Memorie contese: il 25 aprile
Milano, parata del 6 maggio 1945.
Crediti: Archivio Istituto nazionale Ferruccio Parri, Fondo Venanzi – sez. fotografico, serie 28
Abstract
L’articolo ripercorre la storia della Festa della liberazione, dalle prime celebrazioni del 1946 agli anni Settanta, dal passaggio dalla prima alla seconda Repubblica fino ai giorni nostri, con particolare attenzione al discorso pubblico e politico del passato più recente.
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The article traces the history of Liberation Day, from the first celebrations in 1946 to the 1970s, from the transition from the First to the Second Republic up to the present day, with a focus on the public and political discourse of the most recent past.
Il giorno inaugurale di un calendario funge da compendio storico accelerato.
E, in fondo, è sempre lo stesso giorno che ritorna in figura dei giorni di festa, che sono giorni della rammemorazione.
Dunque i calendari non misurano il tempo come gli orologi: sono monumenti di una coscienza storica […].[1]
Walter Benjamin
Premessa
Il 25 aprile, Anniversario della Liberazione (o sarebbe meglio dire dell’insurrezione), è l’unica, tra le feste del calendario civile della Repubblica formalizzato nel 1949, che non ha mai subito cambiamenti nella sua natura di festa nazionale. Non così è stato, ad esempio, per il 2 giugno; e nemmeno per il 4 novembre, la sola data presente sia nel calendario dell’Italia liberale, che in quello dell’Italia fascista e poi in quello repubblicano.[2]
Ne dobbiamo dedurre che il 25 aprile e la Resistenza siano stati un continuo riferimento nella vita civile del nostro paese? Per tentare di rispondere a questa domanda occorre – come suggerisce Filippo Focardi nell’intervista fatta da Giorgio Giovannetti che apre questo dossier – «fare storia della memoria e della sua evoluzione» e quindi ripercorrere la storia della festa del 25 Aprile dalle sue origini, intrecciandola con quella della memoria pubblica della Resistenza dopo il 1945. Per molte ragioni non si stratta di una questione “accademica” e non si può eludere il fatto che dal 22 ottobre 2022 governi una coalizione di centrodestra, in cui si trova in posizione preminente, in virtù di un cospicuo consenso elettorale, il partito Fratelli d’Italia, ultima filiazione dell’originaria famiglia del Movimento sociale italiano[3] diretto erede della repubblica di Salò. Se la crisi della memoria della Resistenza, del 25 aprile, del paradigma antifascista come fondamento della Repubblica caratterizza in modo evidente gli ultimi tre decenni della vita politica e civile del nostro paese, l’attuale scenario politico e culturale potrebbe nel tempo portarla a definitivo compimento, rendendo anacronistica la domanda prima posta. C’è dunque l’eventualità che si possa realizzare l’auspicio «sorga un Parlamento capace di cancellare il 25 aprile dal novero delle festività nazionali» con cui Giorgio Almirante, nel 1953 chiudeva il suo articolo di fondo su Il secolo d’Italia?[4]
Modelli e origini del 25 aprile festa nazionale
Con la fine della guerra occorreva da subito risignificare sul piano simbolico e rituale lo spazio pubblico – che era stato così capillarmente occupato dal fascismo – per la rappresentazione della nuova identità nazionale, che si andava prefigurando nel nome dell’antifascismo. Per questo nell’aprile del 1946, prima ancora che nascesse la Repubblica, si procedette con un decreto legislativo – “Disposizioni in materia di ricorrenze festive”[5] – all’introduzione del 25 aprile come festa nazionale che, insieme alla ricorrenza del 1° maggio e dell’8 maggio (anniversario della fine della Seconda guerra mondiale con la sconfitta della Germania nazista), all’antifascismo faceva riferimento. In quel provvisorio calendario civile era presente anche il 4 novembre, anniversario della vittoria nella Prima guerra mondiale, allo scopo di connettere il nuovo corso alla storia nazionale.[6] Avvicinandosi la prima ricorrenza dell’insurrezione generale, Alcide De Gasperi – allora Presidente del Consiglio di un governo ancora d’impronta ciellenista – accolse le sollecitazioni provenienti da più parti, in particolare dall’Associazione partigiani d’Italia, di cui Giorgio Amendola, segretario alla Presidenza del Consiglio, si era fatto interprete attraverso una lettera inoltrata il 4 aprile 1946. Le motivazioni contenute nella lettera rispondevano a due obiettivi: sottolineare il ruolo della Resistenza e del Cln nella sconfitta del nazifascismo pensando, forse un po’ ingenuamente, che avrebbe influenzato, durante le trattative di pace, l’atteggiamento degli Alleati verso l’Italia e sul piano interno legittimare tutti i partiti politici che avevano guidato la Resistenza – compresi i comunisti – nella costruzione della nuova Italia a dispetto di altri soggetti come la monarchia e l’esercito, per altro deboli e discreditati.[7] Ma a quale modello ispirare la festa del 25 aprile, su cui si incardinava il progetto della nascita di una religione civile antifascista? La questione, mancando indicazioni istituzionali su come realizzarla, investiva principalmente l’Anpi, che allora rappresentava in modo unitario tutte le componenti resistenziali. La prima festa della smobilitazione si modellò sui riti di mobilitazione patriottica contro il nazifascismo presenti dal giugno del 1944 – dopo la Liberazione di Roma – all’aprile del 1945, in particolare sulla Giornata del soldato e del partigiano celebrata il 18 febbraio 1945 nella parte dell’Italia già liberata. Organizzata dal Ministero dell’Italia occupata,[8] con il coordinamento affidato alle Prefetture e il coinvolgimento di comitati costituitisi per l’occasione e composti dalle forze antifasciste e dalle associazioni combattentistiche e partigiane, la manifestazione prevedeva un programma che fu sostanzialmente rispettato in tutti i comuni dove si svolse. Per riprendersi lo spazio pubblico fu organizzato un corteo, con alla testa rappresentanti delle forze armate e delle associazioni partigiane e degli ex combattenti, che, dopo aver reso omaggio ai caduti della Grande Guerra, terminava il suo percorso nella piazza più importante, dove si tenevano i discorsi dei Cln locali e delle istituzioni prefettizie. In parallelo, si svolsero iniziative per la raccolta di fondi per i combattenti e le loro famiglie e per promuovere l’arruolamento di volontari.[9] Particolarmente significativa fu la giornata organizzata a Roma, che ebbe un’importante risonanza sulla stampa libera e fu oggetto della pubblicazione di un opuscolo, 18 febbraio. Giornata del soldato e del partigiano, edito dal Ministero dell’Italia occupata, con la prefazione di Mauro Scoccimarro. In quel testo forte è il richiamo al senso della giornata: una mobilitazione unitaria a sostegno della lotta condotta da partigiani e soldati «della nuova Italia antifascista» e, in vista di quella che viene giudicata la vicina Liberazione, per dimostrare «al mondo intero che l’Italia è degna della sua piena libertà ed indipendenza» dissipando i sospetti «di essere tuttora inquinati di fascismo e di essere immaturi ai liberi ordinamenti di un regime democratico.» [10] In un contesto diverso è la stessa necessità di accreditare la nuova Italia all’interno dello schieramento alleato, allora ancora in lotta e poi vincente, espressa da Giorgio Amendola nella proposta a De Gasperi di dichiarare il giorno dell’insurrezione festa nazionale. La saldatura tra i militari del Corpo italiano di Liberazione e i partigiani è sancita dalla cerimonia di consegna della medaglia d’oro al Corpo Volontari della Libertà e al riconoscimento dei caduti, che Scoccimarro definisce «gli eroi del nuovo Risorgimento», altro elemento presente nella retorica dei primi 25 aprile del dopoguerra.
Proprio la continuità tra la lotta in corso e l’epopea risorgimentale è un elemento comune dei discorsi delle autorità istituzionali: analogie tra i martiri di quella stagione e quelli delle fosse Ardeatine, martiri del nuovo Risorgimento, si trovano sia nel discorso del Presidente del Consiglio Bonomi che in quello del Ministro della Guerra Casati e dello stesso Scoccimarro. Dopo i discorsi istituzionali, a cui assistettero i rappresentanti dell’ Allied Military Government si dipanò il rituale simbolico da cui fu completamente assente ogni riferimento alla monarchia: tre donne, una partigiana e due mogli di partigiani uccisi, consegnarono al Corpo volontari della Libertà la bandiera cucita dall’Udi che venne benedetta e decorata con una medaglia al valor militare. Seguirono i discorsi delle autorità militari e la consegna di altre onorificenze a chi si era distinto nella lotta; tra questi Arrigo Boldrini, il comandante “Bulow” della XXVIII Brigata Garibaldi, che alla testa di un corteo portò la bandiera decorata all’Altare della Patria e lì la depose.
