Web Reporter. Raccontare la storia oggi
Con poche avvertenze per un suo uso intelligente
La quasi concomitanza di anniversari – è il caso del settantesimo anniversario della Resistenza e della Liberazione e del centenario della Grande Guerra – riversa in qualsiasi paesaggio culturale una quantità tale di Mostre e di eventi ad esse connessi che sarebbe un peccato fossero ignorati da parte della scuola. Con qualche precauzione.
Il termine Mostra etimologicamente non incoraggia. Esso fa intravedere una dinamica in cui si immagina qualcuno che ha qualcosa da mostrare e qualcun altro che fa da spettatore. Ciò evoca subito scolaresche rumoreggianti o semplicemente annoiate, al seguito di guide affannate a spiegare quanto altri hanno raccontato.
Proviamo a contornare una diversa situazione possibile. Cominciamo dal constatare che ogni esposizione, pur nei diversi gradi qualitativi di allestimento, costituisce comunque un reticolo di problemi storiografici e un serbatoio di documentazione più o meno capiente.
Possiamo compiere con gli studenti, insieme, un percorso comune in cui le tesi mostrate non costituiscano verità storica (o nel peggiore dei casi, ideologica) ma pretesto per nuove tematizzazioni; un po’ come il Lettore esperto di Umberto Eco faceva con i libri, cooperando con il testo in una riscrittura continua.
Avremo come primo vantaggio domande dal presente, in cui diviene essenziale la percezione, se non la chiave interpretativa, che del presente hanno i ragazzi. Secondo vantaggio: chi guarda entra nella storia-materia esercitandosi a porre problemi. Non dimentichiamo che la tematizzazione (rendere chiare le domande che ci poniamo) è un ferro del mestiere dello storico ma ancor più una competenza primaria a cui l’insegnamento della storia va finalizzato. Agatha Christie metteva in bocca ad Ercole Poirot, il suo detective preferito, questa affermazione: «Non esistono risposte giuste, esistono domande giuste».
Già: a domande giuste bisogna imparare a dare risposte. Entrare in una mostra può costituire un ottima occasione. I documenti con i quali ci si imbatte – di ogni tipo, da quelli scritti a quelli visivi, dalle fotografie ai canti alle tecnologie ai luoghi) – assumono nuovo significato se i ragazzi provano a porre loro nuove domande; e la qualità delle seconde dipenderà dalla buona selezione dei primi.
Due obiezioni tra le tante possibili: in tre ore di visita (tanto in media dura la fruizione scolastica di una mostra) come conoscere ciò di cui si parla, tematizzare, dare risposte? Qualsiasi percorso di riflessione storica ha bisogno di una comunicazione formalizzata: come approntarla nell’immediato?
La prima è risolvibile con l’organizzazione: lavorare per piccoli gruppi dentro ciascuno dei quali i compiti sono convenzionalmente distribuiti; magari seguiti da uno che la storia la conosce, che si pone come risorsa (una sorta di bibliografia vivente, che interviene su richiesta).
Alla seconda si può rispondere con l’uso delle tecnologie. Scatenare i ragazzi all’incetta di documentazione tramite telefonini, tablet, macchinette fotografiche significa motivarli attraverso l’uso di tecnologie che conoscono bene, e che una volta tanto vengono riconosciute utili anche dagli adulti. Le operazioni canoniche della tecnica didattica del laboratorio di storia avverranno quindi su materiale digitale, selezionabile, manipolabile, insomma, estremamente duttile.
E la comunicazione dei risultati potrebbe essere successivamente costruita in formato digitale, discutendo sulle grammatiche e le sintassi della pagina web. Destinazione finale, il sito di ciascuna scuola di appartenenza, che diverrebbe moltiplicatore di domande e di risposte documentate.