Select Page

A caccia di fake news

Web, social network e uso critico delle fonti: un progetto didattico

Abstract

Sempre più nel web si propagano le fake news, false notizie deliberatamente create, in grado di suscitare profonde emozioni e di diffondersi, grazie alle risorse della rete, con sorprendente velocità e ampiezza. Un preoccupante fenomeno, che può influenzare l’opinione pubblica e costituire una minaccia per la democrazia, basata sul libero formarsi delle opinioni dei cittadini. Il progetto qui presentato e realizzato nell’ambito dei Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento si è articolato in un percorso che, partendo da una riflessione sull’uso critico delle fonti e sulla metodologia degli storici, è giunto ad analizzare le dinamiche della rete e la realtà delle fake news, al fine di fornire agli studenti i basilari elementi conoscitivi per un approccio consapevole alle informazioni fornite dal web e dai media.

Dati preoccupanti

L’82% degli italiani non sarebbe in grado di riconoscere una falsa notizia sul web: l’inquietante dato, divulgato dall’agenzia giornalistica Adnkronos in data 21 luglio 2018, emerge dai risultati di “Infosfera”, ricerca ideata, promossa e coordinata dall’Università Suor Orsola Benincasa e da un team di ricercatori facenti capo al Centro Studi Democrazie Digitali.[1] Una simile percentuale evidenzia come nella società italiana non si siano ancora formati efficaci anticorpi alle fake news, che quotidianamente circolano in rete: un fenomeno decisamente preoccupante dal momento che le false notizie influenzano in maniera non trascurabile il formarsi della pubblica opinione e delle idee politiche.[2]

Se a questo dato accostiamo le recenti rilevazioni (settembre 2018) dell’Auditel-Censis, attestanti la precoce attitudine alla navigazione online dei bambini e il possesso di uno smartphone da parte di chi ha tra i 18 e i 34 anni, e quelle del rapporto Digital in 2018 sul rilevante grado di penetrazione dei social media in Italia (superiore alla media europea) e sul considerevole lasso di tempo ad essi dedicato,[3] ben si comprende quanto risulti attuale e urgente il problema di un’opportuna educazione all’uso critico delle fonti e alla consapevolezza delle dinamiche del web, ambito da cui i giovani traggono, quasi esclusivamente, le loro informazioni.[4]

 

Un progetto per gli studenti delle scuole superiori

Uso critico delle fonti, fake news, dinamiche della rete è il titolo del progetto, ideato e condotto da chi scrive, che l’Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea “Raimondo Ricci” (ILSREC) ha proposto per l’anno scolastico 2019/20 alle scuole superiori di Genova nell’ambito dei Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento. La proposta didattica, accolta da cinque istituti superiori per un totale di sette classi coinvolte[5], si è articolata in un percorso che, prendendo le mosse da una riflessione sull’uso critico delle fonti e sulla cassetta degli “attrezzi di lavoro” dello storico, giungesse ad analizzare le dinamiche della rete e il fenomeno delle cosiddette fake news, al fine di fornire agli studenti quei basilari elementi conoscitivi la cui padronanza costituisce l’imprescindibile condizione per un approccio consapevole alle informazioni fornite dal web e dai media.

Calibrato sulle esigenze delle singole classi,[6] il progetto prevedeva tra i 4 e 5 incontri,[7] ciascuno dei quali di 2 ore consecutive e con cadenza settimanale, articolati in diversi moduli e richiedeva la disponibilità di un sistema di videoproiezione. La didattica impiegata ha spaziato dalle lezioni frontali, supportate da presentazioni Powerpoint appositamente realizzate, ad attività seminariali, dalla didattica ludica all’analisi collettiva di testi e immagini, dalla discussione comune guidata a metodologie di cooperative learning che potessero favorire l’acquisizione sia di competenze cognitive sia di proficue modalità relazionali.

Come esito finale del progetto, e significativo momento di verifica e restituzione, alle classi coinvolte è stato proposto la realizzazione di un prodotto, la cui tipologia e contenuto dovevano essere individuati dagli stessi studenti, che sintetizzasse il senso del lavoro svolto e rivolgesse un efficace messaggio ai loro coetanei. Un prodotto quindi che costituisse un segno tangibile del percorso affrontato e uno strumento disponibile, in futuro, per altri studenti.

 

Documenti e monumenti

Il primo modulo del progetto è stato dedicato a una riflessione sul lavoro dello storico e relativa metodologia. Cose risapute, si dirà, e già in possesso – è sperabile – di studenti del triennio conclusivo della scuola secondaria di secondo grado, ma che per la loro importanza e funzione propedeutica ho ritenuto di dover riprendere e illustrare.

Fonte primaria per il suo lavoro ricostruttivo, i documenti pongono allo storico due preliminari problemi: quelli dell’accertamento dell’autenticità e dell’attendibilità.[8] Nessun documento, come ci ha spiegato il medievista Jacques Le Goff cui dobbiamo il conio “documento-monumento”,[9] può infatti aspirare a un’assoluta trasparenza e oggettività, essendo sempre il prodotto di una temperie culturale e il veicolo, a prescindere dal grado di consapevolezza del suo autore, di una specifica ideologia e visione del mondo, di un apparato, istituzione, potere. Lungi dal costituire una fedele e impersonale rappresentazione del reale, ogni documento deve essere oggetto di una adeguata e sistematica disamina interpretativa, in grado di operare la necessaria contestualizzazione. Neppure un documento come la fotografia può ambire a porsi quale puro e adamantino specchio della realtà, asettico medium privo di qualsiasi effetto soggettivo e selettivo: al pari di qualsiasi altra fonte anch’essa è il risultato di (esplicite o implicite) scelte, valutazioni, filtri.[10] Se il mondo “là fuori” esiste come un incontrovertibile dato di fatto, colui che aziona il dispositivo fotografico, puntandolo in una certa direzione e mirando a una specifica inquadratura, è invece un soggetto storico, mosso da scopi e intenzioni, sentimenti e ripulse, passioni e idiosincrasie. Il mondo sarà pure oggettivo – non ce ne vogliano i filosofi –, ma la mente del fotografo no.