Appare evidente l’analogia simbolico-rituale con la cerimonia al Milite Ignoto del 1921 e l’intenzione del partigianato e delle organizzazioni legate al Partito comunista di mostrare pubblicamente la propria fedeltà alla patria e alla guerra patriottica, nel solco del Risorgimento e della Prima guerra mondiale, risignificate e opposte alla nazione e alla guerra fascista.[11] Per questo la cerimonia della consegna della bandiera, dopo la benedizione religiosa, si chiuse con il tributo alla religione laica della patria, in uno dei luoghi che era stato simbolo delle liturgie del fascismo. Terminata la solennità dei riti la giornata poteva connotarsi come festa, organizzata dai Cln rionali e dalle sezioni dei partiti con vari momenti ricreativi. Questa divisione, che connota i rituali festivi anche del passato:
è legata ad una evidente divisione tra sacro e profano; contribuisce a conferire all’evento festivo il suo carattere particolare, poiché così esso riesce a mettere in moto tutto lo spettro delle emozioni e degli stati d’animo.[12]
L’importanza simbolica attribuita alla giornata del 18 febbraio è testimoniata dalla presenza in Giorni di gloria [13] – il primo documentario sulla guerra di Liberazione e come tale modello per le narrazioni successive – di alcune sequenze di quell’evento: una veduta dall’alto di Piazza del Popolo con la folla, la consegna della bandiera da parte dell’Udi, un estratto del discorso di Scoccimarro, varie sequenze sull’arruolamento e la consegna delle armi, Arrigo Boldrini che riceve la medaglia al valore dal generale Alexander, la partenza dei volontari per la guerra.
Il cerimoniale definito nel 1945 per la giornata romana del 18 febbraio fece da riferimento per l’organizzazione delle prime feste del 25 aprile. Di quella giornata si conservò anche il tratto della mobilitazione accanto a quello più proprio della smobilitazione: nel 1946 in previsione dell’imminente referendum istituzionale e dell’elezione dell’Assemblea Costituente; nel 1947 in un clima politico teso, che preannunciava la fine imminente del fragile equilibrio ciellenistico che fino a quel momento aveva sorretto i governi di coalizione. Si è già detto che nei primi anni del dopoguerra fu l’Anpi, nelle sue articolazioni provinciali in collaborazione con i Cln locali e i partiti, a occuparsi dell’organizzazione della festa del 25 aprile. Si ripropose lo schema della divisione tra un momento più solenne con il corteo per le strade, la messa a suffragio dei martiri della guerra al nazifascismo, il riconoscimento al valor militare dei vivi e dei morti, sia soldati che partigiani, e un momento più festoso con balli, canti, gare, distribuzioni di generi alimentari ma anche comizi di carattere politico. Centrale nell’economia simbolica della festa fu la commemorazione dei caduti, con il suo effetto consolatorio attraverso cui la perdita dei compagni o degli affetti familiari, per una violenza il cui ricordo era ancora molto presente, trovava all’interno della storia patria e collettiva senso e significato, suggellati e riconosciuti dalle istituzioni con la solenne consegna delle medaglie al valore. Il culto dei martiri nella sua componente religiosa dava alla Chiesa cattolica un ruolo nella festa che si voleva fondativa della nuova Patria, ma che già dal 1946 mise in luce:
un disequilibrio tra i diversi aspetti della memoria resistenziale, con le sinistre e i comunisti più attenti alla dimensione politico-militare e i democristiani a quella morale; nel primo caso, facendosi forti dell’entrata sulla scena pubblica e dell’integrazione nella vita democratica delle masse popolari, nel secondo caso avvalendosi della religione cattolica come collante della nuova Italia dopo i lutti della guerra civile.[14]
Nelle prime feste d’aprile sono inoltre rintracciabili alcuni aspetti presenti – pur nella diversità dei contesti – fino ad oggi: la differenze tra la celebrazione a Roma – da subito più ufficiale e istituzionale e caratterizzata dalla deposizione della corona al Milite Ignoto – e quella di Milano,[15] più popolare e in un certo modo politica, impegnata nel processo di legittimazione pubblica della Resistenza all’interno della storia patria. A questa necessità corrispose il 25 aprile 1946 – su iniziativa dell’Anpi provinciale di Milano – l’allestimento all’ex-Arengario della Mostra del I e del II Risorgimento, in cui il racconto dell’epopea risorgimentale (da Giuseppe Garibaldi a Vittorio Veneto) e quello dell’epopea resistenziale vennero presentati come fasi di un’unica epopea nazionale.[16] In questa narrazione non trovano posto né una riflessione sul consenso dato dagli italiani al fascismo, né sulla natura anche di guerra civile della Resistenza. Se le necessità e il contesto del momento,[17] possono far comprendere certe “smemoratezze”, non si può non sottolineare quanto quel paradigma antifascista e della Resistenza abbia poi avuto conseguenze negative. In una sorta di eterogenesi dei fini, da un lato ha finito per supportare il mito del “bravo italiano” ritardando una seria riflessione sul fascismo e sui suoi crimini, dall’altro ha monumentalizzato la Resistenza esponendola a tutti i rischi della strumentalizzazione politica.[18]
A pochi giorni dalla celebrazione del primo anniversario della data dell’insurrezione, il 2-3 giugno si svolse la consultazione popolare di donne e uomini chiamate e chiamati al voto per il referendum tra monarchia e repubblica e per le elezioni dell’Assemblea costituente L’esito del referendum a favore della Repubblica fu reso noto l’11 giugno in un clima avvelenato dalla vicenda del trafugamento della salma di Mussolini dal cimitero del Musocco a Milano, il 23 aprile.[19] L’insediamento della Repubblica fu accompagnato da cerimoniali modesti e austeri anche per segnare una netta distanza con i rituali politico-istituzionali del fascismo, ma non mancarono feste spontanee diffuse un po’ in tutto il paese.
Inoltre nella fase di transizione che si concluse nel 1949, ridisegnare l’apparato simbolico del nuovo corso repubblicano si rivelò un compito problematico. Che fare dei molteplici segni della presenza della monarchia nel territorio italiano? Come affrontare la questione del rapporto tra la Repubblica e il suo passato? Un esempio di queste incertezze riguarda la discussione sull’individuazione della data per celebrare la nascita della Repubblica all’interno delle feste nazionali che, con decreto legislativo di De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri e Capo provvisorio dello Stato,[20] fu fissata nell’11 giugno, il giorno della proclamazione dei risultati del referendum e in seguito, nel 1949, nel primo calendario civile effettivo della Repubblica, spostata al 2 giugno, prima giornata della consultazione popolare.[21] Anche sulla scelta dei simboli che avrebbero dovuto favorire l’identificazione delle cittadine e dei cittadini nella nuova Repubblica democratica – la bandiera, l’inno nazionale, l’emblema dello Stato – emersero difficoltà in parte dovute a un atteggiamento di diffidenza e sottovalutazione, diffuso nel ceto intellettuale e nella classe dirigente verso elementi che erano stati centrali nella retorica e nei rituali del regime fascista.[22] In questo contesto si inserì la celebrazione del 25 aprile la cui introduzione come festa nazionale aveva riguardato solo il 1946.
Nel 1947, avvicinandosi la seconda ricorrenza della proclamazione dell’insurrezione, si ripropose da più parti, come nel 1946, la richiesta alla Presidenza del consiglio perché si festeggiasse l’anniversario, rendendolo definitivamente festa nazionale. Si promulgò quindi un nuovo decreto che rendeva il 25 aprile 1947 festa nazionale.[23] La festa del 1947 venne celebrata con le stesse modalità dell’anno precedente, a Roma fu inserito nel cerimoniale l’omaggio alle Fosse Ardeatine, ma in un clima politico che andava deteriorandosi. Da questo derivarono celebrazioni meno pacifiche di quelle del primo anno.[24] Sul piano politico si andava consumando la frattura dell’unità ciellenistica che porterà di lì a poco (nel maggio del 1947) all’espulsione del Psi e del Pci dal governo Anche all’interno dell’Anpi si manifestavano le prime crepe che portarono, tra il 1948 e 1949, alla spaccatura del movimento partigiano in tre associazioni. Infine segnali di ribellione si diffusero anche nella comunità dei partigiani per i processi istruiti contro di loro, lo scioglimento dei Cln e la cosiddetta amnistia Togliatti. Tra le manifestazioni più eclatanti di questo malessere, ci fu nel 1947 l’occupazione della prefettura di Milano guidata da Gian Carlo Pajetta, dopo che il Ministro degli interni Scelba aveva rimosso dalla carica di prefetto Ettore Troilo, ex comandante della Brigata Maiella in Lombardia.[25]
Tuttavia nella celebrazione del 25 aprile 1947 lo spirito unitario antifascista ancora prevalse sulla diversità delle varie identità politiche, benché il vento della Guerra fredda soffiasse ormai anche sull’anniversario della Liberazione, evidenziandone un tratto che sarà distintivo per tutte le celebrazioni successive: la stretta interdipendenza tra il clima politico e la rappresentazione della memoria resistenziale, che aveva e ha nella festa il suo precipitato simbolico.
La rottura si consumò nell’anniversario del 25 aprile 1948, dopo le elezioni del 18-19 aprile 1948, le prime della neonata Repubblica, che assicurarono la maggioranza assoluta dei seggi alla Democrazia cristiana e sancirono la sconfitta del Fronte democratico popolare, dopo una campagna elettorale fortemente conflittuale. Ancora una volta fu necessario ricorrere a un decreto legislativo per rendere possibile la celebrazione della festa[26] ma fu l’ultima volta perché dal 1949 il nuovo governo De Gasperi rese definitivo il calendario delle festività civili della Repubblica, comprendendovi il 25 aprile.[27] Dominato dalle preoccupazioni di ordine pubblico, per cui il governo impose varie restrizioni – il divieto di celebrare l’anniversario all’aperto e di sfilare con le bandiere dei partiti -, il 25 aprile 1948 fu teatro di scontri. Ad esempio a Milano un corteo che cercava di raggiungere la lapide di Piazzale Loreto a ricordo dei 15 partigiani fucilati nel 1944 fu fermato dalle forze dell’ordine. Nello scontro ci furono diversi feriti e un giovane carabiniere rimase ucciso.
