Cagliari: il volto della nuova città borghese. Materiali per un itinerario culturale e didattico
Vista panoramica su via Roma a Cagliari. Crediti: Eduard Marmet – https://www.flickr.com/photos/echomike/51646424512/, CC BY-SA 2.0, Link
Abstract
L’articolo propone un percorso fruibile nella forma di itinerario urbano, con l’obiettivo di indagare il profondo cambiamento della città di Cagliari dalla seconda metà dell’Ottocento, favorito dai mutamenti sociali ed economici e dall’ascesa del ceto borghese e produttivo. Si parte dall’estremità sud del quartiere Stampace, spazio per infrastrutture e nuove attività industriali, procedendo verso il porto, da cui osservare la riqualificazione urbana e il decoro dei nuovi palazzi residenziali secondo uno stile che richiama l’eclettismo, per terminare nell’area della ex Manifattura Tabacchi, raggiunta attraverso il dedalo di vicoli del quartiere Marina, che offre al visitatore il contrasto tra la città antica e la sua evoluzione moderna.
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The article proposes a usable itinerary in the form of an urban itinerary, with the aim of investigating the profound change in the city of Cagliari since the second half of the 19th century, favoured by social and economic changes and the rise of the bourgeois and productive classes. It starts at the southern end of the Stampace district, a space for infrastructures and new industrial activities, proceeding towards the port, from which one can observe the urban redevelopment and decoration of the new residential buildings in a style reminiscent of eclecticism, and ending in the area of the former Manifattura Tabacchi, reached through the maze of alleyways of the Marina district, which offers the visitor the contrast between the ancient city and its modern evolution.
Introduzione
E improvvisamente ecco Cagliari: una città nuda che si alza ripida, ripida, dorata, accatastata nuda verso il cielo dalla pianura all’inizio della profonda baia senza forme. È strana e piuttosto sorprendente, per nulla somigliante all’Italia. La città si ammucchia verso l’alto, quasi in miniatura, e mi fa pensare a Gerusalemme: senza alberi, senza riparo, che si erge spoglia e fiera, remota come se fosse indietro nella storia, come una città nel messale miniato da un monaco. Ci si chiede come abbia fatto ad arrivare là. Sembra la Spagna, o Malta: non l’Italia.
David Herbert Lawrence, Mare e Sardegna, 1921
Questa è l’immagine che Lawrence, scrittore, poeta, pittore inglese, ha di Cagliari durante il suo viaggio nell’isola, nel 1921.
Fino alla metà del XIX secolo Cagliari è una città sostanzialmente medievale: ha imponenti fortificazioni, parti delle quali mirabilmente conservate e ancora oggi elemento distintivo inconfondibile del profilo urbano, e un’organizzazione sociale fondata sui privilegi del ceto nobiliare che abita il quartiere di Castello, colle trasformato in una cittadella fortificata a partire dal XIII secolo ad opera dei dominatori pisani. Il contesto resta quasi immutato durante le successive epoche di dominazione iberica (prima aragonese e poi spagnola) e per parte di quella sabauda.
A metà dell’Ottocento la città vive una profonda trasformazione, che porta a un nuovo assetto urbano e a nuove opere, specchio dei profondi mutamenti economici e sociali dai quali ha origine lo sviluppo del ceto produttivo e industriale.
Questo delicato passaggio fa emergere una nuova città aperta verso il mare, una continuità urbana con l’affaccio costiero che le costruzioni medievali, chiuse da cinte bastionate, torri e cortine murarie, fino a quel momento avevano impedito.
Del resto, nel corso dei secoli il mare e la posizione di assoluta centralità nel bacino del Mediterraneo non hanno favorito soltanto proficui scambi commerciali, quali l’esportazione dell’“oro cittadino” – il sale –, ma hanno anche esposto Cagliari a incursioni di corsari e pirati, a tentativi di conquista e a terribili focolai di epidemie.
A un tratto la città si riappropria dello spazio adiacente all’area portuale e assiste alla nascita del caratteristico volto urbano visibile a chiunque provenga dal mare.