 

Loquacità o reticenze, ami e battute di pesca

Conscio di come il documento non possa mai esser preso per “oro colato”, lo storico seleziona le fonti che maggiormente possono rivelarsi utili per lo studio intrapreso. E all’ampliarsi degli interessi storiografici – si pensi solo al ruolo esercitato, nel corso del Novecento, dalla scuola di Les Annales – non poteva non corrispondere una speculare proliferazione di nuove possibili fonti, prima trascurate o totalmente ignorate. E’ evidente come sia l’ambito di ricerca prescelto a determinare l’utilità o meno di una fonte e come, di conseguenza, lo stesso documento possa rivelarsi loquace o muto a seconda delle domande rivoltegli. Emulo del coriaceo investigatore di tanti film noir, lo storico ingaggia un serrato corpo a corpo con la sua fonte per indurla a parlare, ma va osservato che anche un silenzio, da essa caparbiamente mantenuto su una certa questione, può rivelarsi interessante, offrendo spunti allo storico per nuove congetture, ricerche e prospettive di ricerca.

Sorta di detective intento a ricostruire, con le tracce a disposizione, la “scena del delitto”, lo storico può anche essere paragonato, come ci propone Edward Carr, a un pescatore[11]. Equiparati i fatti storici a pesci che nuotano in un oceano immenso e talvolta inaccessibile, lo storico inglese osserva come la preda del pescatore dipenda in parte dal caso, ma soprattutto dalla zona dell’oceano in cui si è deciso di pescare e ancor più dal tipo di ami e arnesi utilizzati, scelta funzionale al genere di pesci che si vogliono catturare. Una pregnante metafora ittica, con la quale Carr vuole sottolineare come nessuno storico possa mai rivendicare pretese di esaustività e completezza: si pesca dove si è deciso di pescare e si prendono, se si è fortunati, quei pesci per cui ci si è attrezzati.

Questo primo modulo introduttivo si concludeva con un’attività nel segno della didattica ludica. Suddivisa in due gruppi la classe, gli studenti ricevevano due supposti documenti[12] di cui avrebbero dovuto accertare l’autenticità: veniva così a simularsi lo scenario del cantiere dello storico, in cui i ragazzi, facendo ricorso alle proprie competenze storiografiche, erano chiamati a individuare i palesi anacronismi e imprecisioni presenti nel testo.[13] Una divertente e agevole disamina, esemplificativa, pur nella sua semplicità, dell’approccio critico a una fonte.

 

Prendendola alla lontana: una fake news di 2.500 anni fa

«Io Pausania, capo degli Spartani, ti restituisco questi prigionieri catturati in battaglia volendoti fare cosa gradita e ti propongo, se piace anche a te, di sposare tua figlia e di sottomettere al tuo potere Sparta e tutta la Grecia. Ritengo di essere in grado di realizzare questo piano se mi metto d’accordo con te. Se dunque qualcosa di questa proposta ti piace, manda qualcuno fidato con cui si possa proseguire la trattativa».[14]

V secolo a.C.: l’eroe della battaglia di Platea scrive a Serse, il Gran Re dei Persiani, rendendo palese la propria disponibilità al tradimento e subendo, per questo motivo, la condanna a morte, attuata murando vivo il generale spartano nel tempio ove si era rifugiato sperando, in nome del diritto d’asilo, di trovare salvezza. Una sentenza capitale frutto di una fake news[15] di duemilacinquecento anni fa, come accertato dagli studiosi contemporanei.[16]

La citazione della falsa lettera di Pausania risulta funzionale all’introduzione del secondo modulo del progetto, incentrato sulle dinamiche della rete: se è vero che le false notizie sono sempre esistite, a connotare le fake news della società contemporanea, in virtù delle straordinarie risorse tecnologiche disponibili, sono una potenzialità e velocità di diffusione mai verificatesi in passato e una capacità, non ancora percepita in tutta la sua rilevanza, di incidere profondamente sul sistema comunicativo e politico.

 

Un mondo online

Parafrasando il titolo di un celebre saggio di Umberto Eco, per analizzare il fenomeno della rete è opportuno rifuggire da posizioni “apocalittiche” o “integrate”, speculari polarizzazioni assiologiche che non gioverebbero minimamente alla comprensione della realtà. Che si sia entusiasti fautori del nuovo che avanza o sconcertati censori dei “mala tempora” toccatici in sorte, i dati, nella loro crudezza, ci dicono che a livello mondiale 3 miliardi e 700 milioni (circa il 50% della popolazione globale) sono gli utilizzatori della rete e 2 miliardi i soggetti attivi ogni mese su Facebook.[17]

Passando al panorama nazionale, Audiweb ci informa che ogni mese si collegano a Internet oltre 33 milioni di utenti unici, corrispondente al 60% degli italiani dai 2 anni in su, permanendo online una cinquantina di ore, e che i bambini tra i 2 e i 10 anni vi trascorrono almeno mezz’ora al giorno, tempo che supera le 2 ore giornaliere per gli adulti.[18] Il Censis, dati del settembre 2018, attesta come l’82,2% delle famiglie sia collegata a Internet e il 49,6% di esse disponga di una connessione a banda larga e come l’utilizzo di dispositivi elettronici risulti quanto mai diffuso già tra i bambini: nella fascia d’età tra i 4 e i 10 anni il 17,6% risulta usare un cellulare, il 6,7% un PC fisso, il 24,2% un PC portatile, il 32,7% un tablet e il 49,2% si connette abitualmente al web. Così va il mondo.

 

Un diluvio di fake news

Definite dal Collins Dictionary «informazioni false, spesso sensazionalistiche, diffuse con la forma di una notizia giornalistica», a differenza delle cosiddette “bufale”, notizie plausibilmente inverosimili, le fake news si presentano con un fondo di pseudo-verità che può renderle apparentemente credibili. Due sono gli aspetti che le contraddistinguono: lo stretto legame con la tecnologia dei social media e la capacità di suscitare profonda emozione, andando a toccare corde sensibili dell’immaginario collettivo. I contenuti delle fake news riguardano infatti temi “caldi” e controversi – ad esempio: il fenomeno dell’immigrazione, la presenza degli stranieri, questioni e problemi inerenti la sfera della salute, del sesso, dell’ambiente, della sicurezza, dei valori identitari ecc… – che appassionano e inquietano l’opinione pubblica: tramite titoli “gridati” e testi ad effetto, le fake news catturano l’attenzione del lettore, puntando ad acuire le reazioni emotive e a veicolare precisi messaggi. Risulta impressionante constatare come su Twitter una fake news si diffonda 6 volte più rapidamente di una notizia vera e abbia il 70% in più di probabilità di essere rilanciata.[19] Per non parlare del ruolo esercitato dalle “cyber-truppe”: troll e bot operano, infatti, artatamente per influenzare i soggetti e i gruppi sociali, attuando sofisticate strategie per indirizzare il tenore dei commenti e delle discussioni online nella direzione voluta[20].