Confrontandosi con il presente, la narrazione della Resistenza come lotta comune, come nuovo Risorgimento – seppur ribadita – si articolava ormai in modo conflittuale. L’Anpi e le sinistre socialiste e comuniste individuavano nelle forze moderate dell’antifascismo – democristiani e liberali – il principale ostacolo al dispiegarsi del progetto resistenziale di cambiamento per un avvenire migliore del Paese, ora interrotto dall’esito delle elezioni del 18 aprile che imponeva
il dovere della vigilanza per la difesa delle istituzioni democratiche, della libertà e del progresso sociale, contro quelle forze che vorrebbero corrodere e colpire il patrimonio della Resistenza che è indissolubilmente legato all’avvenire e alle fortuna della Patria.[28]
La Democrazia cristiana, attraverso le parole di De Gasperi, nel tentativo di sottrarre alle sinistre il monopolio della Resistenza per impedire che venisse utilizzata come strumento di battaglia politica ed elettorale, ribaltò specularmente l’accusa di tradimento in quella di pericolo per la democrazia:
Abbiamo letto nell’Avanti! che la rivoluzione è stata fatta a metà e che occorre ora portarla a fondo con un’azione di urto. La rivoluzione a metà sarebbe la guerra di liberazione e la trasformazione del regime. Ad entrambi abbiamo partecipato pure noi. Ma ora per l’Avanti! noi siamo diventati reazionari, e la rivoluzione dovrebbe essere condotta a fondo contro di noi. Questo frasario internazionale della demagogia non ingannerà il pubblico italiano. Esso avverte che non di rivoluzione si tratta, ma di involuzione, cioè del ritorno allo Stato-partito e al metodo totalitario, che intacca o annulla la libertà degli altri partiti e con ciò il metodo democratico.[29]
Da un decennale all’altro: lo stato di salute del 25 aprile tra prima e seconda Repubblica
Viste le origini della festa fino alla sua stabilizzazione definitiva nel calendario delle ricorrenze nazionali del 1949, occorre seguire il percorso dell’anniversario della Liberazione nella successiva storia della Repubblica. Maurizio Ridolfi, nella parte del suo Feste nazionali – già più volte citato – dedicata al 25 aprile, ci fornisce una convincente periodizzazione, all’interno della quale rintracciamo le alterne vicende della festa nelle pratiche commemorative, nel dibattito politico e nella partecipazione di cittadine e cittadini. Le fasi individuate da Ridolfi, con particolare attenzione ai decennali, trovano corrispondenza con la periodizzazione che Filippo Focardi, in La guerra e la memoria,[30] suggerisce nell’analizzare la storia della memoria della Resistenza, tra egemonia della narrazione antifascista e affermazione e crisi del “paradigma antifascista” come radice della Repubblica.
Le alterne vicende della Festa della Liberazione sono quindi, come è ovvio, collegate alle alterne vicende della memoria dell’antifascismo e della Resistenza, a loro volta determinate dai cambiamenti, politici, sociali e culturali del contesto italiano e internazionale nel corso dell’oltre mezzo secolo trascorso dalla sconfitta del nazifascismo.[31] Va inoltre detto che, per tutto il corso di quella che viene definita la Prima Repubblica (fino quindi agli anni Novanta), il 25 aprile – più che il 2 giugno – di fatto ha rappresentato la legittimazione storica della Repubblica, nonostante le diverse e spesso aspramente contrastanti sensibilità con cui veniva attraversato dalla politica e dalla cittadinanza.
Gli anni Cinquanta
Terreno di scontro dopo il 1948 fino al decennale del 1955, negli «anni del congelamento»[32] e della crisi della «narrazione egemonica antifascista»[33] i rituali commemorativi della festa venivano ridelineati nella doppia prospettiva dell’antifascismo e dell’anticomunismo: Anpi e sinistre riaffermavano l’aspetto mobilitante del 25 aprile, denunciando il tradimento della Resistenza; il mondo cattolico e la Democrazia cristiana, alla guida del governo, erano invece impegnati a delimitare il ricordo dell’anniversario all’interno del significato morale dei riti commemorativi dei caduti. Così in occasione della festa nelle città, con gli spazi e i luoghi contesi, si verificò un doppio registro celebrativo: austero e contenuto nelle celebrazioni organizzate dalla Dc o patrocinate dal governo; militante e ricco di iniziative nelle celebrazioni organizzate dall’Anpi e dai partiti di sinistra, specie nei comuni retti da amministrazioni “amiche”, con rituali commemorativi densi di retorica e accompagnati da manifestazioni con una larga partecipazione popolare. In un contesto interno e internazionale particolarmente teso, in un clima di “democrazia congelata”, nel giugno del 1953 si svolsero le elezioni, richiamate da Giorgio Almirante nell’articolo sopra citato, con la nuova legge elettorale maggioritaria, la “legge truffa” secondo la nota definizione attribuita a Piero Calamandrei. [34] L’anniversario del 25 aprile svoltosi in piena campagna elettorale divenne per le sinistre teatro di battaglia per il presente: l’Unità, il 25 aprile 1953, uscì con un titolo a tutta pagina: Nel nome del 25 aprile uniamoci per dar scacco alla congiura D.C. . contro la Resistenza e la Costituzione e un articolo di fondo firmato da Celeste Negarville[35] intitolato Dal 25 aprile al 7 giugno con un duro attacco:
Oh, mai come in questo ottavo anniversario le responsabilità del governo clericale appaiono in tutta la loro luce sinistra sul piano del tradimento degli ideali della Liberazione! Le persecuzioni contro i partigiani non datano da quest’ultimo anno, ma è certo che in quest’ultimo anno si sono andate estendendo. La sfrontatezza della stampa governativa e para-governativa nel giudicare uomini e fatti della Resistenza è cominciata anch’essa da molto tempo, ma in quest’anno si è andata accentuando. La riabilitazione dei vecchi ruderi del fascismo (per nulla conquistati agli ideali democratici, anzi fascisti come ieri e più di ieri perché la loro nostalgia ha già il sapore della vendetta) non è mai stata così sfacciata, così offensiva come in questi ultimi mesi. [36]
La risposta dei partiti di governo fu l’assenza alle celebrazioni organizzate dall’Anpi e quindi alle manifestazioni popolari, mentre la stampa d’opinione metteva la sordina sull’ottavo anniversario della Liberazione. Si faceva concreto il rischio di consegnare alle sinistre, e in particolare ai comunisti, il ruolo di veri e soli difensori della Resistenza e probabilmente proprio questo elemento condusse a un cambio di rotta, facilitato da alcune condizioni createsi sul piano interno e internazionale. Così il primo decennale della Liberazione, pur restando le differenze di partito, venne celebrato all’insegna di un ritorno all’unità antifascista e le iniziative ufficiali registrarono la partecipazione di tutte le forze politiche. Due ulteriori aspetti caratterizzarono il primo decennale: da un lato la presenza e il ruolo diverso assunto dai media, radio e anche televisione[37] (quest’ultima aveva fatto la sua comparsa nel 1954); dall’altro un’iniziativa governativa diretta al mondo della scuola che si concretizzò nella legge n. 402 del 3 maggio 1956,[38] che prevedeva lo stanziamento di denaro a favore degli orfani di guerra e della lotta di Liberazione e per la pubblicazione di un opuscolo sulla storia della Resistenza e di un volume opportunamente intitolato Il Secondo Risorgimento. Il disegno di legge, presentato per iniziativa del democristiano Giuseppe Ermini, in quel momento Ministro della Pubblica istruzione del primo governo Scelba, coabitava tuttavia con le circolari del Ministero che ancora nel 1955 invitavano gli insegnanti a ricordare Guglielmo Marconi il 25 aprile, come era previsto nel calendario civile del fascismo.[39]
Gli anni Sessanta e Settanta
Dopo il decennale si aprì una nuova fase di istituzionalizzazione dell’anniversario, che ne favorì l’ampia legittimazione, sono «gli anni della legittimazione e dell’apogeo»[40] e dell’ affermazione del «paradigma antifascista»,[41] che coprono il decennio degli anni Sessanta. Dal 1968 il protagonismo giovanile, che già si era manifestato nella prima metà degli anni Sessanta ma che allora era stato assorbito nell’alveo della retorica resistenziale, mise in crisi l’apparato della ritualità antifascista occupando le piazze del 25 aprile con i propri simboli, slogan e mettendo in scena il “controrito“, una prassi che sarà assunta dalle formazioni della sinistra extraparlamentare nel corso di tutti gli anni Settanta. L’anniversario diventò, dopo il Sessantotto, teatro anche di uno scontro generazionale, che la generazione cresciuta nella Resistenza e costruttrice della Repubblica, era solo in parte attrezzata ad affrontare e comprendere. La Resistenza celebrata, monumentalizzata, la sua narrazione unitaria e patriottica, centrale nei discorsi pubblici del 25 aprile, venne messa sotto accusa, alla ricerca di una connessione con la purezza originaria del sogno resistenziale ancora da realizzare e di un antifascismo radicale e militante da opporre all’insorgenza neofascista. Sono gli anni della «crisi»[42] e del «confronto fra Resistenza rossa e resistenza tricolore»,[43] che si chiusero con il trauma del rapimento e poi dell’assassinio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse nel 1978. Le caratteristiche di questa fase, tra gli anni Sessanta e Settanta, si ritrovano nelle celebrazioni del 25 aprile 1965, il ventennale, in quella del 25 aprile 1975, il trentennale, e nel 25 aprile 1978, celebrato tra il 16 marzo, giorno dell’attacco a Roma in via Fani, e il 9 maggio, giorno del ritrovamento del cadavere di Moro nella Renault parcheggiata in via Caetani.
