Il Novecento è il secolo scorso
Appello ai colleghi di storia: insegniamo gli ultimi 100 anni!
Editoriale del n. 5 della rivista
Gli studenti che entrano quest’anno nelle nostre scuole secondarie superiori sono nati nel XXI secolo. Per loro, anche anagraficamente, il Novecento è “Il secolo scorso”. Quando ero studente, alla fine dell’ultimo anno del liceo, a metà degli anni ’70, in storia arrivai a studiare la Seconda guerra mondiale. Era finita da appena trent’anni. Eppure, ricordo che contestavamo la scuola perché era, dicevamo, “troppo lontana dall’attualità”.
Passarono vent’anni, più uno. Nel novembre 1996, uscì il decreto che prescriveva di dedicare l’ultimo anno al Novecento. Lo ricordo benissimo, anche perché ebbi la fortuna di trovarmi in mezzo al pubblico che al museo storico di Montefiorino applaudiva il ministro Luigi Berlinguer, autore di quel decreto, che ne parlava con la sua passione trascinante. Bell’anno quel 1996: il nuovo governo Prodi aveva messo la scuola al centro del suo programma, e la storia era al suo centro. Mai visto prima un decreto fatto apposta per aggiornare i programmi di una sola materia! Quelli di storia, poi, che da materia-cenerentola (quasi sempre ancella dell’altra cui viene affiancata) per una volta entrava nel fuoco dei dibattiti sui media e tra gli opinion-maker, su quale storia e su quale Novecento insegnare.
Da quel 1996 ad oggi sono passati altri vent’anni, meno uno. In occasione degli esami di maturità del giugno scorso, mi è capitato di vedere (e di sentire di) programmi finali di storia che arrivano alla seconda guerra mondiale. Esattamente come capitò a me, studente di quarant’anni fa. Vent’anni dopo il decreto-Berlinguer.
A conferma di questo, una collega, commissaria esterna di Lettere e abituata ad esserlo da anni, si stupiva di vedere che gli studenti della mia scuola arrivano a studiare la storia recente (fin quasi al presente, la storia mondiale; un po’ prima, quella italiana), cosa che non le era mai capitato di incontrare. Se lo riporto, è perché le stesse notizie mi giungono da tanti, troppi colleghi.
Eppure, “Il quinto anno interamente dedicato al Novecento”, come recitava il decreto del 1996, secondo il buon senso, oggi dovrebbe diventare: “Il quinto anno interamente dedicato agli ultimi cent’anni”.
Infatti, nella storia degli ultimi cent’anni ci sono state tre epoche distinte:
- Il trentennio compreso tra le due guerre mondiali, che fu anche l’epoca del colonialismo, della Grande Depressione e dei totalitarismi.
- Il trentennio post-bellico, fino ai primi anni ’70: quello della prima guerra fredda, della decolonizzazione e della “bomba demografica”, della “età dell’oro” per l’Occidente e del sistema di Bretton Woods.
- L’epoca attuale, cioè il mondo globalizzato, i cui tratti divennero ben visibili negli anni ’80 e alla cui formazione contribuirono fatti e processi diversi, distribuiti tra i primi anni ’70 e i primi ’90: la fine di Bretton Woods e le crisi petrolifere, le rivoluzioni tecnologiche della Silicon Valley, la deregulation, la finanziarizzazione e la delocalizzazione dell’economia, le “Quattro modernizzazioni” di Deng Xiaoping in Cina (e poi quelle indiane) e l’implosione del mondo sovietico, l’Unione europea …
Se, per dirla con un classico della storiografia, G. Barraclough (Guida alla storia contemporanea 1964), la contemporaneità è il periodo in cui cominciano ad essere visibili i temi e problemi del presente, è difficile negare che essa abbia preso forma negli anni ’80 (sia pure a partire da alcune svolte verificatesi già nei ’70) e che funzioni secondo meccanismi, regole, equilibri, rapporti costruiti allora. Da un punto di vista didattico e formativo, ciò significa che, per fare capire il mondo in cui viviamo e in cui vivono i nostri studenti, non è indispensabile arrivare ai nostri giorni, ma è certamente necessario dominare quei meccanismi e processi che hanno preso l’avvio negli ultimi due decenni del secolo scorso.
I 25-30 anni iniziati dopo il 1945 sono “il mondo di ieri”. Questo funzionava in modi del tutto diversi da quelli del mondo attuale. Quindi, se la storia insegnata non va oltre al 1945 (o agli anni di poco successivi) significa che abbiamo deciso che si deve fermare a “due mondi fa”. Con questa decisione, è evidente, lasciamo gli studenti totalmente sprovvisti delle chiavi per leggere il presente: che è una delle finalità – non l’unica, certo, ma ineludibile – dell’apprendimento della storia.
Non riesco a rassegnarmi all’idea che venga considerato normale e accettabile ciò che non lo è: nel 2015, arrivare solo alla storia del 1945, cioè di 70 anni fa, lasciando un baratro tra quel confine temporale e i nostri giorni. Come è possibile permetterselo, da insegnanti? Come è possibile tollerarlo, da parte di studenti, genitori, opinione pubblica?
So bene che, di fronte a domande di questo genere, è facile rispondere che il nostro Paese sopporta e considera normale ben altro, ma rifiuto come troppo comoda la logica del “benaltrismo”: una logica che, serve soprattutto a spostare i ragionamenti da un problema che mi riguarda, mi compete e che posso affrontare in prima persona, a problemi che sono al di fuori del mio campo d’intervento e di responsabilità.
Tra i tanti “ingranaggi” di un Paese bloccato dal suo immobilismo, come è l’Italia da almeno 15 anni (dal 2000 in poi, ultimo tra tutti i Paesi del mondo per crescita del Pil, per tacere il resto), c’è anche quello di una scuola autoreferenziale, conservatrice, impermeabile a ogni logica di valutazione e di autovalutazione. E tra le tante “rotelline” di questo “ingranaggio” c’è anche quella dell’insegnamento della storia. Un insegnamento che va ripensato nel suo insieme, in modo da permettere che, alla fine, si possano studiare distesamente gli ultimi cento anni.
Come insegnante di storia di scuola secondaria superiore, ho la responsabilità di intervenire su questa “rotella” inceppata. Una responsabilità professionale e civile. Mi rivolgo a voi, colleghi che condividete il mio stesso ruolo e le mie stesse responsabilità: abbiamo tanti altri problemi (certo, molto più importanti) che non dipendono da noi, o solo da noi. Questo, almeno questo, dipende solo da noi. Ne abbiamo la responsabilità esclusiva, come tutta nostra è la possibilità di risolverlo. Possiamo provarci. Da quest’anno.