Cattedrali nel deserto? Il caso Ottana per l’industrializzazione del centro Sardegna
Lo stabilimento di Ottana. Foto dell’autore.
Abstract
L’autore illustra l’origine e il significato della fabbrica di Ottana, nel centro Sardegna, offrendo un’ipotesi di periodizzazione che ne scandisca le fasi, dalla progettazione alla definitiva chiusura. Si affrontano poi i nodi fondamentali del progetto di realizzazione degli impianti, con le implicazioni economiche e sociali e l’impatto che, una volta avviati, ebbero sul territorio dal punto di vista politico. Sorta quando ormai la crisi petrolifera del 1973 annunciava la fine di un’era, questa fabbrica ha visto affermarsi un movimento combattivo di lavoratori e lavoratrici, che ha tenacemente condotto una lunga lotta per la sopravvivenza. Seppur sconfitta, la mobilitazione ha contribuito a modificare gli assetti sociali e politici del suo territorio di riferimento. Nell’ultima parte l’autore propone alcuni spunti di riflessione didattica che tengono insieme la storia locale e quella nazionale.
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The author illustrates the origin and significance of the Ottana factory in central Sardinia, offering a hypothesis of a periodization that marks its phases, from planning to final closure. He then discusses the fundamental nodes of the plant’s construction project, with its economic and social implications and the impact it had on the territory from a political point of view, once it was set up. Rising when the 1973 oil crisis heralded the end of an era, this factory saw the emergence of a combative movement of men and women workers, who tenaciously waged a long struggle for survival. Although defeated, the mobilisation contributed to changing the social and political structures of its territory. In the last part, the author proposes some didactic reflections that bring together local and national history.
Introduzione. Cosa è stata e cosa ha rappresentato la fabbrica di Ottana
Il progetto di industrializzazione della Media Valle del Tirso nasce alla fine degli anni Sessanta come tentativo di superare i limiti e l’arretratezza della società agro-pastorale del centro Sardegna. Seguendo le parole d’ordine del tempo, l’obiettivo da raggiungere impiantando l’industria e garantendo quindi occupazione stabile era quello di contrastare il duplice fenomeno dell’emigrazione e del banditismo (in particolar modo dei sequestri di persona), che incidevano in modo significativo sull’area. Le cause del malessere, così avrebbe poi concluso la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla criminalità in Sardegna nel 1972, andavano ricercate proprio nella struttura della società agropastorale, mentre l’industrializzazione appariva come la cura capace di guarire un malato di lungo corso.
Il clamore mediatico su questa fabbrica è oggi calato (forse quasi scomparso) e quando torna all’attenzione pubblica accade prevalentemente per ragionare degli effetti nocivi che ha avuto sull’ambiente e sulla salute dei lavoratori e degli abitanti delle zone limitrofe. Per un lungo periodo, tuttavia, Ottana è stata centrale nel dibattito economico, sociale e politico non solo per il territorio direttamente interessato, ma anche a livello regionale e nazionale.
Una periodizzazione relativa a tutta la vicenda si rende in prima istanza necessaria osservando però che tanto è relativamente più semplice rilevare il termine a quo quanto è più complicato individuare quello ad quem.
La prima fase, collocabile tra il 1969 e il 1973, corrisponde all’ampio dibattito sulle ragioni che hanno portato all’avvio del progetto nell’ambito del settore chimico e delle fibre tessili. Si risponde a domande sul perché la fabbrica è stata costruita, su chi l’ha voluta, sul perché è stato scelto quel luogo specifico o su quali obiettivi erano stati prefissati. In questa fase è inclusa anche la realizzazione stessa degli impianti.
Una seconda fase coinvolge gli anni che vanno dal 1973 al 1976 e riguarda l’avvio delle attività produttive, alle quali però si connettono altri fenomeni che fanno dello stabilimento di Ottana un interessante laboratorio sociale e politico. È in questo momento che si comprende l’impatto della fabbrica sul piano sociale in un contesto prevalentemente agropastorale, con particolare attenzione alla trasformazione da pastori a operai, all’ingresso in fabbrica anche di manodopera femminile e al ritorno di emigrati dalla penisola e perfino dall’estero. Non meno rilevante è l’impatto sul piano politico, dal quale emerge nell’immediato un importante cambiamento degli equilibri nell’area coinvolta e un inedito (per il centro Sardegna e il nuorese) spirito di partecipazione.