Il ventennale segnò l’istituzionalizzazione della festa e per la prima volta venne introdotto (legge n.128 del 12 marzo 1964)[44] un Comitato nazionale per le celebrazioni sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica. Il governo si ritagliò un ruolo centrale ma con il coinvolgimento di tutte le associazioni partigiane. La celebrazione più significativa si svolse a Milano con l’evento più importante organizzato nel teatro più prestigioso: la Scala. La rilevanza nazionale dell’evento è sottolineata dalla presenza di Pietro Nenni, allora vicepresidente del Consiglio del governo di centro sinistra guidato da Aldo Moro, che svolse il ruolo di oratore ufficiale. Il tricolore cominciò a imporsi sulle bandiere bianche e rosse dei democristiani e dei comunisti.[45] Dieci anni dopo nel 1975, in occasione del trentennale, lo scenario è di nuovo mutato: la generazione del 1968 non rifiutò di partecipare al 25 aprile ma lo fece criticando i riti del padri e allestendo i propri attraverso cortei alternativi nei modi e nei contenuti. La novità costituita dalla presenza dei contro-cortei organizzati dai gruppi della sinistra extra-parlamentare, dissonante dall’unanimismo politico-istituzionale creatosi attorno alla celebrazione della Resistenza, viene sottolineata da Guido Quazza[46] – a due anni dallo svilupparsi del movimento del ’77 – in un editoriale, dedicato al trentennale, sulla sua Rivista di storia contemporanea, intitolato la Resistenza celebrata. Quazza ravvisa «spiragli di speranza» per la memoria della Resistenza rispetto ai due decennali precedenti proprio guardando:
alle forze nuove, che di recente si sono, sia pur polemicamente, rifatte all’originario spirito libertario – di ribellione e di impegno insieme – che dette vita alla guerra partigiana. Nella capacità di assumere in se stessi la responsabilità delle proprie scelte, nell’ estendersi di questa capacità a gruppi sempre più larghi fino a toccare masse imponenti, nel trasformarsi della «spontaneità» in «autonomia»: in questo sta il filo rosso che trent’anni dopo consente accanto al pessimismo, un poco di speranza. […] Nulla di più significativo del fatto che il microcosmo della banda partigiana, […] non sia stato né studiato né proposto alla meditazione da chi presiede alle celebrazioni. Che, al contrario, si sia tentato e si tenti di confinare e congelare la Resistenza nelle istituzioni – quanto diverse da quel microcosmo quanto mutate rispetto alle aspirazioni di quei «banditi»! – nate dopo l’acme della lotta da un «compromesso storico» tra politici moderati e innovatori dentro la cornice di un mondo tutto proteso alla «restaurazione».[47]
Quazza coglie così gli elementi contraddittori che si palesano nella Festa della Liberazione durante gli anni Settanta, ma che in parte erano presenti anche prima: da un lato la Resistenza celebrata come fattore di coesione della comunità nazionale, attraverso il reiterato culto del partigiano martire e la riduzione del fascista a straniero interno; dall’altro la Resistenza tradita come memoria del partigianato per immaginare la possibilità di una società diversa non contaminata. Per questo inevitabilmente il 25 aprile è festa ufficiale e festa di opposizione, divisiva oggi si dice, narrazione di una continuità e nel contempo rivendicazione della possibilità di un futuro diverso.[48]
Questa fase si chiuse con il 25 aprile del 1978 in uno dei momenti di più grave crisi della Repubblica. Nella commemorazione che si svolse a Roma, Moro viene paragonato ai martiri delle Fosse Ardeatine: non ancora morto è di fatto già celebrato come uno dei martiri della Repubblica, di una Patria da difendere dall’attacco della Brigate Rosse. Un sussulto di patriottismo repubblicano del tutto emotivo che non può arginare la crisi morale e politica che la vicenda Moro, nel corso del suo dispiegarsi, aveva originato, mentre si esauriva anche la spinta innovativa del contro-corteo. Nella fase finale della Prima Repubblica si consumò così la crisi del “paradigma antifascista”, si sviluppò un intenso attacco alla memoria pubblica della Resistenza, che si dispiegò nel corso dei due decenni successivi.
Gli anni Ottanta e Novanta
Durante gli anni Ottanta la festa diventò un rituale ripetitivo senza “storia”, sempre più istituzionalizzato e poco partecipato, come successe nel quarantennale (1985) nonostante alla Presidenza della Repubblica e a quella del Consiglio ci fossero due socialisti: il partigiano, Sandro Pertini e Bettino Craxi. Proprio Craxi, fautore del “socialismo tricolore”, sarà uno dei sostenitori del superamento della contrapposizione fascismo-antifascismo a favore di quella tra democrazia-totalitarismo letta in chiave antifascista e anticomunista.
L’aspetto mobilitante della Festa riemerse tuttavia nel 1994, in un quadro politico completamente mutato sia sul piano internazionale che interno dopo la dissoluzione dei partiti ciellenistici e l’irruzione sulla scena politica di formazioni senza radici nella Resistenza. Il 25 aprile 1994 si celebrò mentre si attendeva la formazione del primo governo della cosiddetta Seconda Repubblica con l’incarico a Silvio Berlusconi e la caduta della pregiudiziale nei confronti del Msi – in fase già di trasformazione in Alleanza nazionale – che entrava nella coalizione di governo.
Il cinquantennale della Festa cadde tuttavia in uno scenario politico ancora diverso caratterizzato dalla repentina caduta del primo governo Berlusconi per la defezione della Lega Nord di Umberto Bossi (con la guida del paese affidata temporaneamente al governo “tecnico” di Lamberto Dini) e dalla definitiva trasformazione del Msi in Alleanza nazionale (congresso di Fiuggi 27 gennaio 1995), partito che si dichiara post-fascista. Al centro della celebrazione del cinquantesimo, meno “mobilitante” del 25 aprile 1994 ora che Berlusconi non era più Presidente, ancora una volta il tema della “riconciliazione”. A Milano il cuore della manifestazione fu il discorso del Presidente della Repubblica Scalfaro, mentre a Roma il 24 aprile Gianfranco Fini aveva partecipato a una cerimonia alla tomba del Milite Ignoto durante la quale, insieme a Edgardo Sogno, due reduci della Rsi, Carlo Mazzantini e Bartolo Gallitto, deposero una corona con la scritta «Ai fratelli caduti, i fratelli riconciliati». Prima del 25 aprile, in una lettera al Presidente della Repubblica, i giovani di An avevano sottolineato la necessità di un nuovo patto nazionale che doveva superare quello basato sull’antifascismo, per sua natura elemento di contrapposizione. Le aspettative della destra furono però deluse dal discorso di Scalfaro che, pur richiamando la necessità di un clima di concordia e di rispetto per gli avversari, riaffermava che alla base della riconciliazione ci dovesse essere «il rispetto della storia e della verità».[49] La nascita della Seconda Repubblica aprì una fase di conflitti memoriali e uso politico della storia e della memoria che investirono anche la Festa della Liberazione.
