Al tempo di internet: come cambiano i materiali di studio e la storia da studiare
Dossier @storia: la storia nell’era digitale, pubblicato sul numero 1, dicembre 2013.
Relazione sull’intervento di Antonio Brusa “Al tempo di internet: come cambiano i materiali di studio e la storia da studiare”
Siamo nel pieno di una rivoluzione digitale e dobbiamo chiederci come cambiano i materiali di studio e la storia da studiare. Affronterò il tema della professionalità e dei di contenuti che sono chiamati in causa dalle nuove tecnologie. Non è solo questione di comprare i tablet a tutti i ragazzi o di diventare più o meno bravi con la rivoluzione digitale; c’è qualcosa di molto più importante su cui riflettere e confrontarci. Qualcosa che giustifica che questo seminario sia stato organizzato dagli Istituti Storici della Resistenza, non come un seminario qualsiasi di formazione per docenti, cosa che gli Istituti da tempo fanno, ma come qualcosa strettamente collegato alla mission degli Istituti Storici.
- Il sommario della relazione prevede tre punti:
Lo spaesamento
Spaesamento. La storia in Internet. Esempio: la Piramide Feudale.
Lo spaesamento è di tutti quelli che si trovano di fronte ad una navigazione in Internet, soprattutto quando si vuole capire qualcosa di un dato argomento. Si osservi, ad esempio, la piramide feudale: sovrano,vassalli,valvassori. Questa immagine, che compare in tutti i manuali di storia della scuola media e della scuola superiore, viene usata da uno storico, Giuseppe Sergi, in un articolo di Repubblica, per spiegare che si tratta in realtà di un’invenzione, perché la piramide feudale non è mai esistita. Al di là dell’articolo di Sergi, la cosa interessante è che, se si clicca “feudalesimo” su Google, la prima immagine che appare è questa. Quindi Google al concetto di gerarchia feudale associa subito una piramide “feudale”. Poiché nella rete viaggiano insieme lo scritto e l’immagine, quale tra le due forme espressive prevale? Fra le immagini e la corretta conoscenza storica, chi ha la meglio?
Passiamo alla storia contemporanea ed assumiamo un caso di studio: le foibe. Ho fatto coi miei ragazzi una ricerca, sul 10 febbraio, il Giorno del Ricordo dedicato al dramma delle foibe. Ci siamo chiesti: quante pagine appaiono su Internet? Alla data del 10 febbraio corrispondono 1.270.000 pagine, un universo cangiante nel quale si disperdono i prodotti “affidabili”. Su tale argomento Luigi Cajani ha pubblicato una ricerca, all’epoca dello scandalo dei manuali “di sinistra”, nel 1993-1994., partendo dalla denuncia da parte di un opuscolo di An che attaccava i manuali di storia, in uso nelle scuole italiane, definiti di sinistra perché non parlavano della foibe. Luigi Cajani ha esaminato un gran numero di manuali, compreso il criticatissimo Camera –Fabietti, giungendo alla conclusione che non è vero che i manuali italiani hanno censurato tale argomento (ad esempio, il Camera-Fabietti dedica cinque schede alle foibe; ciò di cui non si parla è quello che gli italiani hanno fatto in Jugoslavia “prima”).
Come ci si può dunque muovere dentro l’universo Google, universo che cambia continuamente? Per citare un altro esempio, subito dopo il 10 febbraio, a causa dell’incalzare dell’8 marzo, dai siti Web sparisce Raul Pupo, uno storico esperto di foibe. Come fa un ragazzo a capire dove e cosa deve cercare su Google?
Esaminiamo il compito di Valeria, III media, che riporta alcune considerazioni sulle foibe:
- aprendo un qualunque dizionario il termine “foiba” viene indicato come “voragine rocciosa, a forma di imbuto rovesciato, creata dall’erosione di corpi d’acqua, che può raggiungere anche i 200 m di profondità”.
- la reale vergogna è che per 60 anni nessuno ha osato parlare; in un Paese democratico ciò è molto grave e il fatto che ancora oggi questo fenomeno non viene riportato sulla gran parte dei testi scolastici lo rende ancora più scandaloso.
Un caso di studio : le Foibe e i manuali italiani. Esito di una ricerca.
La bambina ha il manuale in classe, può accedere al testo e potrebbe controllare; ma ciò di cui lei è referente è quanto circola in rete cioè il meta-fatto: non si parla di foibe
Esaminiamo ora un sito di condivisione studentesca del 2010 e l’opinione di una preside. Il risultato è il medesimo: prevale l’opinione della rete, la convinzione che non si parli di foibe. La preside addirittura afferma: “se la tragedia degli ebrei, la Shoah, è entrata nel senso comune, le foibe ancora no.”