A partire dalla fine del 1976 si inizia a discutere, dopo solo tre anni dall’avvio della produzione, della capacità della fabbrica di raggiungere gli obiettivi prefissati, anche alla luce di uno scenario internazionale che aveva ridimensionato il settore chimico in generale (e delle fibre tessili in particolare) già dalla crisi petrolifera del 1973, e che mostrava le sue crepe a partire dalla metà del decennio. Il periodo che dal 1976 arriva fino al 1984 costituisce quindi la terza fase, caratterizzata prevalentemente dalle lotte per mantenere vivo il sogno industriale e il posto di lavoro. All’interno di essa possiamo distinguere un momento iniziale, fino alla fine degli anni Settanta, di forte combattività e protagonismo dei lavoratori e delle lavoratrici e un secondo momento, a partire dal 1980 (con l’acquisizione dell’Eni dell’intera proprietà degli stabilimenti, prima condivisa con Montedison), che porta alla prima vera ristrutturazione del 1984.
A partire da questa circostanza comincia invece il lungo declino fino al faticoso smantellamento di parte degli impianti. Anche per questi ultimi decenni costituisce una cesura periodizzante il momento del disimpegno da parte dell’Eni nel 2002, che chiude non solo la quarta fase di questa vicenda ma anche una pagina importante di storia dell’industria pubblica nel nostro Paese.
La quinta e ultima guarda al presente, alla frammentazione di quella realtà in molteplici aziende destinate alla chiusura nel giro di pochi anni e all’abbandono di un’area in cui rimane soprattutto un progetto di produzione energetica che impiega poche decine di persone a fronte delle quasi tremila attive all’inizio dell’esperienza.
Come nasce la fabbrica
La chimica entrò in Sardegna alla fine degli anni Cinquanta dalla porta principale, grazie a una legge (623 del 30 luglio 1959) che permise ai principali gruppi italiani (Rovelli-SIR, Gualino-Rumianca, Moratti-Saras, Snia-Viscosa) di avviare investimenti produttivi nell’isola e di inserirsi come interlocutori di rilievo di quello che sarà il Piano di Rinascita[1]. Va tuttavia ricordato che dalla fine degli anni Sessanta si posero i presupposti per quella “guerra della chimica” che avrebbe caratterizzato il settore nel decennio successivo: una guerra particolare e miope che non teneva assolutamente conto dei processi di internazionalizzazione che riguardavano tutti gli ambiti industriali ed economici[2].
Per la piana di Ottana vennero presentati nel 1969 due progetti: uno dall’Eni (insieme a Montedison), con l’intento di realizzare il più grande stabilimento italiano di fibre sintetiche, e uno da Rovelli, che puntava a consolidare la sua presenza sull’isola (dopo Porto Torres).
Nello stesso anno si era insediata la Commissione parlamentare d’inchiesta sui fenomeni di criminalità in Sardegna presieduta dal democristiano Luigi Medici che avrebbe restituito nel 1972 un quadro impietoso della condizione sociale ed economica delle zone interne della Sardegna, proprio nel momento di massima diffusione del fenomeno dei sequestri di persona[3].
La risposta al malessere e alla criminalità non fu l’unica causa della nascita dell’industria a Ottana, anche perché i lavori preliminari per la realizzazione degli impianti iniziarono subito dopo l’approvazione da parte del Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica), che avvenne nella primavera del 1969. Sulle prime si scatenò una vera e propria guerra, intanto per l’acquisto dei terreni dai privati da parte di Eni-Montedison e Sir e, in seguito, per le opere di sbancamento necessarie alla realizzazione degli stessi. Tra il 1971 e il 1973 entrambi gli stabilimenti erano in fase di realizzazione, anche se fu solo quello di Eni e Montedison a partire, attraverso la costituzione delle due società Fibra del Tirso SpA., per la produzione di fibre acriliche e poliestere, e Chimica del Tirso SpA., che avrebbe prodotto l’acido tereftalico, necessario per la fabbricazione delle fibre, e gestito i servizi necessari a tutta l’area industriale, soprattutto l’approvvigionamento energetico e l’impianto di depurazione.
La realizzazione del progetto industriale nella Media Valle del Tirso, in conclusione, può essere letta come parte di quella serie di interventi e provvedimenti che tentò di colmare il divario tra Nord e Sud, ultimo grande (e fallimentare) intervento pubblico degli anni Settanta finalizzato a governare e a superare tale squilibrio[4].
Un investimento politicamente “ingrato”
Oltre che argine contro il fenomeno del banditismo, la fabbrica era considerata anche strumento per frenare l’emigrazione e, anzi, favorire il ritorno di coloro che erano stati costretti nel recente passato ad abbandonare i propri paesi d’origine a vantaggio delle grandi città industriali del Nord Italia o a migrare all’estero, in Francia, Germania o Svizzera. Erano queste le premesse dell’investimento, oltre che economico, di natura politica, effettuato dalla Democrazia cristiana, che puntava in questo modo a consolidare la sua presenza elettorale in un’area comunque già saldamente sotto il suo controllo. Molti furono gli esponenti della Dc sarda a volere l’industria a Ottana, e ancor di più la vollero i democristiani nuoresi[5].