Le tracce di questa evoluzione, dei suoi percorsi storici e degli intrecci che l’hanno caratterizzata, si possono intercettare attraverso un itinerario che consenta di leggere il contesto urbano e i suoi sviluppi.
Il percorso che qui si propone, come modello e racconto, prende le mosse dalla Stazione delle Ferrovie dello Stato e termina dinanzi alla ex Manifattura Tabacchi, snodandosi nello spazio cittadino attraverso una serie di tappe nell’area dei quartieri a sud: Stampace e Marina, rispettivamente ala e coda di un’aquila, forma alla quale è ispirato l’originario impianto medievale.
Una città tra due secoli
L’arco temporale a cui riferirsi è compreso tra la seconda metà dell’Ottocento e la parte iniziale del Novecento; si tratta di una finestra storica determinante per la trasformazione della città.
L’Ottocento è un secolo importante per Cagliari soprattutto riguardo ai cambiamenti nell’assetto urbano della città esistente, del suo centro, dopo quattro secoli di sostanziale immobilismo.
L’estetica si modifica di riflesso ai mutamenti sociali ed economici; alla stessa maniera mutano la concezione dello spazio urbano e della sua fruibilità e i modi di vivere quello stesso spazio.
Sboccia la Cagliari della nascente, ricca borghesia e insieme un nuovo gusto nel ripensare la vita quotidiana nelle vie cittadine. Si avviano nuove attività industriali e commerciali, si costruiscono vani porticati per le passeggiate, proliferano i caffè e gli alberghi per i viaggiatori, che si aggiungono alle storiche osterie.
Il Novecento è altrettanto cruciale, ma lo è soprattutto in termini di espansione urbana nelle aree non ancora abitate, a seguito della distruzione dei bombardamenti alleati nel 1943. La città ne porta ancora i segni, nonostante una rapida e convulsa attività di ricostruzione talvolta orientata a interventi di ripristino o conservativi, talaltra all’abbandono, alla distruzione e all’edificazione ex-novo di moderne architetture su vestigia meritevoli di maggiore tutela. È il caso, a esclusivo titolo di esempio, della chiesa seicentesca dei santi Giorgio e Caterina, sacrificata durante le fasi di ripresa postbellica; originariamente ubicata in “sa costa”, attuale via Manno (che ancora oggi delimita il confine tra la Marina, quartiere del porto, e la già citata rocca di Castello), essa è stata successivamente riedificata in un quartiere residenziale.
L’espansione a est, iniziata durante il Ventennio dal regime fascista, alla ricerca di nuovi spazi per le sue opere monumentali (quali la sede del Comando Legione Carabinieri ed il Palazzo di Giustizia), prosegue nel secondo dopoguerra e vede la città crescere rapidamente, con la nascita di nuovi quartieri residenziali che vanno a occupare lo spazio fino al litorale del Poetto e cambiano profondamente il paesaggio urbano.
L’area della stazione ferroviaria
Dalla seconda metà del Settecento, nella vasta area a ovest della città, nella parte più esterna del quartiere di Stampace basso, si rileva la presenza di concessioni di suolo pubblico in favore di piccole attività artigianali, perlopiù di forni per la produzione di calce e di rivendite di legno e carbone. Nel tempo, questa sorta di vocazione pre-industriale si consolida e si estende anche all’area del Carmine, con piccoli laboratori artigianali di produzione di tegole e vasellame e mulini per la macinazione del mirto, utilizzato nelle attività di concia.
Una svolta nel ripensare la riqualificazione cittadina è senza dubbio favorita da un importante avvenimento: la richiesta (1864) e il successivo ottenimento di un’area a sud di Stampace per la costruzione della stazione da parte della Compagnia Reale delle Ferrovie Sarde, odierna stazione delle Ferrovie dello Stato.
La concessione dello spazio non è immediata, bensì il risultato di anni di confronto all’interno del Consiglio comunale, a causa delle difficoltà di esproprio dei terreni, del timore di speculazioni edilizie esterne al servizio, e infine a seguito della lunga discussione sulla possibilità di individuare un luogo alternativo più adatto per edifici e impianti.
