La scuola primaria a confronto con la contemporaneità
Abstract
Negli ultimi 25 anni la didattica della storia nella scuola primaria è mutata profondamente. Il testo analizza le modifiche normative che si sono succedute, le trasformazioni che ne sono seguite nella didattica e infine propone alcune linee di intervento per affrontare in classe la storia della contemporaneità. L’intervento è stato preparato per i Cantieri della didattica organizzati dall’Istituto nazionale Parri a Rimini il 23 e 24 maggio 2019 sul tema Insegnare la contemporaneità 1948-1918.
Introduzione
Ho scelto di “tradire” in parte i termini cronologici proposti nel titolo dei Cantieri della didattica (1948-2018) e mi sono riferito ad un periodo più ampio, considerando la contemporaneità pressapoco estesa a tutto il Novecento, cioè agli ultimi 120 anni. La ragione è duplice: da una parte ritengo che, riferendosi ai bambini e alle bambine che iniziano a costruire la loro immagine del passato, il riferimento temporale ampio sia più funzionale al lavoro didattico; dall’altra, le trasformazioni normative degli ultimi anni hanno reso problematico in questo livello scolastico l’insegnamento dell’intera storia contemporanea, questione che è quindi opportuno affrontare in modo complessivo.
1. La «storia del Novecento» negli ultimi venticinque anni di riforme
Dal secondo dopoguerra al 1985
Nel secondo dopoguerra la scelta, che era stata spinta all’estremo dal fascismo a fini propagandistici, di insegnare a scuola la storia fino al presente venne capovolta dalla nuova classe dirigente repubblicana, timorosa di far affrontare a scuola le perturbanti vicende del Ventennio e le origini conflittuali e laceranti della Repubblica. Così i Programmi Ermini (1955) suggerivano come terminus ad quem di «dare un maggior risalto al Risorgimento nazionale [leggi: Grande guerra], nell’ultimo anno del ciclo»[1].
Questi rigidi parametri cronologici che escludevano la storia recente iniziarono ad essere sgretolati negli anni successivi da esperienze provenienti “dal basso”. Da una parte le iniziative prodotte negli anni Sessanta dagli Istituti della Resistenza, anche se pensate soprattutto per le scuole secondarie[2]. Dall’altra le numerose esperienze condotte nel decennio attorno al Sessantotto da gruppi (minoritari) di maestre e maestri, in gran parte afferenti al Movimento di cooperazione educativa, che fecero irrompere i temi dell’«attualità», il fascismo e la Resistenza, in pratiche didattiche innovative spesso “costruite” direttamente dentro le scuole.
Fu però solamente con i nuovi Programmi del 1985 che le innovazioni – lentamente penetrate anche in molti sussidiari – ebbero un riconoscimento ufficiale. Nel testo ministeriale veniva suggerito l’uso di una «periodizzazione essenziale», un «quadro cronologico a maglie larghe» nel cui ambito affrontare gli avvenimenti principali della «storia generale»: «a partire dal terzo anno della scuola elementare, si avvierà uno studio che progressivamente porti il fanciullo dalla interpretazione della storia del suo ambiente di vita alla storia dell’umanità e, in particolare, alla storia del nostro Paese», con uno «specifico riferimento al processo che ha condotto alla realizzazione dell’unità nazionale, nonché, alla conquista della libertà e della democrazia»[3].
Dal decreto sul Novecento alle riforme dei cicli
Qualcosa di radicalmente nuovo accadde nel 1996 quando il Dm 682 del ministro Giovanni Berlinguer ridefinì la collocazione dei contenuti all’interno dei programmi di tutti i gradi scolastici per valorizzare la storia del Novecento. Ciò produsse anche nella scuola elementare un richiamo a tutto il ventesimo secolo, estendendo quindi i termini del curricolo ministeriale oltre il 1945. Nel testo del decreto il riferimento non era ad una classe in particolare ma genericamente al secondo ciclo (terza-quinta): «Nella scuola elementare i docenti del secondo ciclo introdurranno la conoscenza dei più importanti eventi dell’ultimo secolo, tenendo presenti le capacità e i modi di apprendimento propri degli alunni e l’esigenza di un continuo riferimento alla concreta realtà in cui essi sono inseriti»[4]; nella pratica l’applicazione avveniva nel secondo quadrimestre della quinta classe. Quindi la situazione nell’ultimo lustro del secolo scorso era la seguente: «storia generale» affrontata di fatto tra la terza e la quinta classe, scansione cronologica a maglie larghe senza imposizione di specifici contenuti, invito a trattare la contemporaneità superando il limite del 1945.
Su questa situazione si innestò il primo tentativo di riordino dei cicli, promosso dal ministro Berlinguer e proseguito da Tullio De Mauro. Il progetto non andò a buon fine, disapplicato dal successivo governo, ma le ipotesi formulate (e il grande dibattito che suscitarono)[5] permettono di porre l’attenzione su molti aspetti, alcuni in seguito caduti, altri ripresi – pur con differenze – nei successivi interventi ministeriali.
L’ipotesi prevedeva una riorganizzazione delle scuole elementari e medie, unite e contratte a 7 anni. Coerentemente con questa riorganizzazione dei docenti la riforma prevedeva una nuova scansione dei curricoli. Per quanto riguarda la storia i sette anni venivano riorganizzati in 2+2+3, con i primi quattro anni affidati alle maestre e ai maestri. Per loro era previsto nel secondo biennio un lavoro più prettamente sociologico sui «quadri di società», intesi come palestre per una costruzione della conoscenza degli elementi di base delle diverse forme storiche di società (nell’ordine: società dei cacciatori-raccoglitori, degli agricoltori-allevatori, società industriali). Gli elementi così esperiti sarebbero poi divenuti utili come prerequisiti di conoscenza nella fase successiva che prevedeva lo studio della «storia generale», affidato in un unico ciclo ai docenti delle scuole secondarie di primo e di secondo grado[6].
