La storia e il tribunale. Srebrenica, la violenza nei Balcani
Presentazione
La sentenza del 16 luglio 2014 emessa da un tribunale civile dell’Aia (non dal Tribunale internazionale dell’Aia come da molti indicato) stabilisce che lo Stato olandese ha la responsabilità civile della morte, nel luglio del 1995, di oltre 300 uomini e ragazzi musulmani a Srebrenica, durante la guerra di Bosnia. Il tribunale dell’Aja ha così accolto il ricorso presentato dalle “Srebrenice Zene” (Donne di Srebrenica, un’associazione di familiari delle vittime del massacro) sottolineando che i caschi blu olandesi del contingente Dutchbat avrebbero dovuto proteggerli. Questa sentenza è stata definita storica, tardiva e insufficiente.
Il tribunale è un luogo dove il passato e i suoi traumi vengono attentamente rievocati. E’ uno spazio al centro del quale è collocata la violenza, soprattutto quando si sospetta sia criminosa. “Non c’è massacro che non possa essere negato, come insegna la vicenda della Shoah confermata recentemente da quella di Srebrenica (Petrungaro, p.153).
Testo per il docente
L’aspetto metodologico alla base di questo percorso è quello di unire più piani, senza che uno escluda l’altro. Soprattutto se l’oggetto di studio riguarda i conflitti, bisognerà tener conto innanzi tutto del contesto internazionale, in secondo luogo di quello politico statale, fino a giungere all’analisi di una micro area.
In questo caso lo scenario generale è rappresentato dalla fine della Guerra fredda e del bipolarismo: la caduta del Muro di Berlino e il triennio 1989-1991. All’interno di quest’ambito lo sguardo andrà alle guerre nell’ex Jugoslavia tra il 1991 e il 1999. Sono guerre che, a loro volta, implicano un quadro di più lungo periodo, per restare al solo Novecento l’attenzione si volgerà alle guerre balcaniche del 1912-1913, alla Prima guerra mondiale, alla fine dei due imperi asburgico e ottomano, a lungo dominatori nella penisola balcanica. Infatti, un’importante peculiarità dell’area balcanica è il suo retaggio imperiale: asburgico e ottomano, il lascito imperiale sia postasburgico che postottomano riguarda gruppi diffusi, su territori relativamente ampi.
Se è vero che una caratteristica dei Balcani moderni è una diffusa e profonda eterogeneità etno-confessionale, è vero anche che, man mano che sorsero gli Stati nazionali nel corso dell’Ottocento e del primo Novecento, e poi ancora dopo, quando gli Stati si combatterono l’un l’altro, l’obiettivo fu sempre quello di semplificare la mappa etno-demografica della penisola. Ciò significa due cose: uccisioni ed espulsioni. Si configura quindi una peculiare forma di “guerra ai civili”, espressione con la quale si è messa a fuoco anzitutto la politica delle forze di occupazione nazifasciste in vari teatri di guerra europei. In quel caso, gli eccidi, lontani dall’essere la semplice espressione di furore fuori controllo, rispondevano a precise logiche che del terrore contro i civili facevano un uso programmatico e sistematico.
Quale è la caratteristica delle guerre balcaniche del 1912-13 e, più in generale, dei conflitti armati di eserciti legati a Stati di quella penisola? “Tutti gli eserciti marciano per spostare confini, in ciò non c’è nulla di particolare. Quelli balcanici, però, hanno marciato molto spesso per spostare le popolazioni” (Petrungaro, p. 84).
Non va dimenticato poi che i vari filoni della cultura di guerra nazifascista si manifestarono presto nei Balcani. Nella Serbia occupata dai nazisti durante la seconda guerra mondiale, per gli ebrei maschi la soluzione finale fu anticipata al 1941.
Il caso ustascia è eclatante: l’antiserbismo dello Stato ustascia teorizzava l’eliminazione dello della componente serba della popolazione. “Da più parti si diceva che un terzo dovesse ribattezzato con rito cattolico, un terzo andasse espulso e il rimanente terzo ucciso” (Petrungaro, p. 95).