La stazione definitiva, quella attuale, viene inaugurata nel 1879; questa circostanza rappresenta un notevole impulso ai cambiamenti che interessano un’area storicamente molto importante e mutano, tassello dopo tassello, il volto della città.
Dalla stazione è possibile osservare la presenza di due imponenti edifici porticati. Il primo è Palazzo Vivanet, costruito tra il 1893 e il 1895 in stile neogotico, nel quale sono chiaramente visibili i segni della ricostruzione a seguito dei danni subiti dai bombardamenti alleati nel 1943: sulla facciata, infatti, si notano differenze di colore dovute a una ricucitura architettonica della parte sventrata dalle bombe. Il secondo è uno degli edifici più importanti di Cagliari, il Palazzo civico, intitolato a Ottone Bacaredda, giurista che per lunghissimo tempo, proprio negli anni di trasformazione sociale e urbana, ricopre la carica di sindaco della città. A lui si deve, tra le innumerevoli iniziative di cambiamento, proprio la costruzione del nuovo palazzo del Comune, in sostituzione della vecchia sede amministrativa nel quartiere di Castello, il “Palazzo di città”, oggi sito culturale e museale. Il bando per la realizzazione del municipio è datato 1896 ed è aggiudicato ai titolari del progetto denominato “Palmas”, firmato dagli architetti piemontesi Crescentino Caselli e Annibale Rigotti. La prima pietra viene posata il 14 aprile del 1899 alla presenza dei reali Umberto e Margherita di Savoia e l’inaugurazione ha luogo nel 1907. La struttura si ispira agli stili gotico catalano e liberty. Due torri ottagonali completano il prospetto arricchito da inserti bronzei e obelischi a forma dei quattro mori.
L’area del Carmine
Lasciata la stazione, si risale verso l’attuale piazza del Carmine, da cui possiamo individuare con chiarezza i segni di quei cambiamenti che, per spinte e ragioni diverse, sono intervenuti a modificare quest’area lungo il corso dell’Ottocento e del Novecento.
A partire dalle tracce visibili, è possibile indagare e immaginare non solo l’evoluzione della piazza, ma anche di tutta la parte a ovest della stessa.
La Chiesa e il convento, edificati nella seconda metà del Cinquecento, in forme differenti da quelle visibili oggi, sono il centro di un territorio all’epoca più vasto, esterno all’abitato e alle sue mura, la cui distanza dai luoghi della vita cittadina rendevano adatto per le esecuzioni capitali e le sepolture dei morti di colera.
Fin da allora l’area della piazza è uno spazio irregolare ma con contorni riconoscibili, che nella prima metà dell’Ottocento è oggetto delle prime idee di riqualificazione, realizzate anche attraverso il piano di Gaetano Cima, uno dei più illustri architetti sardi. Il suo progetto prevedeva che la piazza avesse la forma di uno starello (rettangolo di 100 m per 50 m) e che fosse collegata a un viale alberato, da realizzarsi nello spazio poi occupato da viale San Pietro (dal nome della piccola chiesa di San Pietro dei pescatori), oggi viale Trieste.
Il progetto non viene portato a compimento, ma l’area è delimitata con l’apposizione di quattro cippi marmorei, per lungo tempo unici segni di distinzione dei margini dello spazio che, nonostante la poca cura, resta un luogo centrale per gli abitanti, soprattutto in occasione di due importanti feste religiose che animano la città: Sant’Efisio (maggio) e la Madonna del Carmine (luglio).
Intanto, la prima vocazione industriale non tarda a svilupparsi, complice l’ascesa del ceto borghese che investe nei settori produttivi.
La società sta mutando volto e trascina in questo cambiamento anche il paesaggio urbano.