Il nuovo ministero di Letizia Moratti bloccò l’applicazione della riforma Berlinguer-De Mauro e iniziò a lavorare su un nuovo progetto. Veniva annullata la riduzione di un anno del ciclo di base, mentre nella scansione dei contenuti veniva confermata l’idea, introdotta da Berlinguer-De Mauro, della verticalizzazione del curricolo di storia, ora assegnato però in parte alla scuola elementare (ora primaria) e in parte alla scuola secondaria di primo grado.
Veniva inoltre riscritto il testo con specifiche scansioni dei contenuti relative alle classi. Nel primo biennio (classi seconda e terza) iniziava lo studio della «storia generale» e tra i contenuti di conoscenza previsti comparivano «La terra prima dell’uomo e le esperienze umane preistoriche» fino al «Passaggio dall’uomo preistorico all’uomo storico nelle civiltà antiche». Nel secondo biennio (quarta e quinta) lo studio proseguiva cronologicamente fino al nuovo terminus: «la civiltà romana dalle origini alla crisi e alla dissoluzione dell’impero» e «la nascita della religione cristiana, le sue peculiarità e il suo sviluppo»[7].
Anche queste Indicazioni non ebbero ampia applicazione. Il nuovo avvicendamento governativo produsse una loro riscrittura (ministero Giuseppe Fioroni) e il nuovo testo entrò in vigore nel 2007 mantenendo le scansioni organizzative tra primaria e secondaria di primo grado decise da Moratti[8]. Per quanto riguarda la storia le nuove Indicazioni prevedevano che «La conoscenza sistematica e diacronica della storia verrà realizzata fra il secondo biennio della primaria e la fine della secondaria di primo grado», quindi posticipavano l’inizio dello studio della storia generale alla quarta classe. Tra i traguardi al termine della quinta classe veniva prevista la conoscenza degli «aspetti fondamentali della preistoria, della protostoria e della storia antica».
Verso le Indicazioni 2012
Nel 2012 venivano pubblicate nuove Indicazioni[9], attualmente in vigore. Il testo della bozza venne sottoposto ad una consultazione di carattere nazionale[10] rivolta sia alle scuole sia ad altri organismi qualificati come le Associazioni professionali della scuola. La consultazione prendeva in considerazione anche gli elementi del curricolo di storia, in particolare la verticalizzazione del curricolo tra scuola primaria e secondaria di primo grado, che abbiamo visto affermarsi come cornice comune (pur con diverse articolazioni) tra i diversi progetti di riforma a partire da Berlinguer-De Mauro, ma che aveva suscitato un grande dibattito tra i docenti. In particolare tale aspetto era l’obiettivo polemico di una raccolta di firme partita nell’ottobre 2007 che difendeva la ripetizione ciclica della «storia generale» nella scuola primaria e nella scuola secondaria di primo grado, sostenendo che «l’astrazione, la simbolizzazione, il modo di studiare, le possibilità di approfondire di un bambino sono profondamente diversi da quelli di un ragazzino, e proprio per questo è necessario un ritorno ciclico a livelli più approfonditi, per ripensare e scoprire nuovi orizzonti nelle proprie conoscenze e nelle proprie idee»[11].
Così nella domanda numero 15 della consultazione organizzata dal Ministero si chiedeva se ci fosse accordo o meno sul fatto che «l’impostazione di storia conferma, con alcune precisazioni importanti, il percorso cronologico unico tra scuola primaria e secondaria di primo grado». Il 47,5 % delle risposte andò sull’opzione «È una scelta condivisibile, perché consente di distendere i contenuti e di concentrarsi sulla qualità delle metodologie e degli apprendimenti»; ma l’area del dissenso era ampia (anche tenendo conto delle modalità di raccolta dei dati) e – nel complesso – maggioritaria: il 32,0 % sostenne che «Sarebbe opportuno ritornare a due percorsi distinti (con arco cronologico ripetuto alle elementari e alle medie), perché più realistico e vicino alle nostre consuetudini didattiche»; il 20,5 % sostenne che «Bisognerebbe avere più flessibilità nella scansione temporale lasciando una maggiore autonomia alle scuole, per sfruttare meglio occasioni, opportunità, motivazioni degli allievi»[12].
Il risultato però venne considerato dal Ministero sufficiente a scegliere la formula dell’unico ciclo tra primaria e secondaria inferiore, con la «fine dell’Impero romano d’Occidente» come terminus ad quem temporale della primaria, lasciando tuttavia la «possibilità di apertura e di confronto con la contemporaneità».
Il recente (2018) intervento ministeriale Indicazioni nazionali e nuovi scenari non modifica il quadro generale; l’invito nell’ambito della disciplina storia ad «educare alla memoria, con una attenzione tutta particolare alle vicende del Novecento, comprese le pagine più difficili della nostra storia nazionale» sembra più riferito ai docenti della scuola secondaria di primo grado, anche se sicuramente costituisce un segnale di attenzione alla contemporaneità che va colto e valorizzato[13].
Quindi ricapitolando si può affermare che negli ultimi 25 anni si sono giocate molte battaglie su quale storia fare insegnare ai docenti delle scuole primarie (già elementari). Inizialmente – pur in maniera disorganica – il terminus ad quem per alcuni anni è stato avvicinato fortemente al presente (1996). Poi è divenuta dominante la convinzione che una verticalizzazione dell’insegnamento – riducendo il numero di volte in cui si sarebbe insegnata la «storia generale» – sarebbe stata la chiave di volta della riforma. Questa idea è stata proposta già nel 2001 ed è divenuta norma organizzativa e curricolare tra il 2004 e il 2007, e nella sua forma attuale prevede che nella primaria (nell’ultimo biennio) inizi l’insegnamento della storia generale dal paleolitico alla fine del mondo antico. Aperture strutturali di spazi per una didattica della storia del Novecento non ne sono rimasti, se non nella formula generica del «confronto tra quadri storico-sociali diversi, lontani nello spazio e nel tempo» o nell’insegnamento trasversale (ma non declinato storicamente) di Cittadinanza e Costituzione[14].
