30-40 anni la ricerca sulle Tecnologie Informatiche e della Comunicazione (TIC) non è mancata, in particolare per quanto riguarda il ruolo che possono avere nel sostenere processi di apprendimento efficaci e duraturi, termini non sempre coincidenti.
La didattica tradizionale infatti, quella fondata sulla comunicazione frontale, per quanto generalmente efficace, è di breve durata, finalizzata com’è al momento della verifica/valutazione (si parla spesso a questo proposito di un “effetto sciacquone”…). La tecnologia tuttavia non può sostituire il ruolo dell’insegnante nel garantire l’efficacia dei processi di apprendimento: nemmeno lo psicologo statunitense Burrhus Skinner aveva immaginato la sua “macchina per insegnare” come drastica alternativa al docente. Il processo di insegnamento/apprendimento è cosa ben più complessa e sofisticata, in cui la tecnologia può intervenire potenziando l’azione dell’insegnante e rendendola più variegata.
In quest’ottica il docente assume il ruolo di professionista che ha a disposizione molti strumenti oltre alla lezione frontale e ai libri cartacei, senza che questi strumenti siano chiamati a sostituire le modalità più tradizionali di insegnamento, bensì ad affiancarle.
Quali caratteristiche per le risorse digitali?
Le nuove tecnologie devono essere “trasparenti”: non devono assorbire energie intellettuali attirando l’attenzione su di sé e sulle proprie modalità di funzionamento. Quanto più sono semplici e intuitive, tanto più risulta fluida ed efficace la fruizione dei contenuti.
Inoltre devono essere progettate a sostegno dell’apprendimento individuale e cooperativo, immaginando di poter essere usate da un singolo studente o nell’ambito di un lavoro di gruppo. Il che significa sì attenzione alla diversità dei potenziali fruitori, ma anche sostegno all’interazione sociale tra loro. Va quindi curato non solo il rapporto studente-macchina: la risorsa digitale deve diventare anche strumento di interazione tra le persone, sia in classe che “in remoto”.
Infine devono consentire di fare qualcosa che altrimenti non si potrebbe fare. Non possono essere semplicemente brutte copie di un libro.
Modelli psico-pedagogici
Le risorse digitali hanno come presupposto alcuni modelli psico-pedagogici, tra cui:
1. Flipped classroom (classe ribaltata)
Questo modello prevede che a casa lo studente si dedichi alle lezioni (anche attraverso i social), riservando l’attività in classe a svolgere dei compiti e a ragionare insieme per risolvere problemi.
Perché sia efficace, sono necessari alcuni presupposti:
- Innanzitutto che vengano messe a disposizione dello studente buone lezioni. Ma buone per chi? Chi stabilisce quale sia una “buona” lezione? Come si può costruire a tavolino una “buona” lezione senza conoscere i presupposti e la preparazione di un ipotetico destinatario?
- In secondo luogo vanno curate le competenze tecnologiche e le possibilità di accesso alle risorse digitali: a dispetto del nome, non sempre i “nativi digitali” le posseggono davvero. Essendo pre-requisiti che non si possono dare per scontati, vanno previsti strumenti specifici per colmare eventuali lacune.
- Infine deve essere prevista la riorganizzazione ergonomica della classe anche in senso fisico/spaziale, per consentire modalità di lavoro differenti rispetto a quelle tradizionali della lezione frontale.
Non sempre l’editore conosce questi presupposti, e il rischio è che vengano realizzati prodotti “standard”, con un grado minore di efficacia.
2. Cooperative learning (apprendimento cooperativo)
Molti prodotti editoriali ignorano questo modello, e vengono progettati per studenti che ne fruiscono individualmente. In realtà alcune case editrici hanno inserito qualche informazione su cosa sia il cooperative-learning, senza però offrire indicazioni più precise su come questo modello debba essere applicato.
Va pensata una formazione specifica dei docenti a questa modalità di insegnamento/apprendimento, perché anche la migliore delle risorse digitali da sola non basta. Non è sufficiente mettere i ragazzi in gruppo abbandonandoli a sé stessi confidando nella loro spontanea creatività: ci sono tecniche specifiche da mettere in atto, cui ci si deve formare attraverso percorsi tarati su livelli specifici.
Non ultima, va messa in conto la possibilità di costruire nuove conoscenze, immaginando che dal lavoro cooperativo possano emergere proposte di modifica del prodotto originario.
3. Apprendimento per competenze trasversali.
La fruizione dei prodotti digitali dovrebbe consolidare:
- Le competenze di scrittura. In realtà – almeno negli esempi presi in considerazione – si chiede poco di scrivere, e attraverso procedure farraginose e complicate.
- Le competenze di lettura critica: gli strumenti multimediali potrebbero chiedere di argomentare ciò che si legge, con compiti di discussione in classe, facendo della lettura uno spunto di confronto e dibattito. Anche su questo fronte, invece, gli spunti sono poco presenti.
4. Apprendimento personalizzato
Si parla qui di bisogni speciali, di attenzione alle differenze. È necessario pensare ciò che accade “oltre” il prodotto digitale, ciò che avviene prima e che avviene dopo. Ma ancor più è necessario rendere oggetto di riflessione esplicita le modalità attraverso cui è possibile individuare le differenze e le specificità dei fruitori. Chi è l’utilizzatore del prodotto: un fruitore standard, potenziato o portatore di bisogni speciali? Sono previsti percorsi di apprendimento personalizzato? Ci sono percorsi differenziati? C’è coerenza tra il modello evocato e il prodotto reale?