Tuttavia, il duplice investimento, economico e politico, fu senza dubbio fallimentare. Se il fallimento di natura economica (con le profonde ricadute in termini sociali, occupazionali e anche ambientali) lo si è visto nel medio e lungo termine, quello politico presentò il conto da subito e si rivelò, per la Dc, piuttosto salato.
Fino al 1972 infatti, nel collegio elettorale di Nuoro comprendente anche l’area dove sorse la fabbrica, il maggiore partito italiano registrava risultati percentuali ancor più elevati rispetto ai voti ottenuti su base nazionale: alle elezioni politiche superava il 50% mentre a livello nazionale era al di sotto del 40%. Nello stesso periodo, il Pci andava sistematicamente al di sotto della sua soglia nazionale (che era pari a circa il 25%) registrando appena il 20% dei consensi[6]. La presenza di masse non politicizzate e la pressoché totale assenza di quelle strutture che altrove avevano favorito la crescita e il consolidamento della subcultura social-comunista (case del popolo, movimento cooperativo, sezioni partecipate, cellule sui luoghi di lavoro) facevano ritenere agli esponenti democristiani che l’investimento nella zona della provincia nuorese avrebbe avuto un facile riscontro anche in termini di consenso.
Non andò però in questo modo e, sebbene il movimento operaio che ne nacque fu mitizzato all’esterno e autoalimentato al suo interno[7], va sottolineato come esso contribuì a modificare gli assetti politici del territorio. In quella fabbrica non si adagiarono, infatti, lavoratori docili, inermi e pronti a essere eterodiretti come (forse?) la Dc aveva sperato, ma si consolidò un movimento capace di coinvolgere operai, tecnici e amministrativi che intorno al Consiglio di fabbrica trovarono un punto di riferimento capace di costruire un’immagine nuova per il mondo del lavoro del centro Sardegna.
La controprova di questo ragionamento è rappresentata dai dati elettorali della seconda metà degli anni Settanta. Le amministrative del 1975 videro a livello provinciale un netto avanzamento del Pci, capace di conquistare il 31% dei voti mentre la Dc manteneva il controllo sul Consiglio provinciale ma si fermava a circa il 37% dei consensi[8]. Il dato più significativo venne però dalle elezioni comunali, dove si registrò una netta affermazione delle liste di sinistra (comunisti e socialisti uniti) che conquistarono la maggior parte dei comuni limitrofi alla fabbrica, dai quali proveniva la manodopera che lavorava negli stabilimenti[9].
Le origini di questo processo di radicalizzazione politica vanno ricercate nei percorsi di formazione e addestramento professionale compiuti da molti dei tecnici della fabbrica. Poiché il territorio non forniva direttamente competenze e professionalità spendibili nell’industria chimica, si rendeva necessario attivare dei processi di selezione volti ad individuare le figure idonee. Dopo una prima fase teorica, i corsisti erano inviati negli stabilimenti della penisola di Eni e Montedison. Nel giro di quattro anni quasi duemila giovani destinati a diventare operai, tecnici e impiegati fecero esperienza in fabbriche strutturate e appresero, oltre che il mestiere, le modalità organizzative e di lotta di movimenti già sviluppati, maturando una profonda coscienza sindacale e politica fatta propria una volta tornati a casa[10].
Un ruolo decisivo in questo percorso lo ebbero il Consiglio di fabbrica e il più ristretto Comitato esecutivo ( delegato a trattare con l’azienda i problemi dei singoli reparti nella quotidianità), entrambi nati nel maggio del 1973, prima ancora che gli impianti avessero avviato la produzione. In fabbrica agivano inoltre le strutture dei principali partiti politici (Dc, Pci, Psi e Psd’Az)[11] anche se fu soprattutto il Pci (e la Cgil sul versante sindacale) a capitalizzare in questa fase il consenso nei due organismi di rappresentanza dei lavoratori e delle lavoratrici.
Il Consiglio ben presto ebbe a disposizione una sala che divenne un luogo dall’alto valore simbolico, non solo per le riunioni degli organismi rappresentativi, ma anche perché ospitò tanti momenti di discussione a livello sia sindacale che politico. Fu in queste sale che si tenne la Conferenza di produzione nel febbraio del 1977 e che passarono negli anni tante figure politiche disposte a confrontarsi coi lavoratori su temi come lo sviluppo, la difesa dell’occupazione, le prospettive future, non solo della fabbrica, ma anche del sistema Paese in generale[12].
