Dentro/oltre la pandemia: scuola e società al tempo dell’onlife
In dialogo con Piercesare Rivoltella e Luciano Floridi.
Abstract
La terza intervista della Pre-Summer School 2020 è stata con il prof. Pier Cesare Rivoltella, docente di Didattica e Tecnologie dell’istruzione e dell’apprendimento presso l’Università Cattolica di Milano, direttore del CREMIT (Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media all’Innovazione e alla Tecnologia) e presidente della SIREM, Società Italiana di Ricerca sull’Educazione Mediale. Con lui abbiamo affrontato il delicato tema della DaD, la modalità didattica cui la scuola si è affidata nei lunghi mesi di lockdown e che ha mostrato potenzialità, ma anche criticità.
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The third interview of the Pre-Summer School 2020 was with Professor Pier Cesare Rivoltella, a professor of Didactics and Educational Technologies at the Catholic University of Milan, director of CREMIT (Research Center for Media Education, Innovation, and Technology), and president of SIREM (Italian Society for Media Education Research). With him, we addressed the delicate topic of distance learning (DaD), the teaching mode that schools relied on during the long months of lockdown. This mode has shown both potential and critical issues.
Il passato (recente): un primo bilancio sui mesi della DaD
La crisi, ha osservato Rivoltella, ha costretto i docenti a una consapevolezza forzata, poiché li ha messi improvvisamente di fronte alla necessità di ricorrere a modi, ritmi e forme della didattica diversi da quelli tradizionalmente adottati.
In condizioni normali, quello dell’innovazione didattica dovrebbe essere, nella scuola, un percorso graduale, che preveda degli spazi pionieristici nei quali, attraverso il monitoraggio, sia possibile mettere a fuoco i punti deboli e ottimizzare i punti forti della sperimentazione. Un simile percorso -che, in materia di tecnologia digitale, la scuola italiana sta cercando con grande fatica di compiere dalla metà degli anni 80- è stato accelerato dall’emergenza, senza che si potessero prevedere spazi di costruzione dell’abitudine.
Ne è scaturita, secondo Rivoltella, una geografia a macchia di leopardo: con isole di eccellenza (là dove già c’era una cultura del digitale) e zone in cui non si è trovato null’altro di meglio che remotizzare la didattica in presenza, ovvero portare in remoto le stesse modalità operative della presenza (in pratica, proponendo una lezione frontale online). Peggio ancora, in molti casi si è fatto ricorso al registro elettronico per assegnare dei compiti che, una volta restituiti, l’insegnante avrebbe corretto dando un feedback allo studente. Con la conseguenza di confondere il feedback con l’interazione, quando in realtà sono due processi profondamente differenti.
Da questa premessa scaturiscono sostanzialmente, per Rivoltella, due nodi problematici.
Il primo è legato al divario digitale: ci siamo riscoperti molto più indietro di quanto pensassimo. Con divario digitale, però, non dobbiamo intendere soltanto la mancanza di strumenti e la difficoltà (o l’assenza) di connessione, ma anche la mancanza di alfabeti e, ancora più radicalmente, di uno scenario, di un capitale culturale adeguato. In pratica, ci siamo trovati in una situazione di scuola molto simile a quella descritta nel 1967 da don Milani e dai suoi ragazzi in Lettera a una professoressa, dove ancora è presente un ritardo alfabetico e di cultura, oltre che di strumentazione. Per dirla con Pasolini, abbiamo individuato i nuovi proletari nei migranti e nelle loro famiglie, scoprendo che la scuola non dà a tutti le stesse opportunità di riuscita (un limite del sistema pubblico d’istruzione contro cui si appuntava la polemica di Don Milani).
