Editoriale n.1, dicembre 2013
L’oblio, che la scuola riserva spesso ai fatti della propria storia, ha fatto passare di mente ai più che il Novecento è entrato effettivamente nelle pratiche diffuse nella scuola italiana da pochissimo tempo, dal 1996, cioè da quasi venti anni e ad appena quattro anni dalla chiusura del secolo. Ancora sul finire del secolo scorso, infatti, la storia insegnata terminava per la maggior parte degli italiani con il fascismo e la seconda guerra mondiale. Di qui derivano due conseguenze. La prima riguarda la rielaborazione collettiva del passato recente, fatta quasi esclusivamente dalla politica e dai media, vecchi e nuovi, con un apporto solo residuale della riflessione strutturata scolastica e professionale. La seconda riguarda più specificatamente il dispositivo scolastico (formazione dei professori, produzione di materiali per l’insegnamento, elaborazione di programmazioni efficaci), per la cui messa a punto i venti anni appena trascorsi si sono rivelati largamente insufficienti.
Dal canto loro, questi venti anni hanno visto una violenta accelerazione delle trasformazioni che riguardano l’insegnamento storico. I programmi si sono succeduti con una frequenza inusuale, per le lentezze alla quali l’amministrazione scolastica del Novecento ci aveva abituato, generando un quadro contraddittorio, perché, da una parte si sono susseguiti ben cinque tentativi di riforma e altri forse ancora più rilevanti sono in vista (a testimonianza comunque dell’interesse politico verso la formazione storica nazionale); dall’altra, per contro, il monte ore dedicato alla nostra disciplina è stato decurtato in modo impressionante, le Scuole di Formazione professionale sono state chiuse e, solo provvisoriamente, sostituite da TFA e PAS. Nello stesso tempo, è esplosa anche in Italia la questione memoriale, sia con l’introduzione delle varie giornate commemorative, sia con i reiterati tentativi di introdurre nella nostra legislazione le controverse norme sul negazionismo. E, quasi a confermare il sospetto di una cessazione, o di un indebolimento, della delega alla formazione del cittadino, un tempo consegnata principalmente alla storia, entrano impetuosamente nel panorama scolastico le “educazioni”: all’ambiente e a sviluppi sostenibili, alla cittadinanza, alla legalità, all’intercultura e così via.
Il quadro generale, all’interno del quale occorre inserire queste (e altre) mutazioni dell’insegnamento storico, è anch’esso in rapida evoluzione. Cambia il rapporto fra cittadino e potere. Il concetto stesso di cittadinanza è fortemente rimesso in discussione. Cambia la visione del mondo, sia degli individui sia delle collettività. Cambia l’idea stessa di contemporaneità e di passato. Sempre di più si diffonde la sensazione di vivere in un secolo/millennio nuovi. Cambia l’idea stessa di futuro e, quindi, la prospettiva della formazione dei nuovi cittadini. Il Novecento, da tempo specifico della contemporaneità e simbolo per antonomasia della modernità, diviene un mondo che si allontana velocemente alle nostre spalle.
Le interrelazioni fra questi mutamenti e l’insegnamento storico sono così profonde che spiazzano insegnanti, formatori di formatori, studiosi di storia e di didattica della storia. Richiedono una rielaborazione di quel dispositivo didattico messo a punto dalla rete dell’Insmli, nel corso di una pluridecennale attività, che – a partire dalla consapevolezza della nuova Italia, nata dalla Resistenza – ha visto la partecipazione preparata e convinta di insegnanti, studiosi, testimoni e comandati. Di questo dispositivo sembra impellente rimettere a giorno le basi valoriali e di senso, riformulare gli obiettivi, adeguare i contenuti e le interpretazioni, aggiornare procedure didattiche e di formazione dei docenti.
E’ una rielaborazione che non può fare a meno della constatazione che si è rivoluzionato l’ambiente comunicativo, all’interno del quale si svolgevano tradizionalmente i processi formativi: questo, infatti, vuol dire (al di là delle pur giuste considerazioni sulle questioni tecnologiche e di quelle forse più problematiche sui mutamenti cognitivi indotti dalle tecnologie) l’avvento prepotente della telematica nelle strutture scolastiche. La rivoluzione tocca l’accesso e la produzione del sapere sul passato, solo pochi anni fa mediati dalle istituzioni e dalle agenzie professionali. Tocca, quindi, i materiali di studio (autori, fruitori, scelta), le loro caratteristiche formali e sostanziali e, con essi, l’oggetto stesso dell’insegnamento. Investe l’approccio didattico a questi materiali, il ruolo del docente, fino a lasciare immaginare la modifica dell’aula, il luogo dove è nato e si è sviluppato, nel corso degli ultimi due secoli, l’insegnamento stesso della storia. Come tutti abbiamo modo di constatare, questi processi si svolgono in modo pressoché incontrollato. Pongono quindi un problema di governo, politico e culturale, che non può lasciare indifferenti.
Per questo motivo, Novecento.org è una rivista online. Vuole essere nella nuova platea, e qui proporsi come luogo di raccolta di studiosi e professori sensibili. Di idee, materiali, proposte, ma soprattutto raccolta di donne e di uomini, consapevoli della necessità di rinverdire il senso e l’utilità dell’insegnamento della storia, e in particolare della storia contemporanea.