La sala (o meglio, quel che ne rimane oggi) contiene un murale realizzato durante il periodo di autogestione alla fine del 1977 da un gruppo di artisti, tra i quali era presente il senese Francesco Del Casino, che aveva in quegli anni avviato il progetto dei murales nelle strade di Orgosolo[13]. Il murale occupa un’intera parete della sala e rappresenta il senso della lotta generale della classe operaia del centro Sardegna mettendo in scena un pastore che osserva due manifestanti, un uomo e una donna, dai volti che richiamano le forme delle maschere dei merdules, tipiche del carnevale ottanese[14]. Ai lati appare un possente braccio che tiene e sventola una lunga bandiera rossa, che avvolge buona parte della composizione e protegge la scritta, anch’essa in rosso, “a fora sa classe isfrutadora”[15]. Oggi il murale, come tutta la sala, sta attraversando una fase di degrado dove l’incuria e l’abbandono sgretolano i pezzi materiali di questa storia anche attraverso uno dei suoi simboli più rilevanti.
Il 1977 a Ottana: l’inizio della lunga, e costante, lotta per la sopravvivenza
Il percorso di lotta dei lavoratori di Ottana fu piuttosto precoce, inizialmente al fine di evitare i licenziamenti per coloro che avevano partecipato alla realizzazione degli impianti con le ditte esterne (che vennero riqualificati e assunti dalle due società del Tirso) e in seguito per vedere riconosciuto il contratto nazionale dei chimici. È però dalla fine del 1976 che si formò un coeso movimento che diede avvio ad un significativo ciclo di lotte, che divenne via via simbolo di una forma di resistenza per la sopravvivenza per poi rassegnarsi alla chiusura delle attività produttive. Una storia completa di tutto questo ciclo è ancora difficile da scrivere, perché mancano troppe fonti che ci permettano di dare dimensione storica al fenomeno, soprattutto per quel che concerne le sue connessioni con i processi di deindustrializzazione nazionale come conseguenza della ristrutturazione del capitalismo globalizzato a partire dagli anni Ottanta[16].
Il 1977 è un anno di particolare rilievo in cui si acquisisce la consapevolezza che il livello delle lotte debba effettuare un salto di qualità, passando dalla mobilitazione per il contratto o per il salario (già dal 1976 iniziarono ad essere frequenti i ritardi nei pagamenti degli stipendi) a quella per la difesa della fabbrica. Dalle carte aziendali emerge con evidenza lo scontro che si stava consumando tra i due azionisti, con la Montedison evidentemente intenzionata a disimpegnarsi dalla fabbrica sarda per concentrarsi sulla nuova realtà (aperta in esclusiva e non più in coabitazione) di Acerra in Campania, concorrente di Ottana per le fibre chimiche.
È allora che si aprì la fase probabilmente più importante del dibattito sia dentro la fabbrica sia all’esterno di essa, con la Conferenza di produzione del 3 e 4 febbraio del 1977: su iniziativa del Consiglio di fabbrica si discusse del futuro dello stabilimento e dell’idea di sviluppo per l’area. In un clima teso per i ritardi sugli stipendi, con la crisi ormai conclamata, acuita anche dalle improvvise dimissioni del direttore dello stabilimento nel dicembre precedente, e una più generale recessione economica che riguardava tutto il Paese, la conferenza riuscì a tenere insieme tensione, entusiasmo e speranze, portando la discussione sulla fabbrica in fabbrica e diventando occasione per un confronto industriale, economico, sociale e politico con il coinvolgimento di una pluralità di forze e di soggetti. L’organizzazione delle due giornate fu il frutto di un grande lavoro collettivo che coinvolse, oltre che il Consiglio di fabbrica stesso, la Fulc (il sindacato unitario dei chimici) e le sezioni di fabbrica di Pci, Psi, Dc e Psd’Az.
Il Consiglio di fabbrica preparò la Conferenza con un documento che individuava i nodi critici nel processo di attuazione del primo Piano di Rinascita regionale (che aveva puntato sull’industrializzazione delle zone costiere), nelle scelte generali fatte per il Mezzogiorno e nel ruolo che l’Italia era (o non era) in grado di interpretare nei processi di internazionalizzazione economica. L’indice veniva puntato sulle promesse mancate, soprattutto rispetto alle aspettative occupazionali che non corrispondevano alle diverse migliaia inizialmente promesse (il livello di massima occupazione era stato inferiore a 2.800 addetti nel 1974 mentre al momento della Conferenza gli assunti erano circa 2600)[17]. La Conferenza vide l’alternarsi di importanti figure del mondo politico regionale (il presidente della Regione Pietro Soddu e quelli delle provincie di Nuoro e di Sassari, accompagnati da una folta e variegata schiera di consiglieri e assessori regionali) e nazionale (Napoleone Colajanni per il Pci, Claudio Signorile per il Psi e Carlo Molè e Nadir Tedeschi per la Dc), nonché figure di rilievo del sindacato come Gastone Sclavi (per la segreteria nazionale della Fulc) e Sergio Garavini (della segreteria nazionale Federazione Cgil-Cisl-Uil). Da tutti gli interventi emerse il sostegno alla causa della fabbrica e l’auspicio ad uscire dalla situazione di crisi, pur nella difficoltà di mettere in campo formule condivise ed efficaci. La mozione finale dell’assemblea dei lavoratori chiese con forza un riordino generale del sistema delle Partecipazioni Statali chiamando il Parlamento ed il Governo ad assumere la piena responsabilità delle operazioni in un settore, quello chimico, che di fatto vedeva una grossa incidenza dell’impresa pubblica.