 

Post-verità e “fatti alternativi”

Tralasciando in questa sede ogni possibile riflessione filosofica sul concetto di verità e relativo millenario dibattito, la nostra epoca sempre più sembra connotarsi per quella condizione che da molti viene indicata come post-verità,[21] concetto definito dall’Oxford Dictionary come «ciò che è relativo a, o che denota, circostanze nelle quali fatti obiettivi sono meno influenti nell’orientare la pubblica opinione che gli appelli all’emotività e le convinzioni personali». Insomma la maggiore o minore veridicità di una notizia non influirebbe, o lo farebbe solo marginalmente, sulla sua credibilità: funzionale alla circolazione delle fake news e al prevalere della sfera emotiva, la logica della post-verità può incidere pesantemente sulla formazione dell’opinione pubblica,[22] sempre meno in grado di discernere con chiarezza tra realtà e finzione, vita e recitazione,[23] e portata a recepire, senza vaglio critico, gli “alternative facts”, per usare l’espressione utilizzata di recente da un funzionario della Casa Bianca, in spregio alla realtà dei fatti.[24]

 

“Bolle filtro” e “silos sociali”

Frequentare la rete e i gruppi social, significa venir inseriti, in base al proprio profilo, in una “filter bubble”, una bolla di filtraggio atta a selezionare e fornire le notizie ritenute consone alle opinioni e stili di vita dell’individuo: una sorta di paraocchi virtuale che, nel veicolare solo certe informazioni correlate alle precedenti navigazioni, predilezioni e “like” espressi, restringe progressivamente il campo percettivo, rafforzando il meccanismo cognitivo del “confirmation bias” e quindi il consolidamento delle opinioni e credenze precedentemente acquisite.

I social network facilmente rischiano di amplificare l’effetto della “echo chamber”, la cassa di risonanza che finisce per riprodurre e convalidare gli assunti del gruppo, respingendo e condannando ogni posizione divergente: al pari dei silos fisici, contenitori sigillati per la conservazione delle derrate alimentari, i silos sociali vengono così a configurarsi come ambiti omogenei e chiusi, refrattari a ogni confronto e spirito critico, propensi allo scatenamento di insulti su chiunque “osi” dissentire o esprimere una posizione più articolata, non collimante con la “ortodossia” condivisa.[25] Una logica che, nell’ostacolare ogni confronto e dibattito, avvertito come minaccia alla coesione del gruppo, risulta quanto mai esiziale per la crescita intellettuale e morale dell’individuo, portato sempre più a rinserrarsi nella propria cittadella fortificata.

Gli effetti di certe pratiche sono tristemente noti: il mezzo nato, nelle speranze di molti, per favorire il dialogo e lo scambio ha assunto spesso le sembianze di un’arena in cui tanti, troppi “leoni da tastiera”, al riparo codardamente del nickname, vomitano ogni giorno insulti e volgarità, palesando tassi preoccupanti di intolleranza verbale, frustrazione psicologica, odio represso.[26]

 

Indignazione per un triceratopo

«Scellerata foto di un cacciatore sportivo mentre posa sorridente accanto a un triceratopo appena colpito. Per favore condividi affinché il mondo conosca e svergogni quest’uomo spregevole». Questo l’indignato commento, postato il 6 luglio 2014 da tal Jay Branscomb su Facebook, a corredo di una fotografia ritraente un ilare signore accanto a un triceratopo morto: un appello prontamente raccolto da oltre 31.000 utenti della rete, che hanno condiviso la foto, e da quasi 6.000 che l’hanno commentata.[27] Invitati ad analizzare foto e reazioni sul web e benché, tranne qualche eccezione, non fossero in grado di riconoscere in Steven Spielberg, ritratto sul set di “Jurassic Park”, il soggetto in primo piano nella foto, gli studenti rimanevano ovviamente sconcertati e increduli per l’assurdità di una vibrante protesta a favore di animali preistorici estintisi, anno più anno meno, 65 milioni di anni fa. Come spiegare allora le condivisioni di una simile notizia volutamente provocatoria? Quali i meccanismi psicologici in gioco?

La discussione collettiva, opportunamente guidata, ha portato a mettere a fuoco certe dinamiche tendenti a trasformare gli utenti della rete in emuli del cane di pavloviana memoria: condizionato da stimoli ripetuti, l’individuo non si sofferma, seppur brevemente, ad analizzare la fonte informativa ma finisce per agire in modo automatico, conformando la propria risposta ad analoghe reazioni precedentemente messe in atto. Al cospetto di un “frame” consolidato – foto di animale di grossa taglia ucciso, cacciatore sorridente in posa, presa di posizione in nome della salvaguardia delle specie a rischio e della sensibilità animalista – e di una tipologia di denuncia online ripetutamente sperimentata, il click sulla tastiera sembra partire in automatico. Anche se l’animale in questione non è un elefante, un leone o un rinoceronte bensì un triceratopo.

 

Le insidie del… far web

La lettura e il commento al Decalogo per la navigazione, agile guida per una fruizione critica e consapevole delle notizie in rete promossa da Facebook in collaborazione con Fondazione Mondo Digitale,[28] hanno introdotto il modulo successivo, dedicato all’analisi di video, immagini, testi presenti online.