E allora, che cosa si può fare per sapere che cosa sono state le foibe?
Innanzitutto, chiediamoci che cosa fa lo storico (approfondimento):
- La prima operazione che effettua lo storico è quella di collocare lungo un asse cronologico l’evento: rimettere il fatto in prospettiva per periodizzarlo.
- La seconda operazione è quella di individuare una coordinata orizzontale, mettendo il fatto in collegamento con un altro o altri simili. Le foibe fanno parte di un processo dell’immediato dopoguerra che è quello delle vendette: processo che coinvolge 12 milioni di persone, come esodati, e circa 2.000.000 come vittime. Quindi, qualcosa di ineludibile, di cui si deve parlare, ma che non ha nulla a che vedere con lo sterminio degli Ebrei e la Shoah, perché la Shoah è un altro processo, fa parte di un altro sistema di massacri, di un altro meccanismo liquidatorio. E’ importante saper confrontare.
- Dal punto di vista della ricerca storica, però, assumere la coordinata cronologica e porla in relazione alla coordinata spaziale non basta. Bisogna anche saper cercare e selezionare le fonti, il che significa, utilizzando Internet, saper navigare. Chi fornisce agli studenti le mappe per questa navigazione? Chi appronta tali mappe, gli attrezzi, gli strumenti per utilizzare le informazioni in rete? Non lasciare navigare i ragazzi “liberamente”, è un problema individuale? O si tratta piuttosto di un problema sociale e culturale? Può il docente essere lasciato solo nella fabbricazione delle mappe? Non dovrebbe avere assistenza da parte delle Amministrazioni o degli Enti preposti alla formazione, come l’Università o gli Istituti?
Negli anni Ottanta c’era un grande entusiasmo attorno agli ideali e alle pratiche della condivisione: io credo sia venuto il momento di recuperarlo, senza però le forti aspettative di allora, perché allora ci si attendeva che una “rivoluzione dal basso” avrebbe potuto sostituire i compiti dell’amministrazione. E’ però necessario riprendere gli ideali e le pratiche della condivisione: la cooperazione didattica va rilanciata perché facciamo parte di una rete, quella degli istituti e dei comandati, che può aiutare a condividere gli strumenti per la costruzione di atélier e di laboratori didattici, cioè costruire didattica sulle mappe usando la rete.
Mitologie
Il primo mito, che appare periodicamente nelle scuole, è quello dell’auto-insegnabilità (approfondimento): tutte le volte che si affaccia una novità si ritiene che sia auto-insegnabile. La “soffitta” degli insegnanti è piena di “ rottami” didattici e di delusioni. La testa degli insegnanti è come una “ soffitta” piena di oggetti, ai quali ciascuno ha dedicato tempo, si è appassionato, ha investito le proprie risorse, il proprio lavoro. Ogni nuovo strumento non fa che richiedere nuove strategie didattiche. E queste richiedono ricerca, investimenti e risorse.
Il mito dell’auto-insegnabilità di Internet è difficile da combattere, perché alimentato dall’opinione comune, sostenuta a sua volta da interessi industriali e politici e rafforzata dal mito del low cost. I vecchi libri costano troppo, pesano troppo: oggi tocca ai tablet. Ma quanto costa dotare tutte le scuole di attrezzature adeguate, distribuire a tutti gli allievi uno strumento, fornire ad insegnanti ed allievi un’adeguata preparazione?
Un laboratorio interattivo con tablet ad es. sul tema del brigantaggio, svolto da studenti e insegnanti, richiede un lavoro, in termini di ore, molto più intenso che un lavoro analogo con carta e penna. Quindi ci sono dei costi di impianto e delle strutture particolari che, se non vedono costantemente la presenza di uno storico che lavora con le Agenzie Formative, rischiano però di dare un prodotto che, rispetto alla comunicazione vecchia, è di qualità molto inferiore.
Un altro mito è quello del “fai da te”, di cui un esempio è il book in progress creato da Salvatore Giuliano, Preside dell’Istituto Ettore Majorana di Brindisi. “Finalmente possiamo costruirci da soli gli strumenti che servono per l’apprendimento, i libri ce li facciamo noi.” Dentro questo equivoco ci sono però alcune alternative problematiche. Qual è la posta in gioco? La storia da una parte come racconto coerente di un determinato periodo, oppure un patchwork di fatti e problemi, raccolti nel supermarket di Internet? Quando costruisco e immagino che il circuito del materiale didattico sia un circuito interamente gestito dal docente allora non ci stacchiamo dal circuito, dal controllo scientifico? I rapporti che immetto nel programma devono essere o no rapporti professionali di un dato sapere? Oppure tutto si riduce ad un sapere para-professionale lontano dai luoghi e dai centri di ricerca?
