Le crisi e la didattica. Editoriale n. 2, giugno 2014
Le crisi e la didattica
I docenti parlano molto di crisi durante lo svolgimento dei programmi. Quelli più attenti, ne parlano fin dagli albori, dall’avvio del processo di ominazione, segnato da crisi (climatiche o variamente ambientali) che impressero alla specie umana svolte determinanti. Conoscono ancora la crisi del XIII secolo a.C, quella che abbatté i magnifici assetti culturali e politici dell’età del bronzo, e dette avvio al millennio della Persia, della Grecia e di Roma. La crisi dell’impero romano e quella del XIV secolo, con la peste nera, segnano il principio e la fine di un qualsiasi programma di storia medievale. L’età moderna conosce la crisi del XVII secolo, mentre perdura nefasta, sulla scuola italiana, la condanna di Croce sul secolo del barocco, che secondo lui segnò la disfatta economica, politica e culturale della penisola. E, infine, entrati nell’età contemporanea è tutto un susseguire di crisi, da quelle che accompagnarono le rivolte del ’48, fino alle quattro crisi canoniche del Novecento e dei nostri giorni: 1880, 1929, 1973, 2008.
Quindi, non si tratta di un tema nuovo, quello al quale è dedicato il dossier di questo numero. Ma è nuovo sotto due aspetti. Il primo risiede nella revisione concettuale e fattuale, che diventa obbligatoria soprattutto quando gli argomenti di studio diventano abituali e scontati. Proprio queste situazioni, infatti, sono all’origine della diffusione di quegli “stereotipi colti”, che allignano nelle pieghe più insospettate della storia insegnata. Nel dossier ne troverete un’ampia scelta. Tutti i manuali parlano della crisi del 1880. Ma possiamo considerarla tale? O non è il caso di distinguere fra situazioni locali, che entrarono in crisi (come nel caso della produzione agricola italiana) e un’economia mondiale, che invece conobbe un’accelerazione impetuosa? Tutti i manuali lodano la politica keynesiana, come strumento “intelligente” per uscire dalla crisi. Proprio sicuri? O fu, invece, una sorta di pannicello caldo, laddove l’uscita dalla crisi (terribile, ma occorre avere il coraggio di dirlo) fu promossa dal pieno impiego, causato dalla guerra mondiale? E poi: proprio vero che la crisi del ’73 fu determinata dalla sovrapproduzione? Oppure non fu una crisi sistemica (di valori, costumi, organizzazione sociale, produzione culturale e ridefinizione dei sistemi produttivi)? E per finire con la crisi che ancora viviamo: è terminata o continua? Come definire il periodo che stiamo vivendo? In conclusione: la crisi è uguale per tutti, oppure bisogna distinguere fra Stati, e all’interno di questi fra gruppi sociali?
Il dossier permette all’insegnante di chiarire questi dubbi, verificare la correttezza dell’informazione manualistica (spesso legata a visioni che solo venti anni fa erano accolte, ma che la storiografia recente ha rovesciato). Ma permette anche una seconda operazione, credo più interessante e positiva. La “crisi”, infatti, come tutti gli argomenti che appartengono a filoni storiografici specializzati (in questo caso quello economico) è un argomento inserito nella storia curricolare, come una sorta di corpo estraneo. C’è la politica e la società che seguono un loro sviluppo, poi a un certo punto bisogna fare i conti con le “crisi”, che arrivano quando meno te le aspetti o seguendo certi cicli quasi biologici ineluttabili.