2. Come è cambiata la didattica della storia nella scuola reale
La pratica didattica nelle classi non fa riferimento solamente ai programmi e alle scelte organizzative del ministero ma è il risultato della complessa interazione di numerosi elementi: le consuetudini dei docenti, le scelte degli editori e degli autori dei testi[15], le spinte provenienti dall’amministrazione (assetti organizzativi, contrattuali, formativi) e dal territorio (risorse culturali, spinte politiche). Rispetto all’insegnamento della storia quindi è utile analizzare sommariamente alcuni altri elementi che hanno contribuito in maniera significativa in questi ultimi 25 anni a configurare la situazione presente.
I test Invalsi e la ridefinizione della gerarchia tra le materie
L’introduzione dei test Invalsi nella scuola italiana ha costituito una pseudo-riforma che si è progressivamente estesa in tutti i gradi scolastici ma che nella scuola primaria ha avuto il terreno iniziale, la maggiore presenza nel tempo e – a parere di chi scrive – il maggiore effetto sulla trasformazione del curricolo reale, coinvolgendo indirettamente anche la didattica della storia.
Formalmente obbligatori dal 2004, i test coinvolgono tutti gli alunni di due classi della scuola primaria (attualmente le seconde e le quinte) per misurare le abilità in comprensione del testo scritto e in matematica. La rilevazione dei test funziona ormai da anni a pieno regime e viene utilizzata per formulare un giudizio sull’efficacia didattica degli istituti (e evidentemente anche dei docenti). Il teaching to test è quindi cresciuto rapidamente, entrando strutturalmente nelle pagine dei libri di testo e occupando una grossa fetta di mercato editoriale scolastico che offre prodotti specifici per l’ “allenamento”.
Questa affermazione dei test ha quindi mutato la sostanza della didattica in classe. La storia, insieme alla geografia, alle scienze e alle educazioni, è slittata nella percezione dei docenti e dei dirigenti ad uno status inferiore rispetto all’italiano e alla matematica (e all’inglese, da due anni sottoposto anch’esso ai test). Questo mutamento di percezione si è tradotto anche in un cambiamento delle proporzioni tra la quantità di tempo-scuola dedicato alle diverse discipline insegnate ed apprese. Non esistono studi specifici, ma dall’interno della scuola ciò appare evidente[16].
La verticalizzazione del primo ciclo
Anche su questo tema non esistono – credo – studi. Scrivo quindi sulla base dell’osservazione informale che ho potuto condurre in questi anni sulle consuetudini didattiche delle colleghe e dei colleghi di varie scuole. L’impressione è che anche questa ristrutturazione del curricolo che è emersa nel primo decennio del 2000 abbia prodotto una diminuzione di impegno dei docenti della primaria rispetto alla materia Storia. Provo ad articolare e a dare delle motivazioni a questa ipotesi.
I docenti della scuola primaria non hanno una preparazione specifica nel loro curricolo di studi per l’insegnamento della storia, né per quello di altre discipline. In alcune università esistono cattedre di didattica della storia e quindi si possono seguire corsi di quel tipo, ma è raro. Quasi mai gli esami di storia previsti nel curricolo universitario prevedono momenti di riflessione o laboratori sulla didattica. Ovviamente in passato tale preparazione specifica era ancora meno presente nel curricolo di studi (fino al 2001 era titolo abilitante il diploma di maturità magistrale).
Inoltre bisogna avere ben presente che un insegnante della scuola primaria deve essere in grado di insegnare tutte le discipline declinate per cinque diverse età degli alunni, dai sei agli undici anni. Questa dimensione generalista viene solo parzialmente limitata nel corso della carriera quando il docente riesce a stabilizzarsi in un plesso e a “specializzarsi” – per così dire – in tre-quattro discipline. Gli aggiornamenti sulla didattica quindi non possono che avere un carattere molto generale, raramente accade che un insegnante si aggiorni sulla storiografia relativa ad esempio agli Egizi (che pure è un contenuto centrale nella nuova strutturazione del curricolo), poiché risulta più utile seguire formazioni su tematiche trasversali o metodologiche che possano avere un uso scolastico non limitato.
Fra teoria e realtà
L’idea di chi ha proposto e introdotto la verticalizzazione evidentemente si fondava sull’ipotesi che una riduzione del periodo di «storia generale» da affrontare da parte dei docenti della primaria si traducesse in un aumento di competenza specifica su quel periodo. In realtà più si specializza un insegnamento, più sarebbe necessaria una conoscenza approfondita della materia per poterne preparare una buona articolazione didattica. Mentre nella vecchia formula in tre anni, dalla terza alla quinta classe, il docente poteva (doveva) scegliere gli argomenti principali attingendo a quelli più conosciuti poiché distribuiti nei circa cinquemila anni di «storia generale», con la riforma si trova a dover organizzare una didattica all’interno del mondo antico per ben due anni (in realtà tre, poiché i sussidiari continuano a far partire lo studio della storia generale in classe terza, seguendo la consuetudine che si era affermata prima del 2000). In questo modo sarebbe indispensabile una conoscenza più approfondita della storia romana, o greca, o egizia, o quelle della valle dell’Indo e della Cina, per riuscire a trattarle didatticamente per varie settimane riuscendo a mantenere un elevato interesse di alunne e alunni. Ma questa conoscenza specialistica è in contraddizione con la fisionomia generalista che caratterizza la maestra e il maestro. Nella pratica questa trasformazione della didattica non si verifica quasi mai, è molto più facile che una volta affrontate le generali conoscenze che sono suggerite dai sussidiari, i docenti decidano di dedicare il tempo rimanente ad altre discipline, o eventualmente alla preparazione di quei test Invalsi sulla cui base scatta la valutazione della loro efficacia didattica.