Un breve filmato mostrava alcuni stranieri, di presumibile origine africana, intenti in pieno giorno a distruggere a bastonate un’auto dei carabinieri sulla pubblica via:[29] senza alcun commento da parte del conduttore del progetto, veniva chiesto “a caldo” agli studenti una prima impressione di ciò che avevano appena visto. Dopo aver messo a confronto i diversi interventi dei ragazzi, il video veniva riproposto, con l’invito a un’osservazione più attenta: da certi particolari ben visibili ma precedentemente ignorati o sottovalutati – la “giraffa” per il sonoro, un pannello bianco sorretto ai lati della scena per convogliare la luce sui soggetti ripresi, assistenti ai margini, assenza di dettagli tipici di una vera auto dei carabinieri – si poteva evincere il carattere fasullo del supposto “video-verità” e comprendere come si trattasse di una ripresa cinematografica e non della vivida testimonianza, in presa diretta, di un comportamento violento. Una fake news, insomma, e neppure inedita, in quanto già postata nel 2014 e poi rilanciata due anni dopo: un’operazione tesa a fomentare rabbia e intolleranza contro la quale ha preso posizione la stessa Polizia di Stato che, attraverso la propria pagina social, ha stigmatizzato l’accaduto, ricordando i risvolti penali per chiunque diffonda contenuti di stampo razzista e xenofobo.

Gli esercizi di lettura critica su materiale presente online proseguivano con una foto relativa a pacchi di pasta gettati nell’immondizia, gesto certamente esecrabile – il cibo non si spreca, ci hanno sempre insegnato i nostri genitori – ma del tutto intelligibile qualora si fosse prestata attenzione alla data di scadenza, ben visibile nella foto, attestante la cessata commestibilità delle confezioni: a dispetto di questa evidenza l’autore del post addebitava la responsabilità del fatto ad alcuni stranieri, ospitati in tre appartamenti di uno stabile situato di fronte a casa sua. Attraverso questo documento gli studenti sono stati stimolati a cogliere la trasformazione di una mera contiguità spaziale – “stranieri di fronte a casa mia” – in un rapporto di causa-effetto – “stranieri responsabili del deprecabile gesto” – e a riflettere sull’univoca lettura dell’evento, gravida di stereotipi e pregiudizi nei confronti dei richiedenti asilo, tacciati di irriconoscenza, furbizia, protervia.[30]

La foto di un “bugiardino” di un farmaco, sotto al cui nome compare un triangolo nero capovolto, offriva poi lo spunto per un’incursione nel delicato ambito della salute, cui ognuno di noi è oltremodo sensibile. In questo caso l’allarmistica denuncia online aveva a che fare con l’espressione “medicinale sottoposto a monitoraggio addizionale”, dicitura che a detta del propalatore della fake news di turno dimostrerebbe la potenziale pericolosità per il paziente del farmaco in questione, in quanto non sperimentato a sufficienza: affermazioni prive di fondamento, chiarisce l’European Medicines Agency, che al pari delle polemiche sui vaccini o dei proclami in merito a miracolose cure alternative rischiano di incrinare la fiducia nella scienza medica e nelle terapie farmacologiche, mettendo a repentaglio la salute dei cittadini.[31]

 

È tutto un complotto

Affrontare il fenomeno delle fake news significa fare anche i conti con la sindrome complottista, di cui il web fornisce svariate esemplificazioni.[32] Dallo sbarco sulla Luna al riscaldamento globale, dall’attentato alle Twin Towers dell’11 settembre 2001 alla diffusione dell’Aids, dalle scie chimiche agli alieni, la rete pullula di siti che individuano nel complotto la chiave esplicativa di fenomeni di particolare risonanza mediatica.[33] Se lontani sono i tempi dell’antica Grecia, analoghi ai contemporanei di Omero appaiono certi abiti mentali degli odierni complottisti: pur essendo la nostra una società secolarizzata e connotata dal weberiano disincanto del mondo, l’adesione alla teoria sociale della cospirazione si configura, secondo il filosofo Karl Popper, come una versione aggiornata dell’antico teismo, ovvero di una credenza «in una divinità i cui capricci e voleri reggono ogni cosa».[34] Scomparsi gli dei dell’Olimpo ed eclissatosi il Dio cristiano dell’era pre-moderna, il loro posto è ora occupato da occulti gruppi di potere, intenti a tramare nell’ombra per pilotare le vicende del mondo, estendere il proprio controllo sulle masse, incrementare le proprie ricchezze. Abietti personaggi cui addebitare ogni sorta di male e nefandezza.

Lettura del mondo semplificata e astratta, deterministica e manichea, la teoria del complotto soddisfa l’esigenza psicologica di sentirsi immensamente superiori ai propri simili, “creduloni” e acquiescenti nei confronti delle “verità ufficiali”, e rassicurati nell’aver trovato una spiegazione semplice e lineare a problemi complessi e di ardua decifrazione: se la mancanza di certezze genera sgomento e angoscia, ad essa può sopperire la teoria del complotto, atta a fornire un illusorio senso di comprensione e rassicurazione e facilmente portata ad individuare un capro espiatorio.[35]

 

Alieni caduti dal cielo

Un modulo del progetto è stato specificamente dedicato all’approfondimento di queste dinamiche: attraverso esempi tratti dal web, si è cercato di guidare gli studenti alla decostruzione delle retoriche complottiste.

Un testo relativo al cosiddetto “incidente di Roswell”, inerente la caduta il 2 luglio 1947 di un velivolo non identificato presso una località americana del Nuovo Messico, è stato oggetto di un’analisi che, a prescindere da ogni considerazione scientifica sulla questione degli UFO, mettesse in evidenza le strategie argomentative utilizzate e svelasse le incongruenze logiche di un discorso che, nel sostenere il rinvenimento in quella circostanza del cadavere di un alieno, pone sotto accusa le autorità americane per aver ordito un complotto, al fine di tener nascosto all’opinione pubblica il sensazionale avvenimento.[36] Quale indicativa epitome del modus operandi dell’autore del testo esaminato, citiamo il passo finale: «l’incidente di Roswell rimane ancora oggi un mistero e il più importante caso di contatto alieno che ancora oggi il governo americano cerca di mantenere insabbiato». Delle due l’una: se è un mistero non si può parlare di contatto alieno, se si è trattato di un contatto alieno allora si devono portare le prove a suffragio di questa affermazione, che chiarirebbe definitivamente l’evento, eliminando ogni alone di mistero. Semplice, no? Ma i rigori del ragionamento logico non si addicono ai fautori del complotto e ai loro seguaci.