Qualcosa è cambiato con le guerre jugoslave degli anni Novanta del secolo scorso. Esse segnano uno spartiacque nella percezione pubblica del massacro e dello stupro di guerra e soprattutto nella storia del diritto internazionale che, incalzato dalla pressione politica internazionale e dalle decisive campagne di più movimenti femministi, ha subito uno sviluppo significativo, l’istituzione dei due tribunali penali internazionali per i crimini commessi in ex Jugoslavia e in Ruanda ha rappresentato l’occasione per elaborare nuovi quadri normativi che mettessero a fuoco i reati di carattere sessuale e permettessero di perseguirli più efficacemente.
All’origine delle guerre jugoslave svoltesi fra il 1991 e il 1999 ci fu la volontà di dominio dell’etnia maggioritaria, quella serba, mal disposta a tollerare che il processo di emancipazione delle diverse realtà nazionali, avviato già negli anni Settanta da Tito, portasse dopo il crollo del Muro di Berlino, a una soluzione di tipo confederale, i Serbi non accettavano di perdere nei Balcani una supremazia conquistata con la forza delle armi fin dai tempi della Prima guerra mondiale.
La violenza degli stupri e del genocidio ha avuto luogo nei Balcani, a Srebrenica nel luglio del 1995. Ma basta questo per definirla “balcanica”? Vale a dire quella violenza ha qualcosa che la distingua nettamente dalle violenze che si sono manifestate nel resto del mondo?
Tra gli obiettivi, due paiono particolarmente significativi: decostruire pregiudizi e stereotipi prima di affrontare queste pagine violente della storia balcanica; individuare le categorie più adeguate per inquadrare i fenomeni e gli avvenimenti per comprendere la storia di quei Paesi.
Bibliografia
William Bonapace, Maria Perino (a cura di), Srebrenica fine secolo: nazionalismi, intervento internazionale, società civile, Asti, Israt, 2005.
Stefano Petrungaro, I Balcani: una storia di violenza?, Roma, Carocci, 2012.
Jože Pirjevec, Le guerre jugoslave 1991-1999, Torino, Einaudi, 2001
Materiali raccolti nel dossier:
- articolo da testata giornalistica on line
- testo storiografico
- carta politica
- testo storiografico
Testo per gli allievi
I Balcani si trovano nell’Europa sudorientale, a Sud del Danubio e comprendono i Paesi tra le attuali Ungheria e Romania a Nord, fino alla Grecia e alla Turchia, prendono il nome da una catena montuosa: i monti Balcani. In realtà è una penisola che non ha chiari confini, eccetto quelli immersi nelle acque del Mediterraneo, come ogni mappa mentale sono una rappresentazione collettiva dello spazio soggetta a mutamenti e a influssi politici e culturali.
Nel luglio del 1995 a Srebrenica, una città nell’Est della Bosnia Erzegovina, i soldati serbobosniaci guidati dal generale Ratko Mladić hanno massacrato circa ottomila uomini e ragazzi bosniaci di religione musulmana. La città, che era stata dichiarata zona di sicurezza delle Nazioni Unite, fu conquistata l’11 luglio, nonostante la presenza di un contingente di caschi blu olandesi.
Quello di Srebrenica è il più grave massacro avvenuto in Europa dalla Seconda guerra mondiale, ed è considerato dalla giustizia internazionale un genocidio. La tragedia avvenne nel corso della guerra in Bosnia Erzegovina, cominciata alla fine di marzo del 1992.
La sentenza del 16 luglio 2014 ha stabilito che lo stato olandese ha la responsabilità civile dalla morte di oltre 300 uomini e ragazzi musulmani a Srebrenica, durante la guerra di Bosnia. Lo ha deciso un tribunale civile dell’Aja (non il Tribunale internazionale dell’Aia) accogliendo il ricorso presentato dalle “Donne di Srebrenica” (Zene Srebrenice), un’associazione di familiari delle vittime del massacro, sottolineando che i caschi blu olandesi del contingente Dutchbat avrebbero dovuto proteggerli. “Lo stato è responsabile della perdita subita dai familiari degli uomini prelevati dai Serbi di Bosnia dagli edifici del contingente Dutchbat a Potocӓri, nel pomeriggio del 13 luglio 1995”, ha dichiarato il giudice Larissa Elwin,
La violenza in questione ha avuto luogo nei Balcani. Ma basta questo per definirla “balcanica”? Vale a dire quella violenza ha qualcosa che la distingua nettamente dalle violenze che si sono manifestate nel resto del mondo?
