Il mito scolastico della marcia su Roma
Un ragionamento attorno alla mostra Il mito scolastico della Marcia su Roma. La presa del potere del fascismo e la sua narrazione scolastica nelle scuole del regime
A cura di Lorena Mussini (Landis-Isrebo-Parri)
(Un estratto di questo articolo compare anche nel 1^ numero della rivista degli Istituti Storici Emilia-Romagna E.REVIEW)
Il 28 ottobre 2012, nel 90^ anniversario della Marcia su Roma, è stata inaugurata a Predappio la mostra dal titolo Il mito scolastico della marcia su Roma. La presa del potere delfascismo e la sua narrazione scolastica nelle scuole del regime, curata da Gianluca Gabrielli e promossa da LANDIS-ISREBO-Istituto Parri E-R (oggi Istituto per la storia e le memorie del Novecento Parri E.R), interamente dedicata a questo evento, ricostruito, con efficacia e dovizia di materiali storico-documentali, nella sua realtà fattuale di vero e proprio colpo di stato, preparato ed orchestrato dallo squadrismo fascista.
La mostra propone due percorsi che procedono paralleli.
Primo percorso quello di recuperare storicamente la portata violenta ed eversiva della Marcia su Roma: dimostrare quanto sia stata una rottura tragica, una frattura irreversibile con le istituzioni liberali, piuttosto che una loro deformazione in senso autoritario. L’autore riprende, rafforzandola, la tesi di Giulia Albanese, che contrappone l’idea di un avvenimento di forte impatto politico all’idea del bluff che molte riflessioni storiografiche su questo periodo sostengono poiché si concentrano maggiormente sulle continuità istituzionali – in particolare con l’istituzione liberale – piuttosto che sulle discontinuità.
La tesi storiografica del curatore è che la Marcia su Roma si configuri come un evento poco cruento, un’esibizione di forza, poco più che una sfilata di camicie nere, ma che essa rappresenti l’apoteosi della violenza squadrista che caratterizza la fase precedente e, insieme, l’inizio vero e proprio della dittatura. Si può dunque attribuire alla Marcia su Roma l’originalità storica delle tecniche di conquista del potere[…]. È necessario analizzare le ragioni di quella che fu una rottura nelle prassi politiche e istituzionali oltre che della trasformazione degli orizzonti politici determinata dal fascismo1. L’interesse per le tecniche militari e le strategie poste in atto durante la Marcia è un altro punto di forza della mostra: la massiccia mobilitazione squadrista servì ad assicurarsi il controllo dei più importanti nodi ferroviari (Bologna, Verona, Alessandria) mentre i quadrumviri (De Vecchi, Balbo, De Bono e Bianchi) avevano base operativa a Perugia. Forme di resistenza e di opposizione ci furono (ad esempio nelle stazioni di Civitavecchia, Orte e Avezzano l’esercito aveva bloccato i treni per interrompere la marcia2), ma non furono risolutive. Del resto il colpo di stato aveva riscosso subito simpatia sia negli apparati pubblici, sia nelle gerarchie militari, sia nella stessa figura del Re: su questi aspetti, così come su connivenze e complicità la mostra produce documenti e fonti interessanti per cogliere la complessità del contesto storico-politico, l’intreccio degli interessi e delle alleanze che fecero da corollario all’evento e permettono a nuova forza politica di fare irruzione sulla scena italiana inneggiando ad una rivoluzione, all’uso della violenza distruttiva per rivitalizzare la Nazione, per lavare il disonore legato alla conclusione della I Guerra Mondiale, per rigenerare la classe politica italiana.
Sulla specificità della violenza fascista, Gabrielli mostra un’attenzioneparticolare verso gli oggetti-simbolo dello squadrismo (il manganello e l’olio di ricino) e una cura meticolosa nell’assemblare un ricco repertorio di fonti documentarie, fotografiche e filmiche capaci di mostrare l’efferatezza e la pervasività della violenza. Soprattutto egli suggerisce come questa violenza contenga un surplus di ferocia psicologica, umana e morale (il disprezzo del nemico, la sua disumanizzazione) che si alimenta dell’umiliazione dell’oppositore e della sua riduzione ad essere subumano.