 

Paul is dead 

Passiamo a fonti iconografiche. Chi tra i giovani non ama la musica? E chi, pur appartenendo a una generazione lontana dagli anni Sessanta, non conosce i Beatles? Agli studenti veniva chiesto di indicare i nomi dei componenti del celeberrimo gruppo e quali, tra loro, fossero ancora in vita. Paul McCartney e Ringo Starr? Vero per quest’ultimo, ma non certo per Paul. Siete increduli e perplessi? Una congrega di fan beatlesiani, ricorrendo ovviamente alla tesi del complotto, vi spiegherebbe che la notizia della morte di Paul McCartney, avvenuta (secondo costoro) nel 1966 per un incidente automobilistico, fu tenuta nascosta all’opinione pubblica per consentire il prosieguo della carriera della band, pronta a rimpiazzare il bassista mancino con un sosia.[37]

E le prove? Basta analizzare copertine e testi dei dischi.[38] La lettura, operata da questi singolari personaggi, si è prestata per un’attività seminariale volta alla decifrazione e allo smontaggio di strategie interpretative di stampo complottista. Mostrate agli studenti alcune copertine dei dischi dei Beatles, si è ragionato con loro sull’ermeneutica messa in atto dai fautori del “Paul is dead”, i quali sono soliti estrapolare frammenti iconografici o testuali al fine di operare una serie di interpretazioni arbitrarie e del tutto decontestualizzate, secondo una lettura univoca e selettiva, funzionale a confermare una tesi precostituita.

Un modo di procedere che non si prefigge di sottoporre a verifica la propria ipotesi di partenza ma che va alla sistematica e unilaterale ricerca di elementi che la convalidino. Risulta evidente come tale logica interpretativa, prossima al delirio, conduca agli stessi risultati a prescindere dagli elementi empirici: anche in presenza di copertine e testi completamente differenti, l’esito interpretativo non muterebbe, fungendo infatti ogni immagine o passo testuale da mero pretesto per la conferma della tesi di partenza[39].

Un solo esempio. La celeberrima copertina di Abbey Road vede i quattro Fab Four attraversare la strada sulle strisce pedonali: solo Paul è scalzo, allusione al fatto che i defunti vengono deposti privi di scarpe nella bara, e gli abiti di John, Ringo e George possono far pensare a una processione funebre. E che dire di quella Volkswagen parcheggiata sulla sinistra? Presenza non certo casuale, stante la targa “LMW – 28IF”, che viene decifrata come “Linda McCartney Widowed [vedova]” e “avrebbe 28 anni se [fosse vivo]”.[40] Tutto torna.

 

Il “falso del Secolo”

Se l’operazione di disvelamento del decesso di Sir Paul può suscitare un misto di compassione e ilarità, venendo rubricato un simile esercizio ermeneutico nell’ambito della stravaganza e di un singolare ma innocuo divertissement, ben altri i possibili effetti psicologici e le ricadute sociali della denuncia di un complotto che sarebbe stato ordito, addirittura, da un corpo dello Stato. Il video in questione non riguarda infatti futili questioni legate al mondo dello star-system e a un gossip portato alle estreme conseguenze, ma un’immane tragedia che ha colpito l’intero Paese e Genova in particolare: il crollo, il 14 agosto 2018, del ponte Morandi e la morte di 43 persone.

A distanza di quasi un anno dal disastro, nel luglio 2019 un individuo già noto ai curatori di siti di fact checking e smontaggio delle “bufale” ha pubblicato un video del crollo, denunciandone la deliberata manipolazione da parte della Procura di Genova: tramite la selezione di specifici frames, i magistrati avrebbe assemblato un filmato artefatto e non corrispondente al vero,[41] realizzando, secondo le sue parole, “il falso del Secolo” al fine di suffragare la tesi del cedimento strutturale, ad oggi ritenuta la sola causa plausibile del crollo.[42]

Si tratta di un atto che, oltre a mancare di rispetto alle vittime, ai loro familiari, all’intera collettività segnata dalla tragedia e a delinearsi come un possibile reato, di cui il suo autore potrebbe essere chiamato a rispondere penalmente, si configura come un diretto attacco alla Magistratura e alle istituzioni democratiche, di cui si invita apertamente a diffidare. Una presa di posizione quanto mai inquietante ed esiziale, che dimostra come una fake news possa favorire la delegittimazione dello Stato democratico e acuire la sfiducia nei suoi confronti da parte dei cittadini meno preparati e consapevoli e più esposti, di conseguenza, alle suggestioni delle “contro-verità” propalate online.

 

Deepfake, ultima frontiera delle fake news

In un breve filmato, presentato come fuori onda carpito all’insaputa del soggetto ripreso e trasmesso il 23 settembre 2019 dal programma televisivo Striscia La Notizia di Canale 5, Matteo Renzi si lascia andare a pesanti e compromettenti dichiarazioni, accompagnate da gesti eloquenti, nei confronti di eminenti personaggi politici, tra cui il presidente del Consiglio e lo stesso Presidente della Repubblica.[43] Documento autentico o artefatto? La discussione in merito vedeva prevalere, nelle opinioni degli studenti, la tesi dell’imitatore, stante la non plausibilità del comportamento dell’uomo politico in quella circostanza. In realtà non si trattava di un abile sosia bensì dello stesso Renzi. Grazie alla tecnica del deepfake è infatti possibile manipolare l’immagine umana, sovrapponendo volti e facendo pronunciare, con perfetta sincronia labiale, discorsi di senso compiuto a qualsiasi personaggio mostrato in video.

Esito estremo delle fake news, il deepfake evoca scenari inquietanti,[44] in cui la finzione digitale diviene pressoché indistinguibile dalla realtà e un video artefatto, spacciato per vero, può essere diffuso e utilizzato per screditare un personaggio e influenzare pesantemente una competizione politica, mettendo a rischio il libero formarsi delle opinioni dei cittadini e andando quindi a ledere il principio fondamentale su cui si regge un sistema democratico.[45]

 

Come ti rovino la reputazione

Come momento conclusivo del percorso è stato proiettato un servizio del programma televisivo Le Iene[46], andato in onda il 25 febbraio 2019 su Italia 1, che mostrava la facilità con cui sia possibile compromettere la reputazione di una persona tramite la costruzione e diffusione online di una falsa notizia. Dall’inchiesta giornalistica emergeva come, con una spesa irrisoria di una ventina di euro, sia possibile, in pieno anonimato, acquistare un dominio, presentarlo come un sito di informazione libero e indipendente e utilizzarlo per veicolare una fake news appositamente realizzata per screditare qualcuno. Grazie a un titolo a effetto e a un testo ben confezionato, l’accusa – totalmente inventata – a un volto noto dello stesso programma televisivo di aver tenuto un comportamento riprovevole durante un soggiorno in un albergo si diffondeva nel web, scatenando commenti indignati e volgari all’indirizzo del reprobo, tacciato di ipocrisia, disonestà, arroganza.