La sentenza del 16 luglio 2014 è stata definita da Gigi Riva[1], nel programma di Radio Tre Tutta la città ne parla andato in onda la mattina del 17 luglio 2014: “storica, tardiva e insufficiente”.
Documenti
Documento 1
Documento 2*
L’offensiva di luglio
11- 13 Luglio 1995: dopo tre anni di assedio, la cittadina di Srebrenica nella Bosnia orientale, a pochi chilometri dal confine con la Serbia si arrende alle sovrastanti forze serbo bosniache guidate dal generale Ratko Mladic. (…) nell’aprile del 1993 la città era stata dichiarata “zona protetta con una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, facendo così affluire migliaia di sfollati musulmani che li cercavano rifugio dalle pulizie etniche (…). Le forze del generale Mladic sfondarono la debolissima linea di difesa, mentre le truppe Onu non opposero alcuna resistenza né si impegnarono in una reale azione di interposizione. Occorre dire che per tre giorni richiesero l’intervento dell’aviazione della Nato, che già in altre occasioni nel corso della guerra in Bosnia aveva agito, ma invano. Da parte della popolazione musulmana le possibilità di rispondere all’attacco erano minime perché i militari delle nazioni unite avevano provveduto a ritirare le armi in possesso degli uomini rifugiatisi nella enclave negli anni precedenti.
Di fronte a questa situazione migliaia di persone, maschi di età compresa tra i 14 e 60 anni, decisero di fuggire attraverso le montagne prima che il nemico entrasse nell’abitato. Di notte, gruppi composto da diverse centinaia o anche solo da pochi individui abbandonarono Srebrenica e cercarono di raggiungere senza carte e in un territorio ostile, l’area sotto il controllo dell’esercito bosniaco. Questa fuga tra le montagne, che coinvolse oltre diecimila persone, si trasformò in una vera e propria ecatombe. Le piccole colonne furono subito attaccate dai serbi che le decimarono (…)I racconti dei testimoni e dei sopravvissuti si campi minati, agli stenti e ai bombardamenti sono impressionanti. Le esecuzioni vennero attuate con modalità sconvolgenti e i cadaveri furono fatti scomparire in enormi fosse comuni.
Le donne i bambini e gli uomini rimasti in città, circa trentamila persone, si diressero in cerca di rifugio verso la base Unprofor di Potocäri, a pochi chilometri dalla città. Qui le truppe serbo bosniache operarono una selezione, separando le donne e i bambini dagli uomini e dai ragazzi ritenuti abili al combattimento e inseriti nella lista di coloro da eliminare. Le sopravvissute che furono poi caricate su camion e mandate verso la città di Tuzla sotto il controllo del governo di Sarajevo, descrissero una situazione disperata fatta di violenze, mancanza di cibo e di acqua, suicidi.
Il risultato finale fu un massacro le cui proporzioni oscillano tra le settemila e le diecimila vittime. Il peggior crimine di guerra compiuto in Europa dopo il secondo conflitto mondiale.
Il Tribunale internazionale dell’Aja, istituito per giudicare i crimini compiuti in ex Jugoslavia, ha considerato la vicenda di Srebrenica un atto di genocidio (perché secondo i giudici anche il crimine commesso contro la sola popolazione maschile rientra in questa categoria) e con tale accusa ha incriminato i diretti responsabili. Le vittime non furono uccise in combattimento, bensì a sangue freddo per il solo fatto di appartenere alla comunità musulmana (…)
Per lungo tempo la Repubblica Srpska ha negato che un tale massacro fosse realmente accaduto, ma nel 2004 ha ufficialmente riconosciuto le responsabilità dell’esercito serbo bosniaco indicando anche le ubicazioni di molte fosse comuni nelle quali i corpi o pezzi di corpi furono trasportati dalle “fosse primarie” con ruspe e scavatrici anche dopo molti mesi dall’eccidio.
*William Bonapace, Maria Perino (a cura di), Srebrenica, fine secolo. Nazionalismi, intervento internazionale, società civile, Israt, 2005, pp. 18-20.