5. Lezione frontale
È il modello più frequente, ancorché in termini impliciti. Molti dei prodotti presi in considerazione si ispirano all’idea del libro, riproducendone il modello:
- Hanno grandi repertori di foto, video, clips, ma li si sfoglia come libri.
- Li si trova su scaffali proprio come nel caso delle biblioteche tradizionali.
- Replicano le stesse modalità di uso dei prodotti cartacei (con operazioni quali sottolineare, evidenziare, inserire segnalibri,…) con in più alcune difficoltà procedurali.
- Non offrono la possibilità di cogliere la presenza di altri fruitori online: non si sa se e chi stia leggendo (o abbia letto) quel medesimo prodotto, facilitando processi di interazione.
- Non sono modificabili in base alle esigenze del singolo utilizzatore.
Alcuni quesiti
Come sfruttare le potenzialità delle risorse digitali senza rimanere intrappolati nella metafora del libro?
Occorrono competenze specifiche per gli insegnanti? Quale modello presuppongono le case editrici (in quanto produttrici di risorse) e gli insegnanti (in quanto fruitori)? Sono modelli coincidenti?
Come rendere più concreti il riferimento ai modelli psico-pedagogici evocati?
Come incidere sui metodi di insegnamento/apprendimento, provocandone un cambiamento?
Dovrebbe essere questa la finalità delle risorse digitali, non per abbandonare le strategie tradizionali in quanto poco efficaci, ma per ampliare l’offerta didattica con un campionario più ricco di strumenti e di modalità di utilizzo. Non si tratta di demonizzare la lezione tradizionale, accantonandola, ma di offrire qualcosa in più, permettendo all’insegnante “professionista” di mettere nella propria cassetta degli attrezzi un numero più ampio di risorse.
Si può chiedere a questi prodotti di avere una propria missione formativa, o l’insegnante se la deve auto-assegnare?
Qualche casa editrice ha provveduto a inserire all’interno dei propri prodotti uno spazio formativo appositamente dedicato agli insegnanti con alcune “pillole” video o specifici inserti testuali, ma si potrebbe fare molto di più non fermandosi alla semplice formazione all’uso del prodotto, ma esplicitando i rimandi ai diversi modelli didattici. I prodotti digitali devono entrare a far parte di un “ambiente” di riferimento accanto ad altri strumenti più tradizionali, con opportuni rimandi e richiami ai prodotti cartacei più consueti.
Quali metafore alternative a quella del libro?
Si potrebbe richiamare l’immagine della classe come orchestra (Salomon, 1993), sottolineando come non basti costituire un gruppo di ottimi solisti per ottenere automaticamente un’ottima esecuzione: là dove ciascuno suoni per sé, il risultato è una sgradevole e sterile distonia.
Oppure ci si potrebbe riferire all’idea di apprendimento come “costruzione di conoscenza” (Scardamalia e Bereiter, 2006), spingendo gli studenti non solo ad acquisire informazioni, ma a utilizzare le informazioni acquisite per generare nuove idee, realizzando qualcosa che nel prodotto non c’è ancora, secondo il principio dell’empowerment, in base al quale il fruitore, attraverso il
proprio impegno, implementa non solo la propria conoscenza, ma la conoscenza in generale.
Alcune proposte
Suddividere il prodotto in più parti e assegnare a studenti diversi parti specifiche, rendendo visibili online i gruppi e i loro rispettivi ambiti di lavoro per poterne condividere gli esiti.
Proporre domande ampie, complesse, “sfidanti”, per obiettivi di ricerca da discutere collettivamente, sfruttando forum, blog, social per sostenere e incrementare il senso di comunità.
Trovare citazioni interessanti e metterle in rete per i “like”, così da far circolare intuizioni e idee nuove.
Consentire la personalizzazione dei percorsi attraverso la creazione di un portfolio personale, una sorta di profilo in cui ogni studente può inserire i propri prodotti migliori, le idee più interessanti che ha avuto, le intuizioni più originali, ecc.
Rendere l’apprendimento “necessario” per la soluzione di compiti interessanti e collaborativi, ad esempio ipotizzando proiezioni circa l’evoluzione di un fenomeno storico e verificandone in seguito il corso reale, chiedendo la soluzione di enigmi,… alzando cioè i livelli di richiesta oltre i semplici compiti di “risoluzione”.
Chiedere agli studenti di spiegare ai compagni quanto studiato, sia in aula, sia proponendo di preparare un prodotto multimediale da caricare su un’apposita piattaforma.
Far redigere una prova di apprendimento (sotto forma di test o di prova strutturata), somministrandola poi ai compagni che hanno affrontato lo stesso materiale. Questa attività avrebbe tra l’altro il risultato di far crescere il senso di una responsabilità condivisa: al termine del processo sarebbe valutato tanto colui che svolge la prova, quanto chi l’ha elaborata, così come chi ha spiegato in classe l’argomento.
Assegnare capitoli diversi ai diversi gruppi di studio, facendoli poi confrontare attraverso i social, chiedendo agli studenti stessi di trovare e/o creare connessioni e intermodalità. Questo compito richiede come presupposto che le case editrici mettano a disposizione prodotti più facilmente modificabili.