In passato quando l’arco temporale della storia generale era completo, l’insegnante era obbligato ad una selezione dei temi principali, presentati non per giungere ad una comprensione approfondita ma per inaugurare una prima conoscenza sulla base del profilo psicologico e culturale di alunni di quell’età, un primo approccio a temi che avrebbero costituito uno scheletro da riaffrontare con ottica diversa (e attraverso sensibilità e strumenti diversi degli allievi e delle allieve) nei gradi successivi. Per un docente era più facile articolare in tre mesi la didattica sull’invenzione della stampa a caratteri mobili, sulla scoperta (conquista) dell’America, sulla rivoluzione industriale e sulla rivoluzione francese piuttosto che lavorare tre mesi sulla civiltà greca senza scadere nel nozionismo.
I sussidiari
I testi proposti alle classi negli ultimi anni si sono moltiplicati in numero e pagine. Ad esempio in una quinta classe arrivano al bambino o alla bambina dai cinque ai nove volumi tra contenuti, eserciziari, atlanti e altro materiale didattico. La storia spesso è suddivisa in due o tre volumetti, nella seconda parte sono raccolte schede di verifica, test stile Invalsi, accenni a Cittadinanza e Costituzione, proposte di «compiti di realtà», link a percorsi sul web. Ovviamente i materiali sono per l’80 % legati al curricolo di «storia generale», le altre parti sono dedicate a riflessioni sulle tipologie di fonti o – ed è ciò che ci interessa in questo articolo – a richiami al presente. Soprattutto è nelle finestre relative a Cittadinanza e Costituzione che gli autori colgono l’occasione per parlare di tematiche di storia contemporanea. Scorrendo una quindicina di manuali proposti quest’anno[17], e seguendoli tra quarta e quinta classe, emerge che le finestre (due in media per manuale) sono legate al significato della Costituzione (quasi sempre collegata con le tavole di Hamurrabi), alla Democrazia (associata ad Atene e alle differenze tra democrazia ateniese e italiana contemporanea), alla condizione delle donne (associata alla società della Grecia antica, dei Cretesi o dei Romani), alla Shoah (associata immancabilmente in quarta classe alla presentazione del popolo ebraico nell’antichità), al ruolo delle biblioteche (associato alla biblioteca di Ninive), alle olimpiadi… Queste finestre servono a presentare il presente come diverso dal passato, non come il prodotto di un divenire storico.
Ad esempio: le finestre sulla Costituzione italiana non accennano quasi mai alla sua origine nella lotta contro il fascismo, ma presentano esclusivamente alcuni suoi articoli. Chi legge non riesce a cogliere la connessione con il tempo in cui essi furono emanati e neppure le motivazioni da cui presero origine, producendo l’impressione di una raccolta di principi autogeneratisi e non il prodotto di un processo storico.
Anche la trattazione della Shoah si apre dal nulla, e anche laddove, nei casi più virtuosi, vi siano cenni di contestualizzazione storica, le frasi scelte sono spesso reticenti, quasi cercassero di anestetizzare l’effetto nel lettore, privilegiando la dimensione morale e raccontando la storia del popolo ebraico quasi come un “destino” che si ripete da un’epoca all’altra.
Gli Istituti della Resistenza
Gli stessi Istituti che nello scorcio del secolo scorso erano divenuti importanti punti di riferimento per le scuole elementari relativamente alla storia della prima metà del Novecento, nel nuovo contesto privo della storia contemporanea hanno perduto quel rapporto privilegiato con le scuole. Certo, gli Istituti hanno una presenza sul territorio a macchia di leopardo e in nessun caso possono sostituirsi al lavoro autonomo nelle classi, ma la loro funzione di catalizzatori della didattiche sul Novecento era radicato e in crescita alla fine del secolo. Questo ruolo è venuto indebolendosi rapidamente con la nuova articolazione del curricolo, resistendo solo in situazioni particolari in virtù di legami personali o pratiche consolidate[18].
3. Qualche proposta sul presente
Nel contesto sopra descritto, come promuovere il tema della contemporaneità nella scuola primaria e come fare in modo che la sua trattazione risulti storiograficamente produttiva per alunni e alunne?
Lo sfondo integratore
Il primo problema da affrontare è la difficoltà a costruire degli interventi sugli ultimi 120 anni senza avere la possibilità di collocare questi avvenimenti in uno sfondo generale. Mi pare cioè decisivo e indispensabile lo sforzo di costruire progressivamente nelle classi uno sfondo integratore – materialmente una linea o mappa del tempo fabbricata insieme e sempre appesa in classe – che a ritroso parta dalla foto del gruppo classe in prima e che disponga gli avvenimenti emersi nelle discussioni secondo una datazione relativa, per poi scegliere due-quattro avvenimenti periodizzanti che siano utili a dare coordinate ad ogni nuovo evento citato o affrontato. Anche la storia ha bisogno di una mappatura di riferimento e le linee del tempo sono le sue specifiche coordinate: si possono costruire concretamente con i bambini a partire da una discussione su quali avvenimenti, popoli, oggetti essi ritengono facciano parte del «passato». Ad esempio, in una seconda non c’è bisogno di distinguere la prima e la seconda guerra mondiale, è l’età delle guerre in Europa che conoscono e che quindi deve essere visibile (l’età dei bisnonni, l’età degli aerei da guerra); nel corso dello sviluppo della didattica, questa trentina di anni di conflitti verranno sciolti e precisati, datati, riempiti di racconti e immagini[19].
In questo modo quando accade di ricordare o nominare la Shoah si potrà progressivamente collocarla dopo qualcosa e prima di qualcos’altro. Spesso da adulti non riusciamo a comprendere quanto siano utili ad un bambino o una bambina questi richiami per produrre un primo inquadramento di un avvenimento e in parte per farne maturare una prima provvisoria comprensione.