L’individuazione delle tracce di quella trasformazione è contenuta in alcuni dettagli architettonici. È il caso della fonderia “Officina meccanica Doglio” del 1865, primo vero insediamento produttivo, che fa di piazza del Carmine il luogo privilegiato per il nascente apparato industriale. Alcune parti superstiti della sua struttura esterna sono facilmente individuabili nell’angolo a sud ovest prospiciente la piazza. La fonderia non resta isolata: ben presto si sviluppa una rete di altre attività produttive, quali pastifici, mobilifici e concerie. Sorgono anche i primi fabbricati residenziali e, successivamente, in epoca fascista, quelli di edilizia pubblica: il Palazzo delle poste centrali, quello del Provveditorato alle opere pubbliche e la scuola intitolata al poeta Sebastiano Satta.
La statua in marmo della Vergine, che oggi domina il centro della piazza, è dedicata all’Immacolata Concezione. Alla data della sua posa, nel 1882, l’area risultava ancora scarsamente edificata.
Largo Carlo Felice – banche e mercati
Il largo Carlo Felice vive uno sviluppo del tutto singolare. Nel 1886, su progetto dell’ingegner Enrico Melis, è inaugurato il mercato civico. La nuova struttura è formata da due edifici con architetture molto diverse tra loro, separati da una strada, attuale via del Mercato vecchio.
È ancora una volta Lawrence a offrire la pittoresca immagine di quel luogo, visitato insieme alla moglie, Frieda. Egli descrive con dovizia di particolari i banchi ricchi di derrate alimentari di ogni genere e il racconto è così suggestivo che al lettore sembra di trovarsi lì, tra i colori e i profumi del cibo.
Tuttavia, vi è una circostanza apparentemente insolita sulla quale lo scrittore inglese si sofferma: un ragazzino con una enorme cesta di paglia al seguito di una distinta signora dell’alta società.
È molto comune intorno al mercato imbattersi nei cosiddetti piciocus de crobi, in lingua sarda “ragazzi con la cesta”, bambini o poco più, poveri, spesso orfani o abbandonati, senza un tetto, che si guadagnano da vivere trasportando nelle ceste la spesa per le ricche famiglie cittadine.
Per diversi anni, l Largo Carlo Felice non ha una connotazione specifica e si caratterizza per la coesistenza di strutture destinate ad attività completamente diverse.
Da un lato il mercato, luogo dall’atmosfera fortemente popolare, dall’altro una serie di edifici di gusto neorinascimentale che ospitano istituti bancari e commerciali, sorti negli anni Venti e Trenta del Novecento a testimonianza della necessità di garantire una rete di servizi funzionali alla società in mutamento.
Luca Beltrami, architetto milanese noto per opere di grande prestigio quali l’ideazione, in tutto o in parte, di alcuni palazzi di piazza della Scala a Milano e la costruzione della Pinacoteca vaticana, a Cagliari progetta gli edifici della Banca Commerciale e della Camera di Commercio.
A questi si affianca il Banco di Napoli, che trasferisce la sua sede nell’ex Palazzo Devoto, contiguo al palazzo della Banca Commerciale. I due palazzi sono separati nel 1957, quando le esigenze di viabilità determinano l’apertura sul Largo della via Mameli; conseguentemente, sui lati del nuovo sbocco, gli edifici subiscono una ricostruzione.
La contraddizione tra la city in miniatura e is piciocus de crobi si risolve a favore della finanza: negli anni Cinquanta del XX secolo il Comune di Cagliari cede l’area del mercato ad alcuni istituti di credito e alla Banca d’Italia, che edificano le loro attuali sedi spazzando via un pezzo di vita cittadina. Tuttavia, a uno sguardo attento non possono sfuggire le parti ancora in piedi e distinte della struttura del vecchio mercato.
La città vista dal mare
La borghesia che acquisisce denaro e prestigio deve soddisfare anche le proprie esigenze abitative. La costruzione di residenze di pregio per le famiglie dell’alta società si lega alla riqualificazione urbana voluta dall’amministrazione comunale. Il porto è il miglior punto di osservazione del mutamento complessivo.
Torniamo all’assetto medievale: cortine murarie e torri di avvistamento hanno lasciato spazio a poderosi bastioni, che nell’Ottocento sono in grave decadimento e perdono utilità, come sancito dalla cancellazione di Cagliari dall’elenco delle piazzeforti del Regno.