L’altro importante nodo problematico riguarda la progettazione. In questi lunghi mesi di emergenza non ci si è resi abbastanza conto, secondo Rivoltella, che per la didattica distanza occorreva una riprogettazione, che riguardasse almeno tre aspetti rilevanti. Il primo, la granularità dei contenuti: è impossibile collocare in un ambiente per la formazione a distanza contenuti con le stesse forme, le stesse lunghezze, le stesse dimensioni previste per un consumo sulla forma libro. Il secondo, i tempi della fruizione, che sono diversi rispetto a quelli in presenza. Il terzo, i carichi cognitivi: uno degli errori più ricorrenti da parte dei docenti è stato non pensare che, attraverso la distanza, magari in modalità sincrona, si finiva per poggiare sulle spalle degli studenti dei carichi eccessivi di lavoro.
Il futuro: verso una didattica digitalmente aumentata
Dopo il primo, necessario bilancio sulla DaD, il prof. Rivoltella ha rivolto lo sguardo al futuro prossimo, a quando il Paese, e la scuola, potranno finalmente uscire dall’emergenza. Che cosa ne sarà, allora, della didattica digitale, a distanza e non?
La sfida che ci attende, ci ha spiegato il docente della Cattolica, è di ripensare il significato dell’acronimo «DaD» passando da una didattica a distanza a una didattica digitalmente aumentata.
La bellissima immagine di Luciano Floridi sui media che sono onlife, ci ricorda che è impensabile, finita l’emergenza, ricollocare la tecnologia ai margini dei nostri percorsi presenziali. L’operatore della scuola che abbia capito quale sia lo spazio dei media nella società informazionale, comprende anche che i media digitali non possono essere esclusi dalla sua didattica.
La realtà di oggi, ha proseguito Rivoltella, è definita da molti studiosi come società post mediale, espressione con cui non si intende certo dire che i media non ci siano più, ma che sono scomparsi nella loro visibilità di strumenti. Nella società post mediale, infatti, i media sono diventati parte integrante delle vite individuali e delle attività sociali delle persone. E quindi è come dire che siamo di fronte ad una polverizzazione, ad una fortissima porosità dei media che entrano praticamente in tutti i processi individuali e collettivi.
Pertanto, una scuola che decretasse l’ostracismo nei confronti dei media digitali, sarebbe una scuola rassegnata alla sua inattualità, alla sua incontemporaneità, che abdica anche alle sue funzioni civili. Uno dei compiti principali della scuola, infatti, è fornire agli studenti strumenti chiave di accesso alla loro cultura e alla contemporaneità dentro la quale si muovono.
Rivoltella, a questo punto, ha voluto segnalare due questioni che meriterebbero di essere ben considerate all’interno dei percorsi didattici.
La prima è quella della condivisione: una didattica aumentata digitalmente è una didattica che sa servirsi del digitale a supporto della condivisione, della cocostruzione, dello scambio, della socialità del sapere, della possibilità di dare una nuova base unitaria all’impresa del conoscere. Le tecnologie digitali non sono solo qualcosa che ci consente di lavorare a distanza, ma sono anche qualcosa che ci consente di lavorare meglio in presenza.
La seconda è la questione dell’autorialità: tra le tante caratteristiche che i media hanno, c’è quella di essere dei dispositivi autoriali, dispositivi cioè attraverso i quali, con grande facilità, si « fanno cose » e questo, dentro una scuola del fare, dentro una scuola che si concepisca come laboratorio, come officina culturale, rappresenta un’opportunità straordinaria.
Il nuovo profilo dei docenti «digitali »
Affrontando, infine, il tema del profilo che, nell’era dell’online, l’insegnate deve assumere, Rivoltella ha voluto fare una premessa: l’efficacia dell’apprendimento è sicuramente il risultato di buoni docenti, ma anche di buoni studenti.
Questo va detto perché uno dei presupposti tipici delle nostre pedagogie implicite, è che ci sia una qualche correlazione tra la qualità del docente e la qualità del prodotto a livello di apprendimento, ed è in parte vero.