Il calendario civile
Abbiamo visto che la formulazione delle Indicazione del 2012 oltre ad essere non vincolante nei contenuti, lascia aperte possibilità per confronti, aperture verso il presente e la storia recente.
È in questo spazio ristretto che ci troviamo oggi ad operare per mantenere un collegamento della gioventù che ha fino ad undici anni[20] con la storia degli ultimi centoventi anni. Sia chiaro: un collegamento minimo allestito e gestito dalla scuola, perché invece il discorso pubblico produce abbondanti comunicazioni sul Novecento che però non vengono filtrate e non sono prodotte e articolate con intento didattico. Quello che manca prioritariamente è quindi un quadro in cui i bambini possano provvisoriamente collocare, comprendere e collegare le informazioni frammentarie ed episodiche che giungono da televisione e web sommergendoli.
In questo contesto si colloca la pratica dell’intervento didattico di tipo storico-civico a scuola seguendo il cosiddetto calendario civile. Nel 2017 Alessandro Portelli ha pubblicato Calendario civile, un’antologia di testi riferiti a date significative «per una memoria laica, popolare e democratica», come recita il sottotitolo, del passato nazionale, affidate a studiosi e corredate di documenti.[21] La proposta di Portelli è rivolta alla società civile, ma è in sintonia con qualcosa che già stava accadendo nella scuola primaria per ragioni in parte coincidenti, in parte come risposta all’azzeramento della storia contemporanea emerso dal vortice delle riforme. Nelle scuole infatti il calendario civile è stato il canale principale attraverso il quale continuare a parlare della storia recente ed ha fornito la formula per portare in classe principi condivisi.
Alcune date si sono affermate più di altre. La data immancabile è il 27 gennaio: la Shoah entra regolarmente nella scuola primaria e ha assunto la valenza di evento cardine del Novecento. La seconda data – che segue però ad una grande distanza – è il 25 aprile (e le sue articolazioni locali) che tra l’altro, essendo festa, ricorre a scuola chiuse. Altri temi scaturiscono da anniversari (ad esempio negli ultimi anni la Grande guerra).
Anche la pratica didattica del calendario civile deve però confrontarsi con problemi sostanziali. Prima di tutto, quando questi temi rientrano nel circuito della didattica, quasi mai vengono trattati storicamente. Essi diventano un’occasione per vivere un rito di etica civica, ma l’episodio che ne è all’origine e a cui rimandano non ha quasi mai l’agio di divenire narrazione e analisi storica, di caricarsi di complessità, di dispiegarsi nel tempo per proporsi alle classi come un percorso didattico articolato, con dei precedenti, delle motivazioni, delle conseguenze.
Inoltre, non bisogna dimenticare che il problema di contestualizzazione è anche geografico, seppure emerge in questo ambito con minore evidenza; infatti la riorganizzazione del curricolo ha verticalizzato anche la geografia, e la scuola primaria ha come ambito di studio prioritario l’Italia fisica e amministrativa. Mentre la consuetudine del passato proiettava lo sguardo in quinta classe sull’Europa e sui continenti extraeuropei, attualmente questo non è richiesto. Banalmente, il rischio è quello – ad esempio – di trattare la Shoah che prende forma in Europa nel contesto di una guerra mondiale senza avere costruito un background né sull’Europa né sugli altri continenti.
Quindi anche l’uso del calendario civile costituisce una strada che può essere percorsa e incrementata, ma che nella scuola primaria nasce con dei limiti oggettivi e che necessita di alcune attenzioni per evitare di cadere nella ritualità e nella celebrazione senza riuscire a giungere alla storia.
Occorre prima di tutto scegliere, senza farsi trascinare dalla voglia di seguire molte date e dalla paura di perdere le scadenze. Ogni data affrontata in un’unica occasione diviene inevitabilmente uno spot, un episodio che anche noi adulti facciamo fatica a collocare nel divenire. è nella capacità di contestualizzare un avvenimento che ci si gioca la differenza tra celebrazione e ricostruzione storica. Occorre non rincorrere tutte le scadenze ma scegliere quelle ritenute più interessanti o motivanti, dedicarvi un periodo ampio di tempo e quindi di ore di didattica; analizzare il prima, analizzare il dopo, cercare spezzoni di film, di interviste che permettano di riaffrontare il tema in forme diverse, cercare documenti rappresentativi da analizzare, aprire spazi di discussione improvvisati quando giungono sollecitazioni dai bambini e dalle bambine. Sono queste le espansioni che possono permettere anche in una quarta o quinta di scuola primaria di affrontare una data del calendario civile senza rimanere incastrati nella retorica.
Quali sono le date – i temi – che possono rientrare in questa proposta?
Il 25 aprile
Il fulcro del calendario civile del Novecento è certamente – per noi oggi – il 25 aprile[22]. Nessuna data assume nella scuola primaria tale potenzialità di connettere le altre date, tanta capacità di aprire discorsi che tengano insieme molti temi come il fascismo, la Resistenza, l’Europa, l’imperialismo, la possibilità di una declinazione locale, le memorie familiari…
Rispetto alle numerose esperienze didattiche proposte dalla rete degli istituti storici, si può aggiungere una suggestione a partire dalla diversa composizione delle nostre classi: facciamoci spingere dai diversi background culturali presenti a raccontare le storie anche di chi non era italiano e ha combattuto e magari è morto in Italia, adesso che abbiamo la possibilità di guardare con occhi diversi alla composizione delle truppe che hanno combattuto nella penisola e abbiamo l’occasione di esplorare il planisfero dribblando l’italocentrismo del curricolo di geografia. Perché questa guerra era mondiale? Andiamo a cercare i paesi coinvolti, i colonizzati che dovettero combattere, i partigiani che avevano studiato nelle scuole fasciste e quelli che avevano passato l’infanzia da tutt’altra parte: dove? Mettere le loro immagini o i loro nomi in un grande planisfero può aiutare i giovani delle nostre classi a vedersi nel mondo e a vedere quanto mondo c’era nella guerra mondiale (come facciamo quando tocchiamo con mano la globalizzazione dei mercati incollando le etichette «made in» delle nostre magliette, degli smartphone e della frutta), ma può aiutare anche noi docenti ad arricchire attraverso l’esperienza didattica l’immagine italocentrica con cui abbiamo appreso questa pagina centrale della nostra storia.