Nel quartiere Marina prende avvio una lunga fase di demolizione dei baluardi, insieme ad una intensa opera di risanamento igienico, a causa del fetore esalato dagli stabilimenti per la concia. Ai piedi dei bastioni costruzioni a due piani ospitano abitazioni modeste e piccole attività.
Da questo assetto urbano nasce uno degli assi viari più importanti della città e il continuum architettonico oggi noto come “Palazzata” di via Roma. Inaugurato nel 1883, l’impianto edilizio unisce la stazione ferroviaria alla darsena. Il regolamento comunale del 1892 ha previsto in quell’area fabbricati con i portici e criteri di uniformità degli edifici. Tuttavia la demolizione dei piccoli caseggiati va a rilento e l’amministrazione incentiva il compimento dei progetti con contributi pubblici e agevolazioni.
Il nuovo fronte architettonico, dalla stazione fino al termine di via Roma, è composto dal Palazzo Vivanet, dal Palazzo Civico e, superato il largo Carlo Felice, dagli altri imponenti edifici porticati della Palazzata, nella quale figurano: il palazzo della Rinascente, Magnini II, Magnini/Putzu-Spano, Garzia-Vivanet, Leone-Manca, Devoto, Vascellari-Beretta. Tra questi ultimi due si frappone la chiesa di San Francesco da Paola, rimaneggiata per allinearla alle costruzioni adiacenti e armonizzare la visione d’insieme e la continuità del passaggio; il prospetto dell’originario impianto seicentesco è sostituito da una facciata in stile neorinascimentale.
A est il palazzo del Consiglio regionale (1963-1988), edificato a seguito della demolizione di piccole abitazioni e di fabbricati danneggiati dai bombardamenti, rompe con lo stile eclettico degli altri edifici. Per tali ragioni aspre polemiche ne rallentano il completamento.
Proseguendo, il palazzo Ravenna e quello Zamberletti – distrutto dai bombardamenti del ’43 e sostituito dal Palazzo INA – concludono il prospetto della Palazzata. Nelle vicinanze sono presenti piccole case a schiera, in discontinuità con le altre strutture, straordinariamente sopravvissute, a testimonianza delle vecchie architetture presenti nell’area portuale.
Il lasso di tempo che intercorre tra la costruzione di Palazzo Vivanet (1893-1895) e di quello del Consiglio regionale (1988) è di circa un secolo: quasi cento anni per conferire a Cagliari una nuova immagine.
A esclusione dei citati elementi di discontinuità, l’insieme ha una sua coerenza nel decoro architettonico, uno stile che richiama l’eclettismo e dettagli comuni quali il rispetto delle altezze dei piani.
Oltre l’apparenza
L’area porticata della Palazzata assume i contorni di una passeggiata che diventa il salotto della città. Fioriscono nuove attività commerciali e i caffè divengono i nuovi luoghi di incontro della ricca borghesia cittadina e degli intellettuali.
Siamo ancora immersi in quello spazio che Cagliari offre a chi arriva dal mare quale sua immagine caratterizzante. Ma al di là delle eleganti forme dei nuovi palazzi, cosa resta? Per scoprirlo è sufficiente imboccare uno qualsiasi dei vicoli che dalla via Roma, perpendicolarmente, si snodano nel rione Marina, considerato, ben prima del restyling otto-novecentesco e per via del suo affaccio sul mare, la vetrina della città.
Marina è da tempi antichi un luogo vivace, cosmopolita, votato al commercio; è il quartiere dei pescatori, dei lavoratori del porto, riuniti nel gremio dei Santelmari, ed è approdo di genti e viaggiatori, non a caso sede privilegiata dei primi alberghi. Un crogiuolo di vite, esperienze, provenienze diverse che articolano una società multisfaccettata, animata da scambi, interessi commerciali e affari di ogni genere. Un luogo profondamente diverso da Castello, centro degli affari di governo, dei lignaggi, delle cariche e dei notabili altolocati.