Nonostante l’adesione e la solidarietà espressa da tutti i partecipanti (di tutte le aree politiche e sindacali presenti) la situazione di Ottana continuò a rimanere critica e da quel momento iniziò una lunga serie di proteste e manifestazioni che ciclicamente rivendicavano la salvaguardia dello stabilimento e dei posti di lavoro. La prima fu un mese dopo la Conferenza, l’8 marzo a Nuoro, e altre ne seguirono nel corso dell’anno (le più importanti furono a Cagliari il 18 marzo e il 7 dicembre e ancora Nuoro il 25 novembre), accompagnate da azioni di protesta più radicali come i blocchi stradali e ferroviari, fino ad arrivare all’autogestione proclamata dal Consiglio di fabbrica a partire dal 23 novembre e protrattasi per 35 giorni. Attraverso essa si riuscì a scongiurare la chiusura degli impianti, pur dovendo accettare la cassa integrazione a rotazione per diverse centinaia di lavoratori.
Conclusioni
La vicenda di Ottana è stata a lungo centrale nel dibattito sullo sviluppo della Sardegna e ancora oggi costituisce una ferita per le zone interne che rivivono il fenomeno dello spopolamento e dell’emigrazione sia pure con modalità differenti rispetto agli anni Sessanta. Rispetto alla proposta di periodizzazione qui avanzata, allo stato attuale si può sostenere che disponiamo di alcune buone ricostruzioni riguardo alle ragioni che hanno determinato la nascita del polo industriale, in relazione soprattutto al fallimento del Piano di Rinascita e quale risposta al fenomeno del banditismo, sui primi anni di vita della fabbrica e sulle lotte che l’hanno caratterizzata fino alla metà degli anni Settanta.[18]
Per quanto attiene alla ricostruzione complessiva di tutta la vicenda le fonti al momento più facilmente reperibili sono rappresentate dai giornali che, sebbene importanti, non possono tuttavia costituire l’unico documento sul quale poter basare la ricerca. Meritevole di citazione è il lavoro condotto sulle fonti orali (utilissime per ricostruire la memoria dell’esperienza operaia) in particolare da Sandro Ruju[19] e dal progetto aperto del giornalista Umberto Cocco e dell’antropologa Francesca Atzas.[20] Sul resto delle fonti primarie il lavoro di ricerca è ancora incompleto.
L’Istituto sardo per la storia dell’antifascismo (Issasco) conserva un importante fondo donato dai familiari dello storico sassarese Simone Sechi che raccoglie materiali di natura sindacale e politica relativo soprattutto agli anni Settanta. Per il periodo successivo invece ancora non disponiamo di fondi documentari catalogati e depositati negli archivi. Analogo discorso può essere applicato alle fonti aziendali: l’Archivio dell’Eni, per esempio, raccoglie documentazione prodotta dalla prospettiva dell’Ente nazionale e dell’Anic (Azienda nazionale idrogenazione combustibili) e del loro interesse sull’area consultabile al momento fino a metà degli anni Ottanta. Manca del tutto invece la documentazione aziendale prodotta all’interno dello stesso stabilimento, che non è stata riversata negli archivi Eni.
L’Issasco ha intanto promosso e sostenuto uno studio, di prossima pubblicazione, che approfondirà il periodo che va dal 1969 al 1984 e che ha l’obiettivo di non isolare le vicende di Ottana ma di inserirle in una prospettiva più ampia che riguarda l’avvio (e il fallimento) dei processi di industrializzazione nel Mezzogiorno e la fine del modello produttivo basato sulla grande industria nel nostro Paese.
Ipotesi di laboratorio didattico
Le vicende della fabbrica di Ottana sono state significative per il centro Sardegna e spesso si sono intrecciate con temi di rilievo nazionale. Questa connessione tra dimensione locale e generale può essere sfruttata dal punto di vista didattico e a tal scopo vengono qui proposte alcune ipotesi di laboratorio sulle fonti che possono essere considerate nel loro insieme oppure presentate singolarmente, prediligendo comunque il lavoro per gruppi ridotti al fine di stimolare il confronto e una piccola attività di ricerca. Ogni gruppo lavorerà sui materiali proposti e costruirà un percorso che vedrà un momento di restituzione orale alla classe corredato da una presentazione multimediale.