Nel nuovo millennio
La messa in discussione del paradigma antifascista e la diffusione di un revisionismo della memoria della Resistenza furono all’ordine del giorno, a causa sia dei mutamenti del quadro politico italiano che di quello europeo dopo il 1989, tanto che nel primo decennio del nuovo millennio antifascismo e Resistenza – e di conseguenza il 25 aprile – non sembravano più elementi fondanti della Repubblica o quanto meno della cosiddetta seconda Repubblica.[50]
Nel 2005, nel Sssantesimo anniversario della Liberazione, il senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri, sul suo settimanale Il Domenicale, si fa portavoce della sostituzione del 25 aprile con il 18 aprile 1948, data delle elezioni che vedono la sconfitta del Fronte democratico popolare (Pci e Psi) da parte della Democrazia cristiana, in quanto vera data fondativa della democrazia in Italia.[51] A questa iniziativa fa probabilmente eco la Proposta di legge, con primo firmatario il deputato del Popolo delle libertà Fabio Garagnani, presentata il 29 aprile 2008 e intitolata Disposizioni per la celebrazione del 18 aprile 1948 quale “Giornata della democrazia italiana” mai discussa e ritirata il 18 aprile 2012.[52]
Tuttavia è una fase che, vista dall’osservatorio del Settantesimo anniversario della Liberazione (25 aprile 2015), sembrò esaurirsi proprio alla metà del secondo decennio del nuovo millennio. Falliti i tentativi di svuotare o addirittura sostituire il 25 aprile con il 18 aprile e l’obiettivo di pacificare attraverso la parificazione fra partigiani e ragazzi di Salò, attenuatosi il successo editoriale e mediatico della narrazione della Resistenza come calendario degli orrori promossa dai libri di Giampaolo Pansa, mutato il quadro politico con le dimissioni di Berlusconi, una nuova stagione pareva aprirsi anche per la memoria della Resistenza. Interprete di questo nuova stagione è stato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella,[53] che il giorno della sue elezione (31 gennaio 2015) si recò a rendere omaggio in forma privata alle Fosse Ardeatine tra i luoghi più fortemente simbolici della memoria della Resistenza. Il suo ruolo di garante della Costituzione e quindi di custode della memoria della Resistenza veniva quindi ribadito in una lunga intervista a Ezio Mauro, allora direttore di La Repubblica. pubblicata sul giornale il 24 aprile 2015. Nell’intervista il Presidente non si discostava di molto dalle posizioni dei suoi predecessori Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano, di cui raccoglieva la lezione, ma con un rimando più deciso all’antifascismo come irrinunciabile riferimento etico e politico. Alla domanda conclusiva di Mauro sulle conseguenze negative prodotte da un’adesione all’antifascismo subordinata all’anticomunismo, il Presidente così rispondeva:
[…] È vero che nel mondo ci sono stati diversi regimi totalitari e sanguinari, frutto di ideologie disumanizzanti. Ma la storia italiana è passata attraverso la dittatura fascista, la guerra, la lotta di Liberazione. E un popolo vive e si nutre della sua storia e dei suoi ricordi.[54]
Verso l’Ottantesimo: il discorso pubblico su fascismo, Resistenza, 25 aprile al tempo del governo Meloni
Se nel 2015 la celebrazione del Settantesimo anniversario pareva aprire uno scenario di rivitalizzazione per la memoria della Resistenza e quindi della sua festa, la vittoria elettorale della coalizione di centro destra nelle elezioni del 2022 sembra al contrario riproporre, attorno al 25 aprile, motivi e temi dei conflitti memoriali e dell’uso politico della storia e della memoria tipici degli anni Novanta. Si guarderà perciò al presente e in particolare alla prima Festa della Liberazione commemorata al tempo del governo Meloni, concentrando l’attenzione sul discorso pubblico delle maggiori figure istituzionali del nuovo governo. Si pensi al primo e attesissimo discorso alla Camera della Presidente del Consiglio incaricata, teso principalmente a rassicurare e dissolvere ogni dubbio sulla fedeltà alla Costituzione, alla democrazia e alla libertà della destra al governo. Nel discorso non c’è alcun riferimento alla Resistenza, come pure all’avvicinarsi del centenario della “marcia su Roma”; c’è un unico cenno di distanziamento dal fascismo, citato nell’insieme dei regimi antidemocratici, accompagnato dall’esplicita condanna solo delle leggi razziali del 1938:
a dispetto di quello che strumentalmente si è sostenuto, non ho mai provato simpatia o vicinanza nei confronti dei regimi antidemocratici; per nessun regime, fascismo compreso, esattamente come ho sempre reputato le leggi razziali del 1938 il punto più basso della storia italiana, una vergogna che segnerà il nostro popolo per sempre. [55]
Quanto all’antifascismo, esso è declinato, con un significativo espediente retorico, all’interno degli anni Settanta e non come elemento fondativo della Repubblica:
Ho conosciuto giovanissima il profumo della libertà, l’ansia per la verità storica e il rigetto per qualsiasi forma di sopruso o discriminazione proprio militando nella destra democratica italiana. Una comunità di uomini e donne che ha sempre agito alla luce del sole e a pieno titolo nelle nostre istituzioni repubblicane, anche negli anni più bui della criminalizzazione e della violenza politica, quando, nel nome dell’antifascismo militante, ragazzi innocenti venivano uccisi a colpi di chiave inglese. Quella lunga stagione di lutti ha perpetuato l’odio della guerra civile e allontanato una pacificazione nazionale che proprio la destra democratica italiana, più di ogni altro, da sempre auspica.
Nei mesi successivi, in avvicinamento al 25 aprile 2023, in occasione del 79° anniversario dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, si ha un ulteriore esempio della postura del nuovo governo di fronte alla radice antifascista della Repubblica. L’anniversario, celebrato il 24 marzo a Roma alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, del Ministro della Difesa Guido Crosetto e del Presidente del Senato Ignazio La Russa, è commentato dalla Presidente Meloni, impegnata a Bruxelles, con una dichiarazione in cui risaltano tre elementi: innanzitutto la strage è completamente ascritta alle «truppe di occupazione nazista come rappresaglie dell’attacco partigiano di via Rasella»; in secondo luogo, essa è definita «una delle ferite più profonde e dolorose inferte alla nostra comunità nazionale»; infine le vittime sono identificate come «innocenti massacrati solo perché italiani».[56] Un’affermazione omissiva delle responsabilità delle autorità fasciste nello stilare la lista di coloro che sarebbero stati fucilati[57] e fuorviante nell’indicare le vittime come “innocenti uccisi perché italiani” e non in quanto antifascisti, ebrei (considerati dalla Rsi non-italiani), militari, oltre che civili rastrellati. Questa dichiarazione crea per altro un’interessante analogia con quella rilasciata dalla Presidente Meloni in occasione del Giorno del ricordo 2023:
Oggi l’Italia celebra il Giorno del Ricordo e rende il suo tributo ai martiri delle foibe e agli italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia costretti ad abbandonare le loro case e le loro terre per il solo fatto di essere italiani.[58]
Per la prima Festa della Liberazione con al governo gli eredi dei “vinti” nel 1945, la Presidente del Consiglio affida il proprio pensiero a un lungo articolo pubblicato da Il Corriere della Sera, il 23 aprile[59] Ne esce un discorso, stretto tra la necessità istituzionale e un lungo vissuto di estraneità alla Festa della Liberazione, che dà luogo ancora una volta a un mancato riconoscimento delle radici antifasciste della Repubblica. L’auspicio della Presidente che le sue riflessioni possano contribuire «a fare di questa ricorrenza un momento di ritrovata concordia nazionale» viene smentito dallo svilupparsi del ragionamento. Il riconoscimento del 25 aprile come “spartiacque” per la storia d’Italia il cui «frutto fondamentale […] è stato, e rimane senza dubbio, l’affermazione dei valori democratici, che il fascismo aveva conculcato e che ritroviamo scolpiti nella Costituzione repubblicana», è infatti depotenziato da una significativa chiosa: «Purtroppo – dice Meloni – la stessa data non segnò anche la fine della sanguinosa guerra civile che aveva lacerato il popolo italiano» e non costituì la libertà per «centinaia di migliaia di nostri connazionali di Istria, Fiume e Dalmazia» per cui «iniziò invece una seconda ondata di eccidi e il dramma dell’esodo dalle loro terre le foibe». Senza alcuna contestualizzazione storica, le vittime del cosiddetto “triangolo rosso”[60] evocano dunque quelle delle foibe e rimandano entrambe all’odio e alla violenza prodotti dai partigiani comunisti: uno schema ricorrente nella delegittimazione della Resistenza presente nel dibattito pubblico italiano. Le successive riflessioni sulla nascita, dopo il 25 aprile, della democrazia “liberale” nel nostro paese, un «esito non unanimemente auspicato da tutte le componenti della Resistenza», sono incentrate sulla volontà dei padri costituenti di unire e non dividere e sul processo di ”democratizzazione” degli eredi del fascismo, esclusi «per ovvie ragioni storiche» dalla fase costituente. Nulla però viene detto sul carattere antifascista della Costituzione mentre viene fatto un implicito riferimento al ruolo della destra postfascista – e quindi del Msi – nella costruzione della democrazia italiana «grande, solida, matura e forte».
L’argomentazione poi si allarga, presentando il 25 aprile come una festa divisiva non per sua natura, ma perché coloro che se ne ritengono i soli legittimi eredi «stilano la lista di chi possa e di chi non possa partecipare, secondo punteggi che nulla hanno a che fare con la storia ma molto hanno a che fare con la politica». Un implicito attacco ai partiti della sinistra e ad associazioni come l’Anpi che, secondo la Presidente, leggerebbero il 25 aprile come festa solo di una parte, arrogandosi il diritto di escludere gli altri. Un ribaltamento evidente della realtà, poiché nella cultura della destra postfascista il 25 aprile – al contrario di altre ricorrenze memoriali come il 4 novembre o il 10 febbraio – è sempre stato vissuto con sentimenti di estraneità misti a insofferenza fino al lutto dichiarato, in quanto data che sancirebbe la sconfitta dell’Italia e non la sua Liberazione.[61]
Nella seconda parte della lettera Meloni fa proprio l’impegno a favorire il superamento di una certa «concezione proprietaria»[62] che ha impedito che la Festa della Liberazione diventasse patrimonio condiviso, nel solco tracciato dal discorso di Luciano Violante per l’insediamento alla Presidenza della Camera il 9 maggio 1996, da lei definito «memorabile» e da quello di Silvio Berlusconi a Onna per il 25 aprile 2009.[63]
La lettera si chiude con un omaggio alla partigiana Paola Del Din,[64] incontrata da Meloni, di cui si cita la frase «Il tempo ci ha ribattezzati Partigiani, ma noi eravamo Patrioti, io lo sono sempre stata e lo sono ancora».