Un esperimento che dimostra come basti poco per infangare una persona e suscitare ad arte la rabbiosa reazione di molti utenti della rete, quanto mai solleciti nello sfruttare una simile occasione per sfogare le proprie frustrazioni e pulsioni represse.

 

Un patentino per il web?

Alla fine del suo libro sul fenomeno delle fake news, lo psicologo della comunicazione Giuseppe Riva avanzava una singolare proposta: così come in passato si è deciso di istituire la patente per chi avesse voluto guidare un’automobile, allo stesso modo si dovrebbe fare oggi con chi, in giovane età, si accinge a frequentare il mondo della rete.[47] Se per il motorino ci vuole un patentino, perché non fare altrettanto anche per lo smartphone? Provocazione? E sia, ma da raccogliere e sui cui riflettere a fondo, perché se è vero che nessuno consentirebbe a un giovane, privo di qualsiasi cognizione pratico-teorica, di mettersi alla guida di un veicolo, non lo è altrettanto a proposito della navigazione nel web, universo colmo di trappole e insidie – oltre che, ovviamente, di straordinarie risorse e opportunità – in cui ogni utente può avventurarsi, anche se ignaro e totalmente sprovvisto delle basilari consapevolezze critiche. Basta avere tredici anni per crearsi il proprio profilo e vedersi spalancate le porte dei gruppi social.

Nessuno chiede di sprangare gli accessi, né tanto meno di ricorrere a mezzi coercitivi. Non servirebbe. E non è il nostro lavoro. La scuola invece può, e anzi deve, educare al senso critico, attivarsi il più possibile per far sì che ogni studente diventi un cittadino maturo e consapevole, in grado di ragionare con la propria testa e operare le proprie scelte, un soggetto capace di sottoporre ad analisi e verifica le fonti informative, rifuggendo dal conformismo e dalla passiva accettazione del “sentito dire”, un individuo che sia aperto al dialogo e al confronto, conscio dei propri diritti e delle proprie responsabilità.

Un lavoro complesso e difficile, della durata di un’intera vita. Un lavoro al quale la scuola dovrebbe dedicare le sue migliori energie. Un impegno cui non possiamo abdicare, pena il venir meno del nostro ruolo di educatori.

 

Bibliografia 
  • B. Baldi (a cura di), Complotti e raggiri. Verità, non verità, verità nascoste, Roma, Viella, 2018.
  • S. Bentivegna, G. Boccia Artieri, Le teorie delle comunicazioni di massa e la sfida digitale, Roma-Bari, Laterza, 2019.
  • A. Biscaldi, V. Matera, Antropologia dei social media. Comunicare nel mondo globale, Roma, Carocci, 2016.
  • M. Bloch, La guerra e le false notizie, Roma, Donzelli, 2004.
  • L. Canfora, La storia falsa, Milano, Rizzoli, 2008.
  • E. H. Carr, Sei lezioni sulla storia, Torino, Einaudi, 2000.
  • U. Eco, Il complotto, in Sulle spalle dei giganti. Lezioni alla Milanesiana 2001-2015, Milano, La nave di Teseo, 2017.
  • M. Ferraris, Postverità e altri enigmi, Bologna, il Mulino, 2017.
  • G. Jacomella, Il falso e il vero. Fake news: che cosa sono, chi ci guadagna, come evitarle, Milano, Feltrinelli, 2017.
  • A. M. Lorusso, Postverità. Fra reality tv, social media e storytelling, Roma-Bari, Laterza, 2018.
  • E. Pariser, Il Filtro: quello che internet ci nasconde, Milano, il Saggiatore, 2012.
  • K. Popper, Congetture e confutazioni, Bologna, il Mulino, 1972.
  • W. Quattrociocchi, A. Vicini, Liberi di crederci. Informazione, internet e post-verità, Torino, Codice Edizioni, 2018.
  • W. Quattrociocchi, A. Vicini, Misinformation. Guida alla società dell’informazione e della credulità, Milano, Franco Angeli, 2017.
  • G. Riva, Fake news. Vivere e sopravvivere in un mondo post-verità, Bologna, il Mulino, 2018
  • G. Riva, I social network, Bologna, il Mulino, 2016.

Al link https://www.wumingfoundation.com/NB_Questo_chi_lo_dice_032018.pdf è scaricabile il testo Questo chi lo dice? E perché? Una guida per la fruizione critica delle fonti fuori e dentro il web. Con esempi e proposte di esercizi didattici, a cura di Nicoletta Bourbaki, gruppo di ricerca sui falsi storici nato nel 2012.

 

Sitografia del “debunking”

Con il termine “debunking” si indica l’operazione di smascheramento delle false notizie. Tra i siti di “debunker” italiani, impegnati nella verifica delle notizie e denuncia delle “bufale”, segnaliamo:

  • https://www.cicap.org (sito del CICAP, Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze, nato nel 1989 per iniziativa del giornalista Piero Angela).
  • https://www.bufale.net (sito impegnato soprattutto nella verifica delle notizie circolanti nei social e su Facebook).
  • https://www.butac.it (Bufale un tanto al chilo, sito di lotta contro le “bufale”).
  • https://bufalopedia.blogspot.com/ (indice delle “bufale”, suddivise per categoria e presentate con una breve descrizione e le rispettive parole chiave, curato da Paolo Attivissimo e Elena Albertini)
  • https://www.medbunker.it (blog sulle “bufale” riguardanti la medicina del medico chirurgo Salvo Di Grazia).

 


Note:

[1] Dai risultati della ricerca, consultabile in https://www.unisob.na.it/eventi/pdf/20180720.pdf, emerge anche che l’87% degli italiani ritiene non affidabili i social network per l’apprendimento di notizie credibili. Tutti i link indicati nelle note erano consultabili al 3 marzo 2020.

[2] Cfr. F. Pira, A. Altinier, Giornalismi. La difficile convivenza con fake news e misinformation, Padova, LibreriaUniversitaria.it, 2018.