Argomento n. 1. Alle origini della fabbrica: società ed economia tra dimensione locale e nazionale.
Descrizione. Perché una fabbrica nel centro Sardegna? Perché uno stabilimento di fibre chimiche tessili? A partire da questi interrogativi il gruppo lavorerà sulle conclusioni della “Commissione Medici” sulla criminalità in Sardegna e sulla Commissione di indagine sull’industria chimica condotta in Parlamento dal 1972 al 1974. Il gruppo metterà a confronto le varie posizioni in campo con lo scopo di individuare i nessi più specifici con la realizzazione della fabbrica a Ottana.
Materiali. Per quanto riguarda la “Commissione Medici” il punto di partenza è costituito dai saggi di Guido Melis e Sandro Ruju[21] presenti nel volume a cura di Antonello Mattone e Salvatore Mura, Le inchieste parlamentari sulla Sardegna (1869-1972). Per l’indagine sull’industria chimica può essere utile analizzare l’ampia sintesi presente in Vera Zamagni, L’industria chimica italiana e l’Imi (pp. 78-86) da integrare, per un confronto diretto con fonti primarie, coi resoconti stenografici delle varie audizioni presenti sul sito della X Commissione permanente del Senato (https://www.senato.it/static/bgt/listastencomm/0/10/t/6/1972/index.html?static=true#).
Descrizione. A Ottana emerge presto un movimento attento non soltanto alla difesa del salario e del posto di lavoro ma anche a una dimensione più generale della lotta politica. Attraverso una selezione di volantini il gruppo valuterà la lettura che dalla fabbrica di Ottana si diede di alcuni eventi storici degli anni Settanta. Questo percorso offre l’occasione per riflettere prima sul tema della violenza e dello stragismo neri (a partire da un comunicato subito dopo la strage di Brescia del 1974 e uno sulla morte di Claudio Varalli e Giannino Zibecchi l’anno successivo) e successivamente sul terrorismo rosso e la lotta armata (con la cacciata di Lama dalla Sapienza nel 1977 e la drammatica vicenda di Aldo Moro nel 1978).Materiali. Nella galleria delle immagini sono presenti cinque volantini diffusi dal Consiglio di fabbrica o dalle sue articolazioni. Per effettuare un’analisi comparativa delle fonti si consiglia di affiancare ai volantini la lettura di articoli tratti dai principali organi di stampa nazionali dell’epoca. Al docente si consiglia di individuare a monte le testate nazionali di riferimento e poi di valutare se effettuare una selezione di articoli da proporre oppure lasciare questo aspetto al lavoro autonomo del gruppo.
Argomento n. 3. Un anno in fabbrica: il 1977.
Descrizione. Il 1977 è stato un anno di forte conflittualità politica e sociale in tutta Italia e questo gruppo esporrà le valutazioni dalla prospettiva della fabbrica di Ottana. Sono stati selezionati alcuni episodi che forniranno gli spunti per ricostruire un quadro complessivo di questo “anno in fabbrica”: la “Conferenza di produzione” di febbraio; la mobilitazione del 9 marzo a Nuoro in difesa della fabbrica a rischio chiusura e la solidarietà ricevuta da più parti; i 35 giorni di autogestione di fine anno.
Materiali. Le fonti primarie potranno essere reperite sul sito di Sandro Ruju https://www.sandroruju.it/campi-di-ricerca/le-fonti-orali/ (per la Conferenza di produzione) e nella galleria delle immagini, dove sono presenti un volantino della Commissione di fabbrica sullo sciopero del 9 marzo a Nuoro, diverse attestazioni di solidarietà per i lavoratori in lotta (del Vescovo di Nuoro, di alcuni consigli comunali, di una scuola) e un comunicato stampa del Consiglio di fabbrica alla fine dell’autogestione. Si propone di approfondire la ricerca consultando una selezione di articoli provenienti dalla stampa locale (“La Nuova Sardegna”, “L’Unione sarda” e “Tuttoquotidiano”) e riferiti ai momenti citati.
Argomento n. 4. La memoria della fabbrica.
Descrizione. La memoria della fabbrica di Ottana può contare ormai su tanti lavori di notevole interesse. Questo aspetto del laboratorio propone alla classe lo studio delle memorie in chiave comparata, con l’obiettivo di trovare affinità e differenze tra le varie testimonianze raccolte. Dopo una selezione più mirata delle interviste proposte tra i materiali si potrebbe effettuare una classificazione generale dei soggetti coinvolti (genere, ruolo, anni passati in fabbrica etc.) per poi valutare quali aspetti rilevare per una analisi comparata sul giudizio rivolto a quella esperienza dal punto di vista economico, politico e sociale.