Sono sufficienti pochi passi per ritrovarsi di fronte al quartiere vecchio, un reticolo di viuzze stretto nei suoi confini: a sud il porto, i grandi viali a est e a ovest e la già citata “sa costa” a nord; il contrasto è forte ed immediato e la breve incursione tra i vicoli serve a comprendere meglio cosa significhi quel nuovo volto sul mare.
Le stradine che risalgono da via Roma verso il quartiere di Castello hanno un andamento ascendente, una certa regolarità nel primo tratto per poi curvare ed assumere, con l’aumentare della pendenza e l’approssimarsi al confine con il colle, un tracciato più dinamico, a tratti intervallato da ripide scalette.
Il quartiere è uno scrigno di tesori archeologici, alcuni dei quali inaspettatamente riemersi dal sottosuolo alla fine del Novecento in seguito a lavori di scavo; ricche testimonianze di tempi lontanissimi, ruderi sottoposti a interventi conservativi o di valorizzazione, numerose chiese, cripte, tracce di strutture ospedaliere e sagrati su antichissime aree sepolcrali. Qui si sono intrecciati i percorsi di confraternite e corporazioni, la devozione e i commerci, compreso quello tristemente noto degli schiavi.
La convivenza secolare tra gli abitanti del luogo e i forestieri arrivati per un singolo affare o per costruire a Cagliari la loro vita rende il quartiere Marina aperto a connubi familiari e affaristici e a mescolanze tra culture diverse.
Viale Regina Margherita e la Scala di Ferro
Procedendo tra i vicoli verso est, si arriva nel viale Regina Margherita, margine orientale del quartiere un tempo caratterizzato dalla presenza di fortificazioni. Il bastione di Monserrato, detto anche “bastione dei morti” poiché sorto su un’antica area funeraria romana e, a metà Ottocento, ancora adibito a cimitero per le salme dei soldati dell’ospedale militare, abbandona la funzione militare e si inizia a caratterizzare per alcune nuove costruzioni, legate a quei mutamenti sociali ed economici che costituiscono il filo conduttore del percorso.
Il Teatro Diurno (poi Cerruti, poi Politeama Margherita) e uno stabilimento termale offrono alla buona società cittadina un tocco di mondanità ed attività ricreative e di svago, destinate alle dame e ai gentiluomini in piena Belle époque.
Le vicissitudini di quest’area, complesse e dense di accadimenti, portano alla realizzazione di quello che per lungo tempo è considerato il più importante, rinomato ed elegante albergo della città: la Scala di Ferro. Inaugurato nel 1877 e dismesso a metà degli anni ’60 del Novecento, pare abbia ospitato personaggi di grande spicco quali lo storico e filologo tedesco Theodor Mommsen, noto in Sardegna in modo particolare per aver confutato i Falsi d’Arborea, Gabriele D’Annunzio, Filippo Tommaso Marinetti, Salvatore Quasimodo, Carlo Levi, Sibilla Aleramo, Fausto Coppi, Gino Bartali e Antonio De Curtis, in arte Totò.
Dal prospetto della facciata sul viale Regina Margherita è possibile comprendere la particolarità della sua architettura: diverse immagini storiche ci restituiscono un edificio in stile neogotico con colori a contrasto (bianco e nero) e con le caratteristiche torri merlate. Le parti rimanenti dello storico albergo sono oggetto di un progetto di restauro finalizzato all’apertura di una struttura ricettiva di lusso.
Il percorso termina nella parte inferiore del viale Regina Margherita, dinanzi a un luogo carico di fascino e di storia: la ex Manifattura Tabacchi, meritevole di una visita ad hoc.
La struttura, oggi uno dei centri nevralgici di produzione, espressione e trasmissione culturale dell’intera regione, resta un pezzo di storia importantissimo, coinvolta in quei mutamenti che ci hanno accompagnato lungo il percorso ideale dentro la città e le sue epoche. Percorso dal quale emerge quanto la lettura dei luoghi attraversati sia profonda, affascinante e ricca di curiosità, e quanto sia utile a restituire l’intreccio delle vicende storiche della città.
Bibliografia
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