[3] Per quanto riguarda la fascia d’età tra i 18 e i 34 anni d’età, a possedere uno smartphone sono il 97,2% dei cittadini, percentuale che scende all’85,8% per chi ha tra i 35 e i 64 anni e cala al 27,8% per gli anziani. Per i dati del rapporto Digital in 2018 cfr. https://wearesocial.com/it/blog/2018/01/global-digital-report-2018.

[4] Se solo il 14,2% degli italiani legge regolarmente i quotidiani, la percentuale cala al 5,6% a proposito dei giovani (Rapporto Censis, 2017).

[5] Le scuole genovesi che hanno preso parte al progetto, totalmente gratuito, sono state il Liceo classico Colombo, il Liceo scientifico Fermi, l’Istituto Montale, l’Istituto Vittorio Emanuele-Ruffini, l’Istituto Calvino. Le classi partecipanti spaziavano dal terzo al quinto anno della scuola superiore.

[6] In base alle specifiche esigenze di ogni singola classe si è deciso di condurre il progetto in orario curriculare oppure extracurriculare, presso le singole scuole di appartenenza oppure nei locali dell’ILSREC.

[7] In un caso, su richiesta del docente tutor interno, il progetto è stato contenuto in tre incontri.

[8] Anche un documento inattendibile può risultare molto interessante per lo storico: si pensi, ad es., alla falsa donazione di Costantino.

[9] J. Le Goff, Documento/monumento, in Enciclopedia, vol. V, Torino, Einaudi, 1978, pp. 38-48.

[10] Già oggetto in passato di possibili ritocchi e manipolazioni (si pensi in Unione Sovietica alla progressiva “scomparsa” nelle foto dei rivoluzionari russi caduti in disgrazia), nell’era del Photoshop e delle sofisticate tecnologie digitali il documento fotografico è esposto, come mai in precedenza, a qualsiasi modifica e artificio.

[11] E. H. Carr, Sei lezioni sulla storia, Torino, Einaudi, 2000 [edizione originale 1961], pp. 28-29.

[12] I testi, appositamente ideati per l’esercizio, concernevano un presunto estratto del diario di bordo di Cristoforo Colombo, un presunto radiomessaggio dell’esercito americano durante lo sbarco in Normandia, un presunto rapporto della polizia italiana del 1985 relativo a un’operazione di ordine pubblico.

[13] Per fare alcuni esempi: nel presunto diario di bordo di Cristoforo Colombo vi erano riferimenti all’imperatore Carlo V, all’eresia protestante, all’ordine dei gesuiti, al tabacco, all’America; nel presunto radiomessaggio del 1944 agli elicotteri, al kalashnikov, al rock’n’roll di Elvis Presley, a una Parigi già liberata; nel presunto rapporto di polizia, datato 1985, a incongrue cariche istituzionali (il sindaco al posto del questore, il governatore al posto del prefetto, ecc.).

[14] Tucidide, La guerra del Peloponneso, I, 128, Milano, Mondadori, 2007. Alle classi del liceo classico è stato proposto il testo in originale.

[15] Anche al singolare va scritto “fake news” perché, oltre alla consuetudine di recepire senza variazioni le parole straniere entrate al plurale nella nostra lingua, il sostantivo “news” (notizia nuova, recente) in inglese è singolare: scrivere “new” equivarrebbe a creare un sostantivo inesistente in inglese (cfr.  http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/domande_e_risposte/grammatica/grammatica_1678.html).

[16] Cfr. L. Canfora, La storia falsa, Milano, Rizzoli, 2008. Già Erodoto, a proposito delle dicerie su Pausania, si cautelava dicendo «sempre che sia vero ciò che si dice in proposito».

[17] W. Quattrociocchi, A. Vicini, Liberi di crederci. Informazione, internet e post-verità, Torino, Codice Edizioni, 2018, p. 23. Il dato relativo a Facebook risale ad agosto 2017 e risulta essere il doppio del 2012.

[18] Cfr. G. Riva, Fake news, Bologna, il Mulino, 2018, p. 39.

[19] Ivi, p. 38.

[20] I “troll” sono individui che, tramite modalità aggressive e scorrette, interagiscono in rete con lo scopo occulto di orientare la discussione e influenzarne l’esito (nella mitologia scandinava i troll sono creature fantastiche malevoli, in inglese il verbo “to troll” significa agitare l’esca per far abboccare il pesce). I “bot” sono programmi informatici che, simulando una personalità umana, fanno credere all’interlocutore di avere a che fare con un altro individuo.

[21] Cfr. A. M. Lorusso, Postverità. Fra reality tv, social media e storytelling, Roma-Bari, Laterza, 2018.

[22] Sul rapporto tra nuove tecnologie e sistema democratico cfr. Democrazia e web, numero monografico di “Storia e memoria” (1/2020), rivista dell’ILSREC “Raimondo Ricci”, di imminente uscita.

[23] Si pensi ai vari “reality” televisivi di successo.

[24] “Alternative facts” è l’espressione usata dal consigliere della Casa Bianca Kellyanne Conway il 22 gennaio 2017 per indicare e giustificare una visione della realtà propria di chi la esprime, anche se diversa da quella fornita dai media o dalle fonti istituzionali.

[25] G. Riva, Fake news, op. cit., p. 113.

[26] Nel 2008 l’Unione europea ha sancito l’illegalità dello hate speech e nell’ambito dell’internet Forum nel 2016 ha concordato con Facebook, Microsoft, Twitter e YouTube il Code of Conduct on illegal online hate speech.

[27] La foto e il post sono riportati in V. Gheno, B. Mastroianni, Retorica del complotto o istinto umano?, in B. Baldi (a cura di), Complotti e raggiri. Verità, non verità, verità nascoste, Roma, Viella, 2018, p. 168. Uno dei 6.000 commentatori affermava: “disgustoso. Scommetto che si è tenuto solo le corna”.

[28] Le norme del Decalogo sono le seguenti: «non ti fidare dei titoli urlati, controlla bene l’indirizzo del sito, fai ricerche su chi ha scritto la notizia, fai attenzione alla formattazione, fai attenzione ai contenuti digitali, controlla le date, verifica le testimonianze, controlla se altre fonti hanno riportato la stessa notizia, la notizia potrebbe essere uno scherzo, alcune notizie sono intenzionalmente false». Cfr. anche Come riconoscere una bufala: 9 consigli utili per evitare di condividere informazioni false (www.huffingtonpost.it/2016/11/25/riconoscere-bufale_n_13225252.html); Come scoprire le bufale in rete… e dintorni (https://www.altrasoluzione.com/blog/come-scoprire-le-bufale-in-rete-e-dintorni).

[29] Cfr. https://www.bufale.net/immigrati-distruggono-auto-dei-carabinieri/.

[30] Questo il commento del post: “foto scattata stamattina presso i bidoni della spazzatura vicino casa. N.B. di fronte casa mia ben tre appartamenti sono gestiti da una cooperativa e occupati da giovani palestrati che scappano da guerre e fame… sulla fame ho dei dubbi visto ciò che si permettono di buttare…” (https://www.bufale.net/foto-scattata-stamattina-presso-i-bidoni-della-spazzatura-vicino-casa-cosa-i-palestrati-si-permettono-di-buttare/).

[31] Questo il tono del post: “Cari imbecilli – che vi sottoponete alla somministrazione, ciò che vi capiterà dopo l’iniezione servirà a noi produttori a sapere gli effetti del farmaco sul vostro corpo, e se schiattate sono cazzi vostri, perché noi col triangolino nero vi abbiamo avvisato che il farmaco non è testato né per la sicurezza né per l’efficacia… […] Ah, dimenticavo, questo vale anche per gli altri vaccini che iniettano ai vostri figli neonati!!!” (https://www.butac.it/gardasil-9-monitoraggio-addizionale/).

[32] Cfr. B. Baldi (a cura di), Complotti e raggiri, op. cit.

[33] Si ascolti, in proposito, l’ironica canzone di Francesco Gabbani Pachidermi e pappagalli («Sai che Gandhi era un massone? / i Beatles un’invenzione / e che Adolfo si è salvato / il Titanic mai affondato / […] Lo sai la Terra è piatta e dominata ormai / dalle lobby gay, da banchieri ebrei / un padrone solo […] Non esiste prova alcuna / dello sbarco sulla Luna / le piramide egiziane /sono marziane»). Nel 1996, prendendo spunto dalle leggende metropolitane allora in voga, sorta di fake news ante-litteram, Elio e le Storie Tese avevano inciso Mio cuggino (cfr. J. H. Brunvand, Leggende metropolitane. Storie improbabili raccontate come vere, Milano, Costa & Nolan, 2007).

[34] K. Popper, Congetture e confutazioni, Bologna, il Mulino, 1972 [edizione originale 1969], pp. 212-13.

[35] Nel corso della storia europea la logica complottista si è spesso saldata – si pensi ai Protocolli dei savi anziani di Sion – con l’antisemitismo. Su queste dinamiche ancora presenti nella nostra società cfr. D. E. Lipstadt, Antisemitismo. Una storia di oggi e di domani, Roma, University Press, 2020, in particolare pp. 87-92.

[36] Cfr. https://horrorvertolli.it/incidente-di-roswell/.

[37] La sensazionale notizia del decesso di Paul McCartney venne comunicata la sera del 12 ottobre 1969 al disc jockey di una radio di Detroit da un ascoltatore durante la trasmissione radiofonica.

[38] Tra le copertine prese in esame Yesterday and today, A collection of Beatles oldies (but goldies), Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, Magical mistery tour, Abbey Road, Let it be.

[39] Il motivo per cui sarebbero stati forniti indizi sulla morte di Paul è individuato da alcuni nella volontà di far conoscere gradualmente la verità, mentre per altri sarebbero stati gli stessi Beatles a creare scherzose allusioni in tema.

[40] Con l’uscita nel 1993 dell’album Paul is live, Paul McCartney ha ironizzato sulla leggenda: la foto di copertina lo ritrae sulle strisce pedonali di Abbey Road con un cane; alle sue spalle è ancora posteggiata una Volkswagen bianca, ma questa volta la targa recita “51 IS”, ovvero “ha 51 anni”, l’età allora di Sir Paul.

[41] Cfr. https://www.butac.it/lo-sciacallo-del-ponte-morandi/, sito ove viene smontata l’aberrante tesi sostenuta. L’autore del post afferma: «nessuna sequenza del filmato desecretato dalla Procura di Genova può ritenersi genuina. Ci sono almeno venti (20) fotogrammi riciclati. Tutto è dimostrato frame per frame […] A questo punto ci si chiede: “se una Procura si permette di creare dei falsi di tale livello, ci possiamo ancora fidare della Giustizia?”». Il video mostra le immagini del crollo riprese da una telecamera di videosorveglianza di una ditta ubicata vicino ai piloni del ponte Morandi.

[42] Il processo per il crollo del ponte Morandi è ancora (marzo 2020) in fase istruttoria.

[43] Cfr. https://www.striscialanotizia.mediaset.it/video/il-fuorionda-di-matteo-renzi_59895.shtml. Alla fine del filmato gli stessi conduttori del programma hanno fatto chiaramente intendere la non autenticità del documento e l’intento satirico, pur senza dichiararlo esplicitamente.

[44] Un dispaccio dell’Ansa del 9 ottobre 2019, riprendendo uno studio della società Deeptrace, rendeva noto che sul web girano circa 15.000 video “deepfake”, di cui il 96% a carattere pornografico (con involontarie protagoniste soprattutto attrici famose) e il 4% a carattere politico. Su questo fenomeno cfr. Vittorio Carlini, Fake news e video manipolati: ecco il lato oscuro dell’intelligenza artificiale, in “Sole24 ore”, https://www.ilsole24ore.com/art/il-lato-oscuro-internet-cosi-vengono-fabbricate-fake-news-ABYjTJaB?refresh_ce=1.

[45] A fronte di una simile minaccia lo stato della California ha varato due leggi per contrastare il fenomeno, mentre a livello nazionale è in discussione negli Stati Uniti il provvedimento Deep Fakes Accountability Act. (https://www.wired.it/attualita/politica/2019/10/07/deepfake-leggi-california/). Questi provvedimenti sono stati però criticati dall’American Civil Liberties Union, organizzazione non governativa che teme una possibile repressione della libertà di espressione, garantita dal primo emendamento della Costituzione americana.

[46] Il filmato, della durata di 13 minuti, è visibile in https://www.iene.mediaset.it/video/viviani-come-si-fa-e-quanto-rende-una-fake-news_65717.shtml.

[47] G. Riva, Fake news, op. cit., pp. 174-75.