Documento 3
Documento 4*
I Balcani hanno forse l’esclusiva sull’orrore? Lo hanno forse praticato maggiormente di altri? Bisogna aver scordato molta, molta storia, per poterlo affermare. Già solo limitandosi alle vicende europee moderne e contemporanee, come è possibile spstenere una simile tesi? Le pulizie etniche legate alla costruzione degli Stati nazionali, non sono forse avvenute anche sul suolo dell’attuale Europa occidentale? I massacri in nome della religione? Le torture, le amputazioni, di corpi vivi e di cadaveri? E la profanazione del corpo del nemico ucciso, non è forse una pratica conosciuta, fino all’età contemporanea, anche dagli europei occidentali, i quali la praticarono sia nelle madrepatrie che nelle colonie? Vista la lingua in cui scrivo, è forse necessario ricordare quanto fecero gli italiani nelle colonie, ad esempio decapitando Hailù Chebbedè, leader della ribellione in Etiopia nel settembre del 1937, la cui testa mozzata fu portata in giro in una scatola di latta di biscotti per esplicita volontà del viceré di Etiopia Rodolfo Graziani e delle autorità militari, per essere poi esposta inchiodata a un palo? E non si trattò di un eccesso isolato. (…) I Balcani non fanno eccezione. Le guerre lì combattute non sono più arcaiche di molte altre. E non sono nemmeno particolarmente nuove. Perché è stato sostenuto, in riferimento ai conflitti jugoslavi degli anni novanta, che si trattava di “nuove guerre”. Secondo questa lettura, se prima i conflitti erano soprattutto internazionali, mossi da motivazioni politiche o ideologiche, combattuti da eserciti istituzionali e con una chiara distinzione tra combattenti e civili, quelli “nuovi” sarebbero per lo più rivolti all’interno, scatenati da motivazioni etniche e religiose, con una marcata commercializzazione della violenza, la forte presenza del crimine organizzato e di paramilitari, dove la distinzione rispetto ai civili tende a sparire, lasciando il posto a inusitate uccisioni di massa. (…) Nemmeno le uccisioni di massa, le pulizie etniche, le violenze sessuali sono una novità di fine secolo. Da questo punto di vista i recenti conflitti combattuti in alcuni paesi balcanici, più che segnare uno scarto postmoderno rispetto alla storia europea che li ha preceduti, sembrano piuttosto riprenderla e riattualizzarla.
* Stefano Petrungaro, Balcani. Una storia di violenza? Roma, Carocci, 2012, pp. 164-167.
Attività didattica
1 Contestualizzazione dello studio di caso
- Con l’aiuto di un atlante storico individua le realtà statuali e le relative forme politiche presenti nella penisola balcanica nel corso del Novecento.
- Avvalendoti del manuale individua i conflitti avvenuti nell’ex Repubblica Jugoslava negli anni 1991-1999.
- Nel testo di parla di “genocidio”. Cerca sul manuale altri genocidi del secolo passato e di questo; prova a definire questo termine.
2 Rapporto tra testo e documenti
- Nel testo viene posta una domanda sulla violenza nei Balcani. Cercala e prova a rispondere, con argomenti e notizie tratte dalla documentazione.
- Sottolinea nel testo i nomi dei luoghi. Scrivi accanto a ciascuno di essi il numero del/i documento/i cui far riferimento.
3 Lavoro sui documenti
- Nel documento 1 viene citata la base Unprofor, che cosa indica questa sigla (acronimo)
- In quale documento compare il termine Dutchbat? Riporta la definizione.
- Che cos’è la Repubblica Srpska? Ti aiuta il documento 3 .
- Sottolinea le località della Bosnia citate nel documento 2, le troverai indicate nella carta (documento 3) tranne una, quale? Perché questa località dovrebbe essere conosciuta da tutti i cittadini europei?
4 Integrazione del testo
Il testo termina con il giudizio di Gigi Riva sulla sentenza del 16 luglio 2014, che il giornalista esplicita con tre aggettivi: storica, tardiva, insufficiente. Prova a motivarli brevemente, ricavando le informazioni appropriate dalla documentazione.
Note:
[1] Gigi Riva si è occupato in particolare di Est Europa e ha seguito tutte le guerre della ex Jugoslavia. Ha pubblicato numerosi libri sui Balcani, tra quali ricordiamo: Jugoslavia il nuovo Medioevo nel 1992, L’Onu e` morta a Sarajevo nel 1995 , con altri autori, La guerra dei dieci anni nel 2001 Attualmente è caporedattore esteri del settimanale “L’Espresso”.