E infine si sta sviluppando il mito della cloud che porta con sé molti problemi, legati al tema del controllo e della responsabilità dei contenuti, oltre a questioni inerenti agli interessi commerciali delle case editrici.
Mito della cloud. La costruzione del sapere storico fuori dal circuito/controllo scientifico. Uso pubblico della storia.
Infatti sta succedendo, a livello europeo, che le case editrici stanno diversificando il loro lavoro: in parte cartaceo, in parte sui siti. Ma entrare e districarsi nella massa dei materiali sui siti della case editrici, non è per niente facile. Lo stesso accade per i manuali. C’è il manuale con la firma di un autore che si assume la responsabilità del testo e invece manuali che sono meri prodotti redazionali.
Frontiere
La prima frontiera è quella dell’oggetto: la storia da insegnare ha ampliato il suo orizzonte di senso, che oggi è mondiale L’orizzonte culturale che bisogna costruire è un orizzonte mondiale. Prerequisito, dunque, fondamentale è sapersi orientare in questo nuovo spazio. Ne deriva un’operazione di adeguamento del sapere ad un livello integrato per evitare il rischio di una narrazione che sia semplice collezione di fatti storici. La storia come disciplina costituisce uno statuto di regolamentazione dei saperi, cioè un insieme di regole e operazioni da compiere per la specificità della formazione storica: la messa in prospettiva, la contestualizzazione, i lessici e le grammatiche fondamentali del sapere storico, la costruzione di grandi codici di senso. Poi all’interno di questa cornice disciplinare ci si può concentrare su epoche differenti, ma il compito essenziale del docente di storia è fornire quell’approccio al sapere di cui sopra.
La rete si propone oggi come la nuova metafora della realtà (approfondimento). Molte metafore nel passato hanno già accompagnato l’uomo nella interpretazione della realtà. Ad Esempio: le radici, le origini, i popoli. Le metafore tendono però ad essere essenzializzate nel linguaggio comune, quindi il rischio è che le metafore diventino realtà. Nel momento in cui la rete, però, si propone come metafora, termini come democrazia in rete e scambio in rete devono essere intesi come termini metaforici. La democrazia in rete non è la democrazia reale, politica; lo scambio in rete non è lo scambio sociale; ciò che avviene in rete può essere applicato solo metaforicamente ai rapporti concreti tra le persone.
Un elemento critico in tal senso ci dice che il discorso pubblico che sta diventando dominante sta facendo ampio riferimento a questo spazio metaforico. Il Web è lo spazio che diventa un luogo in cui ri-vediamo alcune cose che riguardano la formazione civile.
All’interno del web, vero e proprio ambiente culturale e sociale, si pone infatti la frontiera della formazione civile, intesa come acquisizione di responsabilità nei confronti di ciò che viene messo in circolazione. Il web non può essere inteso al pari di uno spazio in balia al libero arbitrio di chiunque.
Questi nuovi strumenti tecnologici non mettono in gioco soltanto un livello cognitivo quanto piuttosto un livello sociale; mettono in gioco elementi tipici della costituzione della società. Ad esempio, il problema dell’identità: nel Web puoi fare quello che vuoi e nessuno saprà chi sei. Ciò alimenta un senso di potenza. Variano dunque gli elementi di civiltà. Nel web nascono nuovi modi di concepire le identità, le appartenenze (le communities), le memorie sociali (il web non dimentica; il web ricorda tutto) che bisogna imparare a indagare e conoscere. Questa situazione determina la necessità di una riflessione sull’educazione alla cittadinanza all’interno dei luoghi sociali costruiti dal web ed è in questa prospettiva che il ruolo degli Istituti Storici della Resistenza diventa centrale.
Infatti c’è qualcosa che ci coinvolge direttamente e ci riguarda come Istituti. Mettiamo in prospettiva, come fanno gli storici. L’Italia è un luogo particolare: ogni volta che un nuovo medium raggiunge l’apice del successo comunicativo, ne scopre e ne sperimenta, spesso prima degli altri le irresistibili potenzialità politiche. Pensate con la radio e il cinema degli anni ’20, cosa abbiamo combinato; pensate alla potenza della Tv degli anni ’80 e ’90 e alla sua importanza in ambito politico. Ed oggi, che cosa stiamo combinando con l’uso del Web. Ogni nuovo strumento comunicativo ha dispiegato, in Italia, la sua straordinaria potenza politica; ma, fra una dimostrazione e l’altra di potenza, sono nati gli Istituti Storici della Resistenza con uno scopo preciso.
La posta in gioco. Web e memorie sociali. Effetto e potenza politica dei nuovi strumenti comunicativi. Il ruolo degli Istituti.