Due giorni dopo la pubblicazione della lettera, ovvero il 25 aprile 2023, le massime autorità del nuovo governo- la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il Presidente del Senato Ignazio La Russa, il Presidente della Camera Lorenzo Fontana e il Ministro della Difesa Guido Crosetto – partecipano a Roma, con il sindaco Lorenzo Gualtieri, al rituale istituzionale della deposizione da parte del Presidente Mattarella della corona d’alloro all’Altare della Patria che apre, come di consueto, le celebrazioni della Festa della Liberazione. Alle successive tappe memoriali romane, solo al Mausoleo Ardeatino il sindaco di Roma è accompagnato da un esponente del governo: il Ministro degli Esteri Antonio Tajani.[65] Il Presidente del Senato, dopo la celebrazione istituzionale all’Altare della Patria, vola a Praga per un impegno europeo e significativamente inserisce nel suo programma l’omaggio al monumento a Jan Palach[66] e la visita al campo-ghetto di Theresienstadt. Vi è in questo una piena ed evidente sintonia con la mozione votata in Senato cinque giorni prima, il 20 aprile 2023, e presentata dal centrodestra in risposta a quella avanzata dalle opposizioni il 4 aprile.[67] Al centro delle due mozioni c’è il significato delle date del calendario civile delle Repubblica, un tema reso urgente dall’avvicinarsi del 25 aprile e a seguito delle polemiche suscitate dalle dichiarazioni di La Russa in occasione dell’anniversario dell’eccidio delle Fosse Ardeatine.[68] La mozione delle opposizioni risponde all’esigenza di ridare centralità al calendario civile repubblicano, citando nel testo le parole di Liliana Segre sul significato delle festività civili, pronunciate nel discorso di apertura della XIX legislatura:
Le grandi Nazioni, poi, dimostrano di essere tali anche riconoscendosi coralmente nelle festività̀ civili, ritrovandosi affratellate attorno alle ricorrenze scolpite nel grande libro della storia patria. Perché non dovrebbe essere così per il popolo italiano? Perché mai dovrebbero essere vissute come date divisive, anziché con autentico spirito repubblicano (Applausi), il 25 aprile, festa della liberazione (Applausi), il 1° maggio, festa del lavoro (Applausi), il 2 giugno, festa della Repubblica (Applausi)? Anche su questo tema della piena condivisione delle feste nazionali, delle date che scandiscono un patto tra le generazioni, tra memoria e futuro, grande potrebbe essere il valore dell’esempio, di gesti nuovi e magari inattesi.[69]
Di seguito il richiamo alle istituzioni e in particolare al Senato a un impegno «per la trasmissione della conoscenza della storia, frutto del rigore della ricostruzione storica unitaria e condivisa». La mozione presentata dalla destra invece, si apre con un riferimento alla Costituzione e alle parole del Presidente della Repubblica Mattarella per poi svilupparsi, seguendo l’impostazione del discorso di insediamento della Presidente Meloni, sostenendo quindi la necessità di superare gli odi della lunga guerra civile perpetuata dall’antifascismo militante negli anni Settanta (c’è un esplicito riferimento all’attentato di Primavalle in cui persero la vita Virgilio e Stefano Mattei, figli di Mario Mattei, segretario della locale sezione del Msi), richiamando la risoluzione del Parlamento europeo del 2019[70] e riconoscendo l’importanza delle tre feste nazionali a cui vengono affiancate però altre date della storia patria: il 17 marzo e il 4 novembre, e «in memoria di pagine particolarmente significative»- il 27 gennaio, il 10 febbraio, il 9 novembre e il 18 aprile 1948, «quando gli elettori italiani collocarono la nostra nazione nel mondo libero e democratico». La mozione si chiude con l’auspicio a un impegno di tutti perché «l’accuratezza storica» con cui si devono affrontare le iniziative legate alla memoria della storia dell’Italia e dell’Europa non diventi occasione «per attacchi ad avversari che pure si riconoscono nei principi, nei valori e nel dettato costituzionale».[71] Entrambe le mozioni vengono approvate nella seduta del 20 aprile 2023: quella delle opposizioni con voto quasi unanime (si registra un solo astenuto), quella del centro destra con i soli voti della maggioranza e l’astensione o il voto contrario delle opposizioni.
Il quadro qui descritto rende palese come la destra al governo appaia oggi quale interprete più accreditata della vulgata anti-antifascista presente da sempre nel discorso pubblico dopo la nascita della Repubblica e che tracima i confini della destra post-fascista. La questione vera che si pone quindi non è tanto combattere la perdita della memoria della Resistenza e il tramonto del 25 aprile, quanto piuttosto contrastare la presenza di una memoria deformata e strumentalizzata. Più che difendere o recupere la memoria della Resistenza forse sarebbe necessario tornare a raccontarla, specialmente nelle scuole, accogliendo il suggerimento di Primo Levi:
credo che se desideriamo che i nostri figli sentano queste cose, e pertanto si sentano nostri figli, dovremo parlare loro un po’ meno di gloria e di vittoria, di eroismo e di sacro suolo; e un po’ più di quella vita dura, rischiosa e ingrata, del logorio quotidiano, dei giorni di speranza e di disperazione, di quei nostri compagni morti accettando in silenzio il loro dovere, della partecipazione del popolo (ma non tutto), degli errori commessi e di quelli evitati, dell’esperienza cospirativa e militare faticosamente conquistata, attraverso sbagli che si pagavano a prezzo di vite umane, della laboriosa (e non spontanea, e non sempre perfetta) concordia fra formazioni di partiti diversi. […] Solo così i giovani potranno sentire la nostra storia più recente come un tessuto di eventi umani e non come un “pensum” da addizionare ai molti altri dei programmi ministeriali.[72]
Conclusioni
A questo punto possiamo sostenere che la longevità e la “resilienza” del 25 aprile dipendono davvero dal fatto che la Festa d’aprile è stata un continuo riferimento nella vita civile del nostro paese? Forse no. Non per tutte e tutti gli italiani e nemmeno per tutta la classe politica è stato ed è “monumento di coscienza storica” come scrive Benjamin e neppure riferimento centrale della vita civile. Possiamo però certamente affermare che, nonostante molte e pericolose infezioni, lo stato di salute del 25 aprile sia da considerarsi stabile. Per la sua natura – così come si è affermata nel corso della storia della Repubblica – di Resistenza celebrata e di Resistenza incompiuta, per cui la memoria del passato mobilita nel presente, il 25 aprile è la data del nostro calendario civile che meglio garantisce alla comunità nazionale e a quelle locali una forma simbolica in cui la memoria originaria possa essere continuamente “risignificata”. Il 25 aprile 2020, nel 75° anniversario della Liberazione celebrato in piena pandemia, migliaia di cittadine e cittadini accoglievano l’appello dell’Anpi a cantare Bella Ciao dai balconi delle case serrate dal lockdown, rompendo collettivamente l’irreale silenzio di quei giorni. Non sfugge a chi scrive il significato prevalentemente emotivo di quella adesione ma allo stesso tempo è essenziale rilevare che anche in quella situazione la comunità si raccolse attorno a «quell’esperienza di quasi ottant’anni fa, difficile, fragile, romantica, coraggiosa […]. Come la cosa migliore che abbiamo avuto, e che abbiamo».[73] Del resto la funzione della memoria non è quella di rispondere ai bisogni del presente piuttosto che costituire unicamente un’eredità del passato?
Note:
[1] W. Benjamin, Sul concetto di storia (XV), in Opere complete, VII. Scritti 1938-1940, Einaudi, Torino 2006, p. 491. Per le origini del calendario civile si veda, su questa stessa rivista, S. Pivato, Le origini del calendario civile, in Novecento.org, n. 13, febbraio 2020.
[2] S. Campanozzi, Memorie contese: 4 novembre, in “Novecento.org”, n.22, dicembre 2024. https://www.novecento.org/memorie-contese-origine-ed-evoluzione-di-quattro-date-del-calendario-civile-italiano/memorie-contese-4-novembre-8320/.
[3] Sulla storia del Msi e le sue eredità si vedano D. Conti, L’anima nera della democrazia. Storia del Msi, Laterza, Bari 2013 e sempre di Conti il più recente Fascisti contro la democrazia: Almirante e Rauti alle radici della destra italiana, 1946-1976, Einaudi, Torino 2023. Risalendo fino a Fratelli d’Italia si veda l’edizione aggiornata di P. Ignazi, Il polo escluso. La fiamma che non si spegne da Almirante a Meloni, Il Mulino, Bologna 2023 e riguardo alle persistenze simboliche del fascismo nell’iconografia della destra L. Cheles, Iconografia della destra. La propaganda figurativa da Almirante a Meloni, Viella, Roma 2023.
[4] G. Almirante, 25 aprile, in “Il Secolo d’Italia”, 26 aprile 1953. Articolo di fondo in prima pagina reperibile nella sezione digitale della Biblioteca nazionale di Roma a questo link, consultato il 2 settembre 2024, http://digitale.bnc.roma.sbn.it/tecadigitale/giornale/CFI0376147/1953/Aprile/128.
[5] Il testo del decreto legge del 22 aprile 1946 è pubblicato sulla “Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia” n. 185 del 24 aprile 1946, p.187 reperibile al link https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/1946/04/24/96/sg/pdf, consultato il 26 luglio 2024.
[6] Non venne invece riproposta la data del 24 maggio, anch’essa presente tra le solennità civili del calendario fascista (1930) per celebrare l’entrata nella Prima guerra mondiale dell’Italia. Una scelta contrastata ma motivata non solo dalla fascistizzazione che ne aveva fatto il regime, ma anche perché avrebbe potuto diventare un’occasione di mobilitazione per i sostenitori di un’idea autoritaria e nostalgica della nazione. Cfr., M. Ridolfi, Le feste nazionali, ed. ebook Il Mulino, Bologna 2011 p. 123-124. Curiosamente nelle solennità civili del calendario fascista era già presente il 25 aprile a ricordo della nascita, il 25 aprile 1874, di Guglielmo Marconi.