Materiali. Alla luce della lunga esperienza come studioso delle fonti orali, i lavori di Sandro Ruju sono un punto di avvio obbligato per questa fase del lavoro, a partire da La parabola della petrolchimica per arrivare alla sezione sulle fonti orali del suo sito web https://www.sandroruju.it/campi-di-ricerca/le-fonti-orali/ , dove sono raccolte testimonianze anche su Ottana. Propongo di integrare questi materiali con il progetto work in progress https://storieoperaie.it/ .
Bibliografia
- L. Gallino, La scomparsa dell’Italia industriale, Einaudi, Torino 2003;
- F. Mannoni, Il campo degli asfodeli, Arkadia, Cagliari 2019;
- A. Mattone, S. Mura (a cura di), Le inchieste parlamentari sulla Sardegna (1869-1972), FrancoAngeli, Milano 2021;
- I. Meloni, Da pastori a operai, Iskra, Ghilarza 2003;
- S. Ruju, Società, economia, politica dal secondo dopoguerra a oggi (1944-98) in L. Berlinguer, A. Mattone (a cura di), Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. La Sardegna, Einaudi, Torino 1998;
- S. Ruju, La parabola della petrolchimica. Ascesa e caduta di Nino Rovelli. Sedici testimonianze a confronto, Carocci, Roma 2003;
- F. Sbrana, Nord contro sud. La grande frattura dell’Italia repubblicana, Carocci, Roma 2023;
- S. Sechi, Storia di Ottana, in M. Brigaglia (a cura di), La Sardegna. Enciclopedia, Edizioni della Torre, Cagliari 1982;
- V. Zamagni, L’industria chimica italiana e l’Imi, Il mulino, Bologna 2010;
- A. F. Zedda, E poi arrivò l’industria. Memoria e narrazione di un adattamento industriale, Donzelli, Roma 2021;
Fonti
- Archivio dell’Istituto sardo per la storia dell’antifascismo e della società contemporanea (Issasco), Sassari, Fondo “Simone Sechi”, b. “Ottana e varie”, f. “Materiali vari”
Sitografia
- Resoconti dei lavori della X Commissione permanente (Industria, commercio e turismo) del Senato nella VI Legislatura (1972-1976) (relativi alla “Indagine conoscitiva concernente la situazione della Montedison ed il piano di sviluppo dell’industria chimica”) https://www.senato.it/static/bgt/listastencomm/0/10/t/6/1972/index.html?static=true#
- Sito dello studioso di storia economica e sociale della Sardegna Sandro Ruju, che ha dedicato una sezione alla fabbrica di Ottana: https://www.sandroruju.it/campi-di-ricerca/le-fonti-orali/
- Progetto di raccolta di testimonianze orali di operai, tecnici, impiegati, donne e uomini che hanno lavorato nella fabbrica di Ottana: https://storieoperaie.it/
Note:
[1] “Piano straordinario per favorire la rinascita economica e sociale della Sardegna in attuazione dell’art. 13 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3”, istituito con la legge 11 giugno 1962, n. 588. Fu il primo strumento di programmazione economica che tentò di creare superare le condizioni di arretratezza della Sardegna a partire dall’individuazione di alcuni poli di sviluppo industriale lungo le coste (prevalentemente nella zona di Cagliari e Porto Torres). Per una sintesi descrittiva del Piano cfr. S. Sechi, La Sardegna negli «anni della Rinascita», in M. Brigaglia, A. Mastino, G.G. Ortu, Storia della Sardegna, vol. 2, Dal Settecento a oggi, Laterza, Roma-Bari 2006.
[2] V. Zamagni, L’industria chimica italiana e l’Imi, Il mulino, Bologna 2010.
[3] S. Ruju, Società, economia, politica dal secondo dopoguerra a oggi (1944-98), in L. Berlinguer, A. Mattone (a cura di), Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. La Sardegna, Einaudi, Torino 1998. Dal 1950 al 1971 vi furono 80 sequestri di persona, più della metà concentrati negli ultimi anni, quelli di lavoro della Commissione Medici. Una recente sintesi sui lavori della Commissione la possiamo trovare in G. Melis, L’inchiesta Medici sui fenomeni di criminalità in Sardegna (1969- 1972), in A. Mattone e S. Mura (a cura di), Le inchieste parlamentari sulla Sardegna (1869-1972), FrancoAngeli, Milano 2021. Nello stesso volume il saggio di S. Ruju, La questione industriale nelle inchieste parlamentari, affronta l’impatto che i lavori di quella Commissione d’inchiesta ebbe sul progetto industriale.
[4] Sulla “questione meridionale” mi limito a segnalare il recente lavoro di Filippo Sbrana, Nord contro sud. La grande frattura dell’Italia repubblicana, Carocci, Roma 2023.