Il secondo percorso ricostruisce i modi attraverso cui la violenza squadrista della Marcia si trasfigura per entrare nel codice dell’alfabetizzazione fascista di Balilla e Giovani italiane attraverso il ricorso agli elementi tipici della narrazione mitica e leggendaria: l’epopea e la festa, la costruzione del nemico, l’idea dell’inizio di una nuova era. L’elaborazione del mito della Marcia su Roma è rapidissima e pervade mondo scolastico (e non solo): già nel 1925 il 29 ottobre diventa festività scolastica, un anno dopo sarà Festa Nazionale.
La potenza mitopoietica del regime si esprime nella Scuola con forza attraverso la narrazione patriottica ed eroica della violenta conquista del potere; la costruzione di una liturgia laica – codificata in rituale che scandisce un calendario civile strettamente legato agli elementi ideologici costitutivi del nascente regime – il patriottismo esasperato; il nazionalismo aggressivo e guerrafondaio; il razzismo umano e politico-sociale; il regime come reazione vigorosa al declino politico, demografico e culturale del Paese. La rivoluzione fascista viene presentata nei manuali e nei riti della celebrazione collettiva come riscatto della nazione rispetto al disfattismo, al disonore e al caos alimentato dai “sovversivi”. Barbarie e violenza del regime si nascondono abilmente in un pensiero e in una politica culturale solida, pervasiva e, insieme, repressiva che trova nella scuola un luogo di vitale ed efficace costruzione del consenso.
Intento del curatore della mostra è stato quello di destrutturare la mitologia fascista per evidenziare il meccanismo dietro la ricerca del consenso e la persuasione coercitiva o occulta; scelta che ha comportato l’attenzione verso il funzionamento della macchina della propaganda e della produzione di miti a uso collettivo. Tutto ciò per comprendere come l’auto-rappresentazione dell’identità fascista sia stata capace di ottenere consenso sia con effetto immediato, sia nel lungo periodo (come certi pellegrinaggi di nostalgici a Predappio testimoniano ancora oggi).
Questa operazione di ricostruzione storica, da un lato, e di “disvelamento” dei meccanismi della propaganda, dall’altro, assume un significato più forte ed incisivo perché è stata realizzata nel novantesimo anniversario della Marcia su Roma ed è stata accompagnata, il 28 ottobre 2012, giorno dell’inaugurazione della mostra nella Casa Natale di Mussolini, da un Convegno di Studi promosso da Istituto Parri, Isrebo, Landis, Comuni di Forlì e di Predappio, Istituti Storici dell’Emilia Romagna in Rete. Gli interventi degli storici – Alessandro Campi, Alberto De Bernardi, Marco Fincardi e Maurizio Ridolfi – hanno creato uno spazio di riflessione e di confronto sulla realtà storico-fattuale della Marcia su Roma e sulla violenza squadrista contro gli uomini e le cose, poi rifluita nel regime e irreggimentata con le leggi fascistissime, strutture portanti di un totalitarismo duro, violento, spietato e, al tempo stesso, persuasivo nella produzione di propaganda ideologica e di consenso. La scelta di allestire la mostra a Predappio, in quella che Mimmo Franzinelli chiama la Betlemme nera, ci propone differenti piani che vengono ad intersecarsi, chiamando in causa, a più livelli, quello che comunemente definiamo come “uso pubblico” della storia.
Uso pubblico che fece il regime fascista, già all’indomani del 28 ottobre, di un evento considerato come l’atto di nascita del regime di Mussolini, il suo inizio definitivo e per questo immediatamente ideologizzato, come mito, nella scuola italiana. Uso pubblico che ne facciamo oggi, consapevolmente, nel momento in cui ricorre proprio il suo 90° anniversario, collocando la memoria di quei giorni proprio nel cuore della città del duce, e scegliendo un linguaggio ed una forma di narrazione che mettono in discussione quel mito, restituito alla cornice nella quale nacque e privato proprio di quella sacralità sulla quale era stato costruito. Il risultato dell’operazione, rafforzata dal Convegno di Studi di cui si è detto, finisce per depotenziare il luogo stesso della capacità propagandistica e propulsiva dell’ideologia fascista – anche se praticata qui ormai più in forma nostalgica – e insieme col mettere in discussione la potenziale portata celebrativa dell’anniversario stesso.
Si tratta di un esito, questo, pensato in particolare in prospettiva educativa già nella fase di costruzione dei percorsi espositivi, che si rivolgono, prima di tutto, al mondo della scuola – a Predappio e in altri luoghi, nei quali saranno trasferiti – con l’ambizione di sollevare interrogativi e di favorire un atteggiamento critico.