[7] Ridolfi, 2011, pp. 200-202.
[8] Il Ministero dell’Italia occupata fu istituito dal Governo Bonomi III nel dicembre 1944 per coordinare i rapporti con il CLNAI e il CVL, oltre che per fornire assistenza alle formazioni partigiane e alla popolazione dell’Italia ancora occupata. Fino alla sua soppressione, nel giugno del 1945, fu guidato da Mauro Scoccimarro, dirigente del Pci.
[9] Cfr. M. Mondini, G. Schwarz, Dalla guerra alla pace. Retoriche della smobilitazione nell’Italia del Novecento, Sommacampagna (Ve), Cierre e Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea della provincia di Vicenza “Ettore Gallo” 2007, pp. 174-186.
[10] La prefazione di Scoccimarro da cui sono tratte le citazioni si può reperire al seguente link, consultato il 4 settembre 2024 https://giorgiomacario.blogspot.com/2018/02/18-febbraio-la-giornata-del-partigiano.html.
[11] Va ricordato che durante il regime fascista dal 1939 ogni 9 maggio, anniversario della proclamazione dell’Impero, si festeggiava la Giornata del soldato. Appare chiara quindi la volontà specie di Scoccimarro di ingaggiare una lotta anche sul piano simbolico. Cfr. Ridolfi, 2011, edizione ebook, pp. 113-114.
[12] Mondini, Schwarz, 2007, p. 182.
[13] Giorni di gloria esce nell’ottobre del 1945 con la regia di Giuseppe De Santis, Marcello Pagliero, Mario Serandrei e Luchino Visconti. Centrale nella costruzione narrativa del film il ruolo di Mario Serandrei che ne curò il montaggio. Il documentario racconta l’epopea della lotta dall’8 di settembre alla Liberazione. Materiale originale fornito dalle formazioni partigiane e dal P.W.B.( Psychological Warfare Branch) si mescola a scene di lotta ricostruite e a materiale in presa diretta come il girato di Visconti sul processo Caruso, sul linciaggio di Carretta e sulle fucilazioni di Caruso, Scarpato e Koch o quelle di Pagliero sull’esumazione della salme alle Fosse Ardeatine. Il documentario è realizzato sotto gli auspici del Ministero dell’Italia occupata in via però di dissolvimento e viene da subito ceduto per diritti e distribuzione alla Titanus. Il film è visibile in streaming al seguente link https://vimeo.com/303284185; le sequenze relative alla “Giornata del partigiano e del soldato” si trovano da 44:25 a 47:03.
[14] Ridolfi, 2011, edizione ebook, p. 208.
[15] Per una ricostruzione delle Feste della Liberazione nella Milano del primo dopoguerra si veda Y. Guaiana, Milano negli anni cruciali di formazione della narrazione repubblicana: 1945-1948, in “Storia in Lombardia. Quadrimestrale dell’Istituto lombardo di storia contemporanea”, n. 2, 2006, pp. 63-93.
[16] Cfr., Mondini, Schwarz, 2007, p. 197. Note sulla mostra si trovano nella scheda di accompagnamento al bozzetto preparatorio del manifesto pubblicato sul sito LombardiaBeniCulturali al seguente link, consultato il 4 settembre 2024, https://www.lombardiabeniculturali.it/opere-arte/schede/SWBB1-00033/.
[17] Si pensi solo al fatto che la categoria della guerra civile – pur utilizzata da subito da alcuni autorevoli esponenti della Resistenza – era brandita dagli eredi del fascismo come arma contro gli antifascisti vincitori.
[18] Cfr. C. Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza, Torino, Bollati Boringhieri 1991, pp. 223-225 e F. Focardi, Il cattivo tedesco e il bravo italiano. La rimozione delle colpe della seconda guerra mondiale, Laterza, edizione digitale, Bari 2016 pp. 123-124.
[19] Per questa vicenda si rimanda a S. Luzzatto, Il corpo del Duce, un cadavere tra immaginazione storia e memoria, Einaudi, Torino 1998.
[20] Il testo del decreto si trova al seguente link, consultato il 4 settembre 2024 https://www.gazzettaufficiale.it/gazzetta/serie_generale/caricaDettaglio?dataPubblicazioneGazzetta=1946-06-20&numeroGazzetta=134.
[21] Per il clima dopo il 2 giugno 1946 si veda M. Mondini, G. Schwarz, 2007, pp. 200-204.
[22] Ridolfi, 2011, edizione ebook,, p. 115-122.
[23] Il testo del decreto è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 18 aprile 1947, p. 1165 reperibile al seguente link, consultato il 4 settembre 2024 https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/1947/04/18/90/sg/pdf.
[24] Mondini, Schwarz, 2007, pp. 207-210.
[25] Per la ricostruzione di questo clima si veda P. Cooke, L’eredità della Resistenza. Storia, cultura, politiche dal dopoguerra a oggi, Viella, edizione digitale, Roma 2015, pp. 38-48.
[26] Il testo del decreto è pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 24 aprile 1948, p. 1395 reperibile al seguente link, consultato il 4 settembre 2024 https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/1948/04/24/97/sg/pdf.
[27] Il testo della legge n. 260 del 27 maggio 1949 che norma le ricorrenze festive è pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 31 maggio 1949 p. 1415 reperibile al seguente link, consultato il 4 settembre 2024 https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/1949/05/31/124/sg/pdf.
[28] Uniti contro il fascismo, appello della Giunta esecutiva del Comitato nazionale dell’A.N.P.I., pubblicato sulla prima pagina dell’ “Avanti!” , 25 aprile 1948 reperibile al seguente link, consultato il 4 settembre 2024 https://avanti.senato.it/js/pdfjsdist/web/viewer.html?file=/files/reader.php?f%3DAvantiIII/AVANTI_ROMA/1948/1948_1_sem/1948_4_25_98_Edizione-romana.pdf.
[29] Discorso di Alcide De Gasperi in occasione del convegno nazionale delle consigliere nazionali della Democrazia cristiana, Roma 2 febbraio 1948. Il testo si trova sulla piattaforma Alcide, che raccoglie in digitale gli scritti e i discorsi di De Gasperi, al seguente link, consultato il 4 settembre 2024 nella sezione Interventi di partito https://alcidedigitale.fbk.eu/platform/ . De Gasperi si riferisce ad un articolo in prima pagina pubblicato sull’ “Avanti!” il 1 febbraio 1948 intitolato Battaglia aperta e a fondo in cui si scrive: “La relativa facilità con la quale le forze interne di conservazione e di reazione hanno ripreso il sopravvento; la docilità del governo nei confronti del partito del capitale interno e straniero; la tendenza democristiana a restaurare l’originario Stato di polizia; il divorzio che ne deriva fra la Repubblica e le masse che la Repubblica hanno fondata il 2 giugno; tutto ciò è la conseguenza in un certo senso fatale di una rivoluzione a metà.” Il testo è reperibile al seguente link, consultato il 4 settembre 2024 https://avanti.senato.it/js/pdfjs-dist/web/viewer.html?file=/files/reader.php?f=AvantiIII/AVANTI_ROMA/1948/1948_1_sem/1948_2_1_28_Edizione-romana.pdf.
[30] F. Focardi, La guerra della memoria. La resistenza nel dibattito politico italiano dal 1945 a oggi, Laterza, Bari 2005.
[31] Per la ricostruzione storica si veda G. Crainz, Storia della Repubblica. L’Italia dalla Liberazione ad oggi, Donzelli, Roma 2016.
[32] Ridolfi, 2011, edizione ebook, pp. 210-218.
[33] Focardi, 2005, pp. 19-32.
[34] Cfr., Crainz, 2016, edizione ebook, p. 75.
[35] Per notizie biografiche su Celeste Negarville si veda E. Collotti, R. Sandri e F. Sessi, (a cura di), Dizionario della Resistenza, vol. II, Luoghi, formazioni, protagonisti, Einaudi, Torino 2001, pp. 596-97.
[36] L’articolo è reperibile al seguente link, consultato il 4 settembre 2024 https://archivio.unita.news/assets/main/1953/04/25/page_001.pdf . Per quanto riguarda i processi ai partigiani nel dopoguerra si veda M. Ponzani, Processo alla Resistenza. L’eredità della guerra partigiana nella Repubblica 1945-2022, Einaudi, Torino 2023.
[37] Per il ruolo della televisione nel racconto della Resistenza si veda G. Isola, La celebrazione della Resistenza. Cinquant’anni di storia della Rai, in “Italia contemporanea”, n. 214, 1999, pp. 87-104.
[38] Il testo della legge dal titolo “Provvedimenti per la celebrazione del decimo anniversario della liberazione nelle scuole della Repubblica” è pubblicato sulla “Gazzetta ufficiale” del 17 maggio 1956 p. 1713, reperibile al seguente link, consultato il 4 settembre 2024 https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/1956/05/17/120/sg/pdf.
[39] Cfr., Ridolfi, 2011, edizione ebook, p. 216.
[40] Ridolfi, 2011, edizione ebook, pp. 217-227.
[41] Focardi, 2005, pp. 41-47.
[42] Ridolfi, 2011, edizione ebook, p. 227-228.
[43] Focardi, 2005, pp. 48-55.