27 gennaio
La Shoah ha sicuramente assunto negli ultimi anni una forza comunicativa ampia e spesso risulta l’unica apertura alla contemporaneità praticata in classe nella scuola primaria. La crescita di conoscenza – anche indiretta – che questo processo ha portato nelle nostre classi è preziosa, ma occorre che gli insegnanti sappiano proporsi come filtro delle molteplici informazioni e stimoli che arrivano dai mass media, trasformando questa grande attenzione per l’argomento in percorsi didattici utili ad affrontarne la comprensione nel contesto della storia del secolo scorso. Il rischio di considerare questo tema come risolutivo nella comprensione del Novecento è quindi forte, almeno altrettanto quanto il rischio di vederlo “celebrato” in una narrazione edulcorata, irrelata dalla storia e consumata completamente il 27 gennaio. Anche qui l’unico antidoto è la storia, la capacità degli insegnanti di usare la popolarità del tema e della comunicazione stereotipata su di esso per riorganizzarlo in classe collegandolo agli altri elementi della storia coeva, ai precedenti, alla guerra, alla conoscenza dell’ebraismo, dell’antisemitismo e del razzismo.
8 marzo
La questione di genere è un tema di grande importanza cui è possibile dare una declinazione anche storiografica. Sappiamo con quale forza spesso il mondo della comunicazione sommerge i bambini e le bambine di stereotipi sessisti. Proprio per questo già dalla scuola dell’infanzia le riflessioni collettive e i confronti sull’argomento possono accompagnare la vita quotidiana nelle classi mettendo criticamente in discussione gli stereotipi. Risulta quindi utile provare a fornire stimoli anche storiografici a queste discussioni e dare una dimensione diacronica al racconto della parità dei diritti. Sembra un aspetto banale, ma significa mostrare che l’identità di genere e la costruzione dei diritti non sono aspetti di natura ma di storia, che hanno a ché fare con il potere e che sono stati oggetto di conflitti. La stessa storia della giornata dell’8 marzo, con i suoi intrecci tra origini mitiche e origini storiche sembra fatta apposta per essere raccontata in una scuola primaria, nella quale il compito precipuo è proprio quello di distinguere mito e storia, senza però togliere al mito il suo fascino e il suo valore storico. Le attività possibili sono svariate. Ad esempio lavorare sull’immagine che i libri di testo o i fumetti nel passato davano dei rapporti di genere , aprendo piccoli laboratori di analisi e di ricerca delle fonti, perché lavorare sui materiali prodotti per i bambini ha il vantaggio di orientare il lavoro di decodifica e interpretazione su contenuti familiari alla percezione degli alunni.
1° maggio
La tendenza recente della didattica elementare all’infantilizzazione dei temi, combinata alla sostituzione del modello del consumatore a quello del lavoratore, hanno prodotto un universo infantile e scolastico in cui il consumo appare svincolato dal lavoro e dalla produzione. Riconnettere il mondo delle merci ai processi che sono alla base della loro produzione (sempre più globalizzata) e alle persone in carne ed ossa che con il loro lavoro e la loro fatica le producono è un compito immane ma doveroso. La giornata del 1 maggio può sicuramente diventare l’occasione per organizzare interviste e risalire passo passo a ritroso nel tempo, dal presente terziarizzato agli anni del boom e anche più indietro, sfiorando dimensioni come quelle del denaro (come retribuzione) e delle differenze di classe sociale che – a dispetto della volgata dominante – continuano ad essere parametri importanti per comprendere la realtà.
3 ottobre
Venticinque anni fa nelle scuole italiane i cosiddetti “stranieri”, cioè studenti privi di cittadinanza italiana, costituivano lo 0,7 % del totale; oggi le statistiche ci dicono che questa percentuale è salita ad uno su dieci circa[23]. In molti casi si tratta di stranieri sui generis, perché l’Italia è ancora inchiodata ad una legge sulla cittadinanza legata allo ius sanguinis tanto che molti bambini nati e cresciuti in Italia risultano sono però giuridicamente stranieri se i loro genitori sono tali. Le cittadinanze di questi nostri allievi e allieve sono le più varie: Europa dell’est, Asia, Africa, Sudamerica, il mondo finalmente sta entrando nelle nostre aule. Uno studente su 10 ha background culturali misti, ha genitori e nonni che hanno vissuto i conflitti della decolonizzazione o le oppressioni del socialismo reale, e bisnonni che si difendevano (o negoziavano le briciole) dall’oppressione coloniale occidentale di Francia, Inghilterra, Belgio, Olanda, Germania, Italia…[24].
Questo processo di cambiamento ha già una data di riferimento: quella del 3 ottobre, che ricorda il naufragio a Lampedusa, nel 2013, di una carretta del mare in cui morirono 368 persone, in gran parte eritree. Che sia in ottobre, oppure il 1° marzo (che per alcuni anni è stato il giorno dello sciopero dei migranti), oppure in un qualsiasi periodo dell’anno, è indispensabile portare in classe questo tema – diseguaglianza nel mondo e migrazioni – ed è importante declinarlo anche storicamente, raccontando degli italiani e dei polacchi in America, degli italiani in Svizzera, degli algerini in Francia, dei cinesi che costruirono la ferrovia transcontinentale negli Stati Uniti…; spiegando perché si parte: le guerre, le risorse che mancano, i diritti violati, il desiderio di nuove prospettive… Come sempre basta scegliere una di queste piste, e seguirla con pazienza in modo da costruire passo dopo passo anche una conoscenza storica della questione, per aiutare i nostri giovani a capire che quando vedono i telegiornali che parlano degli «sbarchi», stanno guardando un presente che si fa storia.