[5] Un ottimo lavoro che ha ricostruito il ruolo della Dc sarda e nuorese nelle vicende della chimica sarda negli anni Sessanta e Settanta e in particolare sulla vicenda di Ottana è: S. Ruju, La parabola della petrolchimica. Ascesa e caduta di Nino Rovelli. Sedici testimonianze a confronto, Carocci, Roma 2003. Dopo un’ampia introduzione dell’autore sono presenti numerose interviste ai protagonisti e, sul tema specifico, si segnala quella a Pietro Soddu, esponente di punta della Dc sarda, più volte assessore regionale (nel 1969 era assessore dell’Industria e commercio) e, in seguito, presidente della Regione Sardegna.
[6] Sono stati presi in considerazione i dati relativi alla Camera dei deputati. Cfr: https://elezioni.interno.gov.it/
[7] Ruju, 2003. Tra le interviste dello stesso volume su questo tema si segnalano due giudizi di merito antitetici ma che condividono l’idea secondo la quale la fabbrica produsse un forte cambiamento in termini di consapevolezza politica: per Giorgio Macciotta (segretario della Cgil sarda nei primi anni Settanta e poi deputato Pci-Pds fino al 1992) a Ottana si era formato “il nucleo più forte, più coeso, ed anche più colto” (p. 266) del movimento operaio sardo di quegli anni; per contro Giovanni Serra, alla Chimica e Fibra del Tirso dal 1971 al 1977, individuava una sorta di arroganza diffusa dovuta al fatto che i lavoratori di Ottana “si autodefinivano la punta avanzata del movimento operaio in Sardegna” (p. 322).
[8] Cfr. “La Nuova Sardegna”, 17 giugno 1975.
[9] Le liste di sinistra vinsero a: Bolotana, Bortigali e Silanus nel Marghine; Anela, Bono e Bottida nel Goceano; Ghilarza e Aidomaggiore nell’Alto Oristanese. La Dc manteneva il controllo del comune capoluogo e di Macomer, seconda città della provincia, e del comune di Ottana. Cfr. “La Nuova Sardegna”, 18 giugno 1975.
[10] Cfr. S. Sechi, Storia di Ottana, in Manlio Brigaglia (a cura di), La Sardegna. Enciclopedia, Edizioni della Torre, Cagliari 1982 e I. Meloni, L’industrializzazione di Ottana. Effetti economico-sociali e impatto ambientale, Iskra, Ghilarza 2004
[11] Il Partito sardo d’Azione, fondato nel 1921, tra gli altri, da Emilio Lussu e sostenitore di un programma autonomista.
[12] Senza voler stilare l’elenco di tutti coloro che furono presenti, mi limito a citare Enrico Berlinguer nel gennaio del 1984, in una sala gremita, pochi mesi prima della sua morte.
[13] Cfr. G. Leoni, Orgosolo paese dei murales, in “Zapruder”, n. 11, settembre-dicembre 2006, disponibile online https://storieinmovimento.org/wp-content/uploads/2017/10/Zap11_13-Luoghi2.pdf url consultata il 16/10/2024.
[14] Un interessante lavoro di taglio antropologico basato su fonti orali che mette in relazione la tradizione ottanese e il suo famoso carnevale con la fabbrica è: A. F. Zedda, E poi arrivò l’industria. Memoria e narrazione di un adattamento industriale, Donzelli, Roma 2021.
[15] “Via la classe sfruttatrice” (traduzione dell’autore).
[16] Cfr. L. Gallino, La scomparsa dell’Italia industriale, Einaudi, Torino 2003: utile strumento per leggere la fase di rinuncia del nostro Paese a settori chiave della propria storia industriale.
[17] Cfr. Relazione alla Conferenza di produzione, febbraio 1977 https://www.sandroruju.it/wp-content/uploads/Conferenza-di-produzione-1.pdf (url consultata il 16/10/2024).
[18] Si segnalano i lavori di S. Ruju, Società, economia, politica dal secondo dopoguerra a oggi e La parabola della petrolchimica, cit. e S. Sechi, Storia di Ottana, cit. Un tentativo di ricostruzione più ampio è I. Meloni, Da pastori a operai. L’industrializzazione di Ottana. Effetti economico-sociali e impatto ambientale, Iskra, Ghilarza 2004.
[19] S. Ruju, La parabola della petrolchimica, cit. e https://www.sandroruju.it/
[20] https://storieoperaie.it/
[21] G. Melis, L’inchiesta Medici sui fenomeni di criminalità in Sardegna (1969- 1972) e S. Ruju, La questione industriale nelle inchieste parlamentari, in A. Mattone e S. Mura (a cura di), Le inchieste parlamentari sulla Sardegna (1869-1972), FrancoAngeli, Milano 2021.