[44] Il resoconto stenografico della discussione in Senato nella seduta del 6 febbraio 1964 e dell’approvazione della legge per la celebrazione del ventennale della Resistenza è reperibile al seguente link, consultato il 4 settembre 2024 https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/426012.pdf . Il testo della legge è pubblicato sulla “Gazzetta ufficiale” del 27 marzo 1964, p. 1286, reperibile al seguente link, consultato il 4 settembre 2024 https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/1964/03/27/78/sg/pdf.
[45] Cfr. C. Cenci, Rituale e memoria: le celebrazioni del 25 aprile, in L. Paggi (a cura di), Le memorie della Repubblica, La Nuova Italia, Firenze 1999, p. 363-364.
[46] Una sintetica biografia di Guido Quazza, partigiano, storico, Presidente dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di Liberazione in Italia (ora Istituto nazionale Parri) dal 1972 al 1996 è disponibile al seguente link, consultato il 4 settembre 2024 https://www.reteparri.it/chi-siamo/cenni-storici/i-presidenti-dellinsmli/.
[47] G. Quazza, la Resistenza celebrata, in “rivista di storia contemporanea”, n. 1, 1975, pp. 1-2.
[48] Cfr. Cenci, 1999, p. 374.
[49] Cfr., Focardi, 2005, p. 66. Per una valutazione critica del discorso di Scalfaro a Milano si veda Cooke, 2015, p. 288.
[50] Cfr. Focardi, 2005, pp. 56-75.
[51] Focardi, 2005, p. 288.
[52] Il riferimento a questa proposta di legge si trova sul sito della Camera dei deputati al seguente link, consultato il 4 settembre 2024 https://leg16.camera.it/126?leg=16&pdl=192.
[53] Per il ruolo del Presidente Mattarella nella rivitalizzazione della memoria della Resistenza cfr., F. Focardi, Nel cantiere della memoria. Fascismo, Resistenza, Shoah, Foibe, Viella, Roma 2020, pp. 294-299. Un’analisi delle narrazioni della Resistenza in occasione della Festa della Liberazione tenuta dai vertici delle istituzioni: Presidenti della Repubblica, dei due rami del Parlamento, Presidenti del Consiglio e Ministri della Difesa tra il 1946 e il 2025 è condotta da A. Bistarelli, Festa grande di aprile? Narrazioni, riflessioni, convenienze dei vertici istituzionali, in P. Carusi e M. De Nicolò (a cura di), Il 25 aprile dopo il 25 aprile. Istituzioni, politica, cultura, Viella, Roma 2017, pp. 15-33.
[54] Il testo integrale dell’intervista si trova al seguente link, consultato il 4 settembre 2024 https://www.repubblica.it/politica/2015/04/24/news/mattarella_vi_racconto_il_mio_venticinque_aprile_non_abbassiamo_la_guardia_cosi_si_riafferma_la_democrazia_-112698753/?ref=search.
[55] Il discorso integrale in video e in trascrizione si trova sul sito del Governo Italiano – Presidenza del Consiglio dei Ministri a questo link, consultato il 2 settembre 2024, https://www.governo.it/it/articolo/le-dichiarazioni-programmatiche-del-governo-meloni/20770 .
[56] La dichiarazione integrale si trova al seguente link consultato il 2 settembre 2024 https://www.governo.it/it/articolo/eccidio-delle-fosse-ardeatine-dichiarazione-del-presidente-meloni/22187.
[57] Si veda A. Osti Guerrazzi, Fosse Ardeatine Roma 24.03.1944, in “Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia”, https://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2127.
[58] La dichiarazione completa si trova sul sito del Governo italiano – Presidenza del Consiglio dei Ministri a questo link consultato il 2 settembre 2024 https://www.governo.it/it/articolo/giorno-del-ricordo-il-messaggio-del-presidente-del-consiglio-giorgia-meloni/21787.
[59] Il testo integrale della lettera si trova al seguente link, consultato il 2 settembre 2024 https://www.corriere.it/politica/23_aprile_25/giorgia-meloni-25-aprile-96d0cd14-e2d5-11ed-ab75-b8a1ffdbb100.shtml.
[60] Con la locuzione “triangolo rosso” entrata nella memoria pubblica ci si riferisce al complesso delle violenze di matrice comunista che si svolsero tra l’estate del 1945 e l’estate del 1946 in particolare nelle aree del reggiano e del modenese ma per estensione anche nel milanese con riferimento alle vicende della “Volante rossa”, una formazione costituita da ex partigiani garibaldini operante nel dopoguerra tra il 1945 e il 1949. Per una ricostruzione di queste vicende si veda M. Dondi, La lunga liberazione. Giustizia e violenza nel dopoguerra italiano, Editori Riuniti, Roma 2004 (prima edizione 1999). Per l’uso politico di queste vicende nell’attacco complessivo alla memoria della Resistenza si veda C. Colombini, Anche i partigiani però…, Laterza, Bari 2021, versione digitale, in particolare pp. 99-119.
[61] A questo proposito si veda A. Staderini, Il 25 aprile dei postfascisti: «la più stupida, assurda e drammatica e orribile data della vita italiana», in Carusi e De Nicolò (a cura di), 2017, pp. 83-108.
[62] Qui la citazione completa del discorso di Violante a cui si riferisce il rimando della Presidente del Consiglio: “Mi chiedo, colleghi, me lo chiedo umilmente, in che modo quella parte d’Italia che in quei valori crede e che quei valori vuole custodire e potenziare nel loro aspetto universale di lotta alla tirannide e di emancipazione dei popoli, non come proprietà esclusiva, sia pure nobile, della sua cultura civile o della sua parte politica, mi chiedo – dicevo – cosa debba fare quest’Italia perché la lotta di liberazione dal nazifascismo diventi davvero un valore nazionale e generale, e perché si possa quindi uscire positivamente dalle lacerazioni di ieri.” La trascrizione completa si trova nel sito della Camera dei deputati e le dichiarazioni relative alla Resistenza sono a p. 37. Questo il link, consultato il 2 settembre 2024. https://legislature.camera.it/chiosco.asp?content=/_dati/leg13/lavori/stenografici/sed001/s100r.htm.
[63] Un montaggio del discorso di Berlusconi ad Onna, devastata dal terremoto che colpì l’aquilano il 6 aprile 2009, si trova al seguente link, consultato il 2 settembre 2024, https://youtu.be/HwO5QLVM-TI.
[64] Per una biografia di Paola Del Din si consulti la voce in Wikipedia al seguente link, consultato il 2 settembre 2024 https://it.wikipedia.org/wiki/Paola_Del_Din.
[65] A questo link, consultato il 4 settembre 2024, il programma delle celebrazioni previste a Roma https://www.comune.roma.it/web/it/notizia.page?contentId=NWS1040261.
[66] Jan Palach, studente della Facoltà di lettere e filosofia si diede fuoco il 16 gennaio 1969 in piazza San Venceslao a Praga per spingere il popolo ceco ad uscire dalla rassegnazione e riprendere la lotta dopo che l’occupazione sovietica, cinque mesi prima, aveva stroncato l’esperienza riformista della “Primavera di Praga” a cui lo stesso Palach aveva partecipato. Notizie e documenti sulla vicenda di Palach e sul contesto in cui si colloca si possono reperire nel sito a lui dedicato al seguente link, consultato il 4 settembre 2024 https://www.janpalach.cz/it/default/index.
[67] Il resoconto stenografico della seduta del 20 aprile 2023 al Senato in cui vengono discusse le due mozioni la 39 delle opposizioni e la 44 della maggioranza completo di allegati con l’esito delle votazioni si trova a questo link, consultato il 4 settembre 2024, https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01375409.pdf pp. 42-73 per la discussione e le dichiarazioni di voto, pp. 128-130 per il testo delle due mozioni, p. 141 per l’esito complessivo della votazioni e pp. 156-160 per l’esito nominale delle votazioni.
[68] https://www.rainews.it/articoli/2023/03/la-russa-via-rasella-partigiani-polemica-politica-banda-musicale-12bdcaf3-9fdf-477c-95c4-60fa2646a7c0.html.
[69] https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01375409.pdf, p. 128. Il testo integrale del discorso di Liliana Segre si trova al seguente link, consultato il 4 settembre 2024 https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/1360952.pdf pp. 5-8.
[70] Sulla risoluzione del Parlamento europeo dal titolo “Importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa” e più in generale su una riflessione riguardante la memoria europea si rimanda a Focardi, 2020, pp. 311-327. Il testo integrale della risoluzione si trova sul sito del Parlamento europeo al link, consultato il 2 settembre 2024, https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-9-2019-0021_IT.html .
[71] https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01375409.pdf, consultato il 4 settembre 2024 pp. 129-130.
[72] La citazione si trova in E. Ruffini, Un lapsus di Primo Levi. Il testimone e la ragazzina, Assessorato alla Cultura Comune di Bergamo e Istituto bergamasco per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, Bergamo 2006, pp. 51-52. Si tratta dell’articolo Il tempo delle svastiche scritto da Levi il 15 gennaio 1960 per “Il giornale di genitori” ora raccolto in P. Levi, Opere, a cura di M. Belpoliti, Einaudi, Torino 1997, vol. I, p. 1122. Ruffini nell’analizzare l’articolo sviluppa la posizione critica di Levi sulla definizione della Resistenza come “Secondo Risorgimento”.
[73] Colombini, 2021, versione digitale, p. 134.