Il lavoro che abbiamo realizzato, grazie all’aiuto di Marcello Flores, Scipione Guarracino, Carlo Fumian e Giovanni Gozzini, permette di offrire agli insegnanti uno sguardo globale sul Novecento, capace di segnare alcuni focus essenziali. Momenti periodizzanti, attorno ai quali accorpare fatti, problemi personaggi. Insomma, una sorta di schema per una programmazione, in quattro fasi: la prima, dal 1880 al 1929, durante la quale si forma il grande reticolo della mondializzazione, che gli Stati cercano in tutti i modi di capire e di governare; la seconda, dal 1929 al 1943, caratterizzato dalla crisi più spaventosa del secolo e dai tentativi di risposta dei diversi Stati; la terza, ormai passata alla manualistica con un nome celebre, il “trentennio d’oro”, è il periodo di massima crescita delle società umane, caratterizzato peraltro da strumenti efficaci di controllo dell’economia internazionale, nel frattempo cresciuta in modo esponenziale; questi strumenti cominciano a venir meno negli anni ’70, quando si avvia una progressiva deregulation, e conseguentemente un’età di sviluppo da una parte, e di “bolle” finanziare che scoppiano a ripetizione, dall’altra; fino alla crisi più recente, quella del 2008, ben comparabile a quella del 1929. E siamo alla quarta fase, chiusa appunto nel 2008, che apre il periodo nel quale viviamo.
Le crisi, dunque, non sono soltanto dei momenti puntuali, dei capitoli di storia, che inseriamo qua e là nella narrazione complessiva. Le crisi possono innervare e periodizzare questa narrazione. Costituiscono un punto di vista privilegiato, perché permettono di scandirla in momenti semplici, efficaci, facilmente comprensibili e, fatto fondamentale per i processi formativi, aprono al mondo attuale e ai problemi che viviamo. Ci permettono, dunque, di parlare del passato, di studiarlo e – senza forzature presentistiche – di giungere all’elaborazione di punti di vista nuovi, per osservare le questioni dell’oggi.
Chiudono il dossier due strumenti, appositamente pensati per i docenti. Il primo è un glossario al quale hanno atteso con pazienza e acume didattico Marida Brignani, Tito Menzani, Lorena Mussini e Giulia Ricci. Consentirà a docenti e allievi di trovare efficaci e rapide spiegazioni di un lessico, quello della storia economica, spesso alieno dalla formazione corrente dei professori. Il secondo sarà, certamente, lo strumento per l’informazione online e la ricerca in classe, realizzate su siti affidabili e ricchi, con molti materiali multimediali.
I dossier di Novecento.org nascono direttamente sul campo, dalle occasioni formative organizzate dall’Insmli, e dal lavoro dei docenti (comandati presso la rete, ma anche in servizio nelle scuole), che, a ridosso delle lezioni degli storici, preparano i materiali didattici e, spesso, li sperimentano in classe. Ai primi due (Storia digitale e Crisi) si aggiungerà nel corso dell’anno quello Mediterraneo Contemporaneo (la Summer School di Venezia, della quale potete vedere su questo numero la presentazione). Col tempo, costituiranno una biblioteca ricchissima e duttile.
Di questa biblioteca fanno parte i materiali che potrete consultare nella rubrica “Ipermuseo”. In questo numero troverete le mostre sulle Radici del Futuro e su Giovani e Costituzione. Visitare una mostra online è un modo per trovare spunti, foto, documenti. Anche un modo per allenare gli allievi ad una visita “intelligente”, fornendo loro suggestioni di ricerca, compiti di esplorazione. O, creativamente, proposte di “riallestimento”; oppure insegnando loro a scrivere una recensione.
Su questi aspetti più tecnici, interviene la rubrica “Didattica in Classe”. In questa presentiamo i lavori della rete, svolti con le classi o dentro le classi, ma anche elaborati e report che gli insegnanti vorranno inviarci. E’ la nostra “banca delle buone pratiche”. In questo numero, si parlerà di guerra, ma da due punti di vista, marginali spesso nel senso comune, quanto rilevanti oggi nella ricerca storica: le donne e i bambini.
Infine, per riflettere sulle questioni didattiche, questo numero propone due rubriche: “Pensare la didattica”, centrata sulle questioni del digitale in classe; e “Uso pubblico della storia”, con due interventi che colgono nel segno alcuni temi, che nei prossimi tempi saranno centrali. La prima guerra mondiale, che sarà – insieme con lo sbarco in Normandia e il settantesimo della Resistenza – una delle ricorrenze pervasive del prossimo anno scolastico; e la storia “molto contemporanea”: quella che molti vorrebbero, ma temono di insegnare. In questo numero parliamo di anni ’70: sarà nostro impegno, col tempo, colmare con numerosi materiali questa lacuna gravissima nella formazione dei docenti, e nella pratica scolastica.