Però, chi si occupa di didattica in modalità evidence based dice che la percentuale di efficacia dell’apprendimento arriva a riconoscere fino ad un 50% al lavoro dello studente, in modo particolare la sua capacità di ascolto attivo e di note taking. La «presa di appunto », dice la ricerca, è una competenza fondamentale in relazione allo sviluppo di apprendimenti efficaci come la capacità di ascolto attivo. Per Rivoltella è dunque fondamentale che la scuola non dimentichi ciò che si può fare per insegnare agli studenti un certo modo di lavorare.
Venendo al lato docente, Rivoltella ha voluto fornirci tre indicazioni di lavoro per un possibile. Effica profilo di insegnante.
Prima indicazione: l’importanza della progettazione esplicita, per la quale si rimanda al libro di Diana Laurillard, L’insegnamento come scienza della progettazione (Franco Angeli, 2015). Il docente italiano, per tradizione, non ha l’attitudine a progettare esplicitamente e tende a affidarsi, un po’ come l’attore nella commedia dell’arte, a dei canovacci che la sua esperienza gli ha fatto sviluppare. Viceversa, la didattica a distanza, con l’uso di tecnologie che comporta, esige una progettazione rigorosa.
Seconda indicazione: l’importanza di mettere l’apprendimento al centro. Ciò significa interrogarsi sulla funzione dell’attualità, perché una didattica ben costruita, ingaggiante, motivante non può che partire dall’attualità, da quello che Freinet chiamava il tema vivente. Se la scuola non riesce ad agganciarsi alla vita, infatti, diventa sempre più difficile far dialogare mondi che sembrano i due zolle di continente alla deriva in direzioni opposte: la zolla della scuola e la zolla della vita degli studenti. La cultura alta dev’essere il punto d’arrivo; di solito invece noi rovesciamo i termini del percorso: partiamo da una cultura alta, completamente decontestualizzata, disancorata, spesso senza neanche riuscire a arrivare alla contemporaneità.
La terza indicazione, infine, riguarda la valutazione. Secondo lo studioso, va fatto uno sforzo per recuperare il valore della valutazione formativa nella scuola italiana, non soltanto nel primo ciclo, dove peraltro dovrebbe essere un obbligo, ma anche nel secondo ciclo d’istruzione.
Purtroppo, nella discorsivizzazione leggera, da social, sulla scuola italiana, peraltro ribadita dalla stampa quotidiana e periodica, sembra che effettuare una valutazione formativa significhi abdicare alla serietà della scuola. Invece, significa avere la capacità di rendere la valutazione un momento di apprendimento, cosa che, nella nostra tradizione di scuola, non è non accade molto di frequente. La valutazione è il momento in cui l’apprendimento è più efficace e non è un caso che la Montessori abbia dedicato al ruolo dell’errore buona parte della sua riflessione. Viceversa, se la valutazione è soltanto sommativa, se si basa esclusivamente su una prova di contenuto, allora è chiaro che le preoccupazioni del docente diventeranno soprattutto quelle che nessuno copi e che nessuno suggerisca.
Sconcerta che, durante il Lockdown, nessuno si si sia chiesto se, con la DaD, i ragazzi stessero davvero apprendendo. Tutti si chiedevano se, facendo valutazione a distanza, fosse possibile evitare le copiature e rendere rigoroso il processo. Invece, la valutazione dovrebbe consentire all’insegnante di accorgersi in tempo reale se i suoi studenti stiano apprendendo oppure no; in tempo reale, per riuscire a far recuperare loro immediatamente il debito prima che diventi un ostacolo alla loro possibilità di riuscita. Insomma, ha concluso Rivoltella riprendendo ancora una volta le parole di don Milani, la scuola italiana continua a essere « un ospedale che cura i sani ».
DELLA STESSA COPPIA DI PAROLE CHIAVE:
La libertà come motore della storia: l’esempio della Resistenza
Riflessione sulla libertà come idea-forza e come conquista. È il motore che spinge i giovani della generazione degli anni’30 a rompere le regole, a ribellarsi a un regime ormai giunto all’epilogo della sua vicenda.