E’indubbio che la fruizione di Predappio, in questo ultimo decennio, sia stata prevalentemente funebre, luttuosa, a tratti macabra – se si pensa a certi gadget che vi sono in vendita – e che questo attesti che il luogo è stato ed è vissuto, per lo più, come luogo di sacralizzazione e di omaggio alla salma di Mussolini. Ma altrettanto indubbio è che nel calendario nero di Predappio sia rimasta invariata la centralità della Marcia su Roma, come atto culminante della rivoluzione fascista, reinterpretata come violenza eversiva coniugata, fin da subito, col paradigma epico di una rivoluzione eroica e patriottica. Potrebbe essere interessante indagare sulle ragioni di questo spostamento temporale all’indietro, nella liturgia fascista di Predappio, come sul tentativo di recuperare il valore e il significato autentico dell’ideologia del regime nel fascismo primigenio, piuttosto che in quello di altri periodi, fino alla repubblica di Salò, presentata da certa storiografia come simbolo di estrema fedeltà alla patria e alla parola data all’alleato nazista.
Come risulta da numerose ricerche storiche e culturali effettuate in molti luoghi della memoria europea, legati a particolari avvenimenti della Seconda Guerra Mondiale, i luoghi raccolgono e sedimentano non solo le tracce fisiche degli eventi storici e dei protagonisti che li determinano, ma anche l’uso pubblico successivo, l’elaborazione memoriale spesso conflittuale, problematica o frantumata e dispersa, la rimozione collettiva o individuale di certi aspetti del luogo o delle vicende di cui è detentore. Insomma, il luogo è un potente produttore di storia e di memorie per un determinato territorio e le culture che lo animano: uno snodo importante di trasmissione di queste memorie e delle storie che lo attraversano per chi lo visita e lo pratica. Molto però dipende dal senso dall’operazione politica e culturale che sottende quel luogo e dall’uso pubblico che lo caratterizza in modo prevalente.
Complementare alla nostra versione edulcorata del fascismo italiano e alla percezione abbastanza diffusa di un totalitarismo un po’ “cialtrone e fanfarone”, quindi meno efferato e crudele, forse può essere considerata anche la monumentalizzazione di Predappio, esempio anomalo, benché non unico, e sicuramente atipico nella toponomastica memoriale europea, che si caratterizza come luogo di memoria non dedicato alle vittime, bensì ai carnefici; sacralizzato da una parte di popolazione italiana che ne coltiva la memoria. Predappio non conosce oscuramento né oblìo, da anni, e particolarmente dalla metà degli anni ’90, è meta ininterrotta di pellegrinaggi di centinaia, migliaia di persone; anzi accade lì, con grandissima forza evocativa, quello che Traverso sottolinea, quando ci parla della memoria che “ tende a diventare il vettore di una religione civile del mondo occidentale, con un suo sistema di valori, credenze, simboli e liturgie”. 3 E forse non è casuale che la consacrazione di Predappio registri un’intensificazione di commemorazione, dunque di uso politico di un luogo di memoria, dopo la caduta del Muro di Berlino in Europa e la fine della Prima Repubblica in Italia.
Bibliografia di riferimento
G. Albanese, La Marcia su Roma, Laterza,Bari,2006,
G. Crainz, L’ombra della guerra, Donzelli,Roma,2007,
A. De Bernardi,S. Guarracino, Dizionario Il Fascismo, B.Mondadori, Milano,1998
G. De Luna , La repubblica del dolore. Le memorie di un’Italia divisa, Feltrinelli, Milano, 2011
A. Di Pierro, Il giorno che durò vent’anni, A. Mondadori, Milano,2012
M. Franzinelli, “Predappio, la Betlemme nera”, in La storia negata. Il revisionismo e il suo uso politico, a cura di A.Del Boca, Pozza Editore,Vicenza,2009
N. Gallerano, “Storia e uso pubblico della storia” in L’uso pubblico della Storia, Franco Angeli, Milano,1995
E. Gentile, La Marcia su Roma. E fu subito regime, Laterza,Bari,2012
S. Lanaro, Storia dell’Italia repubblicana,Marsilio,Venezia,1992
M Isnenghi, “ La memoria inquieta”, in I luoghi della memoria, Laterza, Bari,1997
E. Traverso, Il passato: istruzioni per l’uso”, Ombre Corte,Verona,2006