I cambiamenti nella società
Per concentrarci in particolare sul periodo posteriore al 1948 credo che nella scuola primaria si debba provare ad inquadrare e a tematizzare la grande svolta avvenuta in Italia e nella società occidentale a partire dal boom economico. Occorre cioè concentrarsi sugli aspetti dei quadri storico-sociali di vita che in questo periodo sono mutati rapidamente. La perdita del mondo contadino, le trasformazioni nei modi di vita indotte dallo sviluppo economico impetuoso, le migrazioni interne, l’affermazione del consumismo cambiano profondamente la quotidianità della vita e il nostro sguardo sulla realtà.
Inquadrando queste tematiche abbiamo la possibilità di agire a ritroso, di far conoscere o riconoscere questi aspetti a partire dalle differenze che presentano rispetto al presente. È un approccio di tipo storico sociale, pur declinato per bambini della primaria. L’abituale lavoro di conoscenza delle due generazioni precedenti (madri-padri e nonne-nonni) diviene anche un’occasione per attraversare i mutamenti delle consuetudini di vita, degli oggetti, delle forme della comunicazione, della scrittura, del lavoro. Basta recuperare e mettere in fila gli apparecchi per telefonare, per ascoltare la musica, per scrivere degli ultimi 60 anni per avere a disposizione un piccolo museo della tecnica che può rivelarsi uno stimolante punto di partenza – soprattutto attraverso il metodo dell’intervista – per risalire dall’oggetto alle persone e ai racconti.
Guardare la Costituzione con gli occhiali della storia
L’insegnamento trasversale di Cittadinanza e Costituzione può anch’esso, se utilizzato in modo opportuno, permettere di aprire finestre sul Novecento, riaffermando che la costruzione di una coscienza civica e democratica non si apprende sulle regole del diritto, ma comprendendo i processi storici che ne sono all’origine. Quindi lo studio della della Costituzione in classe non deve ridursi alla presentazione e al commento delle norme giuridiche, ma deve riportarci alla Costituzione come crogiolo di idealità e speranze maturate nell’ambito della Resistenza, e quindi come risultato storico di una lotta contro il Fascismo e il Nazismo, come punto di partenza per una storia di battaglie per l’uguaglianza, la giustizia e la parità dei diritti che continua dal 1948 fino al presente.[25] Se intesa in questo modo, allora non ha senso, come invece fanno i sussidiari – parlare di Costituzione senza parlare di fascismo, senza studiare Mussolini e i balilla e le violenze e il bellicismo e l’imperialismo in Africa e nei Balcani, terre native dei bisnonni di molte nostre alunne e alunni. Certo è difficile, comporta scelte di tempo e di indipendenza didattica. Ma solo così ha senso parlare ad una bambina nata nel 2010 a Bologna con la bisnonna vedova del marito che morì combattendo in Russia o a un bambino del 2011 con il bisnonno che ha subìto il colonialismo francese o belga o italiano. Ovviamente è già un ottimo risultato se nella scuola primaria si riesce ad imbastire e a trasmettere l’idea di una Carta che trae la sua origine da una lotta storicamente realizzata e non da un’idea astratta di giustizia.
Conclusioni
In conclusione credo che ci si debba porre una ulteriore domanda: a noi questa organizzazione del curricolo di storia della scuola primaria, a quindici anni dall’adozione, ci convince? Alcuni dei limiti che ho provato ad illustrare sono reali? E se alcune delle problematiche descritte hanno fondamento, è possibile aprire nuovamente una discussione pubblica sul modo di affrontare la «storia generale», sul metodo e la costruzione dei concetti e sulla didattica della storia recente nella scuola primaria? è ragionevole riaprire un dibattito su quale didattica della storia affidare a quella particolare categoria di docenti che sono le maestre e i maestri generalisti della scuola primaria?
Io credo che sia necessario. Credo che gli Istituti della Resistenza e dell’Italia contemporanea possano essere attori in questa discussione che non presenta certo soluzioni facili, che da una parte deve prendere atto dei cambiamenti intervenuti negli ultimi vent’anni, ma che allo stesso tempo può considerare tale realtà come modificabile. Riaprire la discussione, a partire dalla raccolta dell’opinione degli stessi insegnanti, sarebbe già un grosso passo avanti, fare finta di nulla credo non serva a nessuno.
Note:
[1]Dpr 14 giugno 1955, n. 503.
[2]Vedi ad esempio L. Borghi, G. Quazza, A. Santoni Rugiu, C. Dellavalle (a cura di), Libri di testo e resistenza. Atti del Convegno nazionale tenuto a Ferrara il 14-15 novembre 1970, Roma, Editori riuniti, 1971.
[3]Dpr 12 febbraio 1985, n. 104.
[4]Dm 4 novembre 1996, n. 682, art. 5.
[5]Ampia rassegna di testi normativi approvati, proposte normative e interventi al dibattito nella pagina web Sissco dedicata a La riforma dei cicli e la storia <http://www.sissco.it/articoli/la-storia-contemporanea-nelle-scuole-superiori-1345/la-riforma-dei-cicli-e-la-storia-1346/> [8-5-2019].
[6]«Lavorando empiricamente su un numero limitato di esempi, il bambino imparerà a riconoscere e distinguere le caratteristiche dei fondamentali modelli di società […] L’insegnante sceglierà i quadri di società in modo da presentare casi esemplari relativi alla società di caccia e raccolta, alle società agricole, con particolare attenzione alla dimensione urbana, a quelle pastorali, e alla società industriale, equilibratamente ripartiti nel tempo e nello spazio», Indicazioni per il curricolo dell’ambito storico-geografico-sociale per la scuola di base, 2001.
[7]Miur, Indicazioni Nazionali per i Piani di Studio Personalizzati nella scuola primaria, 2004, pp. 22-23, 35-36.
[8]Miur, Indicazioni per il Curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione, 2007.
[9]Miur, Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, Decreto 16 novembre 2012, n. 254. Regolamento recante indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, a norma dell’articolo 1, comma 4, del dpr 20 marzo 2009, n. 89.
[10]Cm Miur 31 maggio 2012 n. 49.
[11]Si tratta del «Manifesto per la riconquista dei Programmi Nazionali e la difesa della libertà d’insegnamento», primi firmatari M. Balsamo, R. Dondarini, M. Pieralisi, R. Roberti, L. Varaldo; l’appello era stato redatto in ottobre del 2007 nell’ambito del Festival della storia di Bologna e mescolava vari temi ma partiva dalla contestazione del curricolo di storia; <http://manifestodei500.altervista.org/wp-content/uploads/2007/12/proposta_bo_con_primi_400.pdf> [8-5-2019].
[12]Nella rassegna delle risposte (4551) viene comunicato che esse provengono solo per il 29,3% «da un gruppo degli insegnanti su mandato del collegio dei docenti», per il 21,8% «da un gruppo informale di docenti», mentre la maggior parte delle risposte viene prodotta dai soggetti più implicati nella realizzazione delle trasformazioni: «dal dirigente e/o dal suo staff»: 49,9%.
[13]Miur, Comitato scientifico nazionale per le Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, Indicazioni nazionali e nuovi scenari, 2018, p. 10, <http://www.indicazioninazionali.it/wp-content/uploads/2018/08/Indicazioni-nazionali-e-nuovi-scenari.pdf> [8-5-2019].
[14]Legge 169 del 30 ottobre 2008; già nel 2006 era stata istituita l’attività educativa e didattica unitaria denominata Educazione alla cittadinanza, senza scansioni annuali e non organizzata secondo parametri storici: Miur, Indicazioni Nazionali per i Piani di Studio Personalizzati nella scuola primaria, 2004, p. 47.
[15]Maila Pentucci, Il manuale scolastico e la trasposizione dei saperi storici. Un esempio di analisi, Novecento.org, n. 12, agosto 2019.
[16]Per una disamina critica verso i test nella scuola primaria: G. Gabrielli, Insegnare per test. La scuola primaria e lo spirito del tempo, “aut aut”, 358, 2013 <https://issuu.com/autaut/docs/gabrielli> [8-5-2019].
[17]Cittadini del XXI secolo (Mondadori Education, 2019), Esplora il mondo (La scuola, 2019), Che saperi (Rizzoli education (Fabbri – Erickson, 2019), Studio così (Cetem, 2019), On. Accendi la mente, (Pearson, 2019), Terramare (Giunti, 2019), Le fantastiche quattro (Rizzoli, 2018), Sussidiario delle discipline (Gaia, 2019), Campo base (Giunti Del Borgo, 2019), Grandi scoperte (Pearson, 2018), Nati per conoscere (Mondadori, 2018), Passo dopo passo nelle discipline (Tredieci, 2019), @discipline.it (Eli – La spiga, 2018), Capire il presente (Mondadori, 2017), Che idea (Gaia, 2017), Che magie (Rizzoli, 2019), Il tempo delle idee (Giunti, 2018), Imparare a 360 gradi (Pearson, 2017).
[18]Basti pensare che nelle schede rilevate sulle buone pratiche organizzate dagli Istituti sul periodo 1948-2018, solamente 3 su 173 riguardano anche la fascia della scuola primaria. Ovviamente il baricentro è spostato indietro sulla Resistenza e sul fascismo, e quindi non compare nella rilevazione, ma il dato è comunque indicativo di una perdita di centralità di questa fascia scolastica. Sui risultati del rilevamento effettuato in questa primavera vedi il testo di Flavio Febbraro e Andrea Saba in questo dossier.
[19]Cfr. G. Gabrielli, Costruire linee del tempo nella scuola primaria, Novecento.org, n.. 13, febbraio 2020.
[20]In realtà fino a tredici o quattordici anni, poiché la storia del Novecento viene affrontata per la prima volta a quella età)
[21]A. Portelli (a cura di), Calendario civile. Per una memoria laica, popolare e democratica degli italiani, Roma, Donzelli, 2017.
[22]Anche il già citato documento del Miur del 2018 vi fa esplicito riferimento: «Particolarmente significativo risulta il ricordo delle lotte di liberazione e del successivo momento di concordia nazionale che ha consentito di elaborare e poi di consolidare la nostra Costituzione», Comitato scientifico nazionale per le Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, Indicazioni nazionali e nuovi scenari, 2018, p. 10, <http://www.indicazioninazionali.it/wp-content/uploads/2018/08/Indicazioni-nazionali-e-nuovi-scenari.pdf>.
[23]Miur, Gli alunni con cittadinanza non italiana, a.s. 2016/2017, marzo 2018 <https://www.miur.gov.it/documents/20182/0/FOCUS+16-17_Studenti+non+italiani/be4e2dc4-d81d-4621-9e5a-848f1f8609b3?version=1.0>.
[24]è incredibile che in corrispondenza con il cambiamento del curricolo di storia nella scuola primaria si sia attuata una parallela riduzione della geografia insegnata nello stesso ordine di scuola alle caratteristiche dell’Italia, spostando alla scuola secondaria non solo l’approccio al mondo extraeuropeo, ma quello alla stessa Europa.
[25]C. Marcellini, Cittadinanza e Costituzione… «Mamma mia»!, Novecento.org, n